Molti di voi avranno certamente  sentite dire dai propri nonni tante di queste frasi o modi di dire … i più fortunati addirittura dai vostri genitori e certe frasi  vi riporteranno alla vostra infanzia …a quelle domeniche trascorse tutti insieme in famiglia ……..e purtroppo  finiti nel dimenticatoio  di una società che lascia spesso cadere senza affetto i propri pezzi di storia.

Alcuni di questi modi di dire nascondono  malinconia , consolazione , amarezza ,  ma anche  illusione speranza, sorriso ed ironia che con originalità  e fantasia raccontano la vita quotidiana svolta nel tempo di vicoli e strette affollate strade . Tra esse troverete  anche molta umanità ma sopratutto molta saggezza ….quella del popolo …quella che doveva far del poco che aveva la sua forma di felicità., ma che se ben riflettete alla fin dei conti è quello che realmente serve nella vita per essere veramente felici

Tante di queste frasi rappresentano spesso la vera forma espressiva del vero animo con cui i napoletani nei secoli hanno affrontato in modo ironico le varie vicissitudini che lo hanno poi caratterizzato nella sua sopravvivenza e certamente esprimono ancora oggi la filosofia di ogni buon napoletano che si rispetti e la sua percezione del mondo. Molti di questi modi di dire  sono infatti solo il grande serbatoio di cultura della nostra storia , dei nostri costumi e del nostro stesso modo di essere . Essi rappresentano il rimpianto di una Napoli che tende a sparire lasciando il passo a nuove più asettiche espressioni moderne che in maniera fredda  non lasciano alcuna  traccia di ricchezza espressiva .

Alcuni di questi modi di dire , come vedrete , non sono altrimenti traducibile nella lingua italiana e seppur tradotti non conservano lo stesso significato , la stessa musicalità e la stessa passione se invece vengono detti in dialetto napoletano  che è il modo migliore per esprimere un sentimento , o come vedrete   uno stato d’animo particolare .

Tra i tanti dialetti , il napoletano è quello più facile ad essere compreso e a venire imitato o addirittura spesso adottato nel mondo  e questo sapete perchè’?

Perchè in esso vi è passione , amore ,  vitalità , vivacità e fantasia . Esso è la migliore forma espressiva parlata grazie alla quale ogni cosa prende subito vita perchè contrassegnata da  immediata comunicatività .

I modi di dire elencati sono ovviamente sono solo alcuni dei più famosi modi di dire e descrivere alcune situazioni di vita di ogni napoletano . La lista quindi non ha alcuna pretesa di essere esaustiva ,in quanto siamo perfettamente consapevoli che la nostra lingua parlata è una  ineusaurile fonte di cultura che non conosce limiti. Il nostro intento è quello di riportarvi  solo un po indietro nel tempo , quando per stare bene bastava poco.

 

 

A barca storta ‘o puorto deritto.

A barca storta il porto diritto. Per chi conduce una vita disordinata la fortuna è propizia.

 

‘A bbona campana se sente ‘a luntano.

Una buona campana si sente da lontano (la brava persona si nota subito).

 

A ‘bbona ‘e Ddio.

Che Dio ce la mandi buona. Agire senza un programma ben definito affidandosi alla buona sorte.

 

A botta ‘e stiente

Stentando. Raggiungere uno scopo con enorme fatica. Tirare avanti in maniera misera.

 

‘A briscola se joca co’ e denare.

La briscola si gioca con i denari [senza soldi non si può fare nulla].

 

Acalà e scélle!

Abbassa la cresta! Cerca di moderarti perché ti sei montato troppo la testa!

 

‘A campana fa: damme e dongo.
La campana fa: dammi che ti do (l’ingordo fa solo dammi).

 

‘A carciòffola s’ammonna ‘a ‘na fronna ‘a vota.
Il carciofo va pulito foglia per foglia (bisogna fare le cose con pazienza).

 

‘A carne fa carne, ‘o vino fa’ sango e ‘a fatica fa jittà ‘o sango.
La carne dà carne, il vino fa sangue e il lavoro stanca (antica saggezza napoletana).

 

‘A carne se jetta e ‘e cane s’arraggiano.
La carne si butta via e i cani si inferociscono (c’è chi ha tanto e lo spreca, in spregio a chi non ha niente).

 

‘A casa d’ ‘e sunature nun se portano serenate.
In casa dei musicisti non si portano serenate (correreste il rischio che vi rompano gli strumenti in testa).

 

‘A casa d’ ‘o ferraro, ‘o spito ‘e lignammo.
In casa del fabbro, c’è lo spiedo di legno (è per la par-condicio).

 

A cavallo sicco ‘o Pataterno ‘nce manna ‘e mmosche.
Al cavallo magro il Padreterno gli manda le mosche (i guai chiamano altri guai).

 

A chièreca a chiereca s’addiventa caruso.
Perdendo una ciocca di capelli per volta si diventa calvi (chierica = alopecia).

 

Accìrete!‘

Ammàzzati! Potrebbe sembrare un chiaro invito al suicidio ma in effetti la ferale esclamazione il più delle volte è usata tra amici per mandarsi a quel paese. Tradotta in altri termini: poiché sei un incapace, un essere inutile, perché non ti ammazzi e la fai finita?

 

A criature nun prumettere e a sante nun fa voto.
Non si fanno promesse a bambini né voti a santi (voi ve ne dimenticate, ma loro hanno una memoria di ferro).

 

 

A Cunferenza è padrona d’ ‘a malacrianza

Troppa confidenza porta alla maleducazione.

 

 

‘A cuntentezza vene da ‘o core.

La gioia viene dal cuore [La felicità va cercata dentro di noi]

 

 

A cuoppo cupo poco pepe cape.
Nel cartoccio stretto entra poco pepe (cervello piccolo, poche idee).

 

 

‘A cera se struje e ‘a prucessione nun cammina!
Il cero si consuma e la processione non avanza! (quando si ha fretta, ma qualcuno o qualcosa ci fa perdere del tempo).

 

 

A capa ‘e l’ommo è na sfoglia ‘e cepolla.

Il cervello è come una sfoglia di cipolla. Quando una persona perde la testa e compie un gesto sconsiderato. Indica la facilità con la quale in una situazione particolare anche il più pacifico degli uomini può avere delle reazioni incontrollate.

 

A carne asotte e ‘e maccarune ‘a ‘coppa.

La carne sotto e i maccheroni sopra. Un capovolgimento dei meriti dei più validi a vantaggio degli stupidi  (quando le cose vanno al contrario).

 

 

A che serve parlà si nisciuno te dà aurienzio?
A cosa serve parlare se nessuno ti da ascolto? (è chello che dico sempe pur’io!).

 

 

A chella casa ca nun sì chiammato nun ce jì ca ne si cacciato.
Dove non sei benvoluto non andarci, ne saresti scacciato (e poi dicono che l’ospite è sacro!).

 

A chi me da ‘o ppane, je ‘o chammo pate.
A chi mi dà da mangiare, io lo rispetto come fosse mio padre.

 

A chi nun tene figlie nun ghì né pe’ denare né pe’ cunziglie.
A chi non ha figli non chiedere né soldi né consigli.

 

A chi parla areto ‘o culo ‘o risponne.

A chi parla alle spalle, il sedere gli risponde [Parlare dietro alle persona porta verso cattive risposte].

 

A chi pazzea cu’ ‘o ciuccio nun le mancano cauce.
A chi gioca con l’asino non mancheranno calci (sono i rischi di chi azzarda nelle scelte).

 

A chi tanto, e a chi niente.

La vita favorisce sempre i più fortunati (La vita è ingiusta)

 

A chi te dice ‘e fatte ‘e ll’ate, nun dicere ‘e fatte tuje.
A chi ti racconta i fatti degli altri, non confidare i tuoi segreti – se non vuoi che siano di dominio pubblico.

 

A cchi troppo s’acàla, se vére u culo.

A chi troppo si abbassa si scopre il sedere. Essere prudenti va bene ma bisogna stare attenti a non diventare troppo sottomessi perché qualcuno ne potrebbe aprofittare.

 

Accide cchiù ‘a lengua ca ‘a spata.
Fa male più la lingua che la spada.

 

Accide cchiù l’uocchie ca ‘na schiuppettata.

Fa male piu il malocchio che una fucilata.

 

A cicala canta, canta e po’ schiàtta.

La cicala canta, e poi muore. Bisogna pensare al domani.

 

Accussì va ‘o munno, chi anata e chi va ‘nfunno.
Cosi va il mondo, chi rimane a galla e chi sprofonda (la vita è varia).

 

‘A collera è fatta a cuoppo, chi s’ ‘a piglia schiatta ‘ncuorpo.
L’ira è come il cartoccio, chi si adira esplode come un palloncino.

 

‘A collera è petrosa, va ‘ncuorpo e fa ‘o pertuso.
La collera è come una pietra, entra in corpo e fa danni.

 

‘A copp’ ‘a copp’.

Da sopra da sopra. Fare un lavoro senza metterci troppo impegno. O la richiesta specifica di fare qualcosa senza curare troppo i particolari.

 

A copp’ ’a mano.

Esprimere il proprio punto anche quando non richiesto. Ma anche un controbattere. In italiano si potrebbe tradurre con “a sua volta”.

 

A copp’ ‘o cuorio, jesce ‘a curreja!
È dal cuoio che si ricava la cintura (ad ogni azione corrisponde una conseguenza).

 

A copp’ ‘o cuotto, acqua vulluta.
Sulla scottatura, acqua bollente (non bastavano i guai, se ne aggiungono altri).

 

A coppo ‘a Sant’Elmo vo’ piglià ‘o purpo a mmare
Da sopra Sant’Elmo vuole prendere il polipo a mare è un modo ironico con cui si intebde sottolineare  il voler  intestardirsi nel voler fare una cosa impossibile da realizzare). :  Aspirare a un’impresa impossibile come pescare un polipo da una collina

 

A core a core.

A cuore a cuore. Tenerezze tra innamorati ma anche ironicamente l’insolito confabulare e il pettegolare di due persone.

 

’A corta è bona p’’o marito, a longa pe’ cògliere ’e fiche.

La donna corta è buona per il marito, quella lunga per raccogliere i fichi. Sicuramente qualcuno la penserà diversamente, ma le donne piccoline attraggono maggiormente gli uomini. Forse perché appaiono più indifese e fanno scattare il senso di protezione che un uomo ritiene debba avere nei confronti della propria amata. O perché ritengono di riuscire ad esprimerle più tenerezza. O forse, più semplicemente, perché alla maggioranza degli uomini piacciono le donne piccole.

 

«Acquajuo’, ll’acqua è fresca?» «Manc’ ’a neve!»

«Acquaiolo, l’acqua è fresca?» «Più della neve!» Un modo stupido per chiedere al diretto interessato com’è la merce che vende. O comunque a richiedere il parere ad una persona direttamente coinvolta immaginando di poter ottenere una risposta disinteressata : E’ il fare quindi una domanda dalla risposta scontata

 

A craie a craie.

Craie è il verso della cornacchia, ma nel napoletano antico significava “domani”. Quindi in pratica un “di giorno in giorno”. L’abitudine di rimandare continuamente gli impegni senza mai portarli a termine.

 

‘A Cunferenza è padrona d’ ‘a malacrianza.
Troppa confidenza porta alla maleducazione (manteniamo le distanze).

 

Adda’ fernì! Dicette chillo ca’ ruciliava p’ ‘e scale.
Dovra pur finire! Disse il tizio mentre ruzzolava per le scale

 

Adda passà ‘a nuttata.

Deve passare la nottata [I guai prima o poi finiranno].

 

Addò l’haie fatto ’o pumpiere? Int’ ’a vasca d’’e capitune?

Dove l’hai fatto il pompiere? Nella vasca dei capitoni? Un modo per deridere colui che cerca di mostrare capacità che non possiede.

 

Addó vaie c’ ’o ciuccio? 

Dove vai con l’asino? Calmati perché stai correndo un po’ troppo misura le tue pretese.

 

Addò vede e addò ceca.

Dove vede e dove è cieco. Chi vede solo quello che gli fa comodo o agisce in maniera troppo parziale.

 

Addo’ ‘e fatte Pasche llà faje Natale.
Dove hai fatto Pasqua lì fai pure Natale (dove fai primavera, fai anche l’inverno).

 

Addo’ magnano duje ponno magnà pure tre.
Dove mangiano due persone possono mangiare anche in tre.

 

Addò sperdetteno a Gesù Cristo (Dove lasciarono Gesù Cristo)

 Luogo difficile da raggiungere

 

 

Addo’ trase ‘o sole, nun trase ‘o duttore.

Dove entra il sole non entra il dottore.

 

 

Addu’ amice e addu’ parienti nun accattà e nu’ vennere niente.
Da amici e da parenti non comprare e non vendere niente.

 

 

A’  faccia ‘e chi ce vò male.

Alla faccia di chi ci vuole male! Manifestare la propria soddisfazione quando di beneficia di un evento favorevole.

 

’A faccia mia sott’ e piede vuoste.

La faccia mia sotto i piedi vostri. Un’espressione servile di esagerato rispetto nel rivolgersi ad una persona autorevole. Ma principalmente è usata in maniera ironica durante un’accesa discussione con punti di vista contrapposti.

 

‘A famma fa ascì ‘o lupo ‘a fora ‘o bosco.
La fame fa uscire il lupo dal bosco (la necessità fa abbassare la guardia).

 

‘A farina d’ ‘o diavulo fernesce ‘a vrenna.
La farina del diavolo finisce in crusca (le cattive azioni portano solo guai).

 

‘A femmena bella nun è puverella.
Una bella donna ha una grande ricchezza (la bontà paga sempre).

 

 

A femmena ciarliera è ‘na mala mugliera.

La donna chiacchierona è una cattiva moglie.

 

 

‘A femmena è comme ‘a gatta, scippa e fuje.
La donna è come il gatto, graffia e scappa via (ha unghie che arrivano fino al cuore).

 

’A femmena è comm’all’onna: o te sulleva o t’affonna.

 

La donna è come l’onda (del mare): o di solleva o ti affonda. Coincide in qualche modo con il famoso detto: “dietro un grande uomo c’è una grande donna”. In questo caso la donna viene paragonata all’onda del mare che con la sua spinta può aiutare un uomo a raggiungere gli obbiettivi prefissati. Ma in una situazione diversa con il suo atteggiamento negativo, una donna, può incrinare l’autostima del suo compagno con le conseguenze che questo comporta sul piano pratico. Ovviamente queste due condizioni sono strettamente legate a quelli che sono i rapporti di coppia.

 

‘A femmena è comme ‘o tiempo ‘e marzo: mo’ t’alliscia e mò te lassa.
La donna è instabile come il mese di marzo, mentre ti accarezza, ti lascia (cambia ad ogni istante)

 

‘A femmena te porta ‘ncielo e ‘a femmena t’atterra.
Una donna ti può portare in alto oppure ti può sotterrare.

 

’A femmena ’e tuttequante è ’a femmena ’e niscuno.

La donna di tutti e la donna di nessuno. Ovvio che una donna di facili costumi, che si concede a tutti, è improbabile che possa aspirare a un suo uomo. O almeno un tempo era così. Oggi con l’emancipazione una donna potrebbe, per sua volontà, non voler condividere la propria vita con un solo uomo ma essere libera nella sua scelta, ogni volta che lo desidera.

 

’A femmena ’ncazzate è comm’ ’o mare ’ntempesta

La donna incavolata è come il mare in tempesta. I mariti, in particolare, conoscono bene la materia per cui non possono che condividere queste parole. Quando una donna e veramente arrabbiata l’unica cosa da fare e aspettare che si calmi. Tentare di placare, o addirittura controbattere significa innescare una reazione a catena.

 

’A femmena nun sape tené tre cicere ’mmocca.

La donna non sa tenere tre ceci in bocca. La donna essendo maggiormente portata a confidarsi con le amiche è facile che gli riveli un segreto, che però non dovrà svelare a nessuno. Inutile dire, che ben presto il segreto sarà sulla bocca di tutti. Però a essere sinceri, è proprio vero che solo le donne abbiano questa prerogativa?

 

’A femmena pe’ l’ommo addeventa pazza. L’ommo p’ ’a femmena addeventa fesso.

La donna per l’uomo diventa pazza. L’uomo per la donna diventa fesso. La donna innamorata fa follie per l’uomo che desidera e se lo deve conquistare, come si suol dire: “ne sa una più del diavolo”. L’uomo innamorato perde il lume della ragione. La nostra epoca ne fornisce uno straordinario modello: il 50-60enne italiano. Lascia moglie e figli per correre dietro ad una ragazza, solitamente dell’Est, con decine di anni in meno e a volte più piccola della figlia.

 

‘A figlia ‘e don Camillo, tutt’ ‘a vonno e nisciuno s’ ‘a piglia.
La figlia di don Camillo, tutti la vogliono ma nessuno la sposa . Non è riferito in senso stretto ad una ragazza ma ad oggetto in apparenza molto ambito ma ma nella realtà privo di interesse (a chiacchiere siamo tutti prodighi verso gli altri).

 

‘A figlia ‘e zi’ Francisco, s’astipa ‘o mellone ‘nfrisco.
La figlia di Francesco conserva l’anguria al fresco (mantiene lo spasimante sulla corda).

 

‘A furtuna è comm’ ‘o capitone, chiù penzammo d’ ‘a putè afferrà e cchiù ‘nce sciulia.
La fortuna è come l’anguilla, quando crediamo di averla presa, ci sfugge dalle mani (non va rincorsa ma attesa).

 

‘A fortuna è comme l’anguilla: cchiù penzammo d’ ‘a putè agguanta e cchiù ‘nce sciulia.

La fortuna è come l’anguilla: quando credi di averla afferrata sfugge.

 

 

’A furtuna è femmena puntegliosa.

La fortuna è una donna capricciosa. È risaputo che la fortuna non abbia schemi prevedibili e a volte sembra irridere, come una donna capricciosa che si diverte a fare dispetti.

 

 

‘A gatta d’ ‘o speziale, allecca ‘a fora ‘a puteca.
Il gatto del salumiere, lecca la vetrina dall’esterno (ottenere con la seduzione).

 

‘A gatta d’ ‘o studiente, magna ‘nu chilo e pesa tre quarte.
Il gatto dello studente, mangia un chilo e pesa sette etti e mezzo (chiede più di quello che gli è necessario).

 

‘A gatta ‘e dispenza, comm’ ‘a fa, accussì ‘a penza.
Il gatto di dispensa, come fa lei, così pensa degli altri (pensa che tutti si comportano come lei).

 

‘A gatta ‘e zi Mari, ‘nu poco chiagne e ‘nu poco ride.
Il gatto della signora Maria, un po’ piange e un po’ ride (è così che veniamo presi in giro).

 

‘A gatta quanno sent’ ‘addore d’ ‘o pesce, maccarune nun ne vo’ cchiù.
Il gatto, al sentire l’odore del pesce, rifiuta i maccheroni (con l’abbondanza arrivano i difetti).

 

‘A gatta pe’ ghjì ‘e pressa facette ‘e figlie cecate.
La gatta frettolosa fece i figli ciechi (ci vuole pazienza in tutte le cose).

 

‘A gatta quanno nun pò arrivà ‘o lardo dice ca’ fete.
Il gatto, non riuscendo ad afferrare il pezzo di lardo, dice che puzza (la supremazia dello sciocco).

 

‘A gatta scippa pure quanno l’accarizze.
Il gatto graffia anche quando l’accarezzi (fare del bene a volte può essere controproducente).

 

‘A gatta se sonna ‘e piscetielle fritte.
Il gatto sogna i pesciolini fritti (sperare va bene, però non abusiamo).

 

Agge sciorta e menate ‘a mmare.
Abbi fortuna e buttati a mare (augurio che si fa allo scocciatore nel mandarlo via).

 

A ghiuòrno se vèdono ‘e mmacchie!
È di giorno che si notano le macchie! (i contratti vanno firmati alla luce del sole).

 

Aglie, fravàglie e fattura ca nun quaglie.

Aglio, fragaglia, e fattura che non coglie. Formula contro il malocchio resa famosa da Pappagone-Peppino De Filippo: «Aglio, fravaglio, fattura ca nun quaglio, corna, bicorna, capa r’alice e capa r’aglio».

 

Aiutammo ’a varca!

Aiutiamo la barca! Quando la situazione diventa difficile serve la mano di tutti gli interessati. Se la barca affonda chiunque voglia voglia sopravvivere volente o nolente deve darsi da fare.

 

Aìza ncuollo.

Togliti di torno! Non sei più gradito quindi cerca di sparire al più presto. Alza i tacchi  Sparisci!

 

A lavà ‘a capa ‘o ciuccio se perde ‘o tiempo, l’acqua e ‘o sapone.

A lavare la testa all’asino si perde tempo, acqua e sapone (spiegare più volte una cosa a qualcuno senza che questi abbia capito un tubo)   

 

A lanterna ‘mmano ‘o cecato,

Quest’espressione in dialetto napoletano  viene utilizzata con disappunto quando qualcosa di utile finisce nelle mani di qualcuno che non sa apprezzarne il valore. La si usa per sottolineare la scelta errata di porre la figurata lanterna proprio nelle mani di qualcuno che non può farne uso appieno e che non può dunque arrecare giovamento neppure a terzi.Pronunciare “a lanterna mmano a ‘o cecato” è perciò un modo per esprimere frustrazione o per rendere nota delusione e inutilità

 

A lira fa ‘o ricco, a crianza fa o’ signore.

Tradotto letteralmente in “La lira fa il ricco, ma l’educazione, le buone maniere, fanno il signore”,   Questo famoso e colorito modo di dire  napoletano significa che il denaro fa il ricco, ma l’educazione fa il signore. É facile intuire come la ricchezza non fa di una persona un galantuomo, ma è il suo modo di comportarsi, il rispetto che ha verso gli altri.

Il popolo napoletano,nella sua filosofia di vita  ha sempre  distinto  in maniera piuttosto netta la ricchezza materiale da quella spirituale  riconoscendo solo in quest’ultima   la reale “nobiltà”. Il vero ricco, il signore,: egli potrebbe  quindi essere chiunque, indipendentemente da quanto denaro possegga , a patto che sia gentile e conosca la ” creanza “. E sottolinea sopratutto il fatto che se anche hai tanti soldi non puoi essere mai un signore se a questi non sono acompagnati anche valori come nobiltà d’animo , buone maniere von connotazioni morali.

 

‘A lira  fa’  ‘o ricco  a crianza fa o’ signore .

I soldi fanno il ricco , ma è l’educazione a fare il signore

 

A iurnata è ’nu muorz.’A lira  fa’  ‘o ricco  a crianza fa o’ signore .

La giornata è un morso, è breve. È un invito a darsi da fare a chi tentenna troppo, in senso concreto o figurato.

 

Aje cacciato sta vongola!

Hai tirato fuori questa vongola! Il commento all’affermazione di una persona che ha usato un’espressione particolarmente volgare e inopportuna.

 

’A l’amici e pparienti, nunn accattà e nnu’ vvénnere niente.

