Il luogo grazia al suo silenzio in mezzo alla natura , era il posto ideale per dedicarsi in ritiro alla preghiera, al raccoglimento della propria spiritualità e alla ricerca della pace interiore.
Fu questo il motivo per cui nel XVII secolo , ai piedi di questo grande vallone della collina del Vomero, fu poi fondata una chiesa, detta di Santa Maria di Montesanto, ad opera di una comunità di Frati Carmelitani provenienti da un omonimo monastero siciliano. Da lì nacque il nome, Montesanto che presto si diffuse a tutta la zona.
Quando infatti Don Pedro di Toledo si insediò nella città partenopea nel 1533 , egli dette subito inizio ad una serie di interventi sulla vita e sul costume della città. In breve tempo la città subì molte trasformazioni: furono costruite strade, tra cui la splendida Via Toledo ed il vicino tratto di Montesanto che per allargare la citta ,vide molta della sua verde collina essere inglobata in citta.
Restavano comunque fuori dalle mura l’attuale Piazza Montesanto, l’Olivella e l’attuale via Tarsia, dove era presente un palazzo di proprieta della nobile aristocratica famiglia dei principi di Tarsia, (città calabrese della provincia di Cosenza.) i quali dovendo trasferirsi a Napoli capitale, e alla Corte vicereale, dovettero trovarsi un ‘abitazione degna di tanto nome e fecero quindi edificare un palazzo monumentale affidando il il progetto a uno dei più noti architetti napoletani del Settecento, un tale Domenico Antonio Vaccaro.
Raccontano gli storici dell’arte, che il palazzo era qualcosa di veramente imponente e grandioso: occupava tutta la zona a monte della chiesa di S. Domenico Soriano al largo del Mercatello, si estendeva poi dal Cavone all’attuale piazza Mazzini e da salita Pontecorvo a Montesanto . Esso era circondato da giardini bellissimi e stupefacenti e aveva nel suo interno una ricchissima biblioteca.
CURIOSITA : Tutta l’attuale area di via Tarsia, in quel periodo era di proprietà della nobile famiglia Spinelli, considerata in citta, una delle più antiche e illustri di Napoli, feudataria sin dai tempi dei Normanni e decorata con numerosi ordini cavallereschi. Pensate solo che l’antichissima famiglia nobiliare vantava nel suo albero genealogico numerosi e validissimi guerrieri sin dal tempo delle crociate. Il Principe di Tarsia Ferdinando Vincenzo, proprietario del palazzo e dell’intera area , era discendente della famiglia Spinelli , al cui capostipite Ferrante fu conferito cnel 1642 il principato di Tarsia .Con l’estinzione della famiglia Spinelli avvenuta nel secolo scorso, sia il giardino sia il palazzo furono variamente riutilizzati. Il piano terra, ad esempio fu trasformato prima in cinema, l’Astoria, e poi nel teatro “Bracco”, dedicato al commediografo Roberto Bracco. A fianco era l’Istituto nautico. Tutti i viali di questa abitazione, grandi e piccoli, costituiscono oggi le strade e i vicoli della zona, l’attuale piazzetta Tarsia sembra sia stata niente altro che il cortile interno del complesso.
La nuova murazione fatta costruire nei suoi interventi urbanistici dal vicere Don Pedro di Toledo, saliva dalla odierna chiesa dello Spirito Santo, attraverso la vallata di Montesanto, fino “ad meza falda del monte de santo Erasmo” (S. Elmo), da dove poi riscendeva verso la Playa, cioè Chiaja, e Santa Lucia, per poi ricollegarsi ai bastioni e alle casematte di Castelnuovo dalla parte di mare (oggi Molo Beverello e piazza Municipio).
N.B. Gli storici non sono tutti d’accordo sul tracciato di queste mura, poiché alcuni pensano che arrivavano fin sopra la punta più alta del Vomero, a S. Elmo, dove già c’era il Castello e la Certosa di S. Martino.
Il vicerè fece certamente una grande opera di risanamento della città sopratutto costruendo la vicina Via Toledo che ancora oggi prende il nome dal suo fondatore, ma con le nuove mura della città, restarono comunque isolati gli abitanti della zona e delle colline che volevano entrare in città, . Essi dovevano arrivare dalla lontana zona collinare fino al vicino largo del Mercatello ed entrare in citta. per la porta Reale, che si trovava all’ altezza della chiesa dello Spirito Santo. Molti dei napoletani che abitavano in quella zona, non amavano ovviamente questo tragitto così lungo e alcuni di loro, probabilmente sull’esempio di quanto era accaduto anche con Port’ Alba qualche anno prima, cominciarono a scavare di nascosto, “nu’pertuso“– ( un pertugio, un buco ) – per poter passare almeno uno alla volta.
N.B. Racconta Giuseppe Porcaro ne “Le Porte di Napoli” (ed. Del Delfino) ,..”..uno sconcio Pertuso, quindi, fu fatto da quegli abitanti nel muro occidentale della città, presso Montesanto, attraverso il quale, per la via dell’Olivella, i collinari di S. Martino accedevano nella capitale, raggiungendo agevolmente i centri storici e commerciali e l’area portuale.”.
Le Autorità, dopo vari inutili interventi di riparazione, presero atto della situazione e viste le continue petizioni degli abitanti, per consentire il passaggio regolare di tutti quelli che andavano e venivano dalla collina, nel 1640, Don Ramiro Nunez de Guzman, duca di Medina, fece costruire una Porta che prese il suo nome, “Medina”.
A realizzare la porta ,regolarizzando il pertuso aperto , fu Cosimo Fanzago insieme a Bartolomeo Picchiatti .Per tale motivo la porta, che fu dedicata al viceré, continuò ad essere appellata dal popolo Porta Pertuso.
CURIOSITA’: La nuova porta, si trovava, secondo gli storici, più o meno tra l’ingresso dell’ospedale dei Pellegrini e la stazione della Cumana e della funicolare. Essa fu l’ultima porta ad essere costruita in citta e fu anche l’ultima ad essere demolita nel 1873 . L’ultima traccia che rimane di quest’ultima è una targa su un palazzo antistante alla stazione della cumana di Montesanto, che recita “Fu in questo luogo porta medina, costruita dal vicerè di quel nome, nell’ anno MDCXL. Distrutta per pubblica utilità nell’anno MDCCCLXXIII“.
Del nome Portamedina resta invece ancora oggi una traccia nella toponomastica della zona( via Portamedina- vicoletto Rosario a Portamedina e Via Rosario a Portamedina dove si trova una omonima chiesa )
La porta subì numerosi danni durante i fatti d’armi del 1799 (le truppe sanfediste posero l’assedio a Napoli mettendo fine alla Repubblica Napoletana , dando inizio a una feroce e sanguinaria reazione) e lo stemma reale, che si trovava al di sopra dell’iscrizione e degli stemmi vicereali e della città, fu seriamente danneggiato assieme a tutte le strutture in marmo della porta. Nel 1873 il municipio cittadino, d’accordo con una società francese che intendeva allestire nella zona dei mercati, procedette alla demolizione della porta , da cui si salvarono lo stemma e l’epigrafe, conservati prima al Museo Archeologico Nazionale e poi, dal 1889 al Museo di San Martino
Il busto di San Gaetano di Thiene e l’iscrizione che ne ricordava l’opera salvifica sulla città dalla peste del 1656, che erano posti su uno del lati della porta, sono invece oggi conservati nella sacrestia della chiesa di Santa Maria delle Grazie in Montesanto.
CURIOSITA’: Tra i vari reperti storici conservati della nostra citta, oggi nella zona di Montesanto ne abbiamo uno che dobbiamo certamente almeno citare . Si tratta di quel bellissimo portale del Palazzo Vicereale Vecchio di Napoli che oggi è sito a Palazzo Muscettola di Spezzano, al numero 5 di vico Spezzano. Secondo la descrizione dell’araldista Vincenzo Amorosi “i battenti di quel portone sono rivestiti da lamine di acciaio e suddivisi in scomparti da fascette armate di chiodi a testa quadrangolare e mostrano nei riquadri superiori le colonne con il nastro attorcigliato e svolazzante recante la scritta “ plus ultra” che fu l’insegna araldica di Carlo V imperatore, fiancheggiate da due scudi ovali, uno poggiato su un corpo d’aquila bicipite, l’altro circondato da nastri”..
Il bel portone per chi ha vogiia di vederlo, si trova in Vico Spezzano, cioè quella piccola stradina che da Via Montesanto arriva a Piazza Mazzini.
Nella vicina Via Rosario a Portamedina. come vi abbiamo accennato si trova anche una chiesa ai più conosciuta per le sua scalinata dove è stata girata nel 1954 , una scena del film Le Quattro Giornate di Napoli, diretto da Nanni Loy che racconta della resistenza dei napoletani contro l’occupazione nazi-fascista del 1943.
Nella scena si vede la scalinata dove le donne si ribellano ai tedeschi e liberano i loro uomini.
N.B. Napoli fu la prima città d’Italia a liberarsi dall’occupazione tedesca , in modo totalmente autonomo, senza il supporto delle truppe di liberazione, venendo poi insignita della Medaglia d’Oro al Valor Militare.
La Chiesa di Santa Maria del Rosario a Portamedina , conosciuto anche come chiesa di Santa Giovanna d’Arco o Rosariello a Portamedina, venne costruita nel 1568 dalla Congrega dello Spirito Santo che, nel XVII secolo, completò l’opera affiancandogli un convento con chiostro di forma quadrata con tre arcate per lato.
Il complesso venne rimaneggiato nel 1724 e nel 1742; e fu proprio quest’ultimo (eseguito probabilmente da Domenico Antonio Vaccaro) a conferirgli l’aspetto attuale, con le decorazioni interne in stucco e l’esterno in stile tardo-barocco.
La facciata della chiesa presenta un bellissimo portico decorato in stucco, sorretto da arcate a tutto sesto, su cui poggia il coro. Il portale, è sormontato da una pregevole scultura in marmo raffigurante la Madonna col Bambino attorniata da angeli. L’interno, a pianta centrale, presenta un’unica navata con volta a botte e due cappelle laterali per lato.
Tra le opere pittoriche conservate la più rilevante è il “Sant’Antonio che adora il Bambino sulle braccia di San Giuseppe attorniato dai Santi Gennaro e Michele”, tela firmata da Antonio Sarnelli ,
Nel 1929 il convento domenicano passò alle suore della Compagnia di Maria e nel 1937 diventò ufficialmente una scuola, per poi essere riadatta e profondamente alterata durante lo stesso secolo.
Se vi siete recati nel luogo a vedere la chiesa vi sarete crtamente accorti di trovarvi in quella Napoli popolare che conserva ancora oggi la sua tipica antica folkloristica caratteristica .
Forse oggi Montesanto è ancora l’unico vero tratto della nostra città che resiste alla massiva invasione turustica e conserva intatte le sue originali caratterisiche urbane e sociali .
I suoi vicoli stretti e misteriosi rappresentano il posto dove potrete ancora oggi incontrare il vero folklore dei napoletani , la loro lingua , i loro rumori, i loro odori ed i loro colori.
Percorrere oggi l’intera zona di Montesanto significa di fatto incontrare dal vivo la cultura napoletana ,assaporare il profumo dei suoi cibi , calarsi nella sua lingua e nella sua musica., nella storia e nella sua arte.
Montesanto forse è l’unici luogo del nostro centro storico che ancora merita quella targa dell’UNESCO presente dal 1995 in piazza del Gesù.
Oggi, in un centro storico pieno di tavolini selvaggi, monumenti nel degrado, proliferazione di bed and breakfast e bar che hanno determinato la chiusura di botteghe e negozi storici, l’abuso degli spazi pubblici sottratti al libero godimento dei cittadini e concessi ai ristoratori, e la sottrazione ai residenti del diritto di abitare, perchè il mercato degli immobili si sta riversando verso i nuovi usi extra alberghieri, Montesanto è l’unica zona che a distanza di tanti anni mantiene ancora intatto con la sua folla di persone geniuine, il carattere di “porta della città”.
E’ un luogo che da sempre conserva come unico il suo impianato urbanistco e lo difende fieramente dalle omologazioni tanto di moda nella restante parte del centro storico.
Esso, senza lasciarsi influenzare da cio che avviene altrove ha conservato intatti i suoi antichi vasci , i suoi palazzi , le sue chiese , i suoi stretti vicoli misteriosi , la sua cultura ed il suo folklore .
Il suo mercato che si trova in Via Pignasecca da decenni conserva intatte le sue pittoresche caratteristiche . In questo luogo , oggi considerato il mercato più antico di Napoli, si puo ammirare uno spaccato molto suggestivo e folkloristico della città partenopea. In questo affollato tratto di strada nel più complesso disordine e rumore, in un mondo variegato di voci e colori si affiancano bancarelle di ogni genere, capaci di dare luogo a magnifiche scene di esposizioni di pesce, frutta, verdura, fritture e dolci tipici da consumare in strada,
Non mancano ovviamente anche piccoli negozi o bancarelle che espongono e vendono a prezzi accessibili ,capi d’abbigliamento, vestiti , articoli casalinghi, accessori e dischi o piccole trattorie tipiche, dove si possono mangiare piatti tipici della tradizione popolare partenopea .
In questo luogo dove ogni giorno migliaia di persone attraversano il mercato ,non vi sentirete mai soli tra l’enorme flusso di folla che per tutto il giorno percorre questa strada.
Sembra di essere nel l’ombelico del mondo,,, dove una folla di persone lavora, si muove e si arrangia,
Ma vi siete mai chiesti del perchè questa zona ha un nome così curioso ?
Perche mai secondo voi si chiama PIGNASECCA ?
Secondo gli abitanti del luogo piu anziani, la zona si chiama Pignasecca, perchè quel “secca” sta a significare che i pini si seccarono improvvisamente in maniera inspiegabile), ai piedi della collina del Vomero.
Una piccola spiegazione del perche si seccarono questi pini è forse legata ad un vescovo ed una particolatare gazza ladra.
Il curioso nome Pignasecca attribuito a questo luogo risale al 1500 quando i numerosi orti che lo caratterizzavano furono spianati per la costruzione di via Toledo .La zona del noto mercato si trovava all’epoca fuori le mura della città, dove c’erano fiorenti orti, tant’è che il luogo era noto con il nome di “Biancomangiare” per indicare la salubrità del sito ed una gustosa pietanza locale
In tutta la zona che andava da Santa Chiara alla attuale Pignasecca vi erano vasti giardini e belvedere che appartenevano al duca Pignatelli Fabrizio di Monteleone, il quale abitava in un suo palazzo a Monteoliveto.
Quando le mura di Napoli con il vicerè don Pedro de Toledo, che fece costruire la nuova via a lui intitolata, furono allargate fino a comprendere la zona del Biancomangiare ( detta così dal nome di una gustosa crema di latte ) per la costruzione di via Toledo, la maggior parte dei giardini furono confiscati al Pignatelli a cui rimasero solo quelli nella zona dello Spirito Santo. Egli allora su questi terreni rimasti fece costruire un ospizio oggi divenuto dopo tanti rifacimenti l’Ospedale Pellegrini.
Alla grande spianata di tutti questi orti pare che sopravvisse soltanto un pino, definito in napoletano pigna. Delle gazze vi nidificarono nascondendovi tutti gli oggetti preziosi che sottraevano dalle abitazioni vicine, finché i demoralizzati abitanti non provvidero a scacciarle. Il pino progressivamente si seccò conferendo a questa zona il nome di “Pignasecca”.
Secondo una la leggenda invece pare che in questo luogo un tempo, vi fosse una pineta, grande e fitta, popolata da tantissime gazze. Uno di questi uccelli scopri’ il vescovo della città a letto con la perpetua, e mentre questi era intento a fare determinate cose pensò bene di rubargli il suo prezioso anello. A questo punto egli, per vendicarsi, scomunicò la gazza, anzi, scomunicò tutte le gazze, una ad una. Dopo tre giorni dall’evento, la pineta morì. I pini seccarono, le gazze sparirono, lasciando solo una distesa di terra arida e vuota: la Pignasecca.
Come vi abbiamo gia precedentemte detto un tempo molta dell’attuale area di Montesanto era coperto da boschi di ulivi e pini (da cui il nome Olivella) .
