Jusepe de Ribera, detto lo “Spagnoletto”, nacque nei pressi di Valencia ( Játiva ) nel 1591.

Artista  ponte tra la pittura spagnola e la scuola napoletana, è uno dei pittori più interessanti e originali interpreti della pittura di Caravaggio, rappresentando una delle figure più importanti del Seicento europeo. Gran parte della sua attività si svolge in Italia anche se la committenza è fondamentalmente spagnola. Inizialmente infatti il suo principale committente e protettore era il Duca Di Osuna, e alla morte di questo, lo Spagnoletto passa sotto la protezione del Duca D’Alba per il quale realizza anche incisioni e disegni (portandolo ad essere uno degli artisti più prestigiosi d’Europa) ma la maggior parte delle sue opere egli le realizza a Napoli, divenendo uno dei maggiori esponenti artistici della scuola partenopea.

Era detto Lo Spagnoletto per la sua bassa statura.

La sua prima formazione avviene in Spagna presso la bottega di Francisco Ribalta, ma la sua vera formazione avviene più tardi in Italia.
Per seguire il padre, soldato spagnolo a servizio in Italia, Lo Spagnoletto lascia la Spagna per trasferirsi appunto in Italia.

Inizialmente visita il Nord dove insegue le orme del Caravaggio. In questo primo periodo della sua vita Ribera è particolarmente influenzato dallo stile di Caravaggio e realizza opere che imitano quelle di Tintoretto e Correggio.
Dopo tre anni si trasferisce a Roma, dove dipinge le sue prime opere, la serie di “Cinque Sensi” in cui si ritrovano le influenze caravaggesche.

Ben presto si stabilì a Napoli (1616) alloggiando presso la casa dell’anziano pittore Giovanni Bernardino Azzolino (un noto pittore siciliano che già godeva di un discreto successo nel panorama napoletano) del quale sposò la figlia sedicenne. A Napoli trovò affetti , lavoro, successo e protezione entrando  nelle grazie del viceré, il duca di Osuna, che diventerà il suo protettore, come lo saranno in seguito tutti i potenti di Spagna, presso i quali il suo prestigio sarà illimitato.

Valenzano di nascita, ma napoletano a tutti gli effetti per scelta culturale, interessi familiarie affinità di sentimenti, una volta  presa residenza nella nostra città , egli da quel momento divenne  assoluto protagonista del panorama artistico e punto di riferimento indiscusso per giovani artisti .

In pochi anni divenne la personalità più in vista della pittura napoletana, figura professionale che consolidò per oltre un ventennio non mancando di esercitare tra i pittori partenopei, una notevole influenza. La sua bottega assunse a Napoli un’importanza fondamentale e fu un polo di riferimento culturale per un’intera generazione di pittori, alcuni direttamente suoi allievi, altri come il Giordano, che si formò giovanissimo sui suoi esempi,  Dalla  sua bottega si formeranno alcuni dei maggiori pittori del secolo dal Maestro degli Annunci ai due Fracanzano, dal Falcone a Salvator Rosa, Giovanni Do e lo stesso Luca  Giordano,

Le prime che esegue a Napoli sono gli “Apostoli della Quadreria dei Girolamini” e i “SS. Pietro e Paolo”. Ma probabilmente il capolavoro che meglio caratterizza questo periodo artistico è il “Sileno Ebbro”, massima espressione della sua adesione al luminismo caravaggesco, oggi custodito al Museo di Capodimonte.
Ribera inserisce data e firma sul cartiglio che è tra i denti del serpente nell’angolo in basso a sinistra.
La sua arte è violentemente realistica, accentuando Caravaggio anche nelle forti ombre in cui sono immersi i personaggi dei suoi quadri. Il pittore, inizialmente, viene definito il vero erede di Michelangelo Merisi poiché si appropria dei suoi colori e del suo stile.
Anche se la pittura dello Spagnoletto è più drammatica e tenebrosa. Solo dopo l’incontro a Napoli nel 1630 con Velàzquez, la pittura dello Spagnoletto diventa più chiara e colorata, attirando l’attenzione del re di Spagna che gli commissiona delle tele (oggi all’Escorial e al Museo Del Prado).

L’incontro con Velazquez rappresenta un punto di rottura nell’arte del pittore.

Da questo momento in poi la sua pittura cambia. Inizia a usare colori più chiari come si evince nel “Giacobbe”, nel “Archimede” e nel “Apostolo”. In questo periodo, per ben cinque anni, si dedica alle decorazioni della Certosa di San Martino eseguendo le quattordici tele con “Patriarchi e profeti”, “San Gerolamo”, “San Sebastiano” e la “Pietà”.

Negli ultimi anni della sua vita lo Spagnoletto si ammala ma nonostante questo, continua a dipingere tornando ai colori cupi della prima fase artistica, senza peraltro rinunciare a certi effetti ottenibili solo attraverso contrasti di luce ed ombra e con la grande Comunione degli apostoli completata nel 1651 per i monaci della certosa di San martino egli ci regala la sua ultima opera, che esprime la summa del suo stile, perché ad una visione naturalista del volto degli apostoli si accoppia una solenne scenografia di puro stampo veronesiano.

N.B. La malattia non mancò comunque di fargli realizzare dei grandi capolavori come il Matrimonio mistico di Santa Caterina che oggi si trova al Metropolitan museum di New York, l’Adorazione dei pastori del Louvre e la citata Comunione degli Apostoli di San Martino.

Dopo il 1640 la  grave malattia limitò di molto la sua attività, anche se la collaborazione di una bottega molto valida gli permise di immettere sul mercato ancora molte opere, spesso da lui firmate anche se eseguite solo in parte.

Ribera lascia anche alcuni lavori ad Aversa, per la precisione nella chiesa di San Francesco delle Monache, dove dipinge sull’altare maggiore della chiesa l’opera “Estasi di San Francesco”.

La sua ultima opera è “Lo storpio” in cui Ribera sembra fare un ultimo omaggio a Napoli: uno scugnizzo dell’epoca che, nonostante la sfortuna fisica, si mostra allegro e sorridente. Come se in un giovane deforme ma fiero e spensierato, l’autore avesse voluto rappresentare tutta l’anima della città.

Jusepe de Ribera morì a Napoli nel 1652 e viene sepolto nella Chiesa di Santa Maria del Parto nel quartiere Mergellina a Napoli, ora nota come della Catena.

Purtroppo, a causa dei vari lavori che si sono succeduti nel tempo in questo edificio, soprattutto quando hanno rifatto il pavimento negli anni 50, della tomba del noto pittore non vi è più traccia.


ARTICOLO DI ANTONIO CIVETTA
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