Dagli amici e dai parenti non comprare e non vendere niente. Concludere affari con amici e parenti non di rado si rivela controproducente. Porta a contrasti e liti molto sgradevoli. Quindi si interroppono amicizie e si aprono lunghe polemiche tra parenti. Il proverbio è di origine siciliana: Amici e parenti, ‘un accattari e ‘un vinniri nenti. Ma il significato è lo stesso.

 

Alla sanfrason.

Dal francese sans façon. Fare qualcosa alla carlona, con superficialità senza criterio, in maniera negligente e svogliata.

 

All’anema da’ palla!

All’anima della balla! Questa sì che l’hai sparata grossa.

 

Allerta pe scummessa.

In piedi per scommessa. Una persona che per motivi fisici o morali appare molto instabile. Traballante. Il consiglio a non fare troppo affidamento su qualcuno perché le sue condizioni sono troppo precarie

 

A lietto astritto, cuccate ammiezo.
Sul letto stretto mettiti al posto di centro.

 

A lo friere siente l’addore! A li cunte siente dulore!
Con il fritto senti l’odore, al momento di pagare sentirai dolore.

 

‘A lucerna senz’uoglie se stuta
La lampada senza l’olio si spegne (bisogna alimentare sempre i sentimenti).

 

’A mala nuttata e a’ figlia femmena!

La cattiva nottata e la figlia femmina. Fino a pochi anni fa l’aspirazione dei padri era il figlio maschio. Di conseguenza la figlia femmina nata in una notte travagliata era un doppio guaio. Un detto quindi riferito alla coincidenza di due eventi negativi.

 

’A mamma d’’e fesse è sempre prena.

La madre dei fessi e sempre incinta. Detto che non ha bisogno di commenti perché esiste anche la versione italiana: «La mamma degli imbecilli è sempre incinta». Infatti, il mondo è sempre stato pieno di imbecilli, spesso non solo idioti ma anche malvagi, e continuerà ad esserlo.

 

’A mamma è semp’essa, ’o pate pô essere.

La madre è sempre lei, il padre può essere. Dopo millenni di assoluta verità, negli ultimi anni questo proverbio può essere smentito dai fatti, grazie alla prova del Dna. In precedenza, era sacrosanto. Infatti, la madre era indiscutibilmente colei che lo aveva partorito. Il padre poteva essere chiunque. Addirittura, un uomo sconosciuto con cui la madre aveva avuto un rapporto occasionale. Tuttavia, esisteva persino una condizione che rendeva incerta anche la madre: la sostituzione, involontaria o fraudolenta, del neonato dopo il parto.

 

A mana è bona: è ’a valanza ca vo’ essere accisa…!

La mano è buona: è la bilancia che vuol essere uccisa ( (La dose è esatta, è la bilancia che sbaglia).I La frase nasconde il  tentativo del colpevole di far ricadere la colpa su chi è perfettamente estraneo alla vicenda. Così come il venditore disonesto attribuisce il comportamento truffaldino ad un difetto della bilancia allo stesso modo colui che agisce in malafede attribuisce la colpa ad una causa improbabile.

 

A marito muscio, mena assaje pepe e scioscia.
Al marito mollaccione, dagli molto pepe e soffia.

 

’A maronna t’accumpagna.

La frase risale al 700 quando l’illuminazione delle strade  a Napoli era inesistente ed è  legata ad un frate domenicano di nome Gregorio Maria Rocco , ma generalmente chiamato Padre Rocco. Il frate , tenuto in molta considerazione sia dal popolo che dalla nobilta, ‘ era molto influente ed ascoltato dai sovrani borbonici che si succedettero in quel periodo come Carlo III e Ferdinando IV .  I nobili venivano scortati da servi con lanterne mentre la povera gente, onde evitare brutti incontri, la sera si rintanava in casa. I delinquenti, ed erano molti, la facevano da padroni: essi si appostavano al buio tendendo una corda nella quale il malcapitato che inciampava, veniva immediatamente sopraffatto (da qui nacque il detto “e che te cride ca’ vaco a mettere ‘a fune ‘a notte”, per dire: non vado mica a rubare). Dopo un primo tentativo, di padre Rocco, di far mettere delle lanterne ad olio, che venivano prontamente distrutte dai ladri, al Domenicano venne l’idea vincente. Il sentimento religioso nei napoletani, anche nei ladri, é sempre stato molto forte allora, padre Rocco, ogni 5 o 6 case consegnava ai fedeli più devoti delle immagini sacre, invitando loro ad appenderle fuori casa ed ad accendervi un lume ogni sera. Ogni quartiere si impegnò a tenere le lampade a olio accese sistemate ai lati delle Madonne e così si riuscì ad illuminare le strade di Napoli anche di notte. Le lampade non furono più distrutte e Napoli ebbe la sua prima illuminazione. Da quel momento ogni volta che qualcuno varcava la soglia della propria casa per uscire, le madri o le mogli salutavano i propri uomini con questa frase: Va’, ‘a Madonna t’accumpagna!”. La città di Napoli, così, conobbe le sue luci notturne e fu senza dubbio sempre più sicura, a mano a mano che le edicole votive si estesero a tutto il territorio abitato. La frase è divenuta ancor più celebre dopo che il cardinale Sepe la utilizzò in occasione della sesta edizione della campagna di sensibilizzazione sulla sicurezza stradale: “A Maronna t’accumpagna… ma chi guida sei tu!”. Cioè la protezione della Madonna potrebbe non bastare quando l’imprudenza diventa eccessiva. In generale l’augurio che si rivolge a chi si mette in viaggio o si appresta ad una nuova avventura.

 

‘A meglia parola è chella ca nun se dice.

La parola migliore è quella che non si pronuncia, non si dice  (il più delle volte è meglio non rispondere alle provocazioni).  [A volte è meglio tacere].

 

 

‘A meglia vita è chella d’ ‘e vaccàre, pecchè tutta ‘a jurnàta manèano zizze e denare

La migliore vita è quella dei mandriani, perché tutta la giornata maneggiano mammelle (per la mungitura) e soldi (i proventi della loro attività).

 

A mente a mente.

Proprio mentre lo stavo pensando. Mi hai tolto la parola di bocca. Era proprio quello che stavo per dire.

 

A mise ’a lengua into ’o pulito.

Ha messo la lingua nel pulitoSi dice di persona che contrariamente al solito si sforza di usare un linguaggio più raffinatoUn commento ironico al tentativo faticoso di una persona abitualmente scurrile di usare un linguaggio forbito. Ma si dice anche di una persona molto semplice che nel rapporto con un mondo ritenuto più acculturato utilizza un linguaggio che non gli è consono.

 

Ammesùrate ’a palla!

Misurati la palla! Attenzione a quello che fai. Renditi conto della tua reale forza.

 

Ammiscà ’a lana c’a seta.

Mischiare la lana con la seta. Mettere sullo stesso piano cose o persone di ben diverso valore. L’equivalente di fare di tutta l’erba un fascioEquiparabile anche al biblico “non mischiare il grano con il loglio” (una pianta più nota come zizzania).

 

Ammore verace, primma s’appicceca e doppo fa pace.
Quando c’è vero amore, prima si litiga e poi si fa pace.

 

 

A mosca dint’o viscuvato.

La mosca nella cattedrale. Di solito non si usa in senso figurato ma più in concreto. Un oggetto troppo piccolo rispetto alle dimensioni che avrebbe dovuto avere per servire allo scopo. Misero.

 

‘A mugliera è sango ‘mprestato.
La moglie è sangue preso in prestito.

 

Ammuina è bbona p’ ‘a guerra.
La confusione va bene per la guerra (il disordine genera caos).

 

A na carocchia ‘a  vota  Pullicenelle accerette ’a mugliera.

“Carocchia” dopo “carocchia” Pulcinella uccise la moglie. “Carocchia” e un termine non traducibile in italiano, quindi si tratta di capire che cosa sia. È un “colpetto” dietro la nuca dato con le nocche della mano chiusa. In pratica con la mano conformata come quando si bussa ad una porta. Con la differenza che nel bussare si danno più tocchetti, con la “carocchia” si dà un solo colpo secco e doloroso. Quindi Pulcinella non ammazza la moglie a furia di “colpetti” ma semplicemente lo fa senza abbandonarsi ad atti di grave violenza. Con i buffetti non si ammazza nessuno, quindi, è evidente che Pulcinella di tanto in tanto un bel colpo alla moglie lo ha rifilava. Infatti, che la carocchia non sia un colpetto lo dimostra anche un altro modo di dire: ’Na brutta carocchia. Cioè una brutta mazzata, un duro colpo subito in relazione al lavoro, alla salute, all’autostima ecc. Il significato del proverbio, invece, si riferisce alla costanza di un’azione che per quanto non grave se protratta nel tempo diventa disastrosa.

 

A na recchia me trase e all’ata me jesce.

Da un orecchio mi entra e dall’altro mi esce. Non mi sfiorano neanche le tue considerazioni. Puoi dire tutto quello che vuoi tanto io nemmeno ti ascolto. Può indicare anche la persona che fa orecchie da mercante. 

 

A Natale tutte scurzetelle, a Pasca tutte mullechelle.
A Natale tutti gusci, a Pasqua tutte briciole (riferito al fatto che a Natale si mangia la frutta secca e a Pasqua i dolci).

 

‘A nave cammina e ‘a fava se coce.
La nave va e nel frattempo la fava si cuoce (Raggiungere più obiettivi insieme con un colpo di fortuna, senza stancarsi).

 

‘A nave ‘e Franceschiello: a prora se cumbatteva e a poppa nun se sapeva.
La nave di Franceschiello, a prora si combatteva e a poppa non si sapeva (si dice quando manca l’organizzazione nel fare le cose).

 

‘A nicessità rompe ‘a legge.
La necessita fa infrangere la legge.

 

Aniello ‘ca nun se pava nun se stima.

Un anello che non si è pagato non si stima.

 

A nomm’ ‘e Ddio!… E s’ammuccaje ‘na zeppola.
In nome di Dio! E addentò una frittella (le persone che meno ci aspettiamo possono tradirci).

 

Annuzzà ’ncànna.Aniello ‘ca nun se pava nun se stima.

Non riuscire ad ingoiare il boccone. Perdere qualcosa che si poteva ritenere acquisita.

 

Antrasatta.

All’improvviso.

 

A ’o ricco le more a mugliera, a ’o pezzente ’o ciuccio.A ‘o core nun se cummanna.

Al ricco muore la moglie, al pezzente il somaro. Considerazione molto cinica ma paradossalmente realistica. Per il povero il somaro è fondamentale alla sopravvivenza perché gli permette di lavorare. Quindi finché l’asino vive, campano tutti e tre, ma se muore l’asino i coniugi non avranno più mezzi di sostentamento. In realtà però il proverbio si riferisce alla malasorte che perseguita chi già se la passa male.

 

A ‘o core nun se cummanna.

Al cuore non si comanda.

 

 

‘A pacienza arriva fin’ ‘a cimma d’ ‘e capille e po’ te lassa.
La pazienza arriva fino alla cima dei capelli, poi ti lascia.

 

‘A pacienza vale cchiù d’ ‘a scienzia.
La pazienza vale più della scienza.

 

‘A panza è pellecchia, cchiù ‘nce miette e cchiù se stennècchia.
La pancia è fatta di pelle, più roba si introduce e più si distende (riferito all’uomo che non si accontenta mai.

 

A Papièto ‘nce fa acqua ‘a pippa!.
A Pietro la pipa fa acqua – Perde colpi (in genere ci si riferisce alla perdita della memoria).

 

‘A pàva ‘e surdato e ‘o sfizio ‘e generale.
La paga da soldato e le mansioni da generale (spesso le responsabilità sul lavoro non sono retribuite come meritano).

 

A ppava’ e a mmuri’, quanno cchiù tarde è pussìbbele.

Per pagare e morire, c’è sempre tempo.

 

A pisce fetiente.A

A pesci puzzolenti. Degenerare di una discussione dopo una fase di pareri contrapposti. Si tratta di uno scontro che può concludersi con le parole o con atti violento ma di sicuro con conseguenze difficili da sanare. 

 

A pesielle ne parlammo.

A pieselli ne parliamo. Cioè ne riparleremo quando i piselli saranno maturati. Non è ancora il momento ne riparleremo quando sarà il momento.

 

Appaùrate ‘e ll’acqua cheta, s’appantana e feta.
Preoccupati dell’acqua ferma, perché dopo un po’ emana cattivo odore (le persone silenziose, apparentemente innocue, se pungolate possono diventare molto pericolose e aggressive).

 

Appiccia ’na pippa.

Accende una pipa. Si dice di una persona che appena attacca a parlare non si ferma più incurante del fastidio che potrebbe arrecare e dell’insofferenza degli interlocutori.

 

Appizzà ’e recchie.

Tendere le orecchie. Prestare attenzione a quello che si ascolta.

 

A primma trasetura, guardateve ‘e ssacche!
Appena entrate, fate attenzione alle tasche (entrando nei locali pubblici, sui tram e sui treni, per prima cosa bisogna guardarsi dai ladri.

 

‘A pràteca spràtteca, e ‘a scola ‘nzegna.
La pratica rende pratici e la scuola insegna (la strada insegna più della scuola).

 

‘A pulizzìa, sulo dint’ ‘a sacca nunn’ è bbona!
Solo nella tasca non e buona la pulizia (senza soldi in tasca si vive male).

 

A Pullecenella ‘o vedono sulo quanno va ‘ncarrozza.
Pulcinella è notato solo quando va in carrozza (le persone agiate sono invidiate, ma quando lavorano sodo per potersi permettere gli agi, nessuno le nota).

 

’A puttana è furtunata, ma è sempre puttana.

La prostituta può anche essere fortunata, ma sempre prostituta resta. Si riferisce alle persone di poco valore, o di dubbi principi, che per la loro mancanza di scrupoli vivono in condizioni vantaggiose. Tuttavia, i risultati ottenuti con la mancanza di moralità non sono sufficienti a nascondera la sua meschinità.

 

A Quaraesema, va ‘o scerocco dint’ ‘e vruòccole.

Quando arriva la Quaresima il vento di scirocco entra nei broccoli.

 

‘A raggiona è d’e fesse.

La ragione è degli stupidi.

 

 

Arbere e figli s’adderizzano quanno so’ piccirille.

Alberi e figli si correggono quando sono piccoli.

 

Aria netta nun ave paura ‘e tronole.
L’aria pulita non teme i tuoni (l’uomo che vive onestamente non ha paura di niente).

 

Arrassusia.

Lontano sia. Dio non voglia! Non sia mai! ma anche in senso ironico: casomai.

 

A refrische ’e ll’anime d’o priatorio.

A suffragio delle anime del Purgatorio. Preghiere per alleviare le pene delle anime del Purgatorio. È una ulteriore espressione del rapporto che hanno i napoletani con il culto dei morti. Un esempio monumentale di questo culto è riscontrabile nella storia del Cimitero delle fontanelle , un ossario contenente  decine di migliaia, forse milioni di resti umani. I resti delle “anime pezzentelle”, ovvero delle persone povere che vi sono state sepolte. Intorno a questi resti, ai teschi per la precisione, si sviluppò un fenomeno che stava raggiungendo livelli di feticismo e superstizione molto esasperati per cui nel 1969 l’allora arcivescovo di Napoli, Cardinale Ursi, fece chiudere il sito. Che comunque è stato messo insicurezza e riaperto nel 2006, dapprima per pochi giorni nel Maggio dei Monumenti a adesso tutto l’anno diventando nonostante la sua macabra connotazione un’affascinante attrazione turistica.

 

’A regina avette bisogno d’’a vicina.

Anche la regina ebbe bisogno della vicina. Nessuno può vivere senza avere almeno una volta bisogno di una mano tesa. Chiunque può trovarsi nelle condizioni di aver bisogno d’aiuto, anche coloro che per la loro alterigia vivono isolati dal resto del mondo.

 

‘A ramma ‘a sceriàmmo e appennìmmo, e sempe cchiù belle parìmmo.
Le stoviglie di rame le puliamo e le appendiamo, così sembrerà tutto più bello.

 

Arrimediammo pe’ mo’, ca po’ Ddio ‘nce penza.
Arrangiamoci per ora, poi ci penserà Dio (la speranza è l’ultima a morire).

 

Armammece e partite  ( gghiate ) 

Armiamoci e andate! Il criterio che utilizza colui che fa grandi progetti, programma grandi impegni ma autoescludendosi e facendo affidamento solo sugli altri per la realizzarli.

 

Aró t’avvìe senza mbrello?

Dove vai senza ombrello? Si dice scherzosamente di chi si avvia a fare qualcosa senza averne la piena consapevolezza.

 

Aspiette, ciuccio mio, ca mo’ arriva ‘a paglia nova.
Aspetta, asino mio, che sta per giungere la paglia nuova.

 

Astipa e miette ‘ncore, quanno è tiempo caccia ‘o fore.
Conservalo nel cuore, al momento opportuno tiralo fuori.

 

Astipate ‘o piezzo janco pe’ quanno veneno ‘e tiempe nire.
Conserva il pezzo bianco per quando arrivano i tempi neri (il “pezzo bianco” è il pane da conservare per i tempi di magra).

 

Aurio senza canisto, è comme si nun l’avisse visto.
L’augurio senza dono, è come se non l’avessi avuto.

 

A santa Lucia ‘a jurnata fa ‘nu passo ‘e gallina; a sant’Aniello fa ‘nu passo ‘e pucuriello.
A santa Lucia la giornata fa un passo da gallina; a sant’Aniello ne fa uno da agnello (a Santa Lucia la giornata è più corta mentre a Sant’Aniello il giorno si allunga)

 

‘A salute s’abbusca e nun s’accatta.
La salute si riceve in dono, non può essere comprata.

 

‘A scalogna d’ ‘o ‘mbrello è quanno chiove fino fino.
La disgrazia dell’ombrello è la pioggia sottile (se c’è diluvio c’è più gusto)

 

.‘A sfrunnata ‘e l’albere ne parlammo.
Quando cadranno le foglie dagli alberi ne riparliamo (si dice quando si vuole prendere del tempo per fare una cosa)

 

A scigna ’ngopp’o’ rucchiello.

La scimmia sul rocchetto. Il rocchetto è cilindro intorno al quale è avvolto il filo per cucire. Nel detto però sono da intendersi i cilindri rotanti dei circhi sui quali le scimmie cercano di rimanere in equilibrio. In alcune occasioni si riferisce  ad una persona sgraziata o ridicola. Ma spesso indica una persona, ma anche un bambino, che per qualche motivo si sono posti in una situazione di equilibrio instabile. Non viene mai utilizzata in senso figurato.

 

A sciorta d’o piecoro: nasce curnuto e more scannato!

La fortuna dell’agnello, nasce cornuto e muore sgozzato! Una persona contro cui la vita si accanita in tutti i modi. Un predestinato alla malasorte.

 

A sciorte ’i cazzette: iette pe ppiscià e se nne carette.

La fortuna di cazzetto: andò per urinare e se ne cadde (il pene). Sfortunati che di più non si può. Persino nelle azioni che sembrano orientate al successo la sfortuna si accanisce contro di lui.

 

‘A scopa nova scopa buono sulo tre ghiuorne.
La scopa nuova spazza bene solo per tre giorni.

 

’A signora e quatti-quatte.

La signora con quattro quarti di nobiltà. È un’espressione ironica per indicare che si è in possesso di un’ascendenza molto antica. Per la precisione è una formula che viene usata per coloro che hanno entrambi i genitori discendenti da una famiglia di antica nobiltà. Il proverbio si riferisce a certe donne che, nonostante la loro modesta e risaputa condizione, assumono atteggiamenti da grandi aristocratiche. Un atteggiamento che contraddistingue spesso la gente che nel linguaggio popolare dispregiativo vengono definiti: «pezzient’ sagliut’», pezzenti arricchiti. Da non confondere con il “self made men”, l’uomo che si è fatto da sé, partendo dal nulla e arrivando all’apice del successo. Il pezzente arricchito è una persona che si è elevata senza grandi meriti o in conseguenza di eventi speculativi e non sempre leciti. Quindi è una persona piuttosto grossolana che cerca di scimmiottare il comportamento dei membri dell’alta società. Un tentativo di imitazione che lo rende goffo e spesso oggetto di derisione. Tuttavia, quando si trova a confronto con i suoi “ex pari” diventa arrogante e fa il possibile per evitarli.

 

 

Assa’ fa’ ’a Maronna.

Lascia fare alla Madonna. Affidati alla Madonna ma anche ringrazia la Madonna perché tutto si è risolto per il meglio.

 

 

Assiccà ’o mare cu ’a cucciulella.

Prosciugare il mare con una piccola conchiglia. Vivere in ristrettezze con mezzi appena sufficienti a tirare avanti. Cercare di raggiungere uno scopo con mezzi assolutamente inadeguati.

 

Assistito o cabbalista.

Tra i giocatori del lotto esisteva la convinzione che alcuni soggetti avevano il dono della divinazione. Erano i cabalisti, detti anche assistiti, che fornivano i numeri da giocare in cambio di un piccolo compenso

 

A stracce e petacce.

A stracci e brandelli. Dare o fare le cose tra mille lungaggini. Magari anche ad arte, nella speranza che con il protrarsi del tempo l’incombenza possa abortire.

 

Astreco e cielo.

Lastrico solare e cielo. Definizione per un alloggio all’ultimo piano di un immobile.

 

A ‘stu munno ‘nce stanno tre specie d’omme: Uommene, uomenicchie e quaquaraquà.
Sulla terra vi sono tre categorie di uomini: Uomini, ominidi e nullità.

 

A ‘stu munno sulo ‘o cantero è nicessario.
A questo mondo è necessario solamente il pitale.

 

A tale e quale.

La tale e quale. La fotografia.

 

A ting-tang.

La bicicletta.

 

Avanzaie Garibarde, avanze pure tu!

Avanzò Garibaldi, avanza anche tu! Modo scherzoso per ritardare un pagamento. Se avanzò Garibaldi per conquistare l’Italia puoi avanzare (aspettare) anche tu prima di riscuote quanto ti debbo. Il creditore ovviamente non sempre apprezza questa battuta “scherzosa”.

 

’A vecchia adda murì ma ’a giovane po’ murì.

La vecchia deve morire ma la giovane può morire. È una morale simile alla poesia di Totò, ’A livella. Per la morte ogni essere umano è uguale: giovane, vecchio, buono, cattivo, ricco, povero ecc.

 

‘A vecchia all’otto e maggio vuttaje o trapanaturo ‘ncoppa ‘o ffuoco.
L’otto maggio la vecchia mise un ciocco sul fuoco (a maggio può ancora far molto freddo)

 

’A vecchia ‘o Carnevale.

La vecchia del Carnevale. Nel simbolismo religioso della tradizione napoletana rappresenta la Quaresima: una vecchia brutta e grinzosa, vecchia e sdentata con un Pulcinella sulle spalle che gli tiene le gambe strette sui fianchi. La metafora del passaggio dal Carnevale alla Quaresima. In senso figurato indica una donna particolarmente brutta, abbigliata e truccata in maniera eccessiva.

 

’A vecchia putente.