Essa si trovava ai piedi della collina del Vomero e in assenza di una funicolare ( poi costruita ) e per salire e scendere si usavano sentieri scoscesi e grezze scalinate che in verita ancora oggi possono essere percorsi, naturalmente solo a piedi.
Le scale di Montesanto , capaci di collegare rapidamente Montesanto con il Corso Vittorio Emanuele , sono uno di quei passaggi in grado di mettere in comunicazione zone rese distanti dallo sviluppo urbano portato da nuove strade, ponti ed edifici.
Tramite esse noi possiamo infatti rapidamente raggiungere in pochi passi dal Corso Vittorio Emanuele ( lato Piazza Mazzini ) la nostra piazzetta Olivella, dove si trova la stazione di Montesanto della vecchia metropolitana. Si tratta di un passaggio segreto che di colpo si trasforma in un’inedita passeggiata nel cuore di Napoli davvero piacevole perchè sembra di essere in un luogo di vacanza, lontano dal caos cittadino e soprattutto dai volti abbrutiti dalla vita urbana.
Percorrendo queste scale abbiamo la possibilita di vedere quelle storiche zone di Tarsia, Pontecorvo e Ventaglieri. che un tempo si trovava fuori le mura della citta ma era considerata da tutti una zona salubre e con una buona aria . Per questi motivi sia famiglie nobiliari che ordini monastici hanno realizzato nel tempo i loro splendidi palazzi, ville e conventi in questa zona segnandola profondamente.
N.B. Gli spazi verdi di raccordo con la collina di San Martino e Sant’Elmo e gli orti che delimitano tutta l’area tra Montesanto ed il Corso Vittorio Emanuele, vennero a poco a poco fagocitati da nuove costruzioni. Il territorio quindi cominciò sempre più a popolarsi e i vari edifici che in origine presentavano un piano unico, nel corso del tempo, vennero sopraelevati fino a cinque piani per far fronte alla carenza cronica di abitazioni per una costante crescita della popolazione .
Per collegare quindi le parti piu alte della citta al centro storico e viceversa, si pensò bene quindi di ospitare tra sui vicoli e le sue strade diverse scalinate o lunghe rampe talvolta monumentali come appunto quella dello Scalone di Montesanto.
Una magnifica scalinata a balze formate da pietra lavica che collega la lunga strada del Corso Vittorio Emanuele al popolare quartiere di Montesanto.
N.B. La Scalone, percorso pedonale e turistico, si riallaccia idealmente con la Pedamentina di San Martino e sfocia direttamente nell’originale rione della Pignasecca. Partendi dal piazzale antistante la Certosa, fino ad arrivare alla stazione di Montesanto si è calcolato che in tuuto i gradini da fare sono circa 400 se non oltra, ma vi posso assicurare che è certamente un’esperienza affascinante.
Questo percorso suggestivo collega piccoli “mondi” differenti attraverso passaggi e strettoie che sembrano avere una vita propria, lontana dal quel trambusto della città. dove lo spazio pubblico, invaso dai dehors di bar e pizzerie, è diventato uno spazio di consumo.
La storia dello Scalone Monumentale di Montesanto
Lo scalone che conta 135 scale vere e proprie e 69 gradonate fu realizzato nel 1869 per volontà di Gaetano Filangieri, principe di Satriano. La scala è suddivisa in due parti: la prima si articola in ampi gradoni mentre la seconda è caratterizzata da una ripida scalinata a doppia rampa.
La caratteristica principale riguarda la pavimentazione in pietra lavica. I i muri e i parapetti sono a struttura portante in tufo, in parte intonacati e in parte a faccia vista, con bauletto in pietra lavica. Il sistema d’illuminazione è su pali in ghisa.
CURIOSITA’:La scala ha ispirato numerosi registi che hanno realizzato proprio qui alcune delle scene dei loro film. Tra questi, Alessandro Blasetti, che girò nel 1932 una scena de “La tavola dei poveri” e Vittorio De Sica nel 1961 che l’ha immortalata in alcune scene del film “Il giudizio universale”.
Le monumentali scale oggi, a differenza del passato sono pulite e non si sentono schiamazzi.
Parte del merito di questo recupero va riconosciuto all’azione di alcune associazioni che si impegnano nella riqualificazione urbana di porzioni della città. Sulle scale di Monesanto si trova infatti la sede di Quartiere Intelligente, associazione culturale, che si propone, in sostanza, di far nascere un “modello” di riferimento di “ecologia urbana”. E lo fa ospitando i cittadini nel proprio spazio per confronti, dibattiti o magari per aperitivi serali e per vedere documentari e film che vengono in genre proiettati sulla parete del palazzo di fronte all’associazione, per cui le poltrone disponibili sono proprio i gradini della scala: ecco un esempio di riutilizzo creativo, ecologico e funzionale dell’architettura urbana.
La scalinata, fatta di enormi gradoni che scendono ripidi verso il basso, rappresenta un’importante testimonianza storica e urbanistica oltre ad offrire un punto di vista paesaggistico diverso, costeggiando gli orti degli antichi casali e i giardini della Certosa.
NB. In uno degli edifici che si affacciano sulle scale della Pedamentina, soggiornò Charles Baudelaire, il poeta meledetto considerato uno dei più importanti poeti al mondo del XIX secolo. Sempre in uno di questi edifici invece airguerite Yourcenar ambientò uno dei tre racconti che compongono “Come l’acqua che scorre”. Un testo scrittonel 1882 che parla diuna Napoli aristocratica di fine cinquecento e della famiglia del marchese spagnolo Alvaro De la Cerna. Tengo a tal proposito a ricordarvi che questa scrittrice e poetessa francese è stata la prima donna eletta alla Academie francaise ed è la stessa che per il suo capolavoro ” Memorie di Adriano ” venne candidata al Premio Nobel per la letteratura.
CURIOSITA’ : A metà dell ‘ottocento visto l’importanza sempre più crescente dell’intera zona , fu costruita per volere di re Ferdinando II di Borbone ( che la chiamò con il nome della moglie ” Corso Maria Teresa “) una strada che invece di passare in basso, tra le case, tagliasse in due la collina al fine di collegare meglio i due estremi della città dell’epoca ( Chiaia e Capodimonte ) e collegare la città bassa con il crescente Vomero. La strada oggi chiamata impropriamente Corso Vittorio Emanuele si estende per una lunghezza di circa 650 metri e tagliando la collina, fu di molta utilità per snellire il traffico delle carrozze e delle merci ( di fatto un primo esempio di tangenziale in Europa ). La strada che tagliava la collina divise di fatto la città in due zone , una bassa ed una alta.
La scalinata fatta di enormi gradoni, inizia in Corso Vittorio Emanuele, all’altezza del civico 386 ed esattamente di fronte a quel bel palazzo di colore rosso pompeiano, dove si trova la casa un tempo abitata dal grande drammaturgo Raffaele Viviani, ed anche dallo studioso e fondatore del Partito Comunista d’Italia, Amedeo Bordiga, considerato ribelle e nemico di Stalin nell’Italia di Mussolini
Il grande attore e scrittore originario di Castellammare di Stabia, amava molto questa sua casa che allora affacciava su una vasta oasi verde nel cuore della città, dove sorgevano enormi spelonche di tufo utilizzate in passato come cave: le mitiche grotte scavate nei Monti tra il Vomero e Montesanto. Monti che hanno dato il nome a strade, vicoli, alberghi, scalinatelle, viottoli incassati nel ventre di tufo della città. Monti che davano da vivere ai cavaloli, di cui è rimasta traccia nella toponomastica di Montecalvario.
CURIOSITA’: I Monti poi spezzati, alla metà del XIX secolo, dall’avanzata trionfale del Corso Vittorio Emanuele, erano originariamente, un alveo naturale, che al pari di via Ventaglieri, salita Tarsia, salita Pontecorvo e del Cavone, era deputata al convogliamento a valle delle acque meteoriche e delle «lave», ovvero dei detriti trasportati dalla pioggia in quelle che anticamente erano strade di campagna.
Si racconta che Viviani, nei suoi momenti liberi trascoresse molte ore affacciato al suo balcone per ammirare quell’oasi verde e sopratutto quel grande frutteto che un giorno avrebbe preso il suo nome .Per lui il grande frutteto era “o ciardiniello ” e ne era a tal punto innamorato da definirlo «n’angulo e Paradiso sciso nterra».
In tanti che abitano in zona, ancora oggi raccontano, che Viviani quando usciva di casa, si intratteneva spesso nei dintorni del suo angolo di«Paradiso in terra»
N.B. Oggi di quel giardino di delizie tanto caro all’autore di Bammenella ,sono niente altro che la parte bassa, meno fortunata anche se non meno nobile, del Parco Viviani, ventimila metri quadri, istituito nella seconda metà degli anni Ottanta a seguito dei lavori di ricostruzione post-terremoto. Il parco, che segue il declivio naturale della collina, è dotato di tre ingressi ma al momento è fruibile solo quello su via Girolamo Santacroce, chiuso per molti anni e restituito alla città solo di recente. Qui il panorama, una volta raggiunta la cima, diventa mozzafiato: Sorrento, il Vesuvio, Capri, i Campi Flegrei, Procida e Ischia stretti in un unico grande abbraccio.
Le sue grotte tufacee, ancora presenti vennero utilizzate in tempo di guerra come ricovero antiaereo e in seguito diventate deposito di materiali edili, in alcuni casi addirittura murate.
Fino ai primi anni 80, quando prese forma l’idea di realizzare il Parco Viviani nell’ambito degli interventi post-terremoto, la zona era infestata dai rovi; gli ippocastani e le altre piante da frutto soffocati dalla vegetazione selvaggia. Nel 1982 le prime ispezioni, condotte da Clemente Esposito, grande esploratore del sottosuolo napoletano e presidente del Centro Speleologico Meridionale.
«Armati di macete aprimmo dei sentieri tra i rovi e trovammo le prime grandi cavità, alcune delle quali chiuse con grossi blocchi di cemento, tra Sant’Antonio ai Monti, Salita Cacciottoli e via Cupa Vecchia. Una notte ci calammo per 35 metri in una gigantesca cavità e vi restammo fino al pomeriggio del giorno successivo.
Cominciarono i lavori, si disboscò la zona di Via Girolamo Santacroce e vennero alla luce i ruderi di antichi casali. Furono aperti ampi sentieri e si costruì il Parco Viviani che fu anche collegato con le cavità di Via Sant’Antonio ai Monti, sì da mettere in comunicazione via Girolamo Santacroce con Corso Vittorio Emanuele. Il parco venne affidato, in una prima fase, all’editore Attilio Wanderlingh».
CURIOSITA’: I Monti che danno il nome alla salita – spezzati, alla metà del XIX secolo, dall’avanzata trionfale del Corso Vittorio Emanuele voluto da Ferdinando II di Borbone , era originariamente, un alveo naturale e al pari di via Ventaglieri, salita Tarsia, salita Pontecorvo e del Cavone, anch’essa era deputata al convogliamento a valle delle acque meteoriche e delle «lave», ovvero dei detriti trasportati dalla poggia in quelle che anticamente erano strade di campagna. Oggi invece sono il ventre della città, budelli di pietra vulcanica ai confini di molti quartieri come l’Avvocata, Montecalvario, la zona dei Ventaglieri e Sant’Antonio ai Monti, al limite ovest dell’antico quartiere del Limpiano. Esso s’inerpica poi verso il Vomero fino a congiungersi, anzi a trasformarsi in via Cacciottoli.
Prima che il corso Vittorio Emanuele stravolgesse, nell’Ottocento, la scenografia urbana – collegando la zona occidentale e quella orientale della città con quella che a pieno titolo può essere considerata la prima vera Tangenziale di Napoli – la salita di Sant’Antonio ai Monti svolgeva una strategica funzione di collegamento verticale (oggi interrotto) tra i rioni storici e popolari di Montesanto, Olivella e Quartieri Spagnoli e la collina del Vomero. Lo stesso Parco Viviani, come sanno bene i cittadini che da anni si mobilitano contro il degrado, non è soltanto un polmone verde da salvaguardare e «rigenerare», ma anche uno straordinario canale di comunicazione tra il centro e la collina, in una logica di valorizzazione di quella «città verticale» che fa parte della nostra storia e della nostra cultura.
Raffaele Viviani, l ‘autore della Rumba degli scugnizzi , che aveva debuttato nel 1892, a soli quattro anni e mezzo, in un teatrino di marionette a Porta San Gennaro, non poteva certo immaginare che un giorno sarebbe diventato il genius loci di quel tratto di Corso, e di quel parco che porta il suo nome. Egli si perdeva spesso nell’indolenza del paesaggio che poteva ammirare dalla sua casa del corso Vittorio Emanuele. Nel suo studio affacciato sul verde custodiva tre oggetti di grande valore simbolico: la sua testa scolpita da Gemito, le foto con l’autografo di Petrolini e un busto di Petito. «Il ritratto di Gemito come segno dell’avvenuto successo (anche per quello che era costato); la foto di Petrolini, amico fraterno dall’epoca dei difficili inizi, come testimonianza dei sacrifici e delle lotte che quel successo era costato; il busto di Petito, nume tutelare e padre nobile, come solido ancoraggio alla tradizione»
Lataralmente allo scalone si trova la funicolare di Montesanto che sale a fianco dei resti della cinta muraria di età vicereale su per la collina del Vomero nei pressi di Castel S. Elmo.
Essa fu Inaugurata il 30 maggio 1891 e rappresenta in città, il secondo impianto di risalita a fune di cui la città di Napoli si è dotata per collegare la collina al centro cittadino.in untempo di percorrenza calcolata di 4 minuti e 25 secondi. . Con un dislivello di 168 m ed una lunghezza è 825 m , essa può contenere circa 300 persone.
CURIOSITA’: La funicolare che si inerpicava su per la collina, , fino a metà anni 60 del XX secolo, era tutta di legno, dai sedili alle porte che dovevano essere chiuse una a una dal macchinista. Oggi è stata modernizzata, con apertura e chiusura automatica delle porte, rinnovata all’interno e ripulita.
L’impianto connette la parte più alta del quartiere Vomero con Piazzetta Montesanto dove incontra il nodo di interscambio con le ferrovie Sepsa (Cumana e Circumflegrea) e la linea 2 metropolitana. In media utilizzano il servizio circa 12.500 viaggiatori nei giorni feriali e 4.000 in quelli festivi. Numerosi i turisti che la utilizzano per raggiungere Castel Sant’Elmo e il Museo di San Martino.
I due terminal, Sepsa e funicolare di Montesanto, a seguito del restyling dell’intero edificio liberty, dichiarato monumento nazionale, sono oggi perfettamente integrati funzionalmente e fisicamente, con flussi di ingresso e di uscita separati attraverso un sistema di ascensori e scale mobili, una nuova segnaletica e assenza di barriere architettoniche.
Piazza Montesanto , dove si trova la stazione della Fuinicolare ,rappresenta comunque il fulcro centrale e lo snodo essenziale della popolosa area della Pignasecca e del suo mercato,…in questo posto ad ogni ora della giornata ci sono persone che si avvicendano frettoloso un mondo variegato di voci e colori tra funicolare, cumana e metropolitana. Talvolta ci si i fa strada a fatica, tra persone cariche della “spesa” quotidiana, tra i tanti motorini e macchine e tra gli utenti frettolosi che in fretta cercano di non perdere il loro treno di turno .
Nella piazza si trova infatti non solo la stazione della funicolare ma anche quella della Ferrovia Cumana e Circumflegrea (attiva con una prima tratta dal 1889) , la linea della Metropolitana 2 .
Se consideriamo anche la bella stazione della metropolitana di Via Toledo e quella di Piazza Dante , entrambe appartenenti alla linea 1 ed enrambe facilmente raggiungibili a piedi in pochi minuti , possiamo certamente affermare che la zona di Montesanto è quella più ben collegata della nosta citta.
CURIOSITA’: In passato nella piazza di Montesanto, dove oggi si trova la stazione, non tutti sanno che al suo posto nel 1883 si trovava un ippodromo con tanto di toreros e picadores in costume spagnolo che fu realizzato nei duecento anni di vicereame spagnolo.