La vecchia potente. Sant’Anna, madre della Madonna. Venerata in gran parte del Meridione è anche protettrice di Boscotrecase, località salvata da un suo miracoloso intervento. Infatti durante l’eruzione del Vesuvio del 1906 il popolo terrorizzato, contro il volere del parroco, “sequestrò” la secentesca statua lignea di Sant’Anna e la portò in processione nel vallone dove più pericolosa scorreva la lava. I fedeli inginocchiati intorno alla statua, piangevano e pregavano invocando protezione. Ed ecco che il miracolo supplicato arrivò: la lava, rallentò dapprima e poi si fermò. Esaurì la sua forza e si fermò a una decina di metri dalla statua di Sant’Anna. Questi eventi sono narrati anche da Matilde Serao sul quotidiano che dirigeva all’epoca, Il Giorno.

 

‘A vocca ‘nchiusa nun traseno mosche.

Nella bocca chiusa non entrano le mosche. È meglio tacere, che dire cretinate.

 

Aumm aumm

Parola onomatopeica che si potrebbe tradurre con: “acqua in bocca”. In gran segretoDi solito riferito a qualcosa di poco pulito da realizzare clandestinamente.

 

Avàsciame ‘o donno e aìzame ‘a mesata.
Riducimi il don e aumentami lo stipendio (la persona venale preferisce ricevere meno titoli onorifici ma più soldi).

 

‘A verità è ‘a figlia d’ ‘o tiempo.
La verità è figlia del tempo.

 

‘A verità e comm’ ‘a l’uoglio, assomma sempe!.
La verità è come l’olio, sale sempre a galla

 

‘A vita è n’affacciata ‘e fenesta

La vita è un’affacciata di finestra (la vita è breve, bisogna viverla bene)

 

‘A vita è comme ‘a scala do vallenaro: è corta e chiena ‘e merda.

La vita è come la scala del pollaio: è breve e piena di merda.

 

A vita è tosta e nisciuno t’aiuta, e si ‘na vota quaccuno t’aiuta è pe’ te dicere “t’aggio aiutato”.

La vita è dura e nessuno ti aiuta, e se qualcuno una volta ti aiuta è per dirti “ti ho aiutato”

 

A’ vita è n’apertura e cosce e ‘na chiusura e cascia.

La vita è un’apertura di cosce e una chiusura di cassa. Inizia con un rapporto sessuale e termina con una chiusura di cassa (bara).Riferito al ciclo vitale.

 

 

Avutàto ‘o vicariello, mena ‘e vermicielli!.
Girato l’angolo, butta la pasta (la gente mostra interesse alle disgrazie altrui, ma una volta allontanatasi diventa indifferente).

 

Azzeccarse comm’a na sanguetta.

Attaccarsi come una sanguisuga. Persona estremamente invadente e fastidiosa.

 

A zeffunno.

In quantità enorme. Chiove a zeffunno: “piove a secchiate”, cade una pioggia torrenziale. Tené ‘nu zeffunno ‘e denare: è ricco sfondato. ‘Nce aggio apizzato denare a zeffunno: ci ho rimesso una quantità enorme di denaro.

 

’A zizzona e Battipaglia.

La grande zinna di Battipaglia. È una mozzarella di bufala prodotta a Battipaglia, caratterizzata dalle enormi dimensioni, fino a 5 chilogranni, e da una punta a forma di capezzolo: quindi la forma di un prosperoso seno femminile. Portata in auge dal film “Benvenuti al Sud” è divenuta marchio registrato e ha fatto nascere il Festival della Zizzona, che si conclude, e non potrebbe essere diversamente, con l’elezione “Miss Zizzona”: ragazza con un seno ultra prorompente. Questa squisitezza non ha potuto ottenere il marchio di mozzarella campana doc, nonostante lo a tutti gli effetti lo sia, a causa della sua caratteristica principale: il peso. Infatti per ottenere il marchio doc la mozzarella non deve superare il peso di 800 grammi.

 

Azz!

Perbacco!

 

Azzuppà ’o ppàne.

Inzuppare il pane. Divertirsi a fomentare una discussione accesa con le proprie battute.

 

 

Baccalà ‘e copp’ ‘e quartiere: se fa notte e nisciuno me ‘ncujeta.Baccalà dei quartieri: si fa notte e nessuno mi stuzzica.

 

Bella fuje ‘a festa: ‘nu poco scarzulella ‘e scisto.
La festa fu bella, ma carente di petrolio (gli ospiti a pranzo lamentano sempre la mancanza qualcosa).

 

Bella vita fosse; ma si durasse!
La vita sarebbe bella, se durasse (e cose belle non durano mai a lungo).

 

Bell’e bbuono.

All’improvviso. La rottura di un equilibrio. Quando tutto sembrava andare bene, di colpo scoppia l’imprevisto.

 

Bene mio e core mio

Bene mio e cuore mio. Mostrare affetto ipocrita per una persona che al contrario si detesta ma si ritiene utile per raggiungere i propri scopi.

 

Besogna ajutarse a ccauce e a mmuorze

Nella vita bisogna aiutarsi a calci ed a morsi. Sfruttare tutti i propri mezzi.

 

Bona Maria va sola p’ ‘a via.
La buona Maria va sola per strada (una persona che si comporta bene con tutti, non ha nulla da temere e camminerà sempre a testa alta).

 

Bonanotte ’o sicchio!

Buona notte al secchio. Non c’è più niente da fare al pari del secchio che se precipita in fondo al pozzo non si può più recuperare.

 

Bonanotte ai sunature!

Buonanotte ai suonatori! Una sorta di rassegnazione agli eventi: lasciamo perdere tanto ormai è fatta. Un punto fermo ad una situazione ormai irreversibile.

 

Bongiorn’ ‘e frasche, dicette ‘a crapa ‘nfaccia ‘o Bosco.
Buongiorno alle frasche, così salutò la capra al bosco – frasche = legna, rami, alberi.

 

 Bubbazza.

Un intruglio disgustoso. Un alimento immangiabile. Una produzione molto scadente

 

Buono sì, ma fesso no.

Sono buono, ma non fesso. Avvertimento a chi sta confondendo la disponibilità per stupidità. Di solito chi lo dice è arrivato all’esasperazione dopo essere stato beffato più volte.

 

 

Caccia’ fuoco pe’ l’uocchie.

Gettare fuoco dagli occhi. Infuriato. Con una rabbia difficile da contenere.

 

Cammina cammina pedezzullo, ca stenteniello sciala

Vai, vai piedino, che pancino gioisce (una passeggiata fa bene alla digestione)

 

 

Campà justo justo.

Vivere giusto giusto. Vivere con le risorse appena necessarie alla sopravvivenza. Fare i salti mortali per arrivare alla fine del mese.

 

 

Cane e cane nun se mozzecano
Tra cani non ci si morde (tra potenti non si litiga).

 

 

Cantà a ffronna ’e limone.

Cantare a fronda di limone. Canto dei venditori al mercato per richiamare gli acquirenti alla propria postazione. È anche un canto gergale e non comprensibile dai secondini per mandare dall’esterno messaggi ai detenuti.

 

Cca ’e ppezze e cca ’o ssapone.

Qui gli stracci e qui il sapone.Nessun pagamento posticipato. Pagamento cash alla consegna. Questo detto riporta ad un personaggio storico della tradizione napoletana: ’o sapunaro (il saponaio). Era un rigattiere ambulante che andava in giro raccogliendo abiti e oggetti usati barattandoli, in tempi più antichi, con sapone artigianale. Si potrebbe tradurre anche con un’antica formula circense utilizzata oggi in maniera ironica: pagare moneta, vedere cammello

 

Cca nisciuno è fesso.

Qua nessuno è fesso. In risposta a chi avanza proposte che vanno tutte a suo vantaggio ritenendo di poter ingannare l’interlocutore. La frase resa famosa anche da Totò che la strillò in una scena del film Totò d’Arabia.

 

Ccà sotto non ce chiove.

Qui sotto non ci piove. La frase è accompagnata dal gesto del dito indice puntato sotto il palmo della mano che funge da tettoia. Una minaccia nemmeno tanto velata che il torto subito non verrà dimenticato e sarà vendicato anche a distanza di anni. Comunque non si riferisce a vendette sanguinarie ma solo di risposte in tema a comportamenti deplorevoli di cui si è rimasti vittima.

 

 

Ccà stanno ’e guaghiune vuoste!

Qui ci sono i ragazzi vostri! Espressione scherzosa per indicare la propria disponibilità a seguire le istruzioni di una persona più preparata.

 

 

Cchiú nera d’ ’a mezanotte nun po’ venì!

Più nera della mezzanotte non può venire! Ormai è andato tutto nel peggiore dei modi. Abbiamo raggiunto il fondo. Adesso dobbiamo soltanto sperare di poter risalire.

 

 

Capa sciacqua.

Testa vuota. Persona di scarsa intelligenza ma anche inaffidabile. Ragazzo persona che nopn ne vuole sapere di “mettere la testa a posto”.

 

 

Càpe ’e pèzze.

Teste di pezze. Con ironia e senza simpatia si riferisce alle suoreLo spunto è dettato dal velo che copre interamente la testa delle monache lasciando fuori solo il viso.

 

 

Caporà è mmuorto ’alifante!

Caporale, è morto l’elefante. Chi continua a vantarsi di un passato che non esiste più. Il caporale era un vecchio soldato a cui Carlo di Borbone aveva affidato le cure di un elefante ricevuto in dono dal sultano di Turchia. Di questo incarico il militare ne fece un titolo di vanto e continuò a farlo quando, malauguratamente per lui, l’elefante morì. Ma dovette subire gli sberleffi impietosi del popolo napoletano: «“capurà è mmuorto ‘alifante nun si cchiu’ nisciuno».

 

 

Carte e femmene fanno chello ca vonno
Le carte da gioco e le donne fanno quel che vogliono (sono entrambe capricciose ed imprevedibili).

 

 

Casa senza femmena, varca senza temmone.

La casa senza una donna è come una barca senza timone. L’espressione si riferisce alle epoche durante le quali la donna era esclusivamente casalinga. Quindi, nella casa dove mancava una donna regnava il disordine e la trascuratezza. Si diceva infatti che un uomo, specie se rimasto vedovo e non più giovanissimo, dovesse risposarsi perché aveva bisogno di una moglie che “accudisse” lui e la casa. Oggi, si potrebbe pensare che queste parole non abbiano più senso, ma non è così.

 

Castagnelle p’abballà.

Castagnette per ballare. Le nacchere

 

Cazziata.

Energica ramanzina. Termine poco elegante ma molto efficace per indicare una paternale di quelle che non si dimenticano.

 

Ce dice.

Si addice. Un buon abbinamento.

 

Cerca ‘e mettere ‘a capa ‘a fa bene
Cerca di mettere la testa a posto e di rigare diritto.

 

Chella cammisa ca nun vo’ sta cu’ te’, pigliala e stracciala
La camicia che non vuole stare con te, prendila e strappala (se una persona non ti vuole, lasciala perdere).

 

Chello ca ‘a vecchia vulette ‘nzuonno le jette
Quello che la vecchia desiderava lo ebbe in sogno (quando accade qualcosa di buono di cui quasi non si sperava più).

 

Chello ca nun se fa, nun se sape
Solo quello che non si fa non si saprà mai.

 

Chello ca pe’ te nun vuoje, pe’ l’ate nun sia
Quello che non vuoi per te non augurarlo agli altri.

 

Che te cride, ca Pasca vene sempe ‘e dummeneca?
Cosa credi, che Pasqua è sempre di Domenica? (del domani non c’è certezza).

 

Chi ‘a avuto, ‘a avuto, e chi ‘a dato, ‘a dato.
Chi ha avuto, ha avuto, e chi ha dato ha dato.

 

Chi ‘a fa se ne scorda, ma chi l’ave s’arricorda
Una cattiva azione è dimenticata da chi l’ha fatta ma non da chi l’ha ricevuta.

 

Chi ‘a femmena crede, Paraviso nun vede
Chi crede alle donne farà una vita d’inferno.

 

Chi ‘a mmasciata te porta, ‘ngiuria te vo fa
Chi ti riferisce fatti che ti riguardano lo fa con l’intenzione di ingiuriarti.

 

Chi ave ‘na cummedità e nun se ne serve, nun trova cunfessore ca l’assolve
Che possiede una comodità e non se ne serve, non trova confessore che lo assolve.

 

Chi ‘a vo’ cotta e chi ‘a vo’ crura
Chi la vuole cotta e chi la vuole cruda.

 

Chi arrobba poco arrobba assaie
Chi ruba poco per volta ruba di più.

 

Chi buono vo’ accumincià, figlia femmena adda fa
Chi bene vuol cominciare deve fare una figlia femmina.

 

Chi cagna ‘a via vecchia pe ‘a nova sape chello ca lassa e no’ chello che trova
Chi cambia la strada vecchia per la nuova sa ciò che lascia ma non quello che trova.

 

Chi campa d’entrata, campa penato
Chi vive di stipendio, vive di stenti.

 

Chi campa deritto campa affritto; chi campa sturtariello campa bunariello
Chi campa rettamente, vive di stenti; chi campa di espedienti, vive benino.

 

Chi cchiù allucca cchiù ave raggione
Chi più grida, più ha ragione.

 

Chi cchiù spenne meno spenne
Chi più spende meno spende (volte spendendo di più si risparmia).

 

Chi chiano cammina fa bona ‘a jurnata
Chi cammina piano ha una buona giornata (chi va piano va lontano).

 

Chi cumanna nun suda
Chi comanda non si affatica.

 

Chi dorme sulo, largo se cocca
Chi dorme da solo sta più comodo.

 

Chi bella vo’ pare’, pene e gguaje hadda pate’.

Chi vuole essere bella deve patire guai e pene. Un esempio fra tutti: una dieta ferrea per la prova costume.

 

Chi l’aiza ’na vota l’aiza sempre.

Chi l’alza una volta l’alza sempre (riferito alla gonna). Un’espressione di chiara matrice maschilista scolpita nella roccia, almeno fino alla metà del secolo scorso. C’era molta tolleranza nel tradimento degli uomini, ma una condanna senza appello per la donna. Stesso discorso per le abitudini sessuali. Un uomo con molte donne era uno sciupafemmine una donna (nubile o sposata) che aveva anche un solo rapporto sessuale con un uomo era una “zoccola”. Anche se il proverbio lascia chiaramente intendere che il soggetto sia una donna, in pratica si può estendere a tutti coloro che commettono qualche cosa di riprovevole. Come, ad esempio, tradire la fiducia di una persona amica. Moralmente è un’azione ignobile. Per cui chi si è comportato una volta con tanta meschinità non potrà più godere della fiducia di chi ne è al corrente.

 

Chi m’a cecato? 

Chi mi ha accecato. Ma chi me l’ha fatto fare di impelagarmi in questa situazione? Come ho fatto ad essere così cieco da non accorgermi del guaio in cui mi stavo cacciando?

 

Chi nasce ciuccio, ciuccio se ne more.

Chi nasce asino, asino rimane.

 

Chi nun è bbuono p’’o Rre nun è buono manco p’’a Riggina.

Chi non è buono per il re, non è buono neanche per la regina. Quando servivano tanti soldati da mandare al fronte, non era facile essere scartati alla leva, per cui chi era rimandato a casa si riteneva avesse seri problemi. Senza contare che se ne stava a casa lontano dai pericoli che correvano i suoi mancati commilitoni. Di conseguenza non godeva di grande stima e, almeno in teoria, si riteneva che non avesse tutte le carte in regola per soddisfare una donna.

 

Chi se mette appaura nun se cocca cu’’e femmene belle.

Chi ha paura non va letto con le donne belle. Nella vita non bisogna essere troppo timorosi. Un pizzico di coraggio è necessario per raggiungere qualsiasi traguardo, piccolo o grande che sia.

 

Chi tène belli denari sempre conta, chi tène bella mugliera sempre canta.

Chi ha denari in abbondanza sempre conta, chi tiene una bella moglie sempre canta. La ricchezza rende importante anche le persone che altrimenti conterebbero poco. Ma una bella moglie rende felice il marito e gli rallegra la vita.

 

Chi tène mamma nun chiagne.

Chi ha la mamma non piange. La mamma è disposta a fare qualsiasi cosa per il proprio figlio, di conseguenza rappresenta per lui un punto di riferimento anche nei momenti peggiori.

 

Chi te vo’ bene chiù d’’a mamma te ’nganna.

Chi ti vuole bene più della mamma ti inganna. L’amore di una mamma per i propri figli non ha uguali. Questo vale sia nel mondo degli umani che in quello animale. Per sottrarre il cucciolo alla propria madre bisogna ucciderla o comunque ricorrere alla violenza. La mamma “umana” ama i propri figli aldilà di ogni considerazione logica. Li protegge e li difende contro tutto e contro tutti. Anche qualora sia consapevole che non lo meriterebbero.

 

Chi vene appriesso s’u chiagne.

Chi viene dopo se lo piange. Se la sbriga il prossimo che arriva.Tirarsi fuori da una situazione difficile lasciando ai successori tutti i problemi irrisolti.

 

Chiachiello.

Persona di poco valore. Un chiacchierone che alle parole non fa mai seguire i fatti. Un uomo che non onora la parola data.

 

Chiochiaro.

Babbeo. Persona goffa, imbranata, impacciato, grossolano.

 

Chiste è u paese ’i Mastu Rafele.

Questo è il paese di Mastro Raffaele. Luogo dove ognuno fa il comodo suo e il caos regna sovrano.

 

Chiste so’ nummere!

Questi sono numeri! Cose da pazzi! Come è possibile? La straordinarietà di questi fatti merita la ricerca dei numeri equivalenti sulla Smorfia per poterli giocare al Lotto.

 

Chi è malamente, dice ‘o male ‘e tutte quante

Il malvagio parla male di tutti (chi è cattivo crede che tutti gli altri siano come lui).

 

Chi chiagne fotte a chi ride

Chi piange frega a chi ride.

 

Chi è parente d’ ‘a coppola va p’ ‘a casa e ‘ntroppeca; chi è parente d’ ‘o maccaturo va p’ ‘a casa e va sicuro
Il parente del berretto gira per casa e inciampa; il parente del fazzoletto gira per casa con sicurezza.

 

Chi è puntuale è patrone d’ ‘a sacca ‘e l’ate
Chi è puntuale nel pagare alle scadenze è padrone della tasca altrui.

 

Chi è puveriello ‘e denare, è ricco ‘e core
Chi è povero è sempre buono.

 

Chi fa ‘a legge l’adda rispettà
Chi fa la legge deve per primo rispettarla.

 

Chi fatica ‘o ghiuorne ‘e festa, niente le resta
A chi lavora nel giorno festivo non rimane nulla.

 

Chi fatica magna; chi nun fatica magna e beve
Chi lavora mangia: chi non lavora mangia e beve.

 

Chi forza nun ave, s’arma ‘e ‘ngegno
Chi non ha forza si arma d’ingegno.

 

Chi fraveca e sfraveca nun perde maie tiempe

Chi fa e disfa non perde mai tempo (a volte si fa prima a ricominciare tutto da capo).

 

Chi gliotte sano, more affocato.

Chi inghiotte sano, muore soffocato. Chi scialacqua tutto quello che possiede finisce per restare senza niente.

 

Chi guverna ‘a robba ‘e ll’ate nun se cocca senza cena
Chi amministra i beni altrui non va a letto senza cena.

 

Chi jetta strille, gran dulore sente
Chi urla forte sicuramente sta soffrendo.

 

Chi magna a Natale e pava a Pasca, fa ‘nu buono Natale e ‘na mala Pasca
Chi mangia a Natale e paga a Pasqua farà un buon Natale ed una cattiva Pasqua (facendo debiti si risolvono le cose solo temporaneamente).

 

Chi magna sol iss ‘saffoga

Chi non condivide il proprio benessere con altri non riesce a godere dei propri beni

 

Chi mette ‘a pezza a colore, è ‘o vero duttore
Chi mette la “pezza a colori” è il vero dottore (Chi riesce a trovare una buona giustificazione ad una sua mancanza, è in gamba).

 

Chi ‘mpasta assaie fa ‘o ppane bbuono
Chi impasta a lungo fa il pane saporito (colui che lavora molto avrà buoni frutti.

 

Chi nasce afflitto more scunzulato
Chi nasce pessimista vivrà male

Chi nasce ciuccio nun po’ murì cavallo
Chi nasce asino non potrà diventare cavallo (non si può cambiare razza nel crescere).

 

Chi nasce p’a’ forca nun more pe’ mare

Chi nasce per la forca non può morire in mare. Non puoi cambiare il tuo destino.

 

Chi nasce tunno nun po’ murì quadro
Chi nasce tondo non potrà finire quadrato.

 

Chi ‘nfruce nun luce

Chi nasconde non è chiaro.

 

Chi nun sta ‘a sentì a mamma e pate va a finì addò nun sape
Chi non ascolta i consigli dei propri genitori non sa dove andrà a finire.

 

Chi nun accatta e nun venne, nun saglie e nun scenne
Chi non compra e non vende non guadagna e non perde.

 

Chi nun accetta, nun merita
Non accettare un dono significa non meritarlo.

 

Chi nun conta denare, nun se sporca ‘e mane
Chi non maneggia il denaro, non si sporca le mani.

 

Chi nun po’ magnà carne, s’accuntenta d’ ‘o brodo
Chi non può permettersi la carne si deve accontentare del brodo.

 

Chi nun refonne, nun perde
Chi non ci rimette non perde.

 

Chi nun s’ ‘a po’ piglià cu ‘a chiesia, s’ ‘a piglia cu ‘o campanaro
Chi non può prendersela con la chiesa, se la prende col sagrestano (quando non possiamo arrivare al potente, cerchiamo un capro espiatorio più debole).

 

Chi nun sape chiagnere, nun sape manco ridere
Chi non sa piangere è insensibile anche alla gioia.

 

Chi nun semmena, nun raccoglie
Chi non semina non raccoglie.

Chi nun sta dinto ‘o mulino nun se ‘nfarina
Chi non usa la farina non si imbiancherà le mani (chi non partecipa all’azione non avrà meriti.
Chi nun tène che perdere, arreseca
Chi non ha nulla da perdere, rischia (tentare il tutto per tutto).
Chi nun tène denari, ave sempe tuorto
Il povero che non ha soldi ha sempre torto.
Chi nun tène denari, va facenno zelle
Chi non ha soldi va in giro a fare debiti
Chi nun tène diebbete, è ricco
Chi non ha debiti è un uomo ricco.
Chi nun vo’ perdere, ca nun ghioca
Chi non vuole perdere, non deve giocare.
Chi parla assaje, arraggiona sempe poco
Chi parla troppo di solito ragiona poco.
Chi passa currenno, nun se n’addona
Chi passa correndo non se ne accorge nella fretta non notiamo ciò che succede intorno a noi).
Chi pava ‘o diebbeto, acquista capitale
Pagare un debito è come costituire un capitale (per “capitale” si intende il buon nome).
Chi pe’ ‘stu mare va, chisti pisce piglia
Chi va per questo mare, questi pesci prenderà.
Chi pecura se fa, ‘o lupo s’ ‘o magna
Chi si fa pecora il lupo se lo mangia (quando si è troppo buoni la gente ne approfitta)

Chi  assume un atteggiamento dimesso, verrà sopraffatto dal più forte.