Ecco la descrizione tratta da ” La città prima e dopo il risanamento.( Intramoenia editore, collana memoria): “l’ippodromo trovasi a sinistra della funicolare di Montesanto: nel centro è costruito un doppio steccato per le giostre dei buffali e per tutto il diametro corre uno spazio per le corse dei birrocini e dei velocipedi. Sono state costruite tribune spaziose e kioski pe’ caroselli. Ieri (10 settembre 1893) una folla enorme assistette all’inaugurazione e la festa non poteva riuscire più gioiosa e attraente. La prima corsa velocipedistica venne annullata poiché il pubblico, credendola compiuta, invase la pista.
… a distanza metri 4000, primo Giuseppe Abbate. Seguono gare velocipedistiche tra donne e la giostra di buffali, alla quale prendono parte sei toreros o, come dice il manifesto, torieri e due picadores in costume spagnolo. Dopo un segnale di tromba entrarono nella pista i toreros ed i picadores, mentre la banda intuonò l’aria della Carmen. Disposti in squadriglie, i giostratori fanno buon giuoco, perché i signori buffali mostrano di avere una paura maledetta. E le due corride terminarono fra la felicità generale”
L’ippodromo ha comunque avuto vita breve per il sorgere della stazione della Cumana.Dopo qualche anno, nel 1892, fu infatti inaugurata la ferrovia Cumana che doveva portare i passeggeri , passando per Pozzuoli, fino a Cuma e Torregaveta. La linea andò avanti a vapore fino al 1927, quando fu poi elettrificata. Alla partenza da Napoli, la Cumana entrava immediatamente nella galleria scavata sotto la collina del Vomero, che, da quanto mi raccontavano, servì da rifugio antiaereo durante la guerra.
La piazza di Montesanto, oggi rappresenta un punto nevralgico della popolosa area rionale , In essa si erge anche la chiesa di Santa Maria di Montesanto o di Santa Maria del Carmelo, che
venne costruita nel XVII secolo da una comunità di Carmelitani proveniente dalla Sicilia , Essa affidò il progetto della struttura all’architetto Pietro de Martino. La cupola invece è opera successiva di Dionisio Lazzari.
La chiesa venne dedicata alla Madonna del Monte Santo del Carmelo e diede poi il nome all’intera zona.
I padri Carmelitani rimasero nel convento fino al 1861, fino a quando gli Ordini religiosi vennero soppressi. Pochi anni dopo si stanziarono nel complesso i padri Barnabiti che vi fondarono l’Istituto intitolato a San Francesco Saverio dei Bianchi.
La sua facciata è divisa in due ordini da un cornicione con diversi stucchi poi rifatti risalenti ad Angelo Viva. Nel primo ordine si trova il portale di ingresso sormontato da un’effige raffigurante la Madonna del Carmelo mentre nel secondo ordine si trovano una meridiana (a sinistra) e un orologio (a destra), Al centro, sopra il portone d’ingresso si vede un grande finestrone rettangolare. In alto, ai due lati si innalzano due torri campanarie.
L’interno è una pianta a croce latinacon quattro cappelle per lato.
Nelle prime cappelle di destra e sinistra sono custodite due tele di Palo De Matteis, raffiguranti l’Angelo Custode e il Miracolo di Sant’Antonio da Padova (rappresentato nell’atto di resuscitare un uomo affinchè quest’ultimo potesse scagionare il padre ingiustamente accusato del suo omicidio).
Nella terza cappella di sinistra, dedicata a Santa Cecilia, e sull’altare possiamo ammirare un pregevole dipinto di Giuseppe Simonelli raffigurante la Santa.
In questa cappella dedicata anche alla protezione sui musicisti, sono sepolti il grande compositore Alessandro Scarlatti, detto il Palermitano, e Pasquale Cafaro, maestro di musica e di canto presso la corte di re Ferdinando IV e della regina Maria Carolina d’Austria.
CURIOSITA’ : Santa Cecilia , protettrice dei musicisti era una martire vissuta tra il II e il III secolo, che conquistò questo titolo in seguito ad un episodio davvero particolare: appartenente ad una nobile famiglia romana, un bel giorno le fu imposto di sposare il patrizio Valerio . Patì tante sofferenze la giovane ragazza, perché in realtà il suo cuore già apparteneva ad un altro uomo, Cristo, al quale, prima delle nozze, intonò un canto accompagnato dal suono soave del suo organo: “Coserva, o Signore, immacolati il mio cuore e il mio corpo, affichè non resti confusa!”.
Poche settimane dopo, la povera Cecilia fu sorpresa a pregare sulla tomba del marito defunto; un oltraggio troppo grave per gli ordini di Roma, e perciò fu condannata al soffocamento. L’esecuzione avvenne nel bagno di casa sua, mentre Cecilia, instancabile, continuava a cantare inni al Signore che le impedivano di trovare la morte. Fu decisa allora la decapitazione, in seguito alla quale, lasciata in una pozza di sangue, rese finalmente la sua anima a Dio.
Nella terza cappella di destra è custodita una Madonne delle Grazie, attribuibile a Francesco Solimena.
Mentre nel transetto troviamo un dipinto di Giovanni della Torre, raffigurante la Sacra Famiglia, e un pregevole gruppo ligneo raffigurante il Cristo Crocifisso, con ai lati San Giovanni Evangelista e la Madonna, opera Settecentesca di Nicola Fumo.
L’altare maggiore in marmi policromi incornicia la zona in cui è posta la Madonna del Monte Santo del Carmelo.
Nella sagrestia, infine, tra gli ex-voto popolari per lo scampato pericolo della peste del 1656, è custodita una statua di San Gaetano da Thiene, un tempo collocata su Porta Capuana, demolita nel 1846 durante i lavori di ampliamento di Via Toledo.
A due passi dal largo di Montesanto, proprio alle spalle, della chiesa, troviamo la Piazzetta Olivella dove fu installata la stazione della metropolitana di Napoli, oggi detta linea 2, ma è la più antica poiché in funzione dal 1925.
La zona, come gia vi abbiamo accennato all’inizio dell’articolo,deve il suo nome alla grande estensione di ulivi che il grande esteso vallone un tempo aveva .
Oggi , l’intera area è forse quella che ancora oggi resiste alla gentrifugazione del nostro centro storico dove antichi “vasci” storiche botteghe e antiche librerie stanno cedendo il passo a qualsiasi locale che faccia del fast food la sua fonte di commercio .
Gli antichi decumani, i quartieri spagnoli e lo stesso rione Sanità , preda di un turismo selvaggio e non regolamentato, oggi stano assistendo alla continua diminuzione del numero di immobili disponibili per famiglie, lavoratori e studenti. Negli ultimi anni chiunque possegga una seconda casa di proprietà nel centro di Napoli l’ha riconvertita in attività ricettiva, al posto dei contratti di affitto di lunga durata. Secondo AIGO Confesercenti, nel 2023 le richieste di concessioni per case vacanze a Napoli sono aumentate del 300%. La trasformazione di centinaia di immobili in alberghi e hotel ha tolto dal mercato un numero crescente di alloggi residenziali, facendo crescere il costo degli affitti di quelli rimasti liberi. Di conseguenza trovare case in affitto a costi accessibili in questi luoghi è diventato impossibile, con aumenti stimati fino al 30% per chi andrà a rinnovare il canone di locazione.
In seguito alla turistificazione di massa della nostra città, molte case oggi sono state sottratte sopratutto ai più poveri per essere convertite in strutture ricettive extralberghiere. Pensate solo al fatto che nel 2013 nel solo peimetro Unesco, ci sono stati bel 10 mila sfratti esecutivi che hanno intererrato in buona parte quella parte dei quartieri ancora abitati da un tessuto sociale fragile.
Con case che mancano e affitti sempre più alti, chi non può permettersi di pagarli può solo spostarsi in periferia o in provincia.
Oggi quasi tutte le abitazioni sono assorbite dall’industria turistica , mentre lo spazio pubblico viene riempito di bar e ristoranti, cui dopo la pandemia venne concessa una deroga che li esenta dal pagare l’occupazione di suolo pubblico. È una questione di accessibilità alla cultura: il diritto di stare in piazza, a Napoli, spetta solo a chi produce e consuma.
Trattorie nate da pochi mesi sono state vendute come storiche; i soggiorni nei vasci piccole (abitazioni di uno o due vani con accesso diretto sulla strada dei quartieri popolari),sono invece diventate “esperienze autentiche”
Le problematiche legate a questa turistificazione di massa sono oggi accantonate, sia dal Comune che dai napoletani stessi in favore della trasformazione di intere aree cittadine, ripensate a beneficio di un turismo mordi e fuggi.
La maggior parte degli annunci immobiliari, offerti sulle piattaforme, non mostra più la presenza di eventuali immobili da poter prendere in affitto ed i pochi rimasti hanno subito un enorme aumento degli stessi. Tutto questo sta provocando un progressivo svuotamento dei storici abitanti della zona ed una conseguente perdita della originaria identità dei luoghi. I n questo modo il tracciato greco-romano del centro storico ha perso buona parte delle originarie attività commerciali, per trasformarsi in una rosticceria a cielo aperto. Lo spazio pubblico, invaso dai dehors di bar e pizzerie, è diventato uno spazio di consumo.
Oggi vendiamo a turisti lo spettacolo di un modo di vita, di una cultura locale che però con il tempo non sarà più presente sottraendo ai residenti le loro case ,
Ai futuri turisti un domani ci sarà una Napoli diversa , omologata a tante altre città del mondo e sopratutto priva della sua anima quella storica, quella degli autoctoni del luogo .Una specie in via di estinzione. Continuando di questo passo, i nsotri antichi luoghi storici perderanno per sempre le loro caratteristiche originarie che li rendevano unici al mondo.
L’unica zona che ancora contina a resistere a questa turistificazione di massa che vede trasformare intere aree cittadine, ripensate a beneficio di un turismo mordi e fuggi, è forse oggi la sola area della zona circostante alla Piazzetta Olivella e quella della vicina zona Ventaglieri.
In questo luogo gli antichi vasci continuano ad essere ancora abitate dai residenti della zona e resistono imperterriti al facile canto di attività che altrove crescono invece a vista d’occhio come friggitorie , pizzerie e sopratutto bar che in maniera irregolare si espandono oltre ogni limite con i loro tavolini .
Nei vicini quartieri spagnoli, nella Sanità ma sopratutto negli antichi decumani ,un tempo considerati patrimonio mondiale dell’Unesco oggi, ogni giorno gli antichi nobiliari palazzi vengono quasi tutti trasformati in Bed & Breakfast, affittacamere o case vacanza.Addirittura esiste oggi un palazzo che su 20 appartamenti presenti , 18 sono Bed and breakfast.
N.B. Secondo gli ultimi dati ISTAT, le strutture ricettive turistiche in questi luoghi si sono negli ultimi anni addirittura quadruplicate, passando da 1,1 milione a quattro milioni -Ovviamente questo ha generato una bolla speculativa sul mercato immobiliare e sugli affitti che aumentati in maniera spropositata sta di fatto cacciando i napoletani dalla città”.
Da Piazza Montesanto ,possiamo in pochi minuti raggiunere la zona dei Ventagleri nota in particolare per la posizione suggestiva e panoramica del suo parco e per il suo ascensore e le sue scale mobili. che collegano la parte bassa di Montesanto alla parte alta di Piazza Gesù e Maria e piazza Mazzini.
Notizie storiche
La parte del quartiere più prossima alle mura era intorno all’anno 1000 denominata LIMPIANO ed era delimitata dall’attuale via Tarsia a sud, dal Cavone a nord, da piazza Dante – via Pessina ad est e da via Salvator Rosa (Infrascata) ad ovest.
Il Limpiano,, che originariamente nel 1138 era stato concesso dal duca bizantino Sergio VII al Monastero dei SS. Severino e Sossio, fu a partire dal Cinquecento progressivamente urbanizzato attorno ad alcuni assi di penetrazione che fungevano da collegamento tra il centro storico entro le mura e l’area collinare: Via Ventaglieri, Salita Tarsia, Salita Pontecorvo e lo stesso Cavone Via Ventaflieri, Salita Tarsia, Salita Pontecorvo e lo stesso Cavone ; da rilevare che le citate salite presentavano e presentano una pendenza notevole in quanto nascono come alvei naturali deputati al convogliamento a valle delle acque meteoriche e delle lave ( i detriti trasportati dalla pioggia nelle strade di campagna dell’epoca ).
Ovviamente da Piazza Mazzini si può tranquillamente raggiungere la zona di Montesanto anche a piedi . Basta che ci rechiamo alle spalle di Piazza Mazzini e imoccare un lungo vicolo che conduce ad una scalinata. Proseguendo il cammino ci imbatterete in una serie di antichi palazzi i cui colori risplendono grazie alla luce delle belle giornate primaverili ed estive. E butando l’occhio a destra e sinistra dei piccoli incroci fra i vicoli, potremo scorgere ulteriori salite nel quartiere o le alture del Vomero, dominato dalla Certosa di San Martino e da Castel Sant’Elmo.
Una piccola ma preziosa passeggiata che farà bene alle gambe, alla circolazione e allo spirito culturale visto che lungo la discesa si trovano due location da visitare: il raffinato Museo Nitsch e il Parco dei Ventaglieri.
Attraverso questa bella passeggiata avremo l’occasione di esplorare luoghi inediti e poco pubblicitati della nostra Napoli . Attraverseremo vicoli poco noti che da sempre hanno rappresentato un percorso importante,, tra la parte alta e la parte bassa della città, Vicoli che anche in passato erano sentieri di collegamento tra la zona collinare e la Napoli entro le mura.
Il parco dei Ventaglieri situato nel quartiere di Montesanto è un’oasi di relax e svago che si estende per una superficie di circa 8.000 mq; la parte alta ricade nella zona Tarsia, mentre la parte bassa è nel quartiere Ventaglieri. Per questa sua collocazione è un importantissimo luogo di passaggio e collegamento tra la parte alta e la parte bassa di Montesanto garantito da un impianto di scale mobili. Nella parte bassa, su vico Lepre, il parco si apre come una grande piazza pavimentata ed attrezzata con aree gioco aperta sul sistema di scale e sui terrazzamenti della parte superiore. Nella parte alta, su via Avellino e Tarsia, il parco presenta grandi aree a verde,un sistema di pergolati e terrazzamenti da cui si gode di uno spettacolare panorama verso la città, il mare e Castel Sant’Elmo. Nella parte a monte, su via Montemiletto, il parco si presenta come un giardino, sempre terrazzato, con aiuole e un piccolissimo anfiteatro.
Il Parco, facilmente raggiungibile sia a piedi che attraverso un sistema di percorsi pedonali e meccanizzati, ovvero un sistema di scale mobili, si trova in un’area di confine tra una parte alta facilmente accessibile da via Avellino e Tarsia,che possiamo considerare appartenere alla zona Tarsia, e una parte bassa accessibile da vico Lepri ai Ventaglieri,che invece possiamo dire è parte dei Ventaglieri .Questa collocazione lo rende luogo di passaggio fondamentale tra le diverse aree, che altrimenti resterebbero prive di collegamento, separate da costoni di tufo e mura di contenimento che ne costituiscono salti di quota impraticabili.
La sua caratteristica di attraversamento è fondamentale perché queste aree oltre a essere densamente popolate, sono dotate di servizi e attrezzature primarie: il presidio sanitario dell’Ospedale Gesù e Maria, sito nell’area di Tarsia, l’Ospedale dei Pellegrini sito nella Pignasecca e il nodo di interscambio di Montesanto con le stazioni della Metropolitana, della Cumana-Circumflegrea, della Funicolare. Il parco garantisce un facile accesso a questi servizi determinandone la loro caratterizzazione a bassa soglia. Nello specifico, ad adempire a questo compito di attraversamento tra la parte alta e quella bassa di Montesanto, si trova all’interno del parco un impianto di scale mobili, che dovrebbe teoricamente essere un servizio continuamente funzionante.
L’edificio in tufo contenente l’impianto di scale mobili, oltre a funzionare come attraversamento del quartiere, collega le aree all’aperto del parco che rimangono distribuite su diversi livelli, ognuno dei quali assume caratteristiche differenti.