Chi penza troppo more ampressa
Chi pensa troppo, morirà presto.
Chi poco tene caro tene
Chi poco possiede se lo tiene da conto.
Chi ponta ‘a cicciuvettola, guaragna
Chi punta sulla civetta guadagna (la civetta è simbolo di malaugurio, per cui è un detto propiziatorio).
Chi primma nun penza, doppo se pente
Chi agisce senza riflettere dopo se ne pentirà.
Chi ringrazia esce for’ obbligo
Chi ringrazia si libera dall’obbligo.
Chi rompe pava e chi scassa acconcia
Chi rompe paga e chi danneggia ripara.
Chi s’aiza ‘a matina, s’abbusca ‘o carrino; chi s’aiza ‘o ghiuorno s’abbusca ‘nu cuorno
Chi si leva di buon mattino, guadagna soldi; chi si alza a giorno fatto, avrà un bel niente.
Chi s’annammora d’ ‘e capille e d’ ‘e diente, nun s’annammora ‘e niente
Chi si innamora dei bei capelli e dei denti, non è innamorato di niente (la bellezza è effimera, infatti, i capelli e i denti sono due cose che con gli anni si perdono)
Chi saglie e scenne ‘e scale d’ ‘e pagliette, nun passa tiempo ca s’arricetta
Chi sale e scende le scale degli avvocati, presto finirà male.
Chi se fa masto, va dint’ ‘o mastrillo
Chi si dice esperto, finisce in trappola.
Chi se guarda ‘o ssujo, nun fa latro ‘a nisciuno
Chi ben custodisce i propri beni non rende ladro nessuno.
Chi se mette appaura, nun se cocca cu ‘e femmene belle
Chi ha paura non andrà a letto con le belle donne (è difficile che il timido faccia colpo sulle belle ragazze).
Chi se mette pe’ mmare, adda sapè primma anatà
Chi va per mare deve saper nuotare (prima di cominciare qualcosa, è bene sapere a cosa si va incontro)
.Chi se ‘ntrica, resta ‘ntricato
Chi cerca di imbrogliare rimane imbrogliato.
Chi se perde pe’ ‘o troppo sapè e chi pe’ nun addumannà
C’è chi si perde perché crede di sapere tutto, e chi, invece, per non chiedere ad altri.

 

 

Chi se piglia, s’assumiglia
A volte si sceglie il partner a cui si assomiglia.

 

Chi se ricusa, è miezo vattuto
Chi si contraddice, è per metà sconfitto.

 

Chi se sceta pe’ primma se beve ‘o latte
Chi per primo si sveglia beve il latte.

 

Chi semmena ‘o grano nun coglie ardica
Chi semina grano non raccoglie ortiche.

 

Chi semmena spine nun adda ji scauzo
Chi semina spine non deve camminare scalzo.

 

Chi sparte piglia ‘a peggia parte
Chi fa le divisioni riceve la parte peggiore.

 

Chi sta vicino ‘o sole, nun sente friddo
Chi sta vicino alla fonte di calore non sente freddo (chi ha protezione si sente tranquillo).

 

Chi te sape nun t’accatta
Chi ti conosce non cercherà di comprarti.

 

Chi te sape t’arape
Chi ti conosce ti apre e ti deruba.

 

Chi tene ‘a lengua va ‘nZardegna
Chi ha la lingua arriva in Sardegna.

 

Chi tène assai nemice nun more maie
Chi ha molti nemici vive a lungo.

 

Chi tène belli denare sempe conta; chi tene bella mugliera sempe canta
Chi ha bei denari sempre conta; chi ha bella moglie sempre canta.

 

Chi tène cchiù povere spara
Chi ha più polvere spara.

 

Chi tene cchiù sante va ‘mParaviso
Chi ha più santi va in paradiso (in tema di raccomandazioni).

 

Chi tene ‘e crape, s’adda tenè pure ‘e corne
Chi possiede le capre deve tenersi anche le corna (chi vuole una cosa buona deve accettarne anche i lati negativi).

 

Chi tene mamma, nun chiagne
Chi ha la mamma non piange – poiché trova sempre conforto.

 

Chi tene ‘o pepe ne metta dint’ ‘a menesta
Chi ha del pepe ne metta nella minestra (se si ha qualcosa bisogna che si adoperi).

 

Chi tène tiempo, tène vita
Chi ha tempo ha vita (la fretta accorcia l’esistenza).

 

Chi tène vacche, ducate e turnese, sotto sotto se crère marchese
Chi possiede bestiame e soldi, in cuor suo si ritiene un nobile.

 

Chi tropp’ ‘a tira ‘a spezza

Chi troppo la tira, la spezza (chi chiede troppo alla fine non avrà nulla).

 

Chi troppo faticaje dint’ ‘a ‘nu sacco s’atterraje; si nun avesse faticato, manco ‘o sacco se sarria truvato
Chi troppo lavorò, fu seppellito dentro un sacco; se non avesse lavorato, non si sarebbe ritrovato neanche il sacco.

 

Chi tròppo vo’ magnà s’affòca

Chi è troppo avido nel mangiare si strozza.

 

Chi troppo s’avanta nun vale niente
Chi troppo si vanta non vale niente (solo l’inetto vanta se stesso.

 

Chi troppo vo’ sagliere, subbeto cade
Chi vuole salire in fretta in alto cadrà subito (le cose vanno fatte per gradi).

 

Chi troppo vò sparagnà, vene ‘a gatta e s’ ‘o magna
Chi troppo vuole risparmiare, arriva il gatto e se lo mangia (si fanno tanti sacrifici per risparmiare, alla fine i figli scialacquano tutto).

 

Chi va pe’ chistu mare, chisti pisce piglia
Chi va per questo mare, questi sono i pesci che prende.

 

Chi vò mettere ‘o pere ‘ncoppo ‘a tutte ‘e prete, nun arriva maje
Chi vuol poggiare il piede su tutte le pietre non arriva mai a destinazione (chi troppo vuole nulla stringe).

 

Chiamma a S. Paolo primma e vedè ‘a serpe
Chiede protezione a San Paolo ancor prima di vedere il serpente.

 

Chiamma mamma e pate a chi te dà ‘a magnà
Chiama madre e padre coloro che ti nutrono.

 

Chiano chianillo s’ ‘o pigliaie
Piano piano se lo prese (con calma ottenne ciò che voleva).

 

Chianu chiano ‘o coce e senza pressa ‘o venne
Lentamente lo cuoce e senza fretta lo vende.

 

Chella che chiù se nega allumma l’appetito.

La donna che più si nega aumenta il desiderio. È ovvio che più diventa lungo e difficile il corteggiamento più aumenta il desiderio per la donna che con il passare del tempo sembra diventare una chimera. Ma vale per ogni cosa che si desidera a lungo e sembra inarrivabile.

 

Che m’ammacche?

Che vai cianciando? Ma che assurdità mi stai raccontando?  Quali sciocchezze stai mettendo insieme.

 

Chesta è ’a zita e se chiamma Sabella.

Questa è la ragazza e si chiama Isabella. Questa è la situazione e non c’è nient’altro che posso fare per te, quindi ti devi accontentare o rassegnare!

 

 

Chiove dint’ ‘a terra toia
Piove nella terra tua (sei fortunato. Ti va tutto bene).

 

Chiove e maletiempo fa, ‘a casa ‘e ll’ate nun è buono a sta!
Piove ed è maltempo, non è bene stare in casa altrui.

 

Chiste so ‘e vere turmiente, quanno tutte magneno e uno tene mente
Questi sono i veri tormenti, quando tutti mangiano e uno soltanto guarda.

 

Chiste è u paese ’i Mastu Rafele.

Questo è il paese di Mastro Raffaele. Luogo dove ognuno fa il comodo suo e il caos regna sovrano.

 

Chiste so’ nummere!

Questi sono numeri! Cose da pazzi! Come è possibile? La straordinarietà di questi fatti merita la ricerca dei numeri equivalenti sulla Smorfia per poterli giocare al Lotto.

 

Chi tene a mamma nun chiagne’. (Chi ha la madre, non piange).

Questo modo di dire mette in evidenza l’importanza che i napoletani danno alla figura della  mamma, Essa viene da sempre considerata la colonna ed  il vero pilastro che sostiene la famiglia. Questo modo di dire sopravvisuto nei secoli nella nostra città e ripetuta continuamente in quasi tutte le case napoletane, vuole mettere ben in evidenza l’ amore e attaccamento che ogni  mamma ha  per i propri figli, un amore che notoriamente, supera ogni altri legame, tanto che difficilmente lascia che si allontanino, anche geograficamente. Non c’è dolore, predica il proverbio napoletano, che l’amore e la presenza di una madre non sappiano addolcire e non c’è avversità dalla quale una donna non proteggerebbe i propri figli.

 

Ciaccà e medecà.

Colpire a sangue e medicare. Rimproverare o redarguire in maniera dura per poi addolcire la pillola con qualche considerazione favorevole.

 

Ciceremmuolle.

Ceci ammollati. Complimenti eccessivi che possono sfociare nella piaggeria. Atti eccessivi di ossequio ma non sempre disinteressati.

 

Cielo a pecurelle acqua a carraffelle
Cielo a pecorelle acqua a boccette.

 

Cient’anne ‘e chiante nun pavano ‘na lira ‘e diebbeto
Cento anni di sofferenza non ripagano un piccolo debito.

 

Ciente carre ‘e penziere, nun pavano ‘nu sulo diebbeto
Meglio avere molti grattacapi che un solo debito.

 

 

Cinco e cinco ‘a diece, e ‘o parrucchiano ‘a quinnece

Cinque e cinque fanno dieci, con il parroco siamo a quindici.

 

 

Ciruzzo Caramella, quanno chiove porta ‘o ‘mbrello, quanno chiove fino fino, porta pure ‘o bastuncino
Ciruzzo Caramella, quando piove porta l’ombrello, quando pioviggina, porta pure il bastone (antico scioglilingua napoletano per bambini)

 

 

Ciuccio ’e carretta.

Asino di carretta. Un gran lavoratore. Uno stacanovista.

 

 

Ciuciulià.

Sussurrare, bisbigliare. Ma specialmente pettegolare.

 

 

Ciuotto ciuotto.

Sazio sazio. Riempito oltremisura da una grossa abbuffata.

 

 

Cola fatica e pezzecata magna

Nicola lavora e la “butterata” mangia.

 

Comm’a che!

Che di più non si può! Un qualcosa che rappresenta il massimoGruoss comm’a chegrandissimo, enorme.

 

Comm’è bera ’a morte.

Com’è vera la morte! Sicuro come la morte. Puoi essere certo di quello che ti sto dicendo. Puoi fare pieno affidamento.

 

Comme ’a mettimmo nomme?

Come le mettiamo nome? Come la chiamiamo? Una circostanza che si è complicata in maniera imprevista. Il problema è che sembra anche molto difficile trovare una soluzione.

 

 

Comme Catarinea, accussì Barbarea, come Barbarea accussì Natalea.

Come Catarenea, così Barbarea, come Barbarea così Natale. È una credenza popolare, ovviamente senza alcun riscontro scientifico. Tuttavia, si ritiene che le condizioni atmosferiche del giorno di Santa Caterina d’Alessandria (25 novembre) si ripetano nel giorno di Santa Barbara (4 dicembre) e a Natale.  

 

 

Comme Dio cumanna.

Come Dio comanda. In maniera perfettaUn lavoro fatto con grande professionalità.

 

 

Comme Catarenea, accussì Barbarea; comme Barbarea, accussì Natalea
Come sarà il tempo a Santa Caterina, così sarà Santa Barbara e così pure a Natale.

 

 

Comme dicette zi’ Nennella: è fernuta ‘a zezzenella!
Come disse la signora Anna: è finita la pacchia.

 

 

Conta, conta, e ‘o riavulo se piglia ‘a jonta
Conta, conta, che il diavolo si prenderà il di più (si dice degli avari che conservano vere fortune che lasciano quando muoiono).

 

Cravatta a rabbà.

La cravatta à rabat. Sorta di cravatta non annodata e rivoltata a larghe falde.

 

 

Cricco, Crocco e Manicancino.

Martinetto, Gancio e Mano con l’uncino. Combriccola di manigoldi. Ma di solito viene usato in maniera scherzosa per indicare un gruppo di sfaccendati il cui unico impegno è bighellonare.

 

 

Crisce santo.

Cresci santo. Si dice ai bambini dopo che hanno starnutito. Equivale al “salute!” per gli adulti.

 

 

Cu ‘a gente d’ ‘e ddoje porte, votta ‘o fierro areto ‘a porta
Con chi ha la casa con due ingressi, metti la sbarra dietro la porta.

 

 

Cu ‘a prova se cunosce ‘o mellone!
Con la prova si vede l’anguria! (Bisogna sempre accertarsi per essere sicuri).

 

 

Cu ‘a vocca chiusa nun traseno mosche
Con la bocca chiusa non entrano mosche (certe volte è meglio tacere).

 

 

Cu ‘e chiacchiere se fanno ‘e chierchie Cù na man annanz e nata arretCon le chiacchiere non si combina nulla.

 

 

Cù na man annanz e nata arret

Con una mano avanti e un’altra dietro. riferimento al pudore delle antiche sculture di nudo): è pertanto riferito a colui che resta deluso dalle situazioni

 

 

Cu ‘nu no te spicce, cu ‘nu si te ‘mpicce
Con un no ti liberi, con un si t’impegoli.

 

 

Cu ‘o vicino se cucina
Col vicino si cucina (bisogna sempre mantenere una buona relazione con la gente vicina a noi).

 

 

Cunziglio ‘e volpe, rammaggio ‘e gallina
Consiglio di volpe, danno di gallina (non bisogna mai farsi consigliare dalle persone infide).

 

 

Cuovere e cuovere nun se cecano l’uocchie
Fra corvi non ci si acceca.

 

 

Cuscienza e denare hanna passà pe’ una mana
Coscienza e denaro devono passare per una mano sola (la persona onesta non si approfitta del denaro altrui).

 

Cu ’e pacche dint’a ll’acqua.

Con le natiche nell’acqua. Essere in condizioni economiche disastroseAver toccato il fondo.

 

Cu nna fúna ’ncànna

Con un cappio alla gola. Fare qualcosa perché si è costretti. Senza alternativa. Controvoglia. 

 

Cù na man annanz e nata arret

Con una mano avanti e un’altra dietro. riferimento al pudore delle antiche sculture di nudo): Colui che resta deluso dalle situazioni

 

 

Cu ’o culo ’a fossa.

Con il culo nella fossa. Macabra ironia per indicare uno che è molto malridotto se non prossimo alla morte. L’equivalente dell’italiano “sta con un piede nella fossa”. Espressione che si usa spesso contro una persona che nonostante le preoccupanti condizioni fisiche continui a comportarsi in maniera detestabile. 

 

 

Cunzèrva ’e pummaròla.

La conserva di pomodoro. Una passata di pomodoro che seccata al sole diventava molto ristretta. Veniva usata, e viene usata anche adesso in confezioni industriali, come concentrato da aggiungere al ragù, alla pasta e fagioli, in tante altre salse e minestre.

 

Cuoncio cuoncio.

Piano piano. Con calma, senza correre. Senza far male. Senza affaticarsi.

 

 

Cuopp’allesse.

Involto di castagne lesse. Una donna sciatta e poco attraente. Sgraziata e brutta.

 

 

Curnuto e mazziato.

Cornuto e bastonato. Dopo il danno la beffaQuando ad un affare andato male si aggiunge un danno ulteriore.

 

 

Curto e male ’ncavato

Basso e male incavato. Può avere diverse accezioni. Positiva quando si riferisce a qualcosa di piccolo ma con notevoli virtù. Come la botte piccola che contiene il vino buono. Oppure ad un bambino che nonostante la giovane età sia molto perspicace. Nell’accezione negativa indica una persona bassa e perfida.

 

 

Da cà a dimane nasceno ciente pape.

Da qui a domani nascono cento papi. Tutto può accadere in poco tempo.

 

 

Darse ’e pizzeche ncopp’ ’a panza.

Darsi i pizzichi sulla pancia. Essere costretti a sopportare. Fare buon viso a cattivo gioco.

 

 

Ddoje femmena e ’na papera arrevutajeno Napule.

Due donne e una papera misero in subbuglio Napoli. Si dice di un’agitazione non giustificata dalla reale consistenza dei fatti. Un evento nato semplicemente da un sovrapporsi di voci eccitate. La classica situazione dove una persona più saggia potrebbe dire: «Un attimo di calma! Cerchiamo di capire.»

 

 

De gustibus non est sputacchiandum.

Deformazione lessicale, in chiave ironica, del proverbio latino “De gustibus non est disputandum”. Ironicamente mette in luce l’inutilità di dare consigli a chi, nonostante un comportamento per noi incomprensibile, appare ben deciso a portare avanti le sue convinzioni. Qualcosa di simile a: “tutti i gusti sono gusti”.

 

 

Dicette ’Mmaculata: pônno chiù l’uocchie ca ’e scuppettate!

Disse Immacolata: possono più gli occhi che le fucilate. Chi è superstizioso ritiene che l’invidia possa colpire al pari di una disgrazia. Ovviamente questo non può essere vero altrimenti gli invidiosi farebbero stragi. Ma certamente chi si sente addosso uno sguardo critico e malevolo finisce con l’essere condizionato nel suo agire.

 

 

Dicette ’o pappecio vicino ’a noce: damme ’o tiempo ca te spertoso.

Disse il verme alla noce: dammi il tempo che ti perforo. Con la pazienza si può raggiungere qualsiasi scopo.

 

 

Dicette ’o pezzente: pure a fa’ ’a puttana ce vo’ fortuna!

Disse il pezzente: pure a fare la prostituta ci vuole fortuna. Riferito a tutte quelle persone a cui non gliene va bene una. Neanche i compromessi più disdicevoli riescono a procurare loro un minimo di fortuna.

 

 

Dicette ’o prevete: fa’ chello ca dico io ma nun fa’ chello ca facc’io.

Disse il prete: fa quello che ti dico ma non fare quello che faccio io. Nei detti popolari napoletani il clero non ha mai una grande considerazione. Quindi se bisogna scegliere un esempio negativo il prete è sempre il soggetto preferito. Secondo questo detto, il prete predica dal pulpito e pontifica auspicando un comportamento congeniale a quello di un  buon cristiano. Tuttavia nella vita privata spesso è proprio lui a fare il contrario di quanto ha detto. Comunque il detto prende solo ad esempio il prete ma in effetti è riferito a tutte quelle persone che parlano tanto di come si debba agire ma i primi a trasgredire sono loro. 

 

 

Dicette Pulecenella: pe’ mmare e pe’ ccielo nun ce stanne taverne.

Disse Pulcinella: per mare e per cielo non ci sono taverne. Un’atavica paura. Un disastro in mare o in volo difficilmente lascia scampo.

 

 

Dicette ‘o pappavallo: chi vo’ campà felice vere ‘o stuorto e nun adda ricere.

Disse il pappagallo: chi vuole vivere felice vede ciò che va male e non lo deve dire. Per vivere felici è meglio far finta di non accorgersi di quello che non va.

 

 

Dimane ’o gallo canta matina.

Domani il gallo canta di primo mattino. Domani dobbiamo alzarci molto presto quindi cerchiamo di non andare a letto troppo tardi.

 

 

Dint’ ’a na vutata d’uocchie.

Nel volgere di sguardo. In un lampo, in un baleno. Potrebbe l’azione di un borseggiatore. Oppure la distrazione di un attimo che ha conseguenze più o meno gravi.

 

 

Dio ’o sape e a Maronna ’o vere.

Dio lo sa e la Madonna lo vede. Così si risponde a chi viene a fare delle richieste inopportune in momenti difficili“Io a stento riesco a tirare avanti e tu vieni a chiedere di aiutarti?”

 

 

Don Giuvanne u tène nnanze e u va ascianne arrete.

Don Giovanni lo tiene davanti e lo cerca dietro. Frase chiaramente allusiva e piuttosto prosaica ironizza su chi non si accorge di avere davanti agli occhi quello che sta cercando. 

 

 

Dopp’’e cunfiette véneno ’difiette.

Dopo i confetti vengono i difetti. È risaputo che prima del matrimonio i fidanzati mostrano i loro aspetti migliori, o quando meno cercano di nascondere i peggiori. Dopo il matrimonio con la convivenza diventa difficile mascherare i lati negativi del proprio carattere. Ovviamente bisogna tener conto che si tratta di un antico proverbio, quando la convivenza prematrimoniale non esisteva.

 

 

Dopp’ arrubbato Santa Chiara mettette ’e porte ’e fierro.

Dopo che fu derubata la Basilica di Santa Chiara mise le porte di ferro. Provvedere troppo tardi a proteggere quello che doveva essere preservato prima con maggior cura. Equivalente del proverbio italiano “chiudere la stalla dopo che sono scappati i buoi.

 

 

Durmì c’ ’a zizza mmócca.

Dormire con la mammella in bocca. Come il bambino che placidamente allatta al seno della madre non accorgersi di quanto avviene intorno. Sempliciotto, sprovveduto.

 

 

D’ ‘o muorto e dd’ ‘a sposa se parla pe otto juòrne
Del morto e della sposa se ne parla per otto giorni

 

 

Dalle e dalle pur’ ‘o cucuzziello addeventa tallo
Dai e dai finchè la zucchina diventa foglia

 

 

Dàtte da fà: ca ‘a jurnata è ‘nu muòrze!
Datti da fare: la giornata passa in un baleno

 

 

Ddio ce ne libera d’ ‘e mali vicine e princepiante ‘e viulino
Dio ci liberi da cattivi vicini e da principianti di violino

 

 

Dduje solde, p’ ‘a vàvera, capille, e ‘a mullechella mmocca
Due soldi, barba, capelli e la mollica in bocca

 

 

Dice sì, ca nun è peccato
Dì di si, che non è peccato

 

 

Dicette accussì ‘a vecchia: “Aggio campato nuantanov’anne, e vulesse campà n’ato, pe’ me ‘mparà ancora”
Disse la vecchia:”Ho vissuto novantanove anni, e vorrei viverne un’altro anno, per apprendere ancora

 

 

Dicette ‘o serpe ‘a ‘o voje: Me puo’ pure scamazzà; ma sempe curnuto addimani.
Disse il serpente al bue: Mi puoi anche schiacciare ma sempre cornuto rimani.

Dicette ‘o miedeco ‘e Chianura: Chesta cca’ è ‘a ricetta, e ca ‘o Signore t’ ‘a manna bbona!
Disse il medico di Pianura: Questa è la ricetta, e che il Signore te la mandi buona!
Dicette ‘o pàppece ‘nfaccia ‘a noce: damme ‘o tiempo ca te spertoso
Disse il tarlo alla noce: dammi un pò di tempo che ti buco
Dicette ‘o parrucchiano: “Fa chello ca te dico je e no chello ca facc’ije”
Disse il prete: “Fa quel che dico, ma non ciò che faccio
Dicette Paglialone: “Ccà sta ‘a pezza e ccà ‘o ssapone”
Disse Paglialone: Qua la pezza “merce” e qua il sapone “denaro
Dicette Pulecenella: ‘Nu maccarone vale cchiù ‘e ciente vermecielle
Disse Pulcinella: Una persona intelligente vale più di cento inetti
Dicette Ramunno: “Accussì adda ji’ ‘o munno”
Disse Raimondo: “Così deve andare il mondo
Dicètte ‘o figlo d’o vicino: “A pesièlle te pavo!”
Disse l’erede al vicino: “Quando sarà il tempo dei piselli, pagherò!
Don Giuvanno, ‘o tène annanze e ‘o va’ truvanno
Don Giovanni, ce l’ha davanti e non lo vede
Dopp’ arrubbate, Pullecenella mettette ‘e cancielle ‘e fierro
Dopo il furto Pulcinella mise le porte in ferro
Dopp’ ‘e cunfiette jesceno ‘e defiette
Dopo i confetti emergono i difetti
Doppo Natale, famma e friddo
Dopo Natale, fame e freddo
Doppo Pasca vièneme ‘a pèsca
Dopo Pasqua, pescami
Doppo tant’anne che è mmuorto Pieto, mò se n’addòna d’ ‘o fieto
Dopo tanti anni che è morto Pietro, ora se ne avverte il cattivo odore
Doppo vippeto: ‘a saluta vosta!
Dopo aver bevuto: alla vostra salute!
È acqua ca nun leva ‘a sete
È acqua che non disseta – si dice di una cosa che non dà soddisfazione
È arrivato ‘o ‘mbrelline ‘e seta!
A chi si atteggia a raffinato
È asciuto pazzo ‘o patrone!
Il padrone è impazzito
‘E cavure ‘a rinta e ‘e fridde ‘a fore
I caldi dentro e i freddi fuori
‘E chiacchiere s’ ‘e pporta ‘o viento; ‘e maccarune jengheno ‘a panza
Le chiacchiere se le porta il vento; i maccheroni riempiono la pancia
È cchiù facile ‘ncappà ‘nu terno ‘a lotto, ca ‘ncappà ‘na bbona mugliera
È più facile indovinare i numeri, che trovare una buona moglie
‘E ccose longhe addeventano sierpe
Quando non si porta celermente a termine una cosa poi diventa più difficile ultimarla
‘E ccose pruibbite songo ‘e cchiù sapurite
Le cose vietate sono le più invitanti
‘E chestu lignammo, se fanno ‘e strummole 
Con questo legno, si fanno le trottole

E chiacchiere s’ ‘e pporta ‘o viento; ‘e maccarune jengheno ‘a panza

Le chiacchiere se le porta il vento; i maccheroni riempiono la pancia. Le parole sono inconsistenti.

‘E ciucce s’appiccecano e ‘e varrile se scassano
Gli asini litigano e i barili si rompono
‘E ciucce viecchie hanna murì dint’ ‘e stalle nove
Gli asini vecchi devono finire dentro le stalle nuove
‘E denare d’ ‘o ‘nfinferinfì se ne vanno c’ ‘o ‘nfinferinfà
Il guadagno facile se ne va altrettanto facilmente‘E denare sò ‘a voce ‘e ll’ommo
Il denaro è la voce dell’uomo‘E ditte antiche nun fallisceno maje
I detti antichi non falliscono mai‘E fatte d’ ‘a pignatta ‘e ssape ‘a cucchiara
I fatti della pentola li conosce il mestolo

 

È fernuta ‘a zezzenella
È finita la pacchia

 

 

È fernuta l’evera oj piécuro!
Non c’è più erba, o agnello!

 

‘E ffemmene ne sanno una cchiù ddò riavulo
Le donne ne sanno una più del diavolo

 

‘E ffemmene so’ comme ‘e mellune, ogne ciento, una
Le donne sono come le angurie, solo una su cento è buona

 

’E femmene d’’o Lavenaro: scenne ’o marito e saglie ’o cumpare.

Le donne del Lavinaio: scende il marito e sale l’amante. Il Lavinaio e un’antica zona popolare di Napoli, nei pressi di piazza Mercato. In passato ancora più degradata di oggi.  Il termine Lavinaio ed attribuire alla colata di acqua e fango proveniente dalle colline adiacenti dopo fenomeni temporaleschi particolarmente violenti. Ma anche dai ruscelli che sfociavano a mare. In questi vicoli insalubri si sviluppò il focolaio che portò nel 1656 la peste a Napoli. Sui costumi delle donne di questa zona, ritenuti particolarmente discutibili, mancano testimonianze certe, per cui si può ipotizzare che la cattiva fama che accompagnava questo luogo si riflettesse anche sui suoi residenti.

 

’E femmene tenene ’e lacreme ’int’ ’a burzetta.

Le donne hanno le lacrime nella borsetta. È noto che le donne spesso reagiscono col pianto anche a situazioni che creano appena un minimo di agitazione. Ma il proverbio si riferisce alla lacrimuccia sfruttata ad arte dalle donne per avere ragione anche quando hanno torto.

 

’E femmene teneno ’e sette spirite d’’e gatte.

Le donne hanno sette spiriti come i gatti. Che le donne siano ostinate e certo, che non si arrendano mai è altrettanto certo, per cui evidentemente questo proverbio si riferisce alla vitalità che hanno nel sostenere, anche nel tempo, determinate posizioni.

 

‘E figlie so’ ppiezz’ ‘e còre.  I figli sono pezzi del proprio cuore.

 

È nu figlio e ’bona mamma.

E un figlio di buona madre. È un modo di dire molto comune per indicare un tipo molto sveglio che usa la sua scaltrezza per farsi valere ma anche per raggiungere scopi illeciti. Una variante che ha lo stesso significato: È nu figlio e ’bona femmena.

 

’E perete ’e donna Jolanda so tutte limungelle fresche.

Le scorregge di donna Jolanda sono profumate come limoni freschi. Espressione non certo raffinata ma efficace per condannare certi comportamenti esageratamente faziosi. La passione cancella l’obiettività e attribuisce delle qualità positive a delle azioni che spesso sono disgustose. 

 

E ffodere cumbattono e ’e sciabbule stanno appese.

I foderi combattono e le sciabole restano appese. I meno capaci assumono dei ruoli che invece toccherebbero ai più idonei. Ma anche in senso opposto per indicare coloro che preposti a svolgere con competenza determinati compiti se ne disinteressano, lasciando ad altri la responsabilità di farsene carico.

 

È meglio a zuppecà’ ca a nun cammenà’.

È meglio zoppicare che non camminare. Nella vita bisogna sempre accontentarsi.

 

E piere ’e Pilato

Ai piedi di Pilato. Essere in condizioni di estrema miseria. Ponzio Pilato è noto per aver condannato a morte Gesù su pressione della piazza. Nella prefettura della Giudea, Pilato era l’unica autorità in grado di decidere una condanna a morte. Colui che sta ai suoi piedi non ha altri santi a cui votarsi.

 

’E pizzeche ’ncopp’ ’a panza.

I pizzichi sulla pancia. Essere costretti a sopportare. Fare buon viso a cattivo gioco. Rassegnarsi alla scomoda realtà dei fatti

 

E stramacchio

Di nascosto. Fare o appropriarsi di qualcosa furtivamente, con un sotterfugio. Alla chetichella.

 

È ’na femmena cu’’o cazune.

È una donna con i pantaloni. Non si tratta di una donna con caratteristiche mascoline, ma di una donna di carattere che riesce a farsi valere nell’ambito in cui si muove. A casa, come nella vita e sul lavoro. Se in casa è quella che porta i pantaloni, vuol dire che comanda lei.

 

È a luongo ’o fatto!

Il fatto è lungo! Una faccenda che si protrae più del previsto nel tempo.

 

È asciuto pazzo ’o patrone.

È impazzito il padrone. Potrebbe apparire come il comportamento di un avaro che improvvisamente diventa prodigo oltre ogni limite. Invece è il richiamo di un venditore al mercato che invita i clienti ad acquistare i suoi prodotti  super ribassati. Un prezzo talmente basso che può  essere attribuito solo alla sua improvvisa follia.

 

È asciuto ’o sole a mezanotte.

È spuntato il sole a mezzanotte. Grazie ad un imprevedibile colpo di fortuna si è risolta una situazione che sembrava disperata.

 

E cane dicenno.

Dicendolo per i cani. Sperando che questo non succeda mai. Dio ne scampi! Annunciare una possibile sventura ma facendo tutti gli scongiuri possibili.

 

È cchiù ’a spesa ch’a ’mpresa.

È più la spesa che l’impresa. I costi sono superiori ai vantaggi che si potrebbero trarne. Non ne vale la pena. 

 

È fernuta ’a zezzenella.

È finito il latte della piccola mammella. È finita la pacchia. Piaceri e benefici non sono eterni e prima o dopo arriva il momento di ritornare alla realtà.

 

È gghiuta ’a cart ’e musica ’mmane ’e barbiere.

È andato a finire lo spartito in mano ai barbieri. Si dice quando dei compiti che richiedono grande preparazione vengono affidati a degli incompetenti. Con buona pace dei barbieri tirati in ballo loro malgrado come esempio negativo.

 

È na varca scassata.

È una barca sgangherata. È una situazione fuori controllo. È un progetto che non ha né capo né coda.

 

È stato pigliato cu ’o llardo ncuollo

È stato preso con il lardo addosso. È stato colto in flagrante con la refurtiva. È stato colto con le mani nella marmellata.

 

E tiritittittì!

E tiritittittì! Un’espressione vivace per rispondere, manifestando indifferenza, ad un’accusa o ad una velata minaccia. “E be’? Cosa vuoi che m’importi? Me ne frego!”. 

 

E va bene! Dicette donna Lena quanno verette’a figlia prena.

E va bene! Disse donna Lena quando vide la figlia incinta. Il top dell’indifferenza. Reagire ad una situazione traumatica come fosse del tutto naturale.

 

È trasuto ’e sicco e s’è avutato ’e chiatto.

È entrato di secco e si è girato di grasso. È entrato timidamente, con molta umiltà ma con il passare del tempo ha consolidato la sua posizione e ormai è diventato molto arrogante.

 

È venuto ’o Pat’abbate ’e ll’acqua.

È venuto (giù) il Padre Abate dell’acqua. Si è scatenata una tempesta ed è venuto giù un vero diluvio. Oggi potremmo parlare anche una bomba d’acqua.

 

È zumpata ‘a vacca ‘ncuollo ‘o vuoio.

È saltata la vacca addosso al bue. Sta succedendo qualcosa che va al contrario della logica comune. Contro le leggi della natura.

 

Essere cchiù luongo d’ ’a misericordia ’e Dio.

Essere più lungo della misericordia di Dio. Persona di statura molto alta.

 

Essere ’na Die ’e femmena

Essere una “Dio di donna”. Una donna conturbante dalle forme molto vistose e appetibili. In qualche caso anche nel senso di “gran donna” per qualità e personalità che vanno oltre la bellezza.

 

‘E fierre fann’ ‘e maste
Con buoni attrezzi si fanno buoni lavori

 

‘E figlie se vasano ‘nzuonno
I figli si baciano quando dormono

 

‘E figlie sò piezze ‘e core  I figli sono una parte del nostro cuore

 

E fernuto a mare cu tutt e pann

E’  caduto in mare ancora vestito) : Cadere in disgrazia

 

È gghjuta ‘a mosca dint’ ‘o viscuvato
È finita la mosca nel vescovado

 

È gghjuta ‘a pazziella mman’ ‘e ccriature
È finito il giocattolo in mano ai bambini

 

È gghjuto ‘e sotto ‘e ‘ncoppa
Ha avuto un dissesto finanziario

 

È gghjuto ‘mparaviso pe’ scagno
Gli è andata bene solo per conbinazione

 

È gghjuto ‘o ccaso ‘a sotto e ‘e maccarune ‘a coppa
È finito il formaggio sotto e i maccheroni sopra

 

‘E maccarune se magnano teniente teniente
Gli affari vanno conclusi rapidamente

 

‘E miso ‘o lupo a guardà ‘e pecure
Hai messo il lupo a guardia delle pecore

 

‘E mmalatìe veneno a cavallo e se ne vanno ‘a ppère
Le malattie arrivano velocemente ma tardano ad andare via

 

‘E mo’ trova ‘na pezza ‘a colore!
Adesso trovati una buona scusa

 

È ‘nu pallone a viento
È un pallone gonfiato

 

È ‘nu scoglio ca nun fa patelle
È uno scoglio piatto – è un avaro

 

‘E peccate ccà se fanno e ccà se chiagneno
I peccati qui si fanno e qui si scontano

 

‘E peccate ‘e mamma e pate ‘e cchiangh’ije ca sò ll’erede
I peccati dei miei genitori li sconto io che sono l’erede

 

‘E peccate sò chille ca gghjèsceno, no chille ca tràseno
I peccati sono quelli che escono, non quelli che entrano

 

‘E penziere mieje lassàtele, ‘e vuoste pigliàtele
Lasciate i pensieri miei e prendete i vostri

 

‘E perzo ‘a Filippo e ‘o panaro
Hai perso sia Filippo che il paniere

 

‘E perzo chesto, chello e Mariastella!
Hai perso questo, quello e Mariastella

 

È piscetiello ‘e cannuccia
È un pesciolino che si pesca con una piccola canna – persona di poco conto

 

‘E ppernacchie ‘e ttène pe’ ssurdigline
Considera i pernacchi come fossero suoni di campanelline

 

‘E sciabbule stann’ appese e ‘e fodere cumbattono
Le sciabole rimangono appese e i foderi combattono

 

‘E sische ‘e ttène p’applause
Considera i fischi come fossero applausi

 

‘E ssòvere ‘e Natale: s’arrappeno ma nun se magneno
Le sorbe di Natale: si aggrinziscono ma non si mangiano

 

È stata n’acqua ‘e maggio!
È stata una pioggia di maggio – un caso fortunato, imprevisto

 

È stritto ‘e pietto
È stretto di petto (cuore) – è un avaro

 

È succieso ‘o quarantotto
È successo il finimondo

 

È trasuto ‘e spighétte e s’è mmise ‘e chiatto
È entrato di fianco e poi si è messo di fronte – chi entra defilato in una situazione e poi ne vuole diventare il protagonista

 

È tutto casa e cchiesia
Persona onesta, che percorre la retta via

 

È tutto fummo e niente arrusto
È uno che fa solo chiacchiere

 

È caruto ‘o maccarone dint ‘o ccaso
È caduto il maccherone nel formaggio – cosa che capita opportunamente

 

È ‘na pasta d’ommo
È una pasta d’uomo – persona docile e buona

 

Essa leva ‘o quadro, e isso scippa ‘o chiuovo
Lei toglie il quadro e lui estrae il chiodo – una coppia di spendaccioni

 

Essere ‘na malacarne
Essere un osso duro

 

Essere nato cu ‘a cammisa

Essere nato con la camicia – essere fortunato

 

 

 

Fà a recotta 

Fare la ricotta : che in questo caso significa oziare tutto il giorno e per lunghe ore

 

Fa ‘e maccarune cu’ ll’acqua
Fa i maccheroni con l’acqua – tenta di fare l’impossibile

 

Fà a fine re tracc

Fare la fine dei tracchi/petardi) : Fare tanto rumore per niente

 

Fa l’arte ca saje, ca si nun t’arrecchisce camparraje
Fai il mestiere che conosci, anche se non diventerai ricco, almeno avrai di che vivere

 

Fa’ ‘na cosa ‘e juorno!
Duepuntotre.it dice: Fai presto!

 

Fa’ ’a seccia.

Fare la seppia. Gufare. Portare sfiga. Agire da iettatore.

 

Fa’ ’a visita d’ ’o miedeco.

Fare la visita del medico. Fare una visita brevissima. Una visita puramente formale.

 

Fa’ ’a vìsita ’e sant’Elisabetta.

Fare la visita di sant’Elisabetta. Fare una visita lunghissima.

 

Fa’ ’e cose cu e stentine ’mbraccio.

Fare le cose con gli intestini sulle braccia. Far le cose solo perché si è costretti a farle e di conseguenza farle maleQuesto modo di dire si adatta bene a tante situazioni della nostra vita quotidiana. L’impiegato, la commessa, il medico, l’infermiere, tutte quelle figure di cui siamo clienti o utenti che si comportano con noi in modo svogliato e senza cortesia. Questa gente “fa’ ’e cose cu e stentine ’mbraccio”.

 

Fa’ e ’nu pilo ’na trave.

Fare di un pelo una trave. Esagerare i problemi. Trasformare delle bazzecole in gravi tragedie. 

 

Fa’ fesso ’o stommaco.

Far fesso, ingannare lo stomaco. Mangiare una piccola cosa solo per sostenere lo stomaca in attesa di mangiare in maniera soddisfacenteUno spuntino. La risposta ad un languorino dello stomaco.

 

Fa’ magnà ’o limone.

Fare mangiare il limone. Il limone ha un sapore acre ed è quello che prova l’invidioso. Rodersi il fegato.

 

Fa’ ’na cosa ’e juorno ’e juorno.

Fai una cosa “di giorno”. Non perdere tempo. Sbrigati.

 

Fa’ na croce nera.

Tracciare una croce nera. Chiudere definitivamente qualsiasi forma di rapporto con qualcuno. Oppure ripromettersi di non cadere mai più in una situazione di cui si stanno scontando le conseguenze.

 

Fa’ na putecarella .

Una lite senza acredine. Avere un confronto polemico. Una discussione di cui si sarebbe volentieri fatto a meno.  Un batti e ribatti di varia entità.

 

Fa’ ’o cuollo luongo.

Fare il collo lungo. Attendere l’arrivo di qualcuno con ansia, con impazienza. L’azione classica di colui che alla fermata attende impaziente l’autobus, che non arriva mai, e continua a guardare con insistenza il punto dove dovrà materializzarsi l’oggetto del desiderio.

 

Fa’ ’o guaragno ’e Maria Vrienne.

Fare il guadagno di Maria di Brienne. Cioè un pessimo affare. Ma chi era questa signora? Era la contessa di Lecce Maria d’Enghien de Brienne, regina di Sicilia, chiamata dai napoletani “Maria Vrienna”. Nel 1385 sposò Raimondo Orsini del Balzo, detto Raimondello, principe di Taranto. I consistenti beni degli sposi, in particolare quelli della contessa, permisero, unificando l’intero Salento di realizzare uno dei più grandi e importanti feudi d’Italia. Nel 1406, Taranto fu assediata dal re di Napoli, Ladislao I d’Angiò, detto il Magnanimo. Raimondello morì nel 1406 proprio durante questo assedio. Sconfitta e rimasta vedova, Maria rifiutando i consigli di tutti i suoi alleati, sposò Ladislao nel 1407. Ma i suoi amici erano preoccupati per la precoce e misteriosa morte di tutte le precedenti mogli di Ladislao. Maria non volle ascoltare nessuno perché era convinta che quella era l’occasione della sua vita. Quindi, facendo i dovuti scongiuri, rispose ai presunti uccellacci: «Non me ne curo, ché se moro, moro da regina». Quindi dopo le nozze si traferì nella città partenopea da regina. A Napoli era benvoluta dal popolo ma cornificata spudoratamente dal marito, e dovette rassegnarsi a condividerlo con numerose amanti. La morte di Ladislao avvenuta nel 1414 non fu una liberazione per Maria ma la tragedia finale. Infatti, il regno passò alla cognata Giovanna II, quella famosa per la dissolutezza dei suoi costumi e per la voracità sessuale. Giovanna era nota anche per la sua crudeltà quindi averla contro non era auspicabile. La contessa per qualche motivo finì nella sua lista nera e concluse in carcere la sua esperienza di regina di Napoli. Questo porta a concludere che Maria, convinta di aver fatto un grande affare pagò caro quell’errore di valutazione. Così come tutti coloro che allettati dalla convinzione di poter realizzare un grosso affare, finiscono col perdere tutto. Comunque, per completezza d’informazione va detto che Maria non morì nelle carceri di Napoli, perché nel 1415 fu liberata, e ritornata a Lecce nel 1420 ottenne il Principato di Taranto.

 

Fa’ ’o pàcco.

Fare il pacco. Commettere una truffa ai danni di qualcuno. Abbindolare. Fregare. Il detto deriva dalla classica truffa che veniva fatta ai turisti bonaccioni e sprovveduti. In pratica ai turisti venivano proposti cellulari, tablet, fotocamere, orologi di gran valore a prezzi irrisori. Ma il pacco che avevano visto le vittime rimaneva ai truffatori che con grande abilità lo sostituivano con un altro riempito solo di zavorra per fare peso.

 

 

Fa’ ’o paro e ’o sparo.

Fare pari e dispari. Difficoltà nel prendere una decisione perché si cerca di valutare troppo i pro e i contro. 

 

Fa’ ’o quatto ’e maggio.

Fare il quattro di maggio. Una volta era la data più comune per trasferirsi in una nuova casa. Infatti si può intendere come trasloco.

 

Fa ’o scemo pe’ nun ghi’ ’a guerra.

Fa lo scemo per non andare alla guerra. In concreto era il rimedio estremo che tentavano i ragazzi per evitare la leva, nonostante comportasse notevoli conseguenze anche per il futuro. In senso figurato è colui che fa finta di non capire per evitare un compito sgradito o evitare le conseguenze di qualche errore.

 

Fa’ ’o zeza.

Fare il “zeza.” Fare il cascamorto, il galletto. Corteggiare in maniera svenevole e languida.

 

Fa’ ’o speziale.

Fare lo speziale. Fare un lavoro che richiede notevole impegno. Usato nel senso di: non farmi perdere tempo che c’ho da lavorare. Un lavoro che necessita di grande attenzione per cui non mi posso distrarre.

 

Fa’ chello che vere a gnòreta.

Fai quello che vede tua suocera. Limitati a fare lo stretto necessario. Solo quello che si vede superficialmente

 

Fa’ sciacqua Rosa e biva Agnese!

Fare sciacqua Rosa e bevi, Agnese. Spendere senza pensare al domani. Vivere alla giornata. Sprecare senza alcuna cautela tutto quello di cui si dispone. Scialacquare. 

 

Fa acqua a’ pippa.

Fa acqua la pipa. Fumare senza tabacco. La situazione economica è pietosa.

 

Fa fetecchia.

Fa cilecca.

 

Fa ’e cofecchie .

Fa le cofecchie: confabula. Fare delle azioni non necessariamente cattive anche se piuttosto circospette. Pettegolezzi.

 

Fa ll’arte de Francalasso ; magna, bbeve, e se sta a spasso.

Fa il mestiere di Francalasso: mangia, beve e sta a spasso. È uno scansafatiche. Una persona che vive alle spalle di altri senza alcuna voglia di lavorare. Una persona che trascorre la sua giornata bighellonando senza costrutto.

 

Faccia ’e cuorno.

Faccia di corno. Faccia di corno. Faccia tosta. Faccia di bronzo. Che non si vergogna di niente. ma anche colui che è capace di negare l’evidenza.

 

Faccia ’e miccio e culo ’e nutriccia.

Faccia di miccio e culo di balia. Un tempo la bellezza femminile aveva canoni molto diversi da quelli attuali. La donna ideale doveva essere abbastanza prosperosa per cui certe forme tipiche delle balie erano molto apprezzate.

 

Faccia ’ngialluta!