Nella parte bassa, su vico Lepri, il parco si apre come una grande piazza pavimentata con attrezzature per il gioco, quali un campo da calcetto e delle altalene, In uno sfondo che ha comunque conservato dopo i lavori di realizzazione del parco, il costone nella sua struttura più naturale e selvaggia , sono inoltre presenti delle gradinate e dei muretti per la sosta.
Nella parte alta, su via Avellino e Tarsia, il parco si presenta come un giardino terrazzato con grandi aiuole e cespugli, alberi di varie specie della flora mediterranea (rosmarino, ginestre, olivi, melograni), un sistema di pergolati e un piccolissimo anfiteatro. Dai suoi meravigliosi terrazzamenti i si gode di uno spettacolare panorama verso la città, il mare e Castel Sant’Elmo.
N.B. Si affacciano a questa parte di parco l’edificio delle scale mobili,e il DAMM- Zone Multiple Autogestite (centro sociale autogestito il cui acronimo è quello di Diego Armando Maradona di Montesanto), e i palazzi di salita Tarsia.
La complessa articolazione degli spazi rende il parco un luogo di forte impatto scenografico e le sue evidenti risorse strutturali stimolano la creatività rispetto alle sue destinazioni d’uso e alle funzioni che i diversi livelli di questo ambiente possono realizzare.
Nel novembre 2005, infatti, grazie al lavoro di gruppi, associazioni e singoli cittadini desiderosi di uno spazio sociale, identificatosi immediatamente nel parco, è nato un Coordinamento Parco Sociale Ventaglieri , che attraverso un modello di “incontro e di sperimentazione”,cerca in uno “spazio pubblico” di costruire nuovi legami di amicizia e di vita.
Il Parco Ventaglieri ospita periodicamente , grazie a questa felice iniziativa, assemblee pubbliche aperte a tutta la cittadinanza, in modo da favorire il confronto e la discussione su concrete problematiche, dal tema rifiuti, al disservizio fino a temi più sensibili come la violenza sulle donne. E non solo: dibattiti su sostenibilità e sviluppo urbano di qualità, ma anche attività disimpegnate come feste e spettacoli teatrali, mostre e mercatini,e diverse attività laboratoriali per i bambini e le mamme.
CURIOSITA’: E’ importante notare come nella zona di Montesanto , sono nate negli ultimi 15 anni una serie di associazioni che con la loro intensa e costante attivita hanno valorizzato e riqualificato degli spazi importanti per l’intero Quartiere. Tra questi vanno certamente citati oltre che elogiati, il ” FORUM TARSIA, l’associazione ” ARCHINTORNO ” che insieme a tante altri cittadini, mamme e altre associazioni come quello delle ” SCALZE” ha dato vita diverse attività nello spazio del parco: Dalla Scaldabanza , alla Scuola di Lingua, la Scuola di pace, il Mercato Meraviglia ,il Mercato Meraviglia (che si realizza nella chiesa di San Giuseppe delle Scalze a Pontecorvo), e laBiblioteca per ragazzi , voluta dalle mamme di Montesanto che nel 2005 hanno creato “Mammamà” ed una sala prove.
Ad operare nel sociale.ci sono anche “Le cucinelle”: dieci donne disoccupate introdotte alla cucina specifica per i bambini. Napoli, per chi non lo sapesse, è capitale dell’obesità in Italia. Si può dire che a Montesanto la classe media si è spesso assunta la responsabilità di dare una mano alle famiglie più svantaggiate».
D’ispirazione sociale, oltre che sportiva, è presente anche la mission della Napoli Boxe di Lino Silvestri, figlio del leggendario Geppino, maestro di Patrizio Oliva. Sul ring di vico Sottomonte è passato mezzo mondo. Ragazzi napoletani, ovvio, che arrivano da ogni parte della città, ma anche tantissimi stranieri
Aperto al fermento artistico, il Parco dei Ventaglieri quindi come notate non rappresenta nel quartiere solo un luogo di forte impatto scenografico ma sopratutto un luogo di grande creatività rispetto alle sue iniziali destinazioni d’uso . Un luogo con grosse potenzialità certamente destinato nel futuro di questo quartiere a grandi progetti umanitari , sociali e culturali.
Oltre a svolgere la funzione di attraversamento del quartiere, la struttura del parco crea delle nicchie naturali che, semplicemente passeggiandovi, suggeriscono vari livelli di attivazione, che sono poi le politiche di gestione del luogo a determinare. È indubbio che anche semplicemente per garantire la funzione primaria di attraversamento per gli abitanti del quartiere non si può prescindere da una riflessione allargata sulle possibili modalità di utilizzo e valorizzazione del luogo, necessaria per garantire la sicurezza di chi per necessità si trova a passare dai Ventaglieri.
Come avete certamente capito Montesanto, è una zona della nostra città che non ha la forma a scacchiera classica dei Quartieri. Essa viene spesso definita in un sotto (Pignasecca, anche se una scuola di pensiero la identifica come zona a sè stante, via Montesanto, via Ventaglieri) e un sopra (Salita Pontecorvo, Tarsia) delimitato dalle scale di Sant’Antonio ai monti.
CURIOSITA’: Secondo Gino Doria (le strade di Napoli- Grimaldi editori- 1974) , un noto storico scrittore della nostra citta, il toponimo Ventaglieri non deriverebbe dall’attività artigiana di creatori di ventagli svolta in loco, bensì dalla proprietà dei terreni, appartenuti appunto ad un certo fiammingo di Anversa, Antonio Ventaglieri (atto canonico secentesco reperibile presso la Chiesa di San Liborio).
La parte bassa del Parco Ventaglieri come vi dicevamo è accessibile da vico Lepri ai Ventaglieri, un piccolo luogo che non tutti sanno quanto esso sia importante .
Qui infatti il grande poeta, e commediografo , nonchè autore di numerose canzoni, Raffaele Viviani , noto nella nostra citta per essere stato alla pari di Edoardo De Filippo, uno dei più grandi esponenti della drammaturgia napoletana del novecento, ambientò nel finale del secondo atto della sua opera tetrale “L’ultimo scugnizzo” del 1932, la scena in cui si canta quella famosa canzone La rumba degli scugnizzi , oggi nota a tutti . Un grande esempio del virtuosismo metrico e verbale dell’Autore stabiese che rappresenta ancora oggi una miniera d’oro per gli studiosi del lessico napoletano d’inizio Novecento. Ottanta versi liberatori come le urla dei venditori ambulanti, che magnificano la loro merce attraverso richiami antichi,
Come avete certamente capito Montesanto, è una zona della nostra città diversa dalle altre. Essa non ha la forma a scacchiera classica dei Quartieri. Essa ha una propria diversa personalità, Nella nsotra città ogni quartiere ha un proprio nome, ma, quando si vuole indicare questo tratto della nostra città, è sufficiente dire “Montesanto”.
Nonostante il luogo mostri lo stesso tessuto sociale di un quartiere , di fatto da un punto di vista toponomastico non è un vero e proprio quartiere.
Essa viene spesso definita in un sotto (Pignasecca, anche se una scuola di pensiero la identifica come zona a sè stante, via Montesanto, via Ventaglieri) e un sopra (Salita Pontecorvo, Tarsia) delimitato dalle scale di Sant’Antonio ai monti.
Salite e discese, che in appena 5 minuti ti collegano Piazza Mazzini e Piazza Montesanto attraverso vicoli e strettoie che ti regalano meravigliosi scorci di panorama .
Una meravigliosa passaeggiata di chi vuol ancora godere di una Napoli autentica e non omologata a tutte le altre città del mondo e che ancora conserva rispetto a tante altre storiciche zone di Napoli la sua unicità.
Un luogo di Napoli non ancora fagocitato dalla globalizzazione e dal consumismo derivato dalla turistificazione selvaggia della nostra città.
Un luogo comunque utile da conosce perchè se non altro con i suoi vicoli e discese , rappresentano in città, un’ottima scorciatoia per chi deve recarsi in centro storico senza percorrere tragitti più conosciuti e trafficati.
CURIOSITA : I percorsi verticali di Napoli hanno un fascino particolare. Vicoletti interrotti da scale da percorrere con calma per osservare piccoli scorci, cortiletti improvvisati in cui si respira una città autentica, un microcosmo nella metropoli che sembra essere fermo nel tempo, non disturbato dal frastuono delle automobili. Napoli ne è piena. Quelli non riscoperti e valorizzati nei circuiti turistici restano appannaggio dei cittadini come scorciatoie per raggiungere dalla zona collinare il centro della città in pochi minuti.
La cosa incredibile delle salite e discese che caratterizzano Montesanto è il fatto che esse oltre che estremamente caratteristiche sono sopratutto colme di storia .
La Salita Tarsia e la salita di Pontecorvo che congiungono entrambe piazza Mazzini a Montesanto., sono infatti a mio parere un luogo meraviglioso. Esse si sviluppano in due vicoletti a tratti collegati e fatti di tratti rettilinei e tornanti spezzati da gradinate , dove durante il cammino ci si imbatta in antiche chiese e una serie di antichi palazzi i cui colori risplendono grazie alla luce delle belle giornate primaverili ed estive.
Appena per esempio , terminato un tratto di scale, al civico 47 di Via Tarsia , c’è un portale lobato in piperno di epoca settecentesca sormontato da uno stemma e accanto ad esso una bellissima scala aperta a tre archi incorniciati da stucchi barocchi, opera di Nicola Tagliacozzi Canale. Nel suo interno oltra ad un bellessimo cortile con esedra si trova anche un retrostante giardino dal quale si accede attraverso un cancelletto .
Si tratta del palazzo Tortora Brayda che prende il nome dai proprietari originari i Brayda-Tortora, una famiglia della nobiltà piemontese insediatasi a Napoli al tempo di Carlo I d’Angiò e che aveva la sua casa palaziata proprio in salita Tarsia ( ad essa apparteneva anche il palazzo attiguo all’uscita secondaria della metropolitana di Salvator Rosa) .
N.B. La famiglia napoletana Tortora Brayda vanta lontane origini, al punto da essere riconosciuta di antica nobiltà nel 1579 da Filippo II e nel 1730 da Carlo VI. Lo stemma originario (modificato nel corso dei secoli) è d’azzurro alla tortora poggiata su tre monti nascenti con tre stelle in capo. Annovera i titoli di duchi, marchesi, conti, baroni, patrizi, ed ebbe feudi in Abruzzo, Campania, Calabria, Puglia. Il doppio nome ha origine nel 1781 a seguito del matrimonio di Carlo Tortora di Belvedere con Francesca Paola Brayda, per cui i discendenti si appellano Tortora Brayda.
CURIOSITA’: Il monumentale palazzo che si trova in Via Salvator Rosa ,accanto all’uscita secondaria della metropolitana ,che anche apparteneva un tempo alla famigliaTortora Brayda, come altri palazzi circostanti, è stato oggetto dell’intervento dell’Atelier Mendini finalizzato all’arredo urbano di tutta l’area circostante la stazione della metropolitana di Salvator Rosa.
Il palazzo costruito probabilmente nel Seicento in forma di masseria , fu poi ristrutturato nell’Ottocento.ed è oggi famoso sopratutto perchè vi ha abitato Giovanni Capurro, l’autore di ‘O sole mio, A ricordare il grande autore , sulla facciata del palazzo, nel corso dell’intervento di riqualificazione, è stata realizzata da Mimmo Paladino, un’opera decorativa che riprende con i raggi del sole il testo della famosa canzone, Sulla sommità del palazzo, su uno sfondo di oro l’immagine di un uccello rievoca lo stemma della famiglia Brayda Tortora, i vecchi proprietari del palazzo; infine il motivo decorativo dei panni stesi svolazzanti è cifra comune anche agli altri fabbricati della zona.
Prima di continuare a parlavi di Montesanto vorrei prima ricordarvi che originariamente, in epoca ducale, l’area situata al di fuori delle mura che andava dal Largo del Mercatello (attuale Piazza Dante) fino al casale di Antignano sulla collina del Vomero era conosciuta con il termine “Limpiano”.
Nel Seicento, come tutte le aree verdi vicine al centro della città, divenne meta ambita per la fondazione di monasteri, chiese e conventi. Queste istituzioni religiose hanno difatti avuto un ruolo fondamentale nel processo di trasformazione dell’ intera zona.
Bisogna comunque ricordare che a partire dalla fine del Cinquecento, in ossequio alle direttive del Concilio di Trento per una presenza capillare degli Ordini ecclesiastici sul territorio, incominciarono le acquisizioni delle grandi proprietà fuori le mura, in possesso, tra l’altro, delle estensioni prescritte in merito all’architettura religiosa.
Nel Seicento, la mancanza di controllo governativo produrrà uno sfruttamento intensivo dei suoli che cancellerà ogni residuo spazio pubblico libero. Sui terreni non occupati dalle fabbriche religiose, si concentrò poi l’interesse della borghesia meno ‘possidente’, quella, per intenderci, che non poteva ambire alle proprietà in via Toledo, consentite solo ai patrimoni aristocratici in auge.
Successivamente il territorio quindi cominciò sempre più a popolarsi e venne suddiviso in quattro diverse masserie assumendo le caratteristiche di un borgo.
Gli edifici in origine presentavano un piano unico, ma, nel corso del tempo, vennero sopraelevati fino a cinque piani per far fronte alla carenza cronica di abitazioni per una popolazione in crescita costante; gli stessi spazi verdi di raccordo con la collina di San Martino e Sant’Elmo e gli orti che delimitano tutta l’area vennero a poco a poco fagocitati da nuove costruzioni. Unica eccezione per lungo tempo fu via Salute e la zona dell’Infrascata, risparmiate dal cemento e ricordate per orti e aria salubre (da cui i toponimi delle strade), con ville e giardini a terrazze aperti sul golfo e masserie circondate da campi coltivati dove tra giardini e vigneti, tra nobili e modeste casine, si ergevano chiese e conventi sparsi a macchia d’olio.
Furono eretti nel 1850 i conventi di Gesù e Maria (poi ospedale) delle Cappuccinelle, di San Giuseppe delle scalze e, al termine del limite meridionale della strada, la mole settecentesca, rimaneggiata nel secolo successivo, di palazzo Spinelli di Tarsia.
Il luogo divenne anche la sede delle cosiddette “Fosse del Grano” che altro non erano che l’antico stipo in cui veniva conservato il grano della città posto proprio al di sotto delle mura cittadine in modo da poterlo difendere in caso di attacco; la sua funzione rimase attiva sino al 1852, anno in cui fu abolito il monopolio del cereale.
In epoca vicereale giunse a Napoli a seguito del Vicerè Pedro de Toledo, Fabrizio Pontecorvo che acquistò dei suoli prima da alcuni monaci e poi anche dalla famiglia Coppola proprietaria di una delle masserie per costruirvi dei lussuosi palazzi.
Altre famiglie ottennero concessioni e cominciarono la costruzione di immobili come ad esempio i Tuboli e gli Spinelli. Il passaggio dalle antiche masserie, alle contrade poste fuori le mura ed infine ai quartieri avviene nel 1779, quando per opera di Ferdinando IV di Borbone la città viene divisa nei dodici quartieri tutt’ora esistenti e il Limpiano incluso in quello chiamato dell’ Avvocata.
La ricca e potente famiglia dei Pontecorvo ( famiglia cancellata dall’epidemia di peste del 1656 ) diede avvio alla costruzione del bel palazzo di famiglia Pontecorvo, che diede poi il nome a tutto il borgo ed alla strada.
La strada chiamata via di Pontecorvo ebbe di li’ a poco un’ importanza strategica grazie al fatto che al suo interno passava la principale via di collegamento tra Napoli e Pozzuoli, la cosiddetta via Antiniana che seguendo lo stesso percorso dell’ antica via Appia, scavalcando la collina del Vomero permetteva di raggiungere Soccavo-Fuorigrotta e da li Pozzuoli.