Faccia gialla! È l’appellativo con il quale le “parenti” di San Gennaro lo incitavano a compiere il prodigio della liquefazione del suo sangue quando l’attesa si prolungava.

 

Faccio capa e muro.

Faccio testa e muro. Arrovellarsi cercando una soluzione difficile da trovare. Molto spesso ci si riferisce alla difficoltà di tirare avanti sotto il peso delle difficoltà economiche.

 

Facesse ’na culata e ascesse ’o sole!

Facessi un bucato e uscisse il sole! Non me ne va mai bene una!

 

Facimmece ’a croce!

Facciamoci la croce! Cerchiamo di partire con il piede giusto!

 

Facimmece ’a croce, a primma matina!

Facciamo in segno della croce di prima mattina. In maniera scherzosa: cerchiamo di cominciare bene la giornata. Oppure quando qualcosa è già andato storto: abbiamo cominciato bene la giornata!

 

Fa’ ’a casa spingula spingula.

Fare la casa spilla spilla. Setacciare la casa o un qualsiasi luogo in ogni angolo e in ogni posto possibile alla ricerca di qualcosa che comunque non si riesce a trovare. Un’accurata perquisizione.

 

Fa’ ’e stentine fracete

Fare gli intestini fradici. Rodersi le budella a furia di ripetere una richiesta senza ottenere risposta. 

 

Faccia tosta campaje, faccia moscia murette

La faccia tosta visse, il timido morì. Nella vita bisogna essere sfacciati.

 

Farse comme a nu sorece ’nfuso a ll’uoglio.

Farsi come un topo bagnato nell’olio. Essere completamente inzuppato dalla pioggia. Si dice anche di chi ha i capelli troppo unti di brillantina prodotti simili.

 

Farse afferrà pe’ pazzo.

Farsi immobilizzare come un folle. Perdere il controllo, andare su tutte le furie. È più una minaccia futura che un’azione immediata. La persona avverte che se le cose prendono una certa piega o nei suoi confronti verrà messa in atto un’azione ritenuta ingiusta la sua reazione sarà furiosa. Generalmente va intesa come violenza verbale e non fisica.

 

Farse comme ’a nu purptiell

Ridursi come un polpo. Il polpo è viscido perché composto per l’80 per cento d’acqua. Per similitudine una persona gronda acqua da tutte le parti dopo essersi trovata sotto un’acquazzone senza l’ombrello.

 

Fatt’e buono

Bell’e fatto. Ritrovarsi o pretendere qualcosa che sia già pronto e non richiede alcun ulteriore intervento.

 

 

Fatte curaggio ca ‘a vita è nu passaggio.

Fatti coraggio e non disperarti perché la vita è solo un passaggio.

 

 

Femmena senza grazia, menesta senza sale.

La donna senza grazia e come una minestra senza sale. Con quella rivoluzione culturale che prese il nome di femminismo, la donna si scrollò di dosso parecchi secoli di sottomissione. Però, evidentemente qualcuna esasperò il criterio di eguaglianza con l’uomo, rinunciando anche alla femminilità. Ma questo non è un traguardo. La donna continua a lottare per ottenere gli stessi diritti degli uomini e la meta sembra ancora lontana. Tuttavia, a meno che non si voglia dar credito allo stereotipo della donna bella ma stupida, la mascolinità non serve per raggiungere certi traguardi ambiziosi. Una donna conquista con la sua grazia e la sua intelligenza anche se non è bellissima. Insomma come avrebbe detto Massimo Catalano, nella trasmissione di Renzo Arbore “Quelli della notte”: è più facile che un uomo si innamori di una donna dolce e aggraziata che di un carrettiere vestito da donna.

 

 

Femmene, ciucce e crape tènene tutte ’a stessa capa.

Donne, asini e capre hanno tutte la stessa testa (dura). Le donne, ritenute il sesso debole, nella realtà riescono sempre ad avere la meglio. Spesso l’uomo è convinto di essere stato lui a decidere, ma non si accorge di essere stato “pilotato verso la sua decisione”. Tuttavia, non sempre questo gioco sottile funziona, ma non per questo la donna si arrende. A volte per capriccio, a volte per convinzione, a torto o a ragione la sua idea non la cambierà mai. Anche a distanza di anni, quando arriverà il giorno dell’immancabile: «Io te l’avevo detto!».

 

 

Fernesce tutto a tarallucce e vino.

Finisce tutto a tarallucci e vino. Dopo tanta tensione l’accesa discussione si conclude con una rappacificazione amichevole. Molto grave quando eventi molto gravi, anche di rilevanza penale, si concludono dopo anni e anni senza conseguenze per quelli che erano i colpevoli acclarati.

 

 

Fessarie ’e cafè.

Sciocchezze da caffè. Una discussione da bar che assume toni concitati specie quando l’argomento è la politica o il calcio ma di solito si stempera grazie all’intervento di qualcuno dei presenti che sdrammatizzando riporta tutti alla realtà dei fatti e alla futilità della discussione che stanno facendo: So’ fessarie ’e cafè!

 

 

Ffiglia ’e bbona crestiana.

Figlia di buona cristiana. Smaliziata, scaltra.

 

 

Figlio ’e ’ntrocchia

Figlio di puttana.” Dritto, furbo, ragazzo molto sveglio, ammirato molto spesso per le sue abilità ma anche deprecato per la sua capacità di usare la sua scaltrezza per causare danni. Del resto il figlio di una puttana non vive in un ambiente particolarmente raffinato quanto piuttosto nel mondo del malaffare.

 

 

Frije ‘e pisce e guarda ‘a jatta.

Friggi il pesce, ma guarda alla gatta. Mentre gioiamo di qualcosa di buono, non dimentichiamo dal guardarci da chi potrebbe portarcelo via.

 

 

Foss’ ’a Madonna!

Fosse la Madonna. Volesse il Cielo! Almeno fosse!

 

 

Fosse angiulo ’a vocca vosta.

Fosse angelo la bocca vostra! Così come si avverò l’annuncio che l’Angelo fece alla Madonna allo stesso modo speriamo che possa avverarsi quello che mi augurate.

 

Frate e sore stanno ’int’’o cunvento.

Fratelli e sorelle stanno nel convento. A volte i fratelli si comportano tra loro peggio che se fossero estranei, dimenticando ogni forma di solidarietà.

 

Frijenno magnanno.

Friggendo mangiando. La caratteristica del cibo fritto è quello di consumarlo appena tolto dalla padella. Allo stesso modo alcune cose richiedono di essere fatte con molta celerità per poterle utilizzare. 

 

Frijere ’o pesce cu ll’acqua.

Friggere il pesce con l’acqua. La scarsità di mezzi costringe a sopravvivere utilizzando mezzi inadeguati allo scopo. Vivere in condizioni economiche di massima precarietà.

 

 

Frisco ’e rezza.

Fresco di rete. Pesce appena pescato.

 

 

Funa fraceta.

Fune fradicia. Sfaticato, fannullone, mollaccione.

 

 

Fa ‘o bbene ‘a ppuorce, ‘nce pierde ‘e cugliandre
Far del bene ai maiali ci si rimette

 

 

Fa ‘o bbene ‘a ppuorce, sì ‘mmussiato appriesso
Fai del bene ai maiali, ti grugniranno alle spalle

 

Fa ‘o bbene e scuordate, fa ‘o mmale e arricuordate
Fai del bene e dimenticalo, fai del male e ricordatene

 

Fa ‘o scemo pe nun ghjì ‘a guerra
Fare il finto tonto

 

Fa sulo, comm’ ‘e ‘nu fasulo
Fa da solo, come un fagiolo

 

Facesse ‘na colata e ascesse ‘o sole
Quando faccio il bucato non esce mai il sole

 

Facimmo ambressa, ca ‘o guallo sta cantanno matina
Muoviamoci che sta facendo giorno

 

Famme fa ll’opere ‘e pupe
Laciami lavorare

 

Fatte ‘a nnummenata e scassa ‘a carrozza
Creati la fama e poi rompi la carrozza – anche quando fai danni, ti acclameranno.

Fatte ‘e fatte tuoje e vire chi t’ ‘e ffa fà
Pensa ai fatti tuoi e accertati chi ti ci fa pensare
Fattélla cu chi è meglio ‘e te e fanc’ ‘e spese
Pratica chi è migliore di te e sostieni la spese
Febbraro, curto e amaro
Febbraio, breve e freddo
Femmena curtulélla, diavulo, pigliatélla
Donna bassina, diavolo, prenditela
Femmene corte e meneste crure, portano l’ommo ‘a sepoltura
Femmine corte e minestre crude, portano l’uomo alla tomba
Fémmene e ggravùne, stutàte tègneno e appicciàte còceno
Donne e carboni, spenti tingono e accesi scottano
Femmene, ciucce e crape, tèneno una capa
Donne asini e capre hanno la stessa testa
Fernesce tutto a tarallucce e vino
Tutto è bene quel che finisce bene
Fernùta ‘a festa è fernuto ‘o santo
Finita la festa è finito anche il santo
Fidate d’ ‘o signore ‘mpuverito, ma nun te fidà d’ ‘o pezzente sagliuto
Fidati del signore impoverito ma non fidarti del povero arricchito
Figlio d’ ‘o vuto, figlio perduto
Figlio di voto, figlio perduto
Figlio ‘e ‘ntrocchia
Persona capace – scaltra
Frje ‘o pesce e guard’ ‘a jatta
Frigge il pesce e sta attento al gatto
Gaità: sciusceme mmocca c’ ‘a patana me coce
Gaetano: soffiami in bocca che la patata scotta
Fratm
Appellativo in genere riferito ad amici a cui vuoi particolarmente bene ” come un fratello  ( ‘o frà )
Friere o pesce cu l’acqua e fà e nozz che fiche secche
Friggere il pesce con l’acqua e fare le nozze con i fichi secchi : Ottenere il massimo da ogni situazione
Gente ‘e quatto solde
Gente di nessun valore

 

Gesù, Giuseppe, Sant’Anna e Maria!

Esclamazione di sorpresa per un evento strano, inaspettato o straordinario.

 

Ggesù chìste só nnùmmere 

Gesù questi sono numeri! Questo evento è talmente strano che forse sarebbe il caso di interpretare i numeri da giocare al Lotto!

 

 

Gesù Cristo rà o ppane a chi nun tene e rient (Gesù da il pane a chi non ha i denti)

La fortuna capita a chi non sa sfruttarla

 

Giorgio se ne vò ì e ’o vescovo ’o vò mannà!

Giorgio vuole andarsene e il vescovo lo vuole mandare via. Quando due persone hanno lo stesso desiderio ma poiché non lo sanno continuano a sopportarsi di malavoglia almeno fino a quando uno di loro non farà il primo passo. 

 

Gguaio ’e notte.

Guaio di notte. Un problema serio di notte sembra diventi ancora più grave. Quindi il guaio di notte è un problema di ulteriore gravità. Essere un guaio di notte riferito ad una persona indica un soggetto molesto, fastidioso, noioso e inaffidabile. 

GUAGLIO‘”
Con il termine guaglione/a (spesso troncato in guaglio‘) si indica un ragazzo o una ragazza tra l’adolescenza e la giovinezza.
Giacchino mettette ‘a legge e Giacchino fuje ‘mpiso
Gioacchino dettò la legge ed egli stesso fu impiccato
Gira ‘a capa ‘o ciuccio!
Gira la testa all’asino!
Giuvinò, s’è ‘mbrugliata ‘a matassa: o te spuse o pave ‘a tassa
Giovanotto, s’è imbrogliata la matassa: o ti sposi o paghi la tassa
Guaie e maccarune se magnano caude
I guai devono essere affrontati subito
Ha addurato ‘o fieto d’ ‘o miccio
Ha sentito odore di bruciato
Ha fatt’ doje ove dint’ a ‘nu piatt’
Ha fatto due uova in un piatto – Si è sistemato bene

Ha da passa’ ’a nuttata.

Deve passare la nottata. La famosissima frase tratta dalla commedia di Eduardo De Filippo: Napoli milionaria. Si riferisce a momenti di estrema difficoltà che sembrano non avere via d’uscita, come una notte buia. Ma una notte per quanto buia e lunga possa essere dovrà pur passare. È la speranza che aiuta a vivere e sopravvivere.

 

Haje truvato ’a forma d’ ’a scarpa toja.

Hai trovato la forma della tua scarpa. Hai finito di fare il comodo tuo, hai trovato la persona che saprà metterti in riga. Hai trovato pane per i tuoi denti.

 

Hanno fatto aummo aummo.

Hanno fatto tutto in segreto. Un progetto portato a termine senza dare nell’occhio. Un accordo raggiunto senza attirare l’attenzione.

 

Hanno fatto tacche e chiuove.

Hanno fatto tacchi e chiodi. Sono stati sfruttati fino al totale logoramento.

 

Hê truvato ’America.

Hai trovato l’America. Hai trovato una fonte di ricchezza. Infatti l’America nell’immaginario collettivo era considerata la terra della speranza dagli emigranti che fuggivano la miseria dei nostri paesi. Lo stesso sogno che spinge molti africani a rischiare la vita per arrivare in un’Italia che non solo mal li sopporta ma neanche offre loro le opportunità sperate. Lo stesso che in pratica succedeva anche agli italiani che sbarcati in America non venivano certo accolti con la fanfara.

Ha ‘ngrussato ‘a capa, ‘a cepolla!
Ha ingrossato il capo, la cipolla!
Ha perzo ‘e vuoje e va truvanno ‘e corne
Ha perso i buoi e pretende le corna
Ha pierzo a Filippo e ‘o panaro
Ha perduto tutto, l’amico e il paniere
Ha pigliato asso pe’ fiura
Ha preso un granchioHa pigliato ‘o stipo pe’ don Rafèle
Ha preso una cantonataHa pigliato ‘o terno
È stato fortunatoI fatte d’ ‘a pignatta ‘e ssape ‘a cucchiara
I fatti del tegame li conosce il mestoloI’ dico ca chiove, ma no che diluvia.

Io dico che piove, ma non che diluvia. Sono d’accordo che la situazione è grave ma dire che sia irreparabile è un’esagerazione! Cerchiamo di non drammatizzare oltremisura!

 

 

Í ’nfreva

Andare in febbre. Andare in collera. Stizzirsi per qualcosa che si è subito o che non si può sopportare. La rabbia generata da un’ingiustizia insopportabile. 

 

Int’ ‘a vita tutto po’ essere, tranne ca l’ommo prèno.

Nella vita tutto può accadere, tranne che l’uomo s’ingravidi.

 

Iette pe’ se fa’ ’a croce e se cecaje n’uocchio.

Andò per farsi la croce e si accecò un occhio. Una persona talmente sfortunata da fallire anche nelle azioni più scontateUno sfigato senza speranze

 

Iì a fa’ ’o battesimo senz’ ’a criatura.

Andare a celebrare il battesimo senza il bambino. Partire per un’impresa senza l’elemento indispensabile. Un modo di dire simile: andare a caccia senza il fucile.

 

Invece d’ ‘a cernia, ‘mpàrate ‘a magnà ‘o baccalà
Impara a mangiare cibi meno costosi ma che sono ottimi lo stesso

 

I parienti sò comme ‘e scarpe, cchiu sò strette e cchiù fanno male
I parenti sono come le scarpe, più sono stretti, più fanno male

 

Io me faccio ’a Croce c’’a mano ’a smerza.

Mi faccio il segno della croce con la mano sinistra. Non riesco a credere a quello che succede. Questo fatto mi costringe a rivedere alcune certezze.

 

Io me sparagno a muglierama e l’ate s’’a fottono!

Io mi risparmio la moglie e gli altri me la consumano. Si riferisce a chi presta tanta cura e tante attenzioni a qualcosa (un oggetto o una situazione personale) di cui è particolarmente geloso, ma poi scopre che qualcuno la sta sfruttando a proprio vantaggio.

 

 

Ije dicette nun parlazzo, e tu vuò parlazzo a fforza
Io dissi non ne parliamo e tu vuoi parlarne a tutti i costi

 

 

Ije faccio ‘o pertuso e tu ‘a gavèglie
Io faccio il buco e tu il gavitello

 

 

Ije me chiammo cannovaccio: nun me ‘ntrico e nun me ‘mpaccio
Io mi chiamo canovaccio, penso soltanto ai fatti miei

 

Ije torno d’ ‘o muorto e vuje dicìte ca è vivo!
Io torno dall’aver vistola salma e voi dite che è vivo!

 

 

Jamme ‘a ccà, jamme ‘a llà; e che simme, baccalà?
Andiamo di quà, andiamo di là; siamo forse tutti matti?

 

Jamme p’aiuto e trovamme sgarrupo
Cerchiamo aiuto e troviamo difficoltà

 

Jastemma senza colpa, addò jesce, llà se cocca
La bestemmia ingiustificata si ritorce contro chi l’ha in viata

 

Jesce arrùsto, ha ditto mamma ca ‘o ppruove
Esce l’arrosto, ha detto mamma di assaggiarlo prima di servirlo

 

Jetta ‘a pretella e nasconne ‘a manella
Getta la pietruzza e nasconde la mano : non assumersi quindi le responsabilità delle azioni commesse

 

Janghe e pazze, vènono ‘e razza
Bianchezza (pallore) e pazzia sono ereditarie

 

Jacovella.

Situazione confusa. Un inconcludente tira e molla. Una situazione poco seria.

 

Jammmo a vere’.

Andiamo a vedere. Vediamo poi decideremo.

 

Jamme bell’, ja!

In senso letterale: Andiamo! Su, sbrighiamoci! In senso figurato: …e che esagerazione!, l’hai sparata grossa!

 

JJí mparaviso pe scagno.

Andare in Paradiso per errore. Trovarsi a beneficiare di una situazione favorevole senza averla cercata o meritata.

 

Jì truvann’ a Cristo a dint’ e lupini.

Cercare Cristo nei lupini. Essere cavilloso, pignolo fino all’esasperazione. Essere pretestuoso cercando il pelo nell’uovo.

 

Jurnata mosce.

Giornata moscia. Giornata di magra per gli affari. C’è poco movimento per i negozi. Sotto l’aspetto meteorologico: giornata uggiosa, cupa.

 

Justo justo.

Giusto giusto. La misura giusta. Ma anche: sei arrivato proprio al momento giusto, opportuno.

 

 

 

L’aggio mannato ‘o paese ‘e pullecenella
L’ho mandato a quel paese

 

L’altarino è piccerillo ma è chino ‘e revezione
È un piccolo altare ma pieno di devoti

 

L’ammore d’ ‘o lietto fa scurdà chillo d’ ‘o pietto
L’interesse per una donna fa dimenticare perfino il bene per una madre

 

L’ammore ‘e mamma nun te ‘nganna
Solo l’amore della mamma è veramente sincero

 

L’acqua è poca e ’a papera nun galleggia.

L’acqua è poca e la papera non sta a galla. Ci manca l’essenziale per tirare avanti. Non fare troppe richieste perché non ci sono le condizioni per poterle soddisfare.

 

L’acqua nfraceta li bastimiente a mare.

L’acqua infradicia le navi a mare. È quello che sostengono i bevitori di vino quando gli propongono di accompagnare i pasti con l’acqua invece che con il nettare di Bacco. 

 

Lasco de vrachetta.

Largo nella patta dei pantaloni. Donnaiolo, dongiovanni, libertino, puttaniere.

 

Lassamme fà ’a Dio.

Lasciamo fare a Dio. Non possiamo fare altro che sperare. Affidiamoci alla benevolenza di Dio.

 

Levà’ ’a purpètta ’a dint’a ’o piatto a uno.

Togliere la polpetta dal piatto di qualcuno. Sottrarre qualcosa ad una persona che ne era il giusto titolare o privarlo di una posizione acquisita. 

 

Levarse ’o sfizio.

Togliersi lo sfizio. Fare qualcosa per il puro piacere di farlo. Appagare un desiderio che si era a lungo coltivato ma senza poterlo mai realizzare.

 

Leve mane!

Leva le mani. Vattene via. Qua non sei il benvenuto togli il disturbo.

 

Li profunne de casa de lo Diavolo.

Le profondità di casa del Diavolo. L’InfernoCon riferimento alla Divina Commedia e a Lucifero che occupa la parte più profonda dell’Inferno, l’ultima del quarto cerchio. In questa zona Lucifero passa il suo tempo a sbranare eternamente Giuda Iscariota, Cassio e Bruto. 

 

Lindo e pinto.

Lindo e lucido. Curatissimo ed elegante se riferito ad una persona. Pulitissimo se riferito ad ambiente o oggetto. 

 

Lisciabusso.

Un aspro rimprovero. Una vivace ramanzina.Volendo usare sinonimo più colorito “cazziata” rende maggiormente l’idea.

 

Lloco te voglio zuoppo, a sta sagliuta!

Qui ti voglio, zoppo, davanti a questa salita! Hai magnificato tanto le tue qualità e le tue capacità adesso è arrivato il momento di dimostrare nei fatti se quanto hai detto corrisponde a verità o sei solo un fanfarone. 

 

L’ommo è fronna e ’a femmena è culonna.

L’uomo è foglia e la donna è colonna. Caratterialmente la donna è più stabile nelle sue idee mentre l’uomo è più facile da irretire. In altre parole, la donna si lascia conquistare solo se vuole ma riesce a conquistare l’uomo ogni volta che vuole.

 

L’ommo è fuoco e ’a femmena è stoppa.

L’uomo e fuoco e la donna è stoppa. Questo antico detto si completa, in un certo senso, con un proverbio aquilano: «La paja vicino allu fuoco s’appiccia». Paglia o stoppa sono comunque due materiali facilmente infiammabili, per cui devono stare lontani dal fuoco. Di conseguenza, essendo l’uomo il fuoco, bisogna evitare l’eccessiva vicinanza se non si vuole che scoppi un incendio… ormonale.

 

L’ausà e ‘o strausà sò dduje malanne
Timidezza e ardimento sono due mali

 

L’avimmo fatto ‘e stramàcchio
L’abbiamo fatto di nascosto

 

L’ha avuto dint’ ‘e mmole
Lo ha avuto sui denti – Si è offeso

 

L’omme spusato, ‘a fune s’è attaccato
L’uomo sposato si è legato da solo con la corda

 

Lassa ca ‘o bastimiento va ‘nfunno, abbasta ca moreno ‘e sùrece
Lascia che la nave affondi, basta che muoiano i topi

 

Lassa sta ‘o munno comme se trova
Lascia stare il mondo così com’è

 

Lasseme stà ca stongo ‘nquartato
Lasciami perdere che sono nervoso

 

Levamme ‘a tavern’ ‘ananz’ a Carnevale
Togliamo la taverna davanti a Carnevale

 

Levamme ‘a frasca ‘a miezo
Togliamo questo tema dalla discussione

 

Levamme ‘e pprète ‘a nanze ‘e cecate
Togliamo le pietre davanti a coloro che non vedono

 

Lèvate ‘a miezo, e famme fa ‘o spezziale
Togliti dai piedi e lasciami lavorare

 

Liève mane
Togli le mani – lascia perdere – finiscila

 

Lièvete ‘o pilo ‘a vocca
Togliti il pelo dalla bocca – dici la verità

 

L’abbrucia ‘o paglione
È rimasto scottato

 

L’acqua è poca e ‘a papera nun galleggia
L’acqua è bassa e l’oca non sta a galla

 

L’acqua ‘nfràceta ‘e bastemiente ‘a mmare
L’acqua fa marcire le navi a mare – Lo dice chi beve solo vino

 

Ll’acqua vo’ ‘a pennenza, ll’ammore ‘a speranza
L’acqua vuole la pendenza, l’amore la speranza

 

Ll’arte d’ ‘e pazze pure è arte
Anche l’arte dei pazzi è arte

 

Ll’Asteco chiòve e ‘a fenesta scorre.
Il tetto è bucato e la finestra è rotta – si tratta di scuse per non fare nulla

 

Ll’aucièllo dint’ ‘a cajòla canta pe’ rràggia e no’ p’ ammore
L’uccellino in gabbia canta per rabbia e non per amore

 

Ll’ommo è cacciatore, addò vede ‘a quaglia llà ‘a spara
L’uomo è cacciatore dove vede la quaglia, spara

 

Ll’ommo faticatore è ‘a rruìna d’ ‘a casa
L’uomo lavoratore è la rovina della casa

 

L’ordine d’ ‘a marina, se mettono ‘a sera e se levano ‘a matina
Le ordinanza della Marina, si applicano la sera e si revocano al mattino dopo

 

Ll’uocchie d’ ‘o patrone ‘ngrassa ‘o cavallo
L’occhio del padrone ingrassa il cavallo

 

Luna allerta, marenaro cuccato

Con la luna piena i pesci non abboccano

 

L’urdema mattunella rò cesso

(L’ultima mattonella del bagno) : Colui che non conta niente

 

 

 

M’aggia suppuntà nu’ poc’ ‘o stommaco
Devo fare uno spuntino

 

M’aggio levato ‘na preta ‘a dint’ ‘a scarpa
Mi sono vendicato di un torto subito

 

M’è asciuto ‘a dint’ ‘a ll’anema
M’è venuto in modo spontaneo

 

Me’ rutto ll’ova dint’ ‘o panaro
Mi hai fatto saltare l’affare

 

Ma tu sì ppropio n’alìce ‘e matenata!
Sei proprio un ingenuo

 

Ma tu vide ‘nu poco quant’è bbell’ Parigge!
Ma tu guarda un po’ quanto è bella Parigi!

 

Maccarune e matremmonie, caure caure
Maccheroni e matrimoni, caldi caldi – I contratti si concludono a caldo

 

Maccarune, carne e vino ‘e cannata, fanno buono sanghe pe’ tutta l’annata
la salute trae giovamento dal cibo buono ed abbondante per tutto l’anno

 

Magna ‘a ggusto tuojo e vièste ‘a ggusto ‘e ll’ate
Mangia secondo i tuoi gusti e vesti secondo quello degli altri

 

Magna, ca d’ ‘o ttuojo magne
Mangia pure che è tutta roba tua

 

Magnanno magnanno vène ‘a famma
L’appetito vien mangiando

 

Maje cchiù nera d’ ‘a mezanotte po’ vvenì
Mai più buio di mezzanotte può accadere.

Mal’ ‘a chi add’avè e viat’ ‘a chi adda dà
Meschino chi deve avere e beato chi deve dare

 

 

Ma che vaco mettenno ’a fune ’a notte?

Ma vado forse a mettere la fune di notte? Era una tecnica di rapina che consisteva nel tendere una fune tra i due lati di una strada buia, saltare addosso al primo malcapitato che vi inciampava e quindi rapinarlo. Di solito è la risposta che si dà a chi ha troppe pretese rispetto alla reale disponibilità economica di cui si dispone.

 

Maccarone.

Maccherone. Babbeo, fessacchiotto, sempliciotto.

 

Madama senza naso

La signora senza naso. Cioè il teschio, simbolo della morte.

 

Magnarse ’e maccarune.

Mangiarsi i maccheroni. Capire l’antifona. Intuire le vere intenzioni nascoste.

 

Mamma, Cicco me tocca… Toccame Ciccio , ca mamma nun vere!

Mamma, Ciccio mi tocca… toccami Ciccio, che mamma non vede! Riferimento alle ragazze che in pubblico fanno tanto le schizzinose ma nell’intimità si lasciano andare senza pudore.

 

Mamma, denare e giuventù se chiàgneno quanno nun ce stanno cchiù.

Mamma, denaro e gioventù si piangono quando non ci sono più. Il peggio che possa capitare nella vita è arrivare al punto in cui, tirando le somme ci si rende conto di non aver compreso le fortune che la vita ci aveva donato.

 

Mamma d’o Carmene .

Madonna del Carmine! Espressione di meraviglia, stupore: Incredibile!, Straordinario! Usata anche come espressione di paura equivalente a “mamma mia!”.

 

Mamma Schiavona.

La Madonna di Montevergine. Schiavona era il termine che designava tutte le Madonne nere di provenienza orientaleNel 1154 la Madonna di Montevergine mise in ombra San Gennaro. Infatti in quella data Guglielmo il Malo, re normanno della Sicilia, regno che all’epoca che comprendeva l’intera Italia meridionale più Abruzzo e Molise, ritenne Benevento non fosse più luogo sicuro per le reliquie del santo. Temeva infatti che potessero essere trafugate per cui le fece traferire nell’abbazia di Montevergine.
In questo convento San Gennaro si ritrovò in un ruolo di comprimario. Infatti le divinità celebrate dai pellegrini che giungevano all’abbazia erano san Girolamo e appunto una Madonna detta Mamma Schiavona.
Con il passare degli anni e con l’assenza del culto fu dimenticato persino il luogo dove le ossa erano state sepolte.
Ossa che si sarebbero perse per sempre se il cardinale Giovanni d’Aragona, nel 1497, non fosse riuscito a ritrovarle sotto l’altare maggiore e riportarle a Napoli.

 

Mamma zezzella.

Mamma di latte. Nutrice. Balia.

 

Mamozio.

Babbasone. Uomo grosso e credulone, goffo e impacciato. Per risalire alle origini di questo modo di dire bisogna andare ai primi anni del 1700 quando a Pozzuoli durante gli scavi per la costruzione della chiesa di San Giuseppe venne fuori una statua senza testa. Rappresentava il console romano Lolliano Mavozio. Qualche improbabile restauratore penso bene di piazzarci una testa ma la scelse troppo piccola. Ne risultò un’immagine grottesca e comica con l’aspetto globale di un deficiente. Nel tempo i puteolani storpiarono anche il nome per cui Mavozio è diventato Mamozio.

 

Magna magna.

Mangia mangia. La corruzione diffusa. Nei centri di potere non esistono controlli e tutti d’accordo si appropriano di tutto quello che è possibile. Sinonimo di “rubare”. L’idea più diffusa è che la politica sia tutto un “magna magna”.

 

Mamma, Cicco me tocca… Toccame Ciccio , ca mamma nun vere!

Mamma, Ciccio mi tocca… toccami Ciccio, che mamma non vede! Riferimento alle ragazze che in pubblico fanno tanto le schizzinose ma nell’intimità si lasciano andare senza pudore.

 

Mamma, denare e giuventù se chiàgneno quanno nun ce stanno cchiù.

Mamma, denaro e gioventù si piangono quando non ci sono più. Il peggio che possa capitare nella vita è arrivare al punto in cui, tirando le somme ci si rende conto di non aver compreso le fortune che la vita ci aveva donato.

 

Mamma d’o Carmene .

Madonna del Carmine! Espressione di meraviglia, stupore: Incredibile!, Straordinario! Usata anche come espressione di paura equivalente a “mamma mia!”.

 

 

Mamma Schiavona.

La Madonna di Montevergine. Schiavona era il termine che designava tutte le Madonne nere di provenienza orientaleNel 1154 la Madonna di Montevergine mise in ombra San Gennaro. Infatti in quella data Guglielmo il Malo, re normanno della Sicilia, regno che all’epoca che comprendeva l’intera Italia meridionale più Abruzzo e Molise, ritenne Benevento non fosse più luogo sicuro per le reliquie del santo. Temeva infatti che potessero essere trafugate per cui le fece traferire nell’abbazia di Montevergine.
In questo convento San Gennaro si ritrovò in un ruolo di comprimario. Infatti le divinità celebrate dai pellegrini che giungevano all’abbazia erano san Girolamo e appunto una Madonna detta Mamma Schiavona.
Con il passare degli anni e con l’assenza del culto fu dimenticato persino il luogo dove le ossa erano state sepolte.
Ossa che si sarebbero perse per sempre se il cardinale Giovanni d’Aragona, nel 1497, non fosse riuscito a ritrovarle sotto l’altare maggiore e riportarle a Napoli.

 

 

Mamma zezzella.

Mamma di latte. Nutrice. Balia.

 

 

Mamozio.

Babbasone. Uomo grosso e credulone, goffo e impacciato. Per risalire alle origini di questo modo di dire bisogna andare ai primi anni del 1700 quando a Pozzuoli durante gli scavi per la costruzione della chiesa di San Giuseppe venne fuori una statua senza testa. Rappresentava il console romano Lolliano Mavozio. Qualche improbabile restauratore penso bene di piazzarci una testa ma la scelse troppo piccola. Ne risultò un’immagine grottesca e comica con l’aspetto globale di un deficiente. Nel tempo i puteolani storpiarono anche il nome per cui Mavozio è diventato Mamozio.

 

 

Magna magna.

Mangia mangia. La corruzione diffusa. Nei centri di potere non esistono controlli e tutti d’accordo si appropriano di tutto quello che è possibile. Sinonimo di “rubare”. L’idea più diffusa è che la politica sia tutto un “magna magna”.

 

 

Mannà’ a accattà’ o pepe.

Mandare a comprare il pepe. Cercare una scusa per allontanare qualcuno, in particolar modo un bambino, per evitare che ascolti un argomento da adulti.

 

 

Mannà ô paese ’e Pulecenella.

Mandare al paese di Pulcinella. Mandare qualcuno a quel paese.

 

 

Mannaggia ’a culonna.

Mannaggia la colonna! Per comprendere questa imprecazione bisogna risalire ad una colonna divenuta propiziatoria che si trovava a Napoli, in piazza Ottocalli, di fronte alla chiesa di SS. Giovanni e Paolo. I contadini si recavano alla colonna quando gli elementi della natura non erano favorevoli alle colture. Il parroco recitava sul lato destra un’orazione per la realizzazione delle aspettative. Con il passare degli anni la Chiesa però intervenne e fece abbattere la colonna perché la superstizione aveva superato di gran lunga la fede. Da questo aneddoto sarebbe nata la mezza imprecazione perché non potendo contare sull’aiuto della colonna le “vittime” ne maledicono l’abbattimento. 

 

 

Mannaggia ’a Marina.

Mannaggia la Marina! Imprecazione di disappunto espressa  in una forma che attutisce quella che potrebbe diventare una contumelia ben più blasfema, dopo un imprevisto mal digerito. Secondo una lstoriella che si raanta in città il modo di dire nacque nel lontano 1860 ed il protagonista della famosa frase pare sia proprio l’allora re delle due Sicilie Francesco II di Borbone. Sembra infatti che quando il Re venne a sapere dello sbarco in Sicilia dell’esercito dei Mille ,  non ci vide più dalla rabbia ed incominciò a far uso delle più icredibili espressioni , fino all’esclamazione finale: “Mannaggia ‘a Marina!”. La rabbia del Re, inoltre, era anche mista a  delusione in quell’occasione: la sua flotta armata, infatti, non solo era il suo orgoglio, ma era stata anche il fiore all’occhiello del padre Ferdinando II che per primo l’aveva allestita. Per capire l’importanza della marina napoletana basta immaginare che proprio il codice marittimo napoletano era all’epoca uno dei più avanzati d’Europa e fu adottato anche dall’Italia, una volta unita.
Proprio per questo motivo, infatti, era ancor più difficile riuscire ad accettare l’ignobile tradimento perpetrato ai suoi danni da parte degli ufficiali, in favore di  Garibaldi che, nel 1860, stava sbarcando in Sicilia.

 

 

Mannaggia a Bubbà!

Mannaggia Bubbà! Una imprecazione molto soft. Una sorta di accipicchia o acciderba. 

 

 

Mantené ’a cannéla.

Reggere la candela. Un tempo i fidanzati non uscivano da soli fino al matrimonio quindi potevano farlo sono se accompagnati da un’altra  persona o da un bambino: la candela. Anche in casa non gli era consentito di restare da soli nella stessa stanza per evitare effusioni amorose per cui anche in quel caso doveva esserci la “candela”. Anche se le origini del detto risalgono all’epoca romana quando era d’uso accompagnare con delle fiaccole accese  gli sposi. 

 

 

Mantiene ’o carro p’ ’a scesa.

Trattieni il carro lungo la discesa. Non farti travolgere dalle difficoltà e non lasciare che le cose precipitino. Affronta le difficoltà con cautela e diplomazia.

 

 

Marianna ancora nun è prena e già hanno spase ’o fasciature.

Marianna ancora non è incinta e già hanno steso il fasciatoio, cioè preparato gli indumenti che dovrà indossare il neonato. Anticipare in maniera illogica gli eventi. Ma principalmente fare programmi troppo ambiziosi rispetto a quelle che sono le prospettive reali.

 

 

Marito mio bello, marito mio buono, tu lieve ’o quatro e io leve o cchiuovo!

Marito mio bello, marito mio buono, tu togli il quadro e io tolgo il chiodo. Il dramma di una famiglia allo sbando, dove entrambi i coniugi contribuiscono al peggioramento delle condizioni economiche. Ma in senso figurato si riferisce ad una situazione che sta precipitando perché le varie parti, invece di fare fronte comune e salvare il salvabile, si combattono tra loro.

 

 

Mastuggiorgio.

Mastro Giorgio. L’infermiere del manicomio. La persona che placa gli animi in un ambiente surriscaldato. Il capo dispotico costretto ad usare le maniere forti per mantenere l’ordine. Buttafuori.

 

 

Mazzamma.

Pesca di poco pregio. Feccia. Gente di malaffare. Canaglia.

 

 

Mbruoglie, aiutame.

Imbroglio, aiutami! Cercare la buona sorte utilizzando mezzi poco edificanti. Approfittare di situazioni complicate per ricavarne un utile che diversamente non si sarebbe riusciti ad ottenere.

 

 

Me dai na voce

Mi dai una voce. Avvertimi! Fammi sapere. Informami.

 

Meglio murí sazzio ca campà diúno.

Meglio morire sazio, che vivere a digiuno.

 

Me pare ’o cucchiere ’e Bellumunno!

Mi sembra il cocchiere di Bellomunno! Bellomunno è una storica agenzia di pompe funebri napoletana. Quindi simbolicamente essere il cocchiere di Bellomunno significa essere una persona triste nell’aspetto, nel comportamento o nell’abbigliamento.

 

Me pàreno mill’anne!

Mi sembrano mille anni! Sto contando le ore. Sto aspettando con ansia un momento che sembra non arrivare mai.

 

Me veco pigliato d’ ’e Turche!

Mi vedo catturato dai pirati turchi! Mi trovo in una situazione disperata per cui devo tentare una qualsiasi via d’uscita. L’espressione fa riferimento alla paura che avevano i marinai di Torre del Greco di essere catturati dai pirati turchi. La paura non era astratta ma fin troppo concreta. Già nel 1598 Mustafà e la sua flotta di 120 galere portarono morte e distruzioni sulle coste del Golfo di Napoli. A coronamento di tale impresa catturarono anche 12mila abitanti, destinati ovviamente al mercato degli schiavi o ad una sorte peggiore. Ma la paura dettata in maniera più diretta a questa espressione prende corpo quando i marinai torresi si spingono verso le coste del Nord Africa. Per i pirati diviene un gioco da ragazzi catturarli, ammassarli in qualche luogo e chiedere il riscatto. In realtà tra torture e condizioni ambientali terrificanti, difficilmente sopravvivevano anche quando non venivano ammazzati deliberatamente. Sulla base di questi presupposti essere “pigliati dai turchi” era, quindi, una situazione a dir poco disperata.

 

Meglio ’na mala spina ca ’na mala vicina.

Meglio la puntura di una dolorosa spina che è una cattiva vicina. Una cattiva vicina può rendere la vita fastidiosa o impossibile. Se ascolta la musica o guarda il televisore ad alto volume diventa un’ossessione. Tuttavia, se è solo scostumata si può litigare e far valere le proprie ragioni. Ma se è una persona poco raccomandabile allora si tratta di un grosso problema: bisogna rassegnarsi a subire. Ecco perché è preferibile la puntura di una spina, che per quanto dolorosa è destinata a sparire presto.

 

Meglio ’o ’mpiso ca ’o male ’nzurato.

Meglio impiccato che male sposato. Considerazione un po’ eccessiva anche se di sicuro un matrimonio disastroso può rovinare la vita ad uno dei coniugi, ma anche ad entrambi.

 

Meglio essere pariente d’’a cana ca d’’o cane.

Meglio essere parente della cagna che del cane. Generalmente la moglie è legata alla madre e ostile alla suocera. L’uomo è più tollerante ed evita queste “faide”. Ne deriva che la moglie gestisce con maggiore autorità i rapporti con le due famiglie. Se proprio si deve fare qualcosa insieme sicuramente la famiglia della sposa partirà in vantaggio. 

 

Meglio sulo, ca male accumpagnato.

Meglio solo che mal accompagnato. Equivalente all’espressione italiana dal significato fin troppo evidente. Una compagnia sgradevole, fastidiosa o addirittura dannosa fa desiderare la solitudine. Non è raro che nel matrimonio uno o entrambi i coniugi arrivino alla conclusione che sarebbero stati meglio senza quella unione.

 

Menà ’na zeppata.

Lanciare un’affermazione allusiva. Muovere una critica non diretta né chiara nelle parole. A volte è una sorta di messaggio criptato che solo il destinatario del rimprovero può cogliere anche tra molti astanti.

 

Menarse a mare cu tutt’ ’e panne.

Tuffarsi a mare con tutti i vestiti addosso. Andare a rotoli. Rovinarsi con le proprie mani.

 

Mettere ’a capa ’a fa bene.

Mettere la testa a fare bene. Dopo un passato da scapestrato ripartire con il piede giusto. Mettere la testa a posto.

 

Mettere i recchie p’i pertose .

Mettere le orecchie attraverso i buchi. Origliare cercando di captare segreti o cogliere informazioni utili. Il detto non ha soltanto un’accezione negativa. Può significare anche stare attento a raccogliere qualche informazione utile a chi sta cercando qualcosa.

 

Mettere ’o ppepe ’nculo ’a zoccola.

Mettere il pepe nel culo di un ratto. Fomentare con delazione la reazione di qualcuno. Aizzare, sobillare.

 

Metterse ’e casa e puteca .

Mettersi casa e bottega. Dedicare tutto il proprio tempo al lavoro o ad un’opera in particolare per un tempo limitato.

 

Metterse na cosa int’i chiocche.

Mettersi una cosa nelle tempie. Ficcarsi bene in testa.

 

Metterse ntridece.

Mettersi “in tredici.” Intromettersi in maniera invadente e inopportuna.

 

Mèza bbòtta.

Mezza botta. Una mezza tacca. Una persona insignificante.

 

Mman’ ’a.

In mano a. Ai tempi di… All’epoca di…

 

Mmange, ca ru ttuoie mange!

Mangia, ché del tuo mangi! Si dice di chi è convinto di star realizzando dei buoni affari con mezzi non propriamente puliti senza accorgersi che alle sue spalle c’è qualcuno che sta beneficiando del frutto delle operazioni che con tanto impegno sta realizzando. 

 

Mmano a Pappagone

Al tempo di Pappagone. Tempi talmente lontani da risultare anacronistici.

 

Mmano all’arte.

Nelle mano dell’arte. Stai tranquillo ti sei affidato ad un artista quindi puoi dormire sonni tranquilli. Le tue esigenze saranno curate da una persona della massima competenza.

 

Mmesca francesca.

Miscuglio senza criterio. Una baraonda, un casino. Un caos dal quale è difficile venir fuori. Una torre di Babele.

 

Mo mo.

Or ora. In questo momento. Proprio adesso.

 

Mo nce vo.

Ora ci vuole. Appunto. Giustappunto. Proprio così.

 

Mosca cavallina.

Mosca cavallina (insetto ematofago, cioè succhia il sangue come la zanzara). Tormenta in maniera particolare gli equini. Quindi si dice di una persona assillante, fastidiosa, asfissiante, di cui non si riesce a liberarsene in alcun modo. Uno scocciatore scostumato.

 

Mparanza.

Tutto insieme. Raccogliere tutti indistintamente in una sola volta senza distinzione.

 

Mpechèra.

Pettegola. Maldicente, sobillatrice, calunniatrice.

 

Mpupazzà.

Agghindarsi in maniera vistosa. Vestirsi con poco gusto. Ma anche mistificare dei prodotti per ingannare il potenziale cliente, occultante i difetti. 

Mpustatore.

Prepotente. Arrogante, prevaricatore, che pretende di imporre con la forza il proprio volere.

 

Mùmmera

Anfora di creta. In generale serviva ad attingere e trasportare acqua dalle fontane pubbliche. A Napoli veniva utilizzata anche per la vendita dell’acqua “zuffrègna”, perché la creta la manteneva fredda. Erano quindi di coccio e come tale si intende anche una testa dura, ostinata o piuttosto lenta di comprendonio. Un seno prosperoso può anche essere equiparato a “doie mùmmarelle” .

 

Muorto ’o criaturo nu’ simmo chiù cumpare.

Morto il bambino (il figlioccio) e non siamo più compari. Si dice quando senza motivi apparenti si raffredda un rapporto che era sempre stato ben saldo. 

 

Muorzo d’a crianza.

Il boccone della creanza. L’abitudine di lasciare sempre qualche boccone nel piatto.