C’è stato un tempo in cui l’area dove sarebbe poi sorta la chiesa, intorno al 1580, era un luogo di caccia. Qui venivano a divertirsi i nobili, le famiglie Coppola, Cioffi, Turboli, mentre re Alfonso Il d’Aragona preferiva l’area della Conigliera, di cui sopravvive qualche traccia in via Luperano, al Cavone. I nobili avevano l’abitudine di recitare il Rosario tra una battuta di caccia e l’altra e fu così che decisero di finanziare la costruzione di una cappella dedicata alla Madonna del Rosario, primo nucleo del futuro complesso religioso. Il progetto fu affidato a Domenico Fontana che decise di conferire alla chiesa una facciata con due campanili, soluzione già adottata a Roma, dove il grande architetto aveva appena lavorato. «Oggi questo monumentale complesso è quasi completamente spoglio ed irriconoscibile rispetto al passato, non solo per le trasformazioni che nel frattempo sono intervenute, ma per le spoliazioni di cui è stato tragicamente vittima, e rischia di diventare un guscio vuoto», denuncia l’associazione Locus Iste che da anni si batte per il recupero di questa zona, con i suoi tesori d’arte oggi abbandonati e le sue straordinarie memorie da recuperare.
La Chiesa intitolata a Gesù e Maria fu costruita all’apice della salita Pontecorvo, in una piazza alla quale ha anche dato il nome. Essa fu fondata su un suolo donato da Ascanio Coppola al padre Domenicano Paolino Bernardini che ne iniziò la costruzione. Inizialmente la chiesa non era cosi grande e solo pochi anni più tardi rispetto alla data di fondazione e per concessione di lasciti e rendite di Ferdinando Caracciolo, conte di Biccari e duca d’Airola, la chiesa fu ampliata.
La sua forma monumentale che vediamo oggi fu quindi tardamente raggiunta solo nel 1692 ed è una pregevole opera di Domenico Fontana composta da una vasta navata con cupola e transetto irregolare. La facciata realizzata su disegno di Domenico Fontana , mostra due campanili ai lati. Il portale è sormontato da un timpano arcuato spezzato al cui centro insiste un busto seicentesco della Madonna col Bambino.
La facciata realizzata su disegno di Domenico Fontana mostra una pecularietà assai rara per le chiese di Napoli ma comune a Roma ( dove il Fontana ha lavorato per lungo tempo ) che consiste nell’essere fiancheggiata lateralmente da due classici campanili cosi’ come
la facciata della chiesa dei Girolamini nell’omonimo largo ai Tribunali .
Alla chiesa, devastata da furti e scempi, vi si accede per mezzo di una gradinata cinquecentesca ed una balaustra in marmo opera di Donato Vannelli del 1637 purtroppo sparita ) che precede il portale ugualmente in marmo di Francesco Vannelli, 1617 ( al momento murato ) concluso dal bassorilievo di Madonna con Bambino.
La chiesa al suo interno si presenta a navata unica, con cinque cappelle per lato, ampio spazio absidale tipico delle chiese della Controriforma.
In seguito alla cacciata dei predicatori Domenicani avvenuta nel 1812 , la chiesa ed il vicino convento furono affidati alle suore Canonichesse di Regina Coeli.
Nel 1863 il vicino convento fu trasformato in ospedale e la chiesa momentaneamente affidata ad una congrega e poi chiusa nel 900.
Tra le meraviglie interne, oltre a un paio di cappelle laterali rimaste intatte ai saccheggi, c’è il sepolcro della nobildonna Isabella Guevara, datato 1673 disegnato da Dionisio Lazzari con la statua raffigurante la defunta scolpita da Aniello Falcone, scolpita nel 1673.
L’altare maggiore, o almeno quanto resta di questo è di Giuseppe Gallo mentre la balaustra è opera dei fratelli Bartolomeo e Pietro Ghetti. Ai suoi due lati due sepolcri : a sinistra quello di Emilia Carafa mentre a destra quello già citato di Isabella Guevara.
In fondo, è ancora presente lo scheletro degli stalli del coro ligneo.
N.B. Anche l’altare maggiore risulta depredato, come del resto anche la balaustra in marmi rossi
Nel suo interno erano custodite molte importanti opere, la maggior parte delle quali sono scampate alla razzia dei predatori d’arte, tra cui pitture come Adorazione dei Pastori di Fabrizio Santafede, trasferita al Museo nazionale di Capodimonte.
Tuttavia sono ancora presenti, anche se in precarie condizioni, decorazioni di Giovanni Bernardino Azzolino, che dipinse in particolare gli affreschi della cappella di San Raimondo sul lato sinistro e della cappella con cupola del transetto destro. Di Belisario Corenzio invece sono gli affreschi della cappella del transetto sinistro, non speculare a quella destra in quanto sorge a fianco dell’abside.
N.B. Giovan Bernardo Azzolino, detto il Siciliano, ( perche’ nativo di Cefalù ) è stato un attivo pittore a Napoli per oltre cinquanta anni dal 1594 al 1645.
Il suo piu’ celebre capolavoro a Napoli ,” San Paolino che libera lo schiavo ” e’ oggi esposto in maniera permanente al Pio Monte della Misericordia 1626-1630 insieme alla famosa tela del Caravaggio “Le sette opere di Misericordia”.
Gli affreschi nella cappella del transetto di sinistro sono di Belisario Corenzio, mentre a Gaetano D’Agostino si attribuiscono gli affreschi della quarta cappella a sinistra con le Storie del Nuovo Testamento; sull’altar della quarta cappella si destra una volta fu collocato poi andato perduto per sempre, una tavola, ritraente la Chiamata dei santi Pietro ed Andrea di Giovan Bernardo Lama. All’abside, la grande tela del santo Monacone che compie il miracolo, opera di Paolo De Majo del 1742.
La salita Tarsia e quella di Pontecorvo, quelle che una volta erano insomma l’alveo naturale delle acque che scorrevano dalla collina del Vomero, un terreno molto scosceso ed in gran parte coltivato a vigneto, e sul quale fino al tempo dei vicerè spagnoli era proibito costruire, oggi è un affascinante percorso nel ventre di Napoli ,
NB. In realtà già dalla metà del ‘500 quando si era aperta la via dell’Infrascata, c’erano anche dei giardini e qualche palaziata nobiliare.
Un vero napoletano, uno che ama veramente Napoli , non può non conoscere questo luogo,
Percorrere per intero questo tratto della nostra città è come tuffarsi in una Napoli che oramai sta sparendo per lasciare spazio ai vari Mc Donald’s e Starbucks, Significa girare tra vicoli e discese e accorgersi della grandiosità di alcuni scorci di panorama mozzafiato , senza mare, ma con la collina (il monte-santo) che si eleva farcita di case, casette e costoni di tufo, coronata da Castel Sant’Elmo.
Un luogo dove «Di notte c’è una luna che pende giusto su questo presepe, uno spettacolo raro»
Non mancate quindi di fare una passeggiata almeno una volta nella vostra vita in questo luogo.
E’ l’occasione per voi di abbinare storia, arte e cultura alla conoscenza del popolo napoletano più genuino e provare a carpire la NAPOLETANITA’ che capirete rappresenta una vera diversa filosofia di vita.
E’ un luogo dove troverete bellezza e degrado, splendore e abbandono, miseria e nobiltà, chiese chiuse e palazzi nobiliari in rovina, ex penitenziari minorili abbandonati ed occupati da gruppi extra parlamentari. ma anche luoghi di cultura come il raffinato museo Nitsch, ed un fermento religioso unico come quello legato al celebre quadro della Madonna di Pompei che fu trovato in un’antica chiesa di Rosario a Portamedina, ad inizio ‘800.e che ogni cento anni vi fa ritorno con una cerimonia molto sentita.
Ma passeggiando in questi luoghi capirete sopratutto amore, amicizie , solidarietà ed accoglienza e capirete che il nostro modo di intendere la vita è solo un modo diverso di ricordare, di socializzare e di amare.E’ un modo per ricordarsi che i piaceri della vita vanno condivisi lontani dallo stress ed in un’atmosfera soft e rilassante dove prevale l’amore per i contatti umani. È un’attitudine allo stare al mondo in un modo che è diverso da altri. È dare poca importanza a cose che da altre parti sarebbero vitali e tantissima rilevanza a cose invece superflue per alcuni. La napoletanità non è un pregio e non è un difetto è solo un modo diverso di vivere e vedere la vita dove ancora certamente conta tantissimo la solidarità e l’amicizia .
Per chi voglia esplorare questi antichi e unici luogi in cui si può incotrare da vcino la vecchia Napoli ancora salva da quelle omologazioni che hanno oramai anche sopraffatto gli antichi edecumani e i storici quarteri spagnolio o il Rione Sanità, basta vi rechiate in Piazza Mazzini ,
Da qui potete recatevi alle spalle della piazza, lungo un vicolo che vi conduce ad una scalinata.
Pochi passi dopo un lungo vicolo e troverete dinanzi a voi quello che è l’inizio di un lungo vicolo fatto di tratti rettilinei e gradinate.
Dovete a questo punto solo decidere se proseguire per questo vicolo o girare a sinistra e imboccare un viale più largo , alla fine del quale dopo pochi passi vi imbatterete nella prima delle tante chiese chiuse della zona : quella di Gesù e Maria che gia vi abbiamo descritto e che purtroppo non è accessibile a fedeli e visitatori da oltre 50 anni, .
N.B. Dopo un brevissimo periodo di apertura nel quale abbiamo anche contribuito volontariamente ed in maniera gratuita, a liberarla delle alte erbacce che ne soffocavno l’entrata, essa è di nuovo sprofondata nel degrado più assoluto , a tal punto che all’ingresso troviamo non solo i soliti cespugli, ma addirittura degli alberi alti alcuni metri.
Per chi volesse visitare l’interno si può usufruire di un pertugio laterale, praticato in passato dai ladri e rimasto a disposizione di eventuali curiosi, che volessero rendersi conto di come si può cancellare un passato glorioso ed entrare in un presente senza futuro.
Per chi decide di proseguire lungo lo stretto affascinate vicolo ricco di antichi vasci ancora abitati dal popolo napoletano più verace (al contrario dei decumani) , sappiate che state per percorerre l’antica Via Tarsia , il cui toponimo deriva dal nome del palazzo dei Principi Spinelli di Tarsia .
A questo folkloristico luogo potete infatti accedere dalla parte bassa di Montesanto , subito dopo quel tratto di Via Tarsia che dopo il Teatro Bracco e la sede del distretto di Polizia , incomincia a salire verso l’alto e da quel momento piglia il nome di salita Tarsia .
CURIOSITA’ : I locali che oggi sono una sede degli Uffici della Polizia di Stato, negli anni 60/70, erano gli stessi locali della sede del cinema Astoria, uno dei punti di ritrovo dei filonisti che di nascosto dai propri genitori marinavano la scuola . Allo spettacolo della mattina ore 10,30 in particolar modo d’inverno quando non sapevi cosa fare, c’era la rappresentanza di quasi tutte le scuole napoletane. Oggi come vedete questo cinema non esiste più.
Se vi incamminate per questa salita Tarsia vi dapprima lungo una stretta caratteristica stradina.
… e poi dopo non molto vi troverete in una piccola piazzetta.
La piazzetta come potete notare da quanto scritto sulla targa posta alle mura di uno degli edifici che affaccia sullo slargo, è dedicata a Sant’Alfonso, ma anche e sopratutto a Sant’Antonio a cui è intitolata anche l’antichissima chiesa fondata nel 1550 e poi rifatta più volte, che in questo luogo domina lo spazio .
L’intero territorio in quel periodo veniva chiamato ” Olimpiano ” e questa parte dove poi venne edificata la chiesa veniva chiamata ” Pancillo “. Essa si trovava vicino al Palazzo del Principe di Tarsia e per questo motivo il terreno in questione era cosiderato alquanto prezioso. Nonostante questo , il suolo fu donato dal suo proprietario, Evangelista Perrone al capitolo di San Giovanni in Laterano affinché venisse eretta una primitiva chiesa dedicata a Santissima Maria del Soccorso.
N.B. L’illustre D. Evangelista Perrone, era figlio di quel D. Berardo, che si rese famoso per le sue virtù sociali, militari e Cristiane. Riportò, come attesta un’iscrizione affissa nel Presbiterio nella parte destra dell’ Altare Maggiore innumerabili vittorie, specialmente per liberare la città. Egli e la sua famiglia avevano nella suddetta zona molte antiche abitazioni.
Nel donare il terreno al Capitolo di S. Giovanni Laterano, Evangelista Perrone, tra gli altri patti stabilì che dovevasi costruire in questo luogo anche una Cappella sotto il titolo di S. Maria del Soccorso, e che esaa fosse poi fosse rimasta di jus patronato della sua Casa. Tutto ciò venne eseguito nel 1550. Ma essendo poi nate alcune differenze tra il donante ed il donatario, fu il contratto risoluto e annullato.
Ritornato di nuovo il fondo con la Cappella nel dritto e dominio di Evangelista Perrone, lo stesso donò la Chiesa ed il suolo ai Frati Minori Conventuali di S. Francesco,residenti a San Lorenzo dei Tribunali, i quali vi edificarono una Chiesa più ampia, ed un Convento comodo ai pochi Frati, e la dedicarono allo Spirito Santo: dal volgo detto “Spirito Santello”
I Padri Francescani, per questo nome dato alla nuova chiesa , sollevarono immeditamente il malcontento dei governatori della chiesa dello Spitito Santo che si trovavano nella vicina Porta Reale , i quali non macarono di mettere in atto un contenzioso litigioso con i poveri frati francescani.
Alla fine per evitare liti e contrasti e quindi conciliare l’affare alla meglio, fu stabilito che la neonata chiesa doveva essere intitolata come Chiesa di “S. Maria dello Spirito Santo”.
N.B. La chiesa ben presto venne soprannominata dalla gente del popolo, come “Spiritosantiello” poiché, nelle sue vicinanze si ergeva già una basilica sotto questo nome.
I Padri Francescani collocarono nella Chiesa una devota statua di S. Antonio di Padova per mezzo del quale molti napoletani di quel luogo conobbero numerose grazie, Motvo per cui il popolo concorse con grandi elemosine ed oblazioni, a far si che i frati , raccolta la somma sufficiente , potessero poi non solo riedificare la Chiesa dalle fondamenta, ma anche perfezionare il chiostro.
La chiesa da quel momento cominciò ad essere chiamata “S. Antonio”, dal volgo “S. Antoniello di Tarsia”.
Nel 1840 si fecero poi molti atri bei restauri alla chiesa che avvennero sopratutto inoccasione di apparecchio della struttura alle feste di S. Alfonso, Protettore di Napoli a spese del Re Ferdinando II, e molto più nel 1900 in omaggio a Gesù Redentore.
Sull’Altare Maggiore vi era inizialmente il grande Quadro dello Spirito Santo, ma il Rettore redentorista P. Di Coste, nel 1900, lo tolse e vi pose la statua di S. Alfonso.
CURIOSITA’: La chiesa soggetta a varie vicende è stata, nel corso di tanti anni, il sacro luogo nel quale S. Alfonso de Liguori ebbe la venerazione più grande sopratutto nell’ epoca, in cui ne presero possesso i Padri Liguorini.
Altre importanti opere presenti erano : l’ Apoteosi di S. Antonio, le quattro statue della Fede, Speranza, Carità e Religione prese nenti nella grande Scalinata del Collegio e il Passamano di pietra.
La chiesa come l’intero convento vennero anche loro ovviamente soppressi come tutti gli ordini religiosi in città nel 1866,durante il cosiddetto “Decennio Francese”. I frati vennero tutti cacciati e la struttura venne utilizzata come laboratorio per l’estrazione dello zucchero dalle castagne, fino al 1815, quando venne poi affidato ai Padri Liguorini che, tra il 1862 e il 1894, utilizzarono il convento come reclusorio femminile.
La chiesa fu purtroppo terribilmente devastata da saccheggio avvenuto nella notte tra il 23 e 24 giugno 2015 e se essa oggi cede il passo a molte altre strutture ecclesiastiche per vastità e pregi d’arte, nella sua semplice eleganza si contraddistingue fra le chiese secondarie, di cui è abbellita la città di Napoli.
Gli stucchi della bella ma decadente facciata sono di Angelo Viva,mentre la pregevole statua marmorea di Sant’Antonio è stata creata da Francesco Pagano .
Il pavimento Maiolicato presente nel suo interno risale al 1739 ed è opera di Donato Massa.
Nella sagrestia sono conservate ulteriori opere: La Sacra Famiglia di Andrea Vaccaro e La Pentecoste di Andrea Miglionico.
La chiesa è oggi putroppo chiusa al pubblico da più di dieci anni , cioè da quel giorno in cui dei ladri agirono indisturbati, devastando e rubando tutto il possibile presente.
I Se ben guardate la chiesa capirete bene che i suoi confini dalla parte di Settentrione sono la Casa del Marchese Vulsano e Doria col suo giardino, dalla parte dell’Oriente la salita Tarsia, dal Mezzodì il largo appartenente al Monastero e Giardino di Casa Costa, e da Ponente la strada detta Spezzano.
Se invece , vi lasciate alla vostra sinistra la chiesa e guardate di fronte alla piazzetta , noterete dall’altro lato dello stetto vicolo è presente un arco ribassato che fa da invito ad un piccolo spazio poco illuminato.
Ci troviamo in quello che resta dell’antico ingresso al LARGO TARSIA , che introduce ad uno dei palazzi nobiliari più sontuosi della nostra citta.: Il palazzo Tarsia , detto anche Palazzo Spinelli di Tarsia.
Tentati di ammirare il famoso piazza da vcino, restiamo subito stupefatti dallo stato di totale degrado in cui sia il comune ma sopratutto la sopraintendenza dei beni ambientali ed archeologici ha lasciato il luogo .
L’antico largo dalle enormi dimensioni che di fatto collega la Salita Tarsia con la Salita Pontecorvo, lasciata all’incuria del tempo e al degrado ,oggi è infatti solo un luogo mortificato da un selvaggio parcheggio di auto.
Assistere a questo scempio è una di quelle cose che chi ama Napoli non può accettare.
Che fine ha fatto la Sopraintendenza Archeologica , belle arti e paesaggio per il comune di Napoli che si occupa della tutela del patrimonio archeologico, architettonico, artistico e paesaggistico della città di Napoli ?
Che fine ha fatto lo stesso comune di Napoli ?
Come è mai possibile che nessuno mostri interesse per un luogo storico e adoperarsi pa la sua rivalutazione storico-culturale ?
Queste sono le cose che ogni giorno mi fanno sempre più capire che Napoli non è la città più bella del mondo, ripetiamocelo noi napoletani, perché questa storiella sta diventando oltre che tremendamente autorefenziale e quindi limitante e poco lodevole per chi la condivide anche fuorviante . Con questa sciocca e banale frase infatti il napoletano tende a scacciare via in un solo colpo quello che sono i limiti enormi di una metropoli che arranca che in un momento come questo dove il fenomeno turismo ha raggiunto il suo maggior apice.
Napoli è una citta diirdinata , caotica e non riesce mai a rispettare le regole .
Dopo essermi arrabbiato, con lo sguado amareggiato, ,resto qualche minuto a pensare alla ricerca di una possibile spiegazione di questo scempio e al perchè nessuno si adoperi in questa citta per dare un valore a questo slargo ed ecco che ad un tratto mi sovviene in mente che forse il tutto è solo il frutto di una maledizione o meglio ancora di una punizione divina operata dal Dio Zeus in persona.
Questa tutto sommato potrebbe essere solo la triste fine della storia di un uomo che osò cancellare il nome di un Dio, particolarmente noto per i suoi scatti dira, da una strada della città, attribuendogli il suo.
Quel Dio era Zeus e l’autore della temeraria impresa si chiamava Fabrizio Pontecorvo. È grazie a lui se l’antica salita delle Cappuccinelle, che un tempo si chiamava Olimpiano per la presenza di un tempio dedicato a Zeus re dell’ Olimpo, oggi si chiama salita Pontecorvo.
L’unica vera spiegazione di questo scempio puoò essere solo legata ad una volonta’ divina . …. i napoletani oggi giorno sbandierano ufficialmente che vogliono bene alla citta … non possono essere quindi loro i veri responsabili di tutto questo.
La giunta comunale ed il sindaco affermano che loro si impegnano e si adoperano tutti i giorni per far migliorare la nostra città… non possono quindi neanche essere loro i responsabili di tutto questo . Nessun essere umano con un minimo di intelletto e una discreta conoscenza della nostra citta assisterebbe inerme alla trasformazione di un luogo storico cittadino in un parcheggio per auto all’aperto … quindi non può essere stata neanche laa Sopraintendenza Archeologica , belle arti e paesaggio di Napoli … essa si occupa della tutela del patrimonio archeologico, architettonico, artistico e paesaggistico della nostra citta ….
Questo orribile scempio può trovare una sua spiegazione solo nella malvagia ira di un Dio e nella sua vendetta .
Come altro spiegare altrimenti il degrado in cui è immerso il Largo di Tarsia ridotto ed immenso parcheggio abusivo e la fatiscenza di uno dei palazzi più belli d’Europa, come quello del principe Spinelli di Tarsia ridotto ad un oscuro condominio ?
Come facciamo a spiegare a noi stessi l’incredibile numero di palazzi oramai decadenti presenti in zona e le antiche chiese abbandonate da decenni a se stesse in uno stato di totale degrado e continuamente depredate di ogni loro preziosa opera d’arte ?
Zeus ,come ci insegna la mitologia greca , amava gli uomi ma diventava spietato contro chi si metteva contro il suo volere ( vedi Prometeo ). Egli è il solo resposabile del degrado che avvolge e mortifica gni giorno questo luogo.
Con l’estinzione della famiglia Spinelli avvenuta nel secolo scorso e sopratutto l’estinzione della famiglia Pontecorvo che fu letteralmente spazzata via dall’epidemia di peste del 1656, egli ha solo in parte ottenuto la sua vendetta . Lui continua ad accanirsi su questo luogo, vuole vederlo perire neel degrado più assoluto e purtroppo oggi nessun essere umano ha intenzione di contrastare il Dio Zeus .
Forse l’unica vera soluzione a tutto questo è quello di ridare il nome Olimpiano alla zona e placare in questo modo in maniera definitiva la rabbia di Zeus.
Forse solo allora vedremo di nuovo risplendere in tutta la sua bellezza un edificio che nella sua edificazione fu affidatato a Domenico Antonio Vaccaro, uno dei più noti architetti napoletani del Settecento. Un edificio che nella grande area verde del palazzo intendeva rifarsi ai giardini pensili di Babilonia .
Il Palazzo Spinelli di Tarsia eretto su commissione di Ferdinando Vincenzo Spinelli , principe di Tarsia, prevedeva il rifacimento di un precedente fabbricato, e il progetto fu affidato a uno dei più noti architetti napoletani del settecento, Domenico Antonio Vaccaro.
Nella sua struttura, secondo un disegno assonometrico redatto dallo stesso Vaccaro, si nota un fastoso ingresso che dà accesso a due scenografiche rampe a tenaglia per le carrozze con al centro una scalinata, dopo le quali ci si trovava davanti al primo corpo di fabbrica, che racchiude tre archi a sesto ribassato in legno intarsiato. Da questo si passa all’ampio cortile rettangolare, dove prospetta il maestoso palazzo elevato, a due piani con pianterreno .
Le decorazioni ad affresco negli appartamenti furono eseguite, oltre che dallo stesso Vaccaro , anche pittori come Nicola Maldacea , Nicola Cacciapuoti, e Giovanni De Simone.
Esso risulta essere cosi complesso nella sua struttura architettonica da restare alla fine un opera incompiuta e inoltre data la sua estensione è abbastanza grande da dare origine a un piccolo quartiere.
Pensate solo che gia nel seicento alcune fonti descrivono dell’area del largo Tarsia,e raccontano dell’esistenza di un grandioso palazzo con annesso un esteso giardino che lo precedeva.
Nel secolo successivo il principe napoletano Ferdinando Spinelli fece ristrutturare e ingrandire l’edificio già esistente ,ancora oggi riconoscibile nel corpo principale dell’edificio.
Dall’edificio centrale in stile sgargiatamene Rococò napoletano
partiva un ampio emiciclo terrazzato e interamente maiolicato decorato tutt’intorno da statue in marmo, purtroppo non più visibili da qualche anno.
Tutt’intorno gli edifici erano talmente estensi ,tanto da ospitare anche un serraglio.
Gli appartamenti non erano di minore importanza, infatti oltre la loro grandiosità vantano volte decorate da artisti come Nicola Rossi, Francesco Pagano, inoltre lungo tutto l’ambiente erano disseminate cappelle, armadi intagliati ,orologi solari ,stucchi dorati e quanto più ci poteva essere di Barocco.
Il palazzo ospitava anche dei gabinetti di fisica e di chimica, e una ricchissima biblioteca.
La pinacoteca personale dei principi vantava ospitare opere di Giotto, Raffaello, Tiziano ,Tintoretto ,Veronese ,Durer ,Rubens ,Van Dyck , Breughel ,Claudio di Lorena e numerosi maestri napoletani, la pinacoteca aperta agli studiosi , era la somma vanteria e attrattiva del palazzo.
CURIOSITA’ L’area che anticamente era conosciuta come Olimpiano era una zona delimitata al nord dal Cavone, al sud dall’Olivella, ad est dalla cinta muraria aragonese/vicereale e ad ovest dalla collina del Vomero. Essa era anche chiamata con il termine di Limpiano era era una intera zona situata al di fuori dalle mura, che andava dal largo del Mercatello, l’attuale piazza Dante, fino al casale di Antignano sulla collina del Vomero. L’intera area ebbe un primo sviluppo intorno al 1560 ad opera di alcuni nobili che in questa zona diedero inizio della costruzione di grandi sontuosi palazzi , il luogo ed anche la strada che portava a queste dimore ad un certo punto cambiò nome,( con grande scuorno di Zeus,) e venne da allora chiamata appunto Pontecorvo; accanto alle costruzioni di don Fabrizio si affiancano quelle di altre famiglie che nel frattempo ottennero dei terreni. Tra queste i Turboli, i Coppola, i Giglio ma soprattutto gli Spinelli che poi si stabiliranno a partire dagli anni 70 del 500 nel palazzo accanto a quello dei Pontecorvo nella parte più bassa della strada, per trasferirsi poi di fronte, in quello che sarà il palazzo Spinelli di Tarsia. Nel XVII secolo la zona divenne poi oggetto di trasformazione da luogo civile a luogo a carattere religioso con la fondazione di alcuni monasteri femminili realizzati adattando palazzi nobiliari ceduti in beneficenza come ad esempio il Palazzo Spinelli che fu adattato in convento di San Giuseppe delle Scalze
N,B, In realtà la zona continuerà a essere chiamata anche Limpiano, o Imbrecciata, termine con cui si fa riferimento a una strada caratterizzata da una pavimentazione a breccia: la ritroviamo di solito associata alle salite, cioè quindi a tutte quelle strade che conducono verso una parte alta, o lontana, a partire da un punto della murazione della città che appunto è considerato punto di partenza. Questo antico percorso mulattiero era in passato conosciuto anche come imbrecciata di Gesù e Maria perché conduceva all’omonimo monastero.
Dopo esserci lasciati alla nostre spalle la vista di uno dei palazzi più belli d’Europa, del principe Spinelli di Tarsia ridotto in maniera sconcertante ad un oscuro condominio ed immenso parcheggio abusivo., continuiamo il nostro percorso.
Dopo un po di strada la vostra attenzione sarà subito concentrata dal bel Palazzo Capano, un edificio di valore storico e architettonico situato in Salita Tarsia, restaurato nel 2022.
Quest’edificio, sito alle spalle del più noto Palazzo Spinelli venne eretto probabilmente nella prima metà del XVII secolo (nel censimento dell’area del Limpiano effettuato da Onofrio Tango nel 1657 risultava di tale S. De Martino; mentre nel 1732 apparteneva alla famiglia nobiliare dei conti Capano).
Il palazzo che vii colpira per il suo colore, ha una conformazione particolare, in quanto presenta al fianco del palazzo vero e proprio un corpo basso dove si apre il portale in piperno a bugne sulla cui sommità è collocato un antico stemma bipartito. Dietro questo corpo basso vi è il cortile nel quale vi è una parte porticata che copre anche la scala e che conduce al giardino posto più in alto.
CURIOSITA’: Nel Palazzo da lui ristrutturato,nel pieno della sua carriera, vi abitò nel XIX secolo Gaetano Genovese che svolse l’incarico di architetto decoratore della real casa a Napoli durante quasi tutto il corso del Regno di Ferdinando II di Borbone.
CURIOSITA’. Ferdinando II affidò al velente architetto anche il compito di restaurare il Palazzo Reale alla Marina i cui appartamenti erano stati danneggiati da un rovinoso incendio. Coadiuvato da Pietro Persico e Francesco Gavaudan, il Genovese inoltre studiò e progettò un rifacimento del Palazzo Reale apportando all’edificio sostanziali trasformazioni neoclassiche, consistenti nella rielaborazione dello scalone monumentale e in numerose aggiunte quali, sul lato meridionale, quella del cortile del Belvedere del giardino pensile e, dal lato di Piazza San Ferdinando , di quello ora chiamato “Giardino Italia” al posto di ciò che residuava del Palazzo Vecchio di don Pedro de Toledo.
Oltre ad innalzare nuovi corpi di fabbrica ai lati e alle spalle il Genovese decise di trasferire gli appartamenti privati dei reali al secondo piano e di destinare tutte le 90 camere del primo agli intrattenimenti e alle cerimonie ufficiali: sorse così la sfarzosa Ala delle feste. Vennero inoltre restaurati l’ingresso centrale, lo scalone d’onore e la cappella palatina, che subirono radicali modifiche.
Il Genovese venne inoltre incaricato di compiere alcuni lavori alla Reggia di Caserta come la realizzazione definitiva della sala del trono e persino la creazione di una “sedia volante” (una sorta di ascensore) all’interno della stessa.
Un altro importante lavoro gli venne commisionato da Carlo Mayer von Rothschild, nuovo proprietario dell’attuale Villa Pignatelli che gli affidò i lavori di rimodernamento della residenza, che condusse in collaborazione con un ignoto architetto parigino; in questo periodo vennero innalzati anche i locali che oggi ospitano il museo delle carrozze.
Nel 1852 fu incaricato, in qualità di professore ordinario, dell’insegnamento di architettura presso l’Accademia delle Belle Arti.
La stretta suggestiva strada dopo un po’ appare finire di fronte ad una piccola scalinata .
Una volta decisi a fare i pochi scalini presenti ci troviamo nel caratteristico vico Avellino a Tarsia .
Se decidete a questo punto di girare a sinistra vi porterete verso l’entrata del Parco Ventaglieri e del suo ascensore.
Se invece voltate a destra e guardate bene , vedrete in lontananza una decadente affascinante struttura
Andiamo a vederla da vicino.
Per ora non dirò nulla di questa struttura … ci ritorneremo dopo quando vi racconterà della Salita Pontecorvo.
Per il momento solo par incuriosirvi un pò vi dico che per la gente locale essa si chiama : Lo scugnizzo Liberato .
Se invece vogliamo continuare il nostro percordo andando diritti di fronte a noi ci ritroveremo a quella piazzetta dedicato a SanAlfoso e Sant’Antonio di cui oramai sapete tutto.
La via principale di Montesanto resta comunque viaTarsia che come vi abbiamo precedentemente detto era storicamente una fascia di territorio che si trovava fino al cinquecento fuori le mura toledane (costruite all’epoca dal Viceré don Pedro di Toledo) nel tratto compreso tra la Porta Reale, all’imbocco di via Toledo, e la Porta Medina all’epoca ubicata nell’attuale piazza Montesanto.
Poi con lo sviluppo dei diversi assi di penetrazione nel territorio del Limpiano e di ascesa sulla collina, assi rappresentati da salita Pontecorvo, salita Tarsia, via Ventaglieri, via Olivella, il percorso Tarsia-Montesanto finisce col diventare un collettore dei movimenti provenienti dalla collina verso le due porte Reale e Medina.
Per meglio valutare la progressiva trasformazione del territorio per chi fosse interessato vi mostriamo antiche mappe giunte a noi come importante documentazione storica.
La veduta Lafréry del 1556 , come vedete, mostra chiaramente questa morfologia ma al momento l’urbanizzazione fuori le mura era ancora allo stato embrionale e l’attuale percorso Tarsia -Montesanto non era in quel periodo che una mera fascia di rispetto esterna.
La veduta Baratta del 1627 mostra invece una situazione radicalmente mutata con una urbanizzazione spinta sia dentro che fuori le mura: si vedono bene in questa mappa, le due porte Reale e Medina. Dentro le mura si distinguono i due grandi complessi dello Spirito Santo e dei Pellegrini. Fuori le mura sono ben riconoscibili i diversi percorsi che salgono in collina conservando ancora diverse aree verdi.
La carta Carafa del 1775 mostra invece una urbanizzazione che ha ormai sostituito le mura anche se ne conserva il profilo; la Porta Reale è stata appena demolita per agevolare il traffico delle carrozze, la Porta Medina esiste ancora e si distingue il palazzo del principe Spinelli di Tarsia che darà il nome alla strada.
La carta Schiavoni del 1880 mostra invece praticamente, una cortina edilizia quasi coincidente con l’attuale e le due vie Tarsia e Montesanto hanno la denominazione unificata di via Fuori Porta Medina.
La porta Medina è stata appena demolita e il grande giardino di palazzo Spinelli è stato sostituito dal Reale Istituto di Incoraggiamento, un ente pubblico sorto nel regno di Napoli durante il decennio francese ai primi dell’Ottocento per promuovere lo sviluppo delle scienze naturali e delle arti applicate: da esso sarebbero nati nel 1862 il primo Regio Istituto Tecnico di Napoli (il Della Porta) e nel 1919 il Regio Istituto Superiore Navale ,un centro superiore di cultura per il mare, in seguito trasformato in università a pieno titolo , ed oggi ancora attiva ma con il nome di Univerità Partenope.
N.B. La sua attività, con diverse denominazioni, si prolungò fino ai primi decenni del Novecento e si esaurì negli anni trenta , probabilmente nel 1937, in quella che nel corso dell’Otttocento ne era divenuta la sede definitiva, Plazzo Spinelli in piazzetta Tarsia.
L’istituto Tecnico, annesso al Regio Istituto Tecnico Nautico G.B. Della Porta, aveva il compito di formare e abilitare per il mare nuovi ragazzi alla professione di capitani, costruttori e macchinisti. La sua popolazione scolastica dal 1890,aumentò talmente tanto che nel 1902 l’Istituto Nautico di Napoli ebbe una sua autonomia e nel 1904 una propria sede nell’edificio di Via Tarsia.
Con la formzione del Regno d’Italia, nel 1906,la prima Scuola Nautica d’Europa diveniva “Regio Istituto Nautico Luigi di Savoia duca degli Abruzzi”, prendendo nome dal Duca degli Abruzzi, Luigi di Savoia, che durante i suoi viaggi di circumnavigazione aveva compiuto importanti osservazioni astronomiche ed oceanografiche. A seguito del sisma del 23 novembre 1980 l’Istituto si trasferì nell’attuale edificio di Bagnoli.
CURIOSITA’: La scuola ospita il Museo Didattico del Mare, riconosciuto dal Ministero dei Beni Culturali nel 1992 come Museo Navale. La raccolta museale, nata come collezione storica degli apparecchi usati nel corso dei secoli dagli studenti, è costituita da pezzi che sono di fondamentale importanza per illustrare l’evoluzione delle tecniche marittime.
Il Regio Istituto navale in Via Tarsia si trovava in quel grande edificio color mattone con ingresso colonnato e ampia scala, ubicato alla sommità della salita Tarsia. Un edificio bi-funzionale suddiviso in due macro locali: il teatro Bracco, l’antica Sala Tarsia, ed un cinema non più esistente, l’Astoria, molto frequentato negli Anni ’60 da studenti transitoriamente poco motivati, e trasformato oggi in una sede per uffici della Polizia di Stato.
In epoca fascista l’intero edificio era uno dei quattro istituti assistenziali
L’Opera Nazionale Dopolavoro era uno dei quattro istituti assistenziali presenti in citta (gli altri erano: l’Opera Nazionale Maternità e Infanzia, l’Opera Nazionale Balilla ed il Patronato Nazionale per le Assicurazioni Sociali) creati dal Fascismo a difesa dell’integrità fisica e morale dei lavoratori e delle loro famiglie.
Si chiamava Opera Nazionale Dopolavoro ed il suo compito era quello di occuparsi in concorso con una miriade di associazioni, di preservare gli operai ed i camici bianchi dalla “alienazione” derivante dal lavoro sempre più specializzato, organizzando il tempo libero in modo da estendere i benefici che ne derivavano, (allora appannaggio di pochi e fortunati), alla gran massa dei lavoratori.
Esso nacque nel 1929, , quando in Italia lo Stato sociale in quel tempo riteneva che la difesa del lavoratore spettasse allo Stato. Il lavoratore, infatti, adempiva funzioni, che erano necessarie alla potenza economica e sociale della Nazione. Le iniziative previdenziali quindi non potevano essere lasciate all’arbitrio dell’individuo. Spettava allo Stato regolarle, d’imporle, di coordinarle, per la difesa dell’organismo nazionale, del quale il lavoratore era cellula attiva.
CURIOSITA’: Nei primi due decenni del Novecento le condizioni di vita ed economiche dei lavoratori delle fabbriche (e non solo) non erano molto dissimili da quelle degli inizi della rivoluzione industriale. A poco era servita, nei fatti, la lunga scia di rivendicazioni sociali e salariali, spesso oggetto di violente e sanguinarie repressioni alla Bava Beccaris.
Gli ex contadini strappati ai campi dalle prospettive di una vita migliore e di condizioni lavorative più stabili continuavano a gremire le periferie urbane adattandosi a vivere in abitazioni malsane, senza servizi igienici o in comune, senza acqua corrente, sottoponendosi tra l’altro a turni di lavoro a dir poco massacranti. In quei ghetti di emarginati si determinavano le condizioni ideali per la diffusione delle malattie infettive come il tifo, il colera… e sociali quali rachitismo e tubercolosi, criminalità, prostituzione e alcoolismo.
Lo stesso assetto urbanistico delle città denunciava le inique diseguaglianze sociali, contrapponendo i quartieri del centro abitati dalla borghesia abbiente con un’adeguata dotazione di infrastrutture, servizi e verde, alle disumane periferie, un melting pot di fabbriche, capannoni, quartieri degradati, sovraffollati e privi dei fondamentali servizi.
A quest’universo proletario, degradato e privo di garanzie, si rivolsero le attenzioni del governo fascista che intervenne con determinazione attuando bonifiche urbanistiche e la costruzione di case popolari, promulgando un corposo numero di leggi innovative e la creazione di enti preposti all’assistenza dei lavoratori.
Nel ’23 furono introdotte: la legge sulle otto ore di lavoro e l’assicurazione contro la disoccupazione; nel ’25 l’assicurazione contro gli infortuni nel lavoro agricolo; nel ’26 la disciplina giuridica nei rapporti collettivi e l’istituzione della Magistratura del Lavoro; nel ’27 la Carta Nazionale del Lavoro, il primo documento al mondo tendente ad armonizzare i rapporti tra capitale e lavoro e nel quale, per la prima volta, furono riconosciuti ai lavoratori: il diritto alle ferie annuali pagate, il diritto al trattamento di fine rapporto (liquidazione), il diritto del pagamento del lavoro straordinario, il patrocinio gratuito nelle controversie con i datori di lavoro; nel ’28 l’istituzione degli uffici di collocamento, dell’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali, l’esenzione tributaria per le famiglie numerose …
Non potete neanche immaginare quanti napoletani sono passati nei due locali che si affacciano sulla strada e quanti di loro conobbero per la prima volta l’arte cinematografica e teatrale grazie ai biglietti a basso costo. Tuttavia, l’opera Nazionale dopolavoro (Ond )non era solo questo. Nelle strutture sportive della città organizzava attività ludiche, memorabile ad esempio la manifestazione natatoria che radunò a Napoli alla fine degli Anni ’20 ben 1600 nuotatori, pianificava escursioni, organizzava campeggi e colonie per i figli del popolo, corsi di recupero scolastico e di qualificazione. A difesa del potere d’acquisto dei salari e degli stipendi, l’Ond, offriva un servizio di speciali convenzioni con “La Provvida” e col “Consorzio Industrie Manufatti” rendendo così possibile l’acquisto di generi alimentari a prezzi contenuti o rateizzati come nel caso dell’acquisto di capi di abbigliamento o di prodotti per l’arredamento della casa. La rilevanza dell’Opera intanto accresceva per effetto di leggi…”.
A proposito di fascismo…subito dopo il teatro l’Istituto Nautico “Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi”, come vedete esiste come vedete un Teatro dedicato ad uno dei pochi intelletuali che coerentemente non scese a patti col regime.e per questo motivo fu messo all’indice. Il suo teatro fu ovviamente messo al bando e mai rappresentato fino all’ultimo dopoguerra, L’ostracismo nei suoi confronti, voluto personalmente da Mussolini, si manifestò in varie forme: l’editore Mondadori rinunciò a pubblicare le sue opere, i problemi economici dovuti all’allontanamento dai palcoscenici, il divieto di espatrio ed infine nel novembre del 1926, in seguito al fallito attentato a Mussolini del 31 ottobre , anche la devastazione della sua casa, Anch’egli infatti come Benedetto Croce e Arturo Labriola dovette subire in quel periodo l’irruzione in casa di un gruppo di teppisti fascisti che ruppero a rabdellate tutto quanto gli capitava a tiro .In questa cirxostanza anche un suo lavoro inedito ( La verità,) fu dato alle fiamme e quindi irrimediabilmente perduto. Qualche tempo dopo scampò ad un agguato e per ben tre anni le sue opere vennero vietate al pubblico.
La nostra bella passeggiata termina un po piu avanti, all’apice della salita Pontecorvo, in una piazza dove fu costruita quella Chiesa intitolata a Gesù e Maria che ha poi dato il nome al luogo.
Un tempo in questo luogo i vari nobili che stavano edificando i loro magnifici palazzi , avevano l’abitudine di recitare il Rosario tra una battuta di caccia e l’altra e fu così che decisero di finanziare la costruzione di una cappella dedicata alla Madonna del Rosario, primo nucleo del futuro complesso religioso il cui progetto fu affidato a Domenico Fontana .
Oggi questo monumentale complesso è quasi completamente spoglio ed irriconoscibile rispetto al passato, non solo per le trasformazioni che nel frattempo sono intervenute, ma per le spoliazioni di cui è stato tragicamente vittima,«La chiesa di Gesù e Maria, dal dopo-terremoto è chiusa e da allora depredata di tutto, perfino i marmi della scalinata esterna. Sopra al suo tetto, una volta, c’era anche un’antenna per la televisione. Chissà chi la utilizzava per scopri propri.
N.B. La chiesa era stata affidata in concessione dalla Curia all’associazione Euforika che aveva iniziato i lavori di pulizia e di recupero. Ne aveva aperto, nel 2019, le porte ai cittadini, non per farci soldi o trasformarla in un outlet, ma per restituirla alla città, perché torni a produrre cultura, conoscenza,e coesione sociale, ma so che ora la loro esperienza è finita e non certo per colpa loro. E me ne dispiace molto».
Il vicino convento venne adibito ad ospedale nel 1863 è stato uno tra i più importanti punti ospedalieri del Centro storico ( negli anni ’70 era l’unico ospedale partenopeo dedicato alle malattie infettive ) ed un centro di riferimenro impostante per le patlogie otorinolaringoiatriche. Il terremoto del 1980 purtroppo danneggio gravemente danneggiò non solo la chiesa ma anche la struttuta ospedaliera che abbandonata poi al degrado da quel momento chiuse ai ricoveri in quanto molti edifici considerati pericolosi. Oggi in parte ancora non accessibile , svolge solo una parziale attività ambulatoriale territoriale.
Oramai oggi nella nostra città nessuno mostra più interesse nel voler rivalutare il patrimonio storico del nostro territorio: si costruisce il nuovo, ma il passato non viene curato in alcun modo.
Come avete notato, il quartiere di Montesanto conserva intatta ancora oggi la sua unicita . Esso è l’unica zoana forse del nostro centro storrico che resiste alla gentrifugazione e alla globalizzazione di un turismo selvaggio e senza regole .
L’intera zona conserva ancora un carattere pittoresco ed intriso delle caratteristiche culturali e delle consuetudini napoletane più propriamente dette. Esempi più lampanti sono rappresentati dall’abitudine delle donne di lasciar asciugare il bucato su fili che attraversano longitudinalmente i vicoletti oppure dalla presenza di piccole botteghe artigiane che ancora resistano all’idea di trasformarsi in una cuopperia,una friggitoria ,un pub o una pizzeria.
In questo luogo i cosiddetti “bassi napoletani”, con alte scalinate ed abitazioni ricavate direttamente sul livello stradale, ancora esistono e resistono alla tentazione economica di trasformarsi in un ricco bed and breakfast .
Nei stretti vicoli di questo affascinante luogo , la domenica mattina, a differenza di altri antichistorici luoghi della nostra citta, si sente ancora quell’odore tipico del ragù che sta ” pippiando “e incontrare per strada le persone che portano con loro a casa il vassoio con le paste.
Qui troverete, inoltre, trattorie dove poter assaporare i piatti e i dolci tipici della cucina napoletana quali: la zuppa di cozze o i spaghetti alle vongole, la genovese, la pasta e patate,gli spaghetti alla nerano , i manfredi alla ricotta , un semplice scarpariello o i classici gnocchi alla sorrentina , le alici impanate e fritte, le zucchine alla scapece, le frittelle con alghe di mare, il polipo alla luciana, la parmigiana di melanzane la pizza ripiena di salsicce e friarielli, la pizza con le scarole, la pizza con la mozzarella di bufala, il babà, la sfogliatella frolla, la sfogliatella riccia, la pastiera e tante altre leccornie.
Certo Montesanto e’ certamente un quartiere popolare,ma proprio questo l’intera zona ancor più bella. Questo luogo a differenza dei mutamenti sociali, e delle aomologazioni culturali dei decumani non si è ancora lasciato i influenzare dal fenomeno turistico e da ciò che avviene altrove.
Oggi Montesanto è sicuramente l’unico punto della nostra citta che forse merita veramente quella targa esposta in Piazza del Gesù da parte dell’Unescoche dichiarava il nostro centro storico Patrimonio dell’umanità, per la sua unicità nel possedere un impianto urbanistico storico fieramente difeso dalle omologazioni architetturali tanto di moda nel resto del mondo ,
il nostro centro storico al contrario di Montesanto, sta oggi lentamente trasformandosi perdendo di vista le vere motivazioni di tale nomina. Il quartire di Montesanto invece conserva ancora con orgoglio i suoi stretti e misterioso vicoli , i suoi vasci, e le sue intatte caratteristiche popolari. La vita qui scorre più lentamente tra “i bassi” di Napoli, dove signore in pigiama fumano sul davanzale della porta, ci sono vecchi alimentari all’interno di case fatiscenti, e cartelli folkloristici e colorati.
Percorrere questi luoghi signafica di fatto il posto per eccellenza dove incontrare dal vivo la cultura napoletana , incontrare il vero folklore di Napoli , la loro lingua , i loro rumori , i loro odori,ed i loro colori .
Bellezza e degrado, miseria e nobiltà, splendore e abbandono, scorci di panorama bellissimi e notti dove la luna, in uno spettacolo raro pende giusto su questo luogo , illuminadolo come un presepe,
Segni particolari?
Non riposa mai.
Masse di pendolari proveniente da ogni latitudine passano e spassano fino all’orario di apertuta della Cumana , della metropolita e della fuinicolare.
Chiusa la Cumana, la piazzetta resta frequentata fino alle 3-4 di notte. Quando i nottambuli vanno a letto, il testimone passa alla icona scenica del famoso mercato della Pignasecca. Qui il torrente umano scorre o ristagna nei locali cult della gastronomia del quartiere. Se volete mangiare avete l’imbarazzo della scelta.
Il peccato ?
Quel pezzo dell’immensa Napoli sacra:abbandonata al degrado: quel sistema di conventi, monasteri, confraternite oggiin gran parte vuoto, abbandonato, sull’orlo del crollo. Strade una costellate di conservatori che, tra Cinque e Settecento, ospitavano le ragazze “pericolanti”: quelle che non avevano la dote per diventare mogli e monache, e dunque rischiavano di imboccare l’unica strada gratuita, quella della prostituzione, oggi totalmente abbandonate al loro triste ruolo di “pericolanti “, uno strano invertito destino .
Bellissime ed antichissime chiese e monasteri con annessi chiostri le cui porte sono letteralmente murate. Sbarrata per cittadini, fedeli, turisti: non per i ladri, che di notte si calano dai tetti, e ne escono carichi di statue, pezzi di balaustre, marmi coloratie capitelli . Così è andata alla chiesa di Gesù e Maria, che dopo il terremoto del 1980 (evento spartiacque, per Napoli) è stata chiusa e poi razziata di ogni suo bene, fino a ridurre la chiesa a uno scheletro inquietante.
L’altare maggiore non c’è letteralmente più, al suo posto un cumulo di pietre e mattoni. Lì accanto, al posto d’onore nel presbiterio, il monumento funebre della duchessa Isabella Guevara di Bovino è ridotto alla sola figura della nobildonna, crocifissa su un graticcio di tubi Innocenti che sostituisce la cornice marmorea, smontata e trafugata. Un disastro: il simbolo della Napoli perduta, senza speranza.
Prima di concludere questa bella chiacchierata con voi, voglio solo raccontarvi di un luogo molto vicinoo a Montesanto , Un Grande parco quasi sospeso nell’aria ,poggiato su grandi archi in tufo , Si tratta del grande complesso della Ss.Trinità delle Monache, un angolo di paradiso, conosciuto anche come parco dei Quartieri Spagnoli,.
L’enorme struttura rappresenta uno dei più vasti complessi abbaziali di Napoli situato nel centro storico della città ,Il complesso, si estende infatti su una superficie di circa 25 mila mq, ed è un insieme eterogeneo caratterizzato da edifici di grande valore storico e architettonico, numerose aree verdi e cortili (non sonoovviamente mancate come si suol fare spesso in questa citta delle costruzioni più recenti che hanno danneggiato, e, in alcuni casi, alterato l’impianto originario.
N.B. Il complesso fu fortemente voluto dalla nobildonna Vittoria de Silvia nel XVII secolo si trova a metà, tra la collina del Vomero e il quartiere Montesanto Esso sorge infatti nel quartiere di Montecalvario e confina con la Certosa di San Martino, il Castel Sant’Elmo e il complesso di Santa Lucia Vergine al Monte. L’intera struttura era inizialmente chiamato “Convento delle fontane” per la presenza nella struttura di numerose fontane, oggi andate distrutte.
Nella parte bassa dell’edificio, si trova la chiesa della Santissima Trinità delle Monache che risale al 1536 . Essa fu commissionata a uno dei migliori architetti del tempo,il Grimaldi, e la spesa fu di circa centocinquantamila ducati. La chiesa venne eretta per volere di donna Vittoria de Silvia, monaca del convento di ” S. Gerolamo delle Monache”. dopo che ella riuscì ad avere il permesso di fondazione da Papa Clemente VIII. La meravigliosa scala d’accesso della Chiesa è opera del’ architetto Francesco Grimaldi . Sull’altare maggiore si trovano due splendidi quadri:”La S.S.Trinità che incorona la Vergine ” e “I Santi della Santa Fede”. In una delle cappelline laterali è, inoltre, rappresentata una “Immacolata con i S.S.Francesco e Antonio”di Battistello Caracciolo.
L’inizio della costruzione del complesso risale al 1607, con la trasformazione in monastero del Palazzo Sanfelice su progetto dell’architetto Francesco Grimaldi. Nel 1617 furono terminati buona parte delle strutture del convento, mentre la chiesa venne terminata nel 1620. Nel 1623 il cantiere passò a Cosimo Fanzago, che realizzò le trasformazioni degli esterni e lo scalone della chiesa dove sono presenti opere di numerosi artisti come L’Immacolata con i Santi Francesco e San’Antonio di Battistello Caracciolo, La Sacra Famiglia e Santi di Jusepe de Ribera, mentre gli affreschi sono attribuiti a Giovanni Bernardino Siciliano.
Il convento, di grande bellezza architettonica e circondato da lussuosi giardini, accoglieva spesso famiglie aristocratiche.
Sfortunatamente, nel 1732, un violento terremoto si abbatté sulla città di Napoli danneggiando profondamente il Monastero. I lavori di restauro per riportare il luogo al suo splendore iniziale durarono oltre dieci anni a causa d’una insufficienza di fondi: l’edificio riaprì solo nel 1743
.L’edificio, quindi, come notate nacque inizialmente come convento, e solo successivamente, nel 1808, venne utilizzato a scopi militari, diventando l’Ospedale militare di Napoli, oggi trasferito altrove. Fu infatti con la discesa dell’esercito Napoleonico nel 1795 e con l’occupazione del Regno di Napoli ad opera di Giuseppe Bonaparte,che il Monastero fu trasformato in un ospedale militare e le monache lì residenti dovettero abbandonare la struttura. Un vero e proprio declino del luogo iniziò però sotto il regno dei Borbone, durante il quale furono messi in atto numerosi interventi di restauro in città ad eccezione dell’Ospedale Militare. A causa di questa scarsa manutenzione, nel 1897 si registrano i crolli della volta e della cupola, elementi che poi vennero sostituiti con una modesta copertura a falde. Tra il XIX e il XX secolo la struttura originale fu alterata con l’aggiunta di alcuni elementi moderni.
Dopo una bella passaggiata in questo luogo meraviglio potete poi magari allungare il vostro soggiorno in zona recandovi nei fvicinissimi famosi quartieri spagnoli , Essi risalgono al 1536, quando iniziò la lunga dominazione spagnola a Napoli.
Furono edificati con lo scopo di accogliere le guarnigioni militari spagnole insediate in città per reprimere eventuali rivolte fomentate dalla popolazione partenopea e compresi tra Corso Vittorio Emanuele e Via Toledo.si estendono su una superficie di 765.016 mq.
Nei quartieri spagnoli i soldati andavano in cerca di divertimento, per cui si sviluppò rapidamente un grave fenomeno, la prostituzione. Infatti, le povere fanciulle napoletane, per motivi economici, erano costrette a vendere il proprio corpo in cambio di denaro. Queste ed altre vicende indussero il vicerè Don Pedro ad emanare nuove leggi, tra cui l’editto che stabiliva pene severe per le prostitute e i loro “amici” colti in flagranza di reato. Queste leggi, però, non vennero rispettate, anzi fu subito trovato il modo di violarle. Infatti, tra le stradine dei quartieri, là dove lo spazio lo permetteva, vennero sistemate varie baracche di legno che servivano per gli incontri tra i soldati e le loro “compagne di piacere”.
Un altro grave problema che caratterizzò i quartieri spagnoli fu la criminalità. Piccole bande criminali, infatti, giravano tra i vicoli commettendo furti e ogni genere di soprusi ai danni della popolazione. Inevitabilmente scoppiavano risse che spesso finivano nel sangue.
Questi fattori negativi sono stati a lungo gli elementi caratteristici della vita nei quartieri spagnoli. ma oggi grazie anche al grande afflusso di turusti, i quartieri spagnoli non sono affatto pericolosi,
Anzi !
Potremmo addirittura sostenere che forse i quartieri spagnoli iggi sono il luogo pià sicuro di Napoli con tari Bed and Breakfast , tantissimi ristoranti e molti bar e barretti , ricco nei suoi vicoli di numerosi bellissimi graffiti .Essi sono una zona dove incontrerete la ” vera gente di Naopli “, un luogo quindi pienp di persone con un’animo allegro, accogliente, festoso, etalvolta anche chiassoso, ma dotato di una simpatia che ha pochi uguali.
Se solo entrate nei quartieri spagnoli averete poi la voglia di perdertv in mezzo a quei vicol dove potrete appezzare e sentire e il vero spirito napoletano.
Peccato solo che la gentrifugazione legata al fenomeno turismo stia facendo perdere a questo luogo la sua caratteristica e la sua importanza storica e culturale .
Oggi tutti si recano nel luogo per la sua movida notturna, per il murales di Maradona. ma ricodatevi che i quartieri spagnoli non solo un posto dove si mangia e si beve, si vedono dei murales, e si fa casino la sera, ma al contrario di quanto vi fanno vedere o sentire, oltre a spritz e cuoppi di zeppole panzarotti, sfogliatelle e babà’,… ci sono in questo posto anche dei luoghi di cultura.
Ma non basta …In questo quartiere oltre ai numerosi palazzi d’epoca, si possono contare nel suo interno dei s ben 22 chiese, molte di esse legate a una particolare storia o tradizione della città.
Tra le più importanti dei Quartieri vi è sicuramente la Chiesa di Santa Maria Francesca delle Cinque Piaghe, situato nel Vico Tre Re a Toledo, 13, che risale alla fine del XVIII secolo ed è dedicata a Santa Maria Francesca, nota per provare i dolori della Passione di Cristo durante la Quaresima e per avere le stigmate come San Francesco.
CURIOSTA’: Questa chiesa non è solo un punto di ritrovo di molti religiosi, ma anche un luogo a cui sono particolarmente legate le donne che desiderano la maternità.
All’interno della chiesa infatti vi è una cappella speciale, nella quale si trova una sedia leggendaria. Si crede che questa sedia fosse utilizzata da Santa Francesca per cercare sollievo mentre avvertiva i dolori della Passione. Ora la chiesa è ora meta di pellegrinaggi di giovani donne che si recano lì in preghiera per chiedere alla Santa il miracolo di una gravidanza
Altra impoertante chiesa che si trova nei quarteri spagnoli è quella situata in Largo Montecalvario . Essa risale al 1560 quando fu eretta per volere della nobile napoletana Ilaria D’Apuzzo. La chiesa fu consacrata nel 1574 dal vescovo Aurelio Griano; le decorazioni, tuttavia, furono aggiunte nel 1677 da Gennaro Schiavo, il quale dette al tempio un’impronta barocca. Nel corso dei secoli la chiesa ha subito numerosi interventi di ristrutturazione, mantenendo sempre i tratti tipici del barocco napoletano.
La chiesa presenta una pianta a croce greca, con una sola navata e cinque cappelle su ciascun lato, tutte affrescate. L’abside ospita l’altare maggiore, un’opera d’arte realizzata dall’artista Domennico Antonio Vaccaro artista napoletano operante nell’epoca a cavallo tra Barocco e Rococò.
Nel decennio francese i frati vennero espulsi per cui la chiesa fu trasformata in edificio militare e, solo nel 1827, fu in parte restituita ai Francescani di Gerusalemme che ne operarono il restauro arricchendola con una “Deposizione” del Criscuolo, nella seconda cappella a sinistra, e con pregevole dipinto che riproduce S. Girolamo nella sesta cappella.
Ancora oggi è molto vivo il culto della Vergine, infatti; in suo onore, il giorno di Sabato Santo, la statua dell’Immacolata viene portata in processione su di un carro.
Ora non voglio divulgarmi su tutte le chiese presenti nei quartieri spagnolo ( ne varrebbe la pena ) ma sicuramente non posso venir meno ad accennarvi almeno qualcosina sia sulla chiesa di Sant’Anna di Palazzo , che qualle di Santa Maria dei Sette Dolori.
La prima, quella di Sant’Anna di Palazzo è un monumentale edificio sacro situato in vico Rosario di Palazzo. La sua edificazione ebbe luogo per commemorare la storica vittoria di Lepanto contro la flotta ottomana nel 1571. Questa chiesa ha una storia ricca di avvenimenti significativi. Nel 1778, la rivoluzionaria partenopea Eleonora Pimentel Fonseca celebrò qui il suo matrimonio e, in seguito, seppellì suo unico figlio, Francesco, scomparso in tenera età. L’interno dell’edificio, sebbene sia notevolmente diverso dall’originale chiesa di Sant’Anna, demolita nel 1964 a causa dei danni causati dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, custodisce ancora preziose decorazioni in stucco risalenti al XVII secolo.
La seconda, cioe la Chiesa di Santa Maria dei Sette Dolori (ex Monastero), è situata in via Francesco Girardi n°59 e risale al 1516,
I contadini della zona allora denominata allora fondo del Belvedere (la chiesa si trova di fatti all’inizio di Spaccanapoli, da cui si gode di una vista completa della singolare via), donarono una statua miracolosa della Madonna chiamata S. Maria Ognibene ai Padri Serviti. Nel 1630 venne aperta una nuova chiesa, sempre intitolata a Santa Maria Ognibene. Si decise dunque di rinominare l’ex monastero in onore della Madonna Addolorata, da cui il nome “Santa Maria dei Sette Dolori“
Al suo interno vi è ancora la statue dell’Addolorata, incoronata direttamente dalle mani di re Ferdinando II. Egli, a seguito della restaurazione del Regno borbonico, fece applicare ad alcuni dei terminali della cancellata ottocentesca i gigli di casa Borbone.
Nel decennio francese i frati vennero espulsi per cui la chiesa fu trasformata in edificio militare e, solo nel 1827, fu in parte restituita ai Francescani di Gerusalemme che ne operarono il restauro arricchendola con una “Deposizione” del Criscuolo, nella seconda cappella a sinistra, e con pregevole dipinto che riproduce S. Girolamo nella sesta cappella.
Ancora oggi è molto vivo il culto della Vergine, infatti; in suo onore, il giorno di Sabato Santo, la statua dell’Immacolata viene portata in processione su di un carro.
I Quartier spagnoli e l’intera zona di Montesanto, come potete notare hanno una grande importanza storica e culturale nella nostra citta, ma al contrario dei quartieri spagnoli che con la turistificazione di massa e la conseguente gentrifugazione ha oramai perso gran parte della sua originale identita, la zona di Montesanto conserva ancora oggi intatta la sua unicità .
In questo posto gli antichi vasci sono ancora abitati dalla gente del luogo. , Essi hanno avuto la fprza di resistere a vecchie tradzioni ed il corahhio di rapprentare l’ulima vera forma di resistenza al consumismo di un mondo globalizzato . Essi sono ancora ancorati ad una tradizione destnata destinata a non morire . Rappresentano ancora il perfetto affresco della sublime essenza del folklore di Napoli.
I vicoli di questa zona trasudano ancora di quella intimità capace di suscitare nel visitatore la sensazione di trovarsi non in una strada , ma in una grossa calda accogliente grossa abitazione dove vieni accolto come uno di famiglia
Nei quartieri spagnoli e negli antichi decumani , queste dimore invece non esistono più poiche al loro posto crescon a vista d’occhio friggitorie . pizzerie e sopratutto bar che in maniera irregolare si espandono oltre ogni limite con i loro tavolini. Questi luoghi non profumano più di umanità ma puzzano solo di frittura . Le stanze dei loro vasci non rimbonbano più di pittoresca poesia , ma rappresentano solo il triste oblio di un luogo che trasformandosi ha completamente perso di vista le vere motivazioni per cui nel 1995 è stato dichiarato Patrimonio mondiale dell’Umanità dal’ Unesco
Montesanto, invece, oggi più dei decumani merita forse quella targa . Esso è infatti sicuramente il luogo che ha conservato nel tempo immutata la sua caratteristica morfologia urbana e sopratutto l’anima del luogo . E stato insomma, il luogo che conservando immutate nel tempo le sue caratteristiche nei secoli , ha meglio rappresentato negli anni il luogo dove meglio ognuno di noi poteva calarsi nella lingua , nei rumori , nei colori , negli odori nel folklore e nella storia della nostra meravigliosa citta . La sua foza è stata quella di conservare intatte le sue radici.
Oggi Montesanto è in assoluto il luogo che per la sua complessita restituisce unicità ed autenticità alla nostra citta rispetto alle tante altre parti della nostra citta uniformate , indistinte ed indistinguibili perchè preda di quel consumismo che le rende tutte uguali . Esso è un luogo che va solo riscoperto e valorizzato per le sue immense ricchezze storiche e culturali , ma sopratutto protetto da quella omologazione di massa che il turismo selvaggio sta purtroppo provocando nella nostra citta .
Articolo SCRITTO DA ANTONIO CIVETTA