 

Manco pittato se po’ ffà ‘nu bbuono matremmonio
Neanche dipinto si può fare un buon matrimonio
Mannà a accattà ‘o ppepe
Trovare una scusa per allontanare qualcuno che sta dando fastidio
Mannà a carte quarantotto
Mandare tutto all’aria
Mannaggia ‘o suricillo e ‘a pezza ‘nfosa!
Mannaggia al topolino e alla pezza bagnata!
Mantenè ‘o carro p’ ‘a scesa
Mantenere un carro in discesa – Tenere duro
Maria cuntrariosa, quanno chiove arracqua ‘e rrose
Maria bastiancontrario, quando piove annaffia le rose
Mariantò ‘o terremoto! “Mo’, mo’!”
Mariantonia, il terremoto! “Aspetta un momento!
Marito geluso, more curnuto
Marito geloso è tradito
Maronna mia, nun fa murì a Nerone!
Madonna mia, non far morire Nerone! – Potrebbe essere sostituito da uno peggiore
Masaniello fà ‘e ccose ‘a ccàpa ‘e ‘mbrello
Masaniello fa le cose senza pensarci – alla sanfasò
Masto a uocchie, masto ‘e papuocchie
Si dice di chi lavora in modo approssimativo e superficale
Mazza e panella fanno ‘e figlie belle; panella senza mazza fanno ‘e figlie pazze
Bastone e pagnotta rendono i figli belli; pagnotta senza bastone rende i figli pazzi
Me facette afferrà d’ ‘e turche
Mi sono fatto prendere per pazzo
Me pare …, pigliaje trent’anni
Mi sembra …, fu condannato a trent’anni di carcere
Me pare ‘o ppetrusino dint’ ‘a menesta
Sembri come il prezzemolo nella minestra – Stai dappertutto
Me pare ‘o puzzo e san Patrizio
Sembri un pozzo senza fondo – proprio del pretenzioso che non si accontenta mai
Me pare Pascale ‘o passaguaje
Sembri Pasquale sempre nei guai
Me parìte ddoje maruzze, una fete e n’ata puzza!
Mi sembrate due lumache una peggiore dell’altra
Me sento accussì ‘nfurncuso, accussì arraggiato, ca si me va coccheccosa ‘e travierzo cu coccheruno, m’ ‘o magno a muorze.
Oggi sono così nervoso, così arrabbiato che se litigo con qualcuno me lo mangio a morsi
Me so’ vvisto piglià d’ ‘e turche
Mi sono innervosito
Me staje purtanno p’ ‘e viche e vicarielle
Mi stai portando per vie e vicoli – stai trovando mille pretesti
Meglio c’ ‘a panza schiatta, c’ ‘a rrobba resta
Meglio che la pancia esplodi piuttosto che avanzi il cibo
Meglio cap’alìce ca córa ‘e céfaro
Meglio essere testa d’alice che coda di cefalo
Meglio disperato, ca malato
Meglio stare senza un soldo ma in buona salute
Meglio ‘na mala jurnata, e no ‘na mala vicina
Meglio una brutta giornata che una cattiva vicina

 

Meglio nu ciuccio vivo, ca nu duttore muorto.

Meglio un asino vivo che un dottore morto.

Meglio ‘nu mal’accordo ca ‘na causa vinciuta
Meglio un cattivo accordo che una causa vinta
Meglio sulo ca male accumpagnato
Meglio solo che male accompagnato
Menarse ‘a mmare cu’ tutte ‘e panne
Buttarsi a mare con tutti i vestiti – lanciarsi a capo fitto in una situazione critica
Mentre ‘a bbella s’appretène, ‘a bbrutta se marita
Mentre la bella si dà delle arie, la brutta trova marito
Mercante fallito, mièz’ arricchito
Mercante che dichiara fallimento è mezzo arricchito
Mettere ‘o ssale ‘ncopp’ ‘a còra
Mettere il sale sulla coda – cercare di ottenere con l’astuzia
Mettere ‘na bbona parola
Parlare a favore
Metterse ‘a ppaura ‘e ll’ombra soja
Aver paura di tutto, perfino della sua stessa ombra
Mèza signora, mèza pèttola
Donna dismessa e di umili orgini
Miètt’ ‘o lupo a guardà ‘e ppecore
Metti il lupo a protezione delle pecore
Miettatèllo dint’ ‘e cchiocche
Mettitelo bene in testa
Mièttete dint’ ‘e panne mje
Prova a metterti nei miei panni
Mò c’è rrimasto sulo sta’ capa ‘e sarachiello
D’ora in poi dovremo arrangiarci con quel poco che c’è rimasto
Mo’ se màgnano ‘e ffichi, mo’ c’ ha chiuoppeto!
Il periodo migliore per mangiare i fichi è dopo la pioggia
Mo’ te vanno ‘e scarpe astrette!
Adesso sei in difficoltà – quando le cose non vanno più bene
Muntagna e muntagna nun s’affronnano
Montagna e montagna non si affrontano – i potenti cercano sempre un compromessoMuorto ‘nu Papa, se ne fà n’ato
Morto un papa se ne elegge subito un altro.

 

 

N’ ‘a fatto chiagnere asteche e lavature, e mo’ chiagne isso cu’ tutt’ ‘o cufenaturo
Ne ha fatti piangere di terrazzi e lavatoi, e ora piange insieme alla sua tinozza del bucato – dicesi di persona malvagia che ha fatto del male a molte persone e che adesso si trova nei guai

 

‘Na bott’ ‘o chirchio e ‘n at’ ‘o tumbagno
Un colpo al cerchio e uno alla doga

 

‘Na femmena e ‘na papera arrevutajeno Napule
Una donna e un’oca sconvolsero Napoli

 

‘Na mela vermenosa ‘nfraceta ‘nu muntone
Una mela coi vermi fa marcire tutte le altre

 

‘Na mugliera ‘mpicciosa è pegg’ ‘e ‘nu riebbeto
La moglie assillante è peggio di un debito

 

‘Na vota pe’ d’uno, nun fa male a nisciuno
Una volta ciascuno, non fa male a nessuno

 

‘Nce ha jettato ‘ncuollo ‘o nniro d’ ‘a seccia
Ha fatto in modo che tutto andasse storto – ha portato sfortuna

 

‘Nce vò pacienzia ‘a magnà ‘e carcioffole
Ci vuole molta pazienza per mangiare carciofi

 

‘Ncopp’ ‘a fossa ‘nce sta ‘o cupierchio: annante ‘o giovene e appriesso ‘o viecchio
Sulla tomba c’è il coperchio: avanti il giovane e appresso il vecchio

 

Ne’ femmene ne’ tele, ‘a lume ‘e cannela
Non bisogna credere nè a donne né a tessuti sotto la luce artificiale

 

‘Nfìlace ‘nu spruoccolo dint’ a stu’ purtuso!
Infilaci un rametto in questo foro

 

‘Nfronte nun tengo scritto: Giucondo
Sulla mia fronte non c’è scritto Giocondo – Non sono mica scemo!

 

N’aggie scaurate chiaveche, ma tu si’ ’o nummere uno!

Ne ho lessate chiaviche, ma tu sei il numero uno! Ho conosciuto e mi sono scontrato con tanti furfanti ma tu sei una canaglia che non teme confronti. Sei il più farabutto dei farabutti.

 

 

’Na carta ’e tre.

Una carta di tre. È la carta di maggior valore nel gioco del Tresette. Una persona di notevole importanza. Uno che conta. E nel gergo malavitoso era il guappo. 

 

Na galletta ’e Castiellammare.

Una galletta di Castellammare. Uno spilorcio senza uguali. Da lui è inutile ogni tentativo di spillare qualcosa. 

 

’Na lenza ’e sole.

Una striscia di sole. Un piccolo raggio di sole.

 

’Na mamma è bona pe’ cient figli ma cient figli nun so’ buone pe’ ’na mamma.

Una madre è buona per cento figli ma cento figli non sono buoni per una mamma. Visitando una casa di riposo per anziani ci si rende conto di quanto sia vero questo proverbio. Buona parte delle mamme che si trovano a trascorrere in quel luogo l’ultima fase della propria vita non hanno trovato posto nella casa di un proprio figlio. Eppure, quanti di questi figli, che adesso la vorrebbero tenere a casa “ma proprio non possono”, si sono sentiti dire dalla madre a cui avevano chiesto aiuto: «vorrei ma non posso?».

 

’Na meza botta.

Una mezza botta. Persona o cosa di scarso valore.

 

’Na vota è prena, na vota allatta, nun ’a pozzo maje vàttere!

Una volta è incinta, una volta allatta, non la posso mai bastonare. Non si tratta di violenza sulle donne né della necessità di bastonare la moglie. Si riferisce alla difficoltà di portare a termine un’iniziativa perché subentrano sempre nuovi ostacoli.

 

’Ncopp’a ccuotto, acqua vulluta.

Sopra la scottatura acqua bollente. Come se non bastasse la prima sventura se ne aggiunge un’altra che aggrava ancora di più la situazione.

 

‘Nciucio.

Pettegolezzo, confabulazione. Progetti costruiti malevoli nell’ombra. ‘Nciucessa. ’Ngiucièro. Gli autori materiali dello ‘Nciucio.

 

Ncasà ’a mano.

Calcare la mano. Darci dentro maggiormente. Non essere moderato, approfitta!

 

Nce vò nu core.

Ci vuole un cuore. “Ci vuole un cuore di pietra per comportarsi in questo modo!”, “Ci vuole una bella faccia tosta per dire certe cose”.

 

Ne vuo’ ca so cepolle?

Ne vuoi che sono cipolle? Cipolle: legnate. Devi solo decidere se e quante ne vuoi perché di sberle ce ne sono in grande quantità. E trattandosi di cipolle ne puoi avere fino alle lacrime.

 

Nennella ’e ll’uocchie.

La bambina degli occhi. La pupilla.

 

Ngigna’

Inaugurare. Ma in questo caso il termine ha una sfumatura un po’ particolare perché è riferito principalmente a capi di abbigliamento che vengono indossati per la prima volta.

 

Nippulo.

Pelucco. Palline composte da peluzzi corti e morbidi che formano una leggera lanuggine su un tessuto o una maglia. 

 

Nisciuno te dice: lavate ’a faccia ca pare cchiu bella!

Nessuno ti dice: lavati la faccia che sembri più bella! Nessuno cerca di aiutare qualcun altro contro i propri interessi.

 

Nun me ’ntrico e nun me ’mpaccio.

Non mi intrometto e non mi coinvolgo. Mi faccio i fatti miei e sto tranquillo. 

 

Ntrichete ’e te!

Impicciati dei fatti tuoi! Pensa te! Non pettegolare su di me!.

 

Nu chiappo ’e ’mpiso.

Un cappio di impiccato. Un pendaglio da forca. Ma viene usato anche in senso scherzoso con un bambino molto vivace.

 

Nu parmo e nu ziracchio.

Un palmo e un poco. Una piccola quantità. Su usa per definire una persona molto bassa. Il palmo e il ziracchio sono unità di misura che si utilizzano nel gioco delle bocce e delle boccette. Il palmo è la distanza che intercorre tra il pollice e il mignolo della mano tesa, il ziracchio quella tra il pollice e l’indice.

 

Nu piezzo ’e pane.

Un pezzo di pane. Una persona molto pacifica e tollerante.

 

Nu ziracchio d’ommo.

Un uomo di statura assai piccola.

 

Nun bulere stare manco pe pollece int’ ’a cammisa d’uno.

Non voler essere nemmeno come pulce nella camicia di qualcuno. Non pensare nemmeno lontanamente di potersi trovare nei panni di una persona che sta vivendo un momento disastroso.

 

Nun c’è spusalizio addò nun se chiagne, nun c’è muorto addò nun se rire.

Non c’è matrimonio dove non si piange, non c’è funerale dove non si ride. Nei matrimoni si tratta di lacrime di emozione. Le risate ai funerali, invece, possono avere due origini differenti. Una concreta, di quelli che partecipano pro forma e di conseguenza si intrattengono tra loro a discutere “allegramente”. L’altra subdola, di chi gioisce in cuor suo per rancore nei confronti del morto o per i vantaggi che gliene potranno derivare.  

 

Nun ce vo’ zingara p’anduvinà sta ventura.

Non ’è bisogno della zingara per indovinare questa sorte. Ci sono delle cose che sono talmente evidenti da essere troppo facili da capire. 

 

Nun è doce ’e sale.

Non è dolce di sale. Un tipo con cui sarebbe preferibile non averci a che fare. È arrogante e aggressivo. Un uomo dal carattere difficile.

 

Nun fa ’o farenella!

Non fare il pagliaccio. Un invito a evitare di assumere atteggiamenti inopportuni.

 

Nun haje visto ’o serpe, e chiamme San Paulo.

Non hai visto il serpente e invochi San Paolo. Aspetta almeno che le cose succedano prima di spaventarti. Non fasciarti la testa prima di rompertela.

 

Nun sai tené tre cicere mmocca.

Non sai tenere tre ceci in bocca. Non sai mantenere un segreto.

 

Nun sfruculià ’a mazzarella ’e San Giuseppe.

Non “sfottere” il bastone di San Giuseppe. Non svegliare il cane che dorme. Non ritornare provocatoriamente su una questione ormai sopita.

 

Nun sputà ‘ncielo ca ‘nfaccia te torna!

Non sputare verso il cielo, perché ti ricadrebbe sulla faccia. È un avvertimento a chi commette azioni disdicevoli. Secondo “l’ottimismo” di quest’espressione chi commette una cattiva azione dovrebbe ricordare che la stessa si ritorcerà contro di lui.

 

Nun tene né cielo ’a vede’ né terra ’a cammena’.

Non ha né cielo da vedere né terra su cui camminare. Vive in condizioni di estrema miseria. Ma quello che più conta non intravede prospettive.

 

Ntiempo’e tempesta, ogne pertuso è puorte’.

In tempo di bufera ogni pertugio è porto. In tempi difficili anche il più piccolo appiglio è una salvezza.

 

Nzallanuto.

Nella traduzione letterale rimbambito patologico. Nella versione scherzosa: molto distratto, sbadato, poco concentrato, eternamente con la testa tra le nuvole.

 

Nzerrà l’uocchie.

Chiudere gli occhi. Gli occhi oltre che per dormire si possono chiudere anche in senso figurato. Nel senso di non voler vedere l’evidenza. Oppure una volta e per sempre trapassando. 

 

Nziria.

Il capriccio lamentoso dei bambini. Ma può essere anche un pianto incontrollabile. O in determinate situazioni va interpretato proprio come semplice capriccio

 

Nzurfà’.

Inzolfare. Mettere zizzania. Indurre ad azioni riprovevoli. Sobillare. È l’azione che compie Iago spingendo con l’inganno Otello ad uccidere la moglie Desdemona.

 

Nisciuno dice: Lavate ‘a faccia ca pare cchiù bell’ ‘e me
Nessuno ti dice: Lavati il viso così sarai più bello di me

 

Nisciuno è sazzio da’ furtuna soja
Nessuno è mai sazio di ciò che ha

 

‘Ntiempo ‘e tempesta ogni pertuso è puorto
Quando c’è tempesta ogni anfratto è porto

 

Nun c’è ppeggio ‘e nu cafone resagliut
Le persone volgari arricchite sono le peggiori: arroganti e maleducate

Nce stanne chù ghiuorne ca ppurpette –dicett carneval !

Ci sono più giorni che polpette – disse Carnevale! Nella vita sono più i giorni di magra e di privazione, che quelli di abbondanza.

 

 

Nu’ chiammà triste, ca peggio te vene

Non lamentarti se qualcosa va storto altrimenti ti andrà peggio

 

 

Nu’ ghjì a sfrucolià ‘a mazzarella ‘e San Giuseppe
Non andare a toccare il bastone di San Giuseppe

 

Nu ghjuorne ‘e sfizzio, cient’anne ‘e guaje
Una giornata di piacere, cento anni di guai

 

Nu muorze ‘nnante l’ora, dà forza e colore
Un boccone fuori orario dà forza e colorito

 

Nu pate dà a mangnà a ciente figlie, ciente figlie nun danno a mangnà ‘o pate
Un padre riesce a sfamare cento figli, è difficile che accada il contrario

 

Nu pollece cecaje l’uocchie ‘a n’alifante
Una pulce accecò un occhio all’elefante

 

Nu’ sputà ‘ncielo ca ‘nfaccia te torna
Non sputare in cielo, che ti ricadrà sul volto

 

Nun credere ‘a ll’ommo ca giura, ‘a femmena ca chiagne, ‘a cavalla ca sura
Non credere all’uomo che giura, alla donna che piange, alla cavalla che suda

 

Nun è pane pe’ diente tuoje
Non è pane per i tuoi denti!

 

Nun fa a ll’ate chello ca nun vuò ca ll’ate fanno ‘a te
Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te

 

Nun fa ben’ ‘o populo, ca ‘o pierde
Non far del bene al popolo, che lo perderai

 

Nun fa nè lardo e nè ‘nzogna, e manco l’osse pe’ ‘e cane
Non se ne ricava nè grasso, nè sugna e nemmeno ossa per animali

 

Nun fann’ascì ‘o llardo a for’ ‘a pignatta
Non fanno uscire il lardo fuori dalla pentola – Dividono tra loro i guadagni

 

Nun fujite, Turrise, ca ‘o castigo è dd’ ‘o mio
Non scappate, Torresi, che il castigo è solo mio

 

Nun pazziammo a fa male, alluccàva ‘o sórice ‘a mmièze ‘e cciànfe dd’ ‘a jatta
Non scherziamo a far male, gridò il topo mentre si trovava tra le grinfie del gatto

 

Nun scetà ‘o cane ca rorme
Non svegliare il cane che dorme

 

Nun se fa niente pe’ senza niente
Non si fa nulla gratuitamente

 

Nun sape tenè tre cìcere ‘mmocca

Non sa tenersi tre ceci in bocca – non è capace di tenere un segret: è inteso a colui  che non riesce a mantemere un segreto

 

Nun se fa niente pe’ ssenza niente

Non si fa niente per niente.

 

Nun sempe lìlia fròlia e cecàlia canta
Non sempre il giglio fiorisce e la cicala canta

 

Nun sputà dint’ ‘o piatte addò magne

Non sputare nel piatto in cui mangi – non parlare male di chi ti sostiene

 

Nun sputà n’ciel ca n’facc te torna.

Non sputare in cielo perchè in faccia ti torna, ovvero nella vita non si deve “sputare” sulle cose buone perché se ne avrebbe danno.

 

Nun t’ ‘a piglià cu chi è cchiù forte e te
Non scontrarti con chi è più forte di te

 

Nun tène l’uocchie manco pe’ chiagnere
Si dice di chi ha avuto ripetuti dispiaceri e non ha più lacrime per piangere

 

Nun tenìte sango, eppure jate sfuttenn’ ‘e ‘nzugnature 

Non avete sangue, eppure infastidite i salassatori.

 

 

Nun vàlene tanta sunate ‘e campane, quant’a na bona calata ‘e sole!

Non valgono tanti rintocchi a distesa di campane, quanto un buon tramonto! Non conta tanto aver vissuto una vita colma di successi, quanto morire onoratamente.

 

 

 

‘O barbiere te fa bello, ‘o vino te fa guappo e ‘a femmena te fa scemo
Il barbiere ti rende bello, il vino coraggioso e la donna ti rende stupido

 

‘O bongiorno se vede d’ ‘a matina
Il buongiorno si vede dal mattino

 

 

‘O cane mozzeca semp’ ‘o stracciato
Il cane morde sempre il povero indifeso

 

‘O carro s’acconcia p’ ‘a via
Le cose si aggiustano strada facendo

 

‘O cavallo bbuono se vede ‘ncoppa ‘a sagliuta
Il buon cavallo si nota in salita

 

‘O cavallo jastemmato lle luce ‘o pilo
Il cavallo colpito da imprecazioni ha il pelo sempre lucido

 

‘O chin’ ‘e pepe sta dint’ ‘o guardarrobba
Il gamberetto sta nel guardaroba

 

‘O ciuccio ‘e Scialone, nuantanove chiaje e ‘a cora fraceta
L’asino di Scialone, 99 piaghe e la coda marcia – colui che accampa cento scuse per non lavorare

 

‘O ciuccio porta ‘a sarma e ‘o ciuccio s’ ‘a magna
L’asino porta il basto e l’asino ne mangia il contenuto.

‘O ciuccio, addò è carùto ‘na vota nun ce càre cchiù
L’asino, dove è già caduto non cadrà più
‘O cucchiere ‘e piazza: Te piglia cu ‘o ‘ccellenza e te lassa cu ‘o chitemmuorto
L’autista di piazza: Ti accoglie facendoti dei complimenti e ti lascia bestemmiandoti
‘O cunfessore se pò dicere quacche buscìa, ‘o miedeco no
Al confessore si può dire qualche bugia, non al medico
‘O figlio muto ‘a mamma ‘o ‘ntende
Solo la mamma sa comprendere il figlio muto
‘O guallo ‘ncoppa ‘a munnezza!
Fare il gallo sull’immondizia – chi se la prende coi più deboli
O guappo e cartone (Pallone gonfiato)
Colui che vuole a tutti i costi ostentare doti che in realtà non possiede
‘O lietto se chiamma Rosa, si nun se dorme s’arriposa
Il letto si chiama Rosa se non si dorme si riposa
‘O maccarone ‘e zito se jette a cunfessà; dicette ‘o cunfessore: Sale e pepe maccarò!
Questa è una vecchia filastrocca che insegna a non confessare i propri segreti a persone che se ne approfitterebbero
‘O maccarone se magna guardanno ‘ncielo!
Ringraziamento al Signore per il buon cibo
‘O maccarone mio nisciuno ‘o tene: ‘o metto tosto e tosto se mantene!
La qualità della mia pasta è ottima, mantiene a lungo la cottura!
‘O mare, cchiù ttène, cchiù vvò
Il mare, più ha e più vuole – In riferimento all’avaro

 

 

’O Male e’ dindò.

Un male immaginario. Una scusa per sottrarsi a qualche incombenza poco gradita. Malato immaginario.

 

O ball’ ’e ll’urzo.

Il ballo dell’orso. Il ballo di una persona impacciata nei movimenti, grossolano, privo di grazia.

 

O Bùvero.

Il Borgo. “Dinte ‘o Bùvero” ovvero “Nel Borgo”. Si riferisce ad un rione di Napoli noto per un affollatissimo mercato quotidiano che si snoda lungo una strada che percorre l’intero Borgo Sant’Antonio Abate. Infatti è questo il nome completo del rione, che in dialetto diventa “Bùvero ’e Sant’Antuono” e per i napoletani semplicemente ’o Bùvero. 

 

O canzo.

Il tempo di fare qualcosa senza pressioni. Dare a qualcuno il tempo di fare una determinata cosa senza metterlo in ansia. Damme ’o canzo! : Dammi il tempo materiale di farlo non mettermi questa fretta esasperante.

 

O cappotto ’e lignamme.

Il cappotto di legno. La bara.

 

‘O ciuccio ‘e Fechella, trentatré chiaje e ‘a cora fraceca

L’asino di Fichella, trentatré piaghe e la coda fradicia. Si dice di una persona malaticcia o che lamenta continue malattie. Esistono molto versioni differenti che vorrebbero spiegare la storia di Fichella e del suo asino. Troppe per capire quale sia quella giusta. Quasi tutte però concordano su alcuni particolari. Fichella era un vecchio carrettiere che raccoglieva la frutta (forse fichi) da portare al mercato. Ma purtroppo per arrivarci doveva affidarsi ad un somaro macilento che a stento si reggeva in piedi senza soma. Il Calcio Napoli deve a questo detto la sua mascotte. Infatti il simbolo originario del calcio Napoli alla sua fondazione  , nel 1926, era un cavallino rampante. Tuttavia il primo campionato dei partenopei fu un vero disastro: persero tutte le partite tranne un pareggio con il Brescia. Si può immaginare il clima tra i tifosi. In una di queste accese discussioni al bar Brasiliano una voce si levò sopra le altre e gridò: «Ma quale cavallo rampante? ’Sta squadra nostra me pare ’o ciuccio ’e Fichella. Trentatré piaghe e ’a coda fradicia». La battuta fu ripresa da un giornale satirico che pubblicò la vignetta di un ciuco tutto incerottato con la divisa del Napoli. Fu un successo. Il “ciucciariello” suscitò da subito grande simpatia e i tifosi napoletani si affezionarono a lui trasformandolo nel loro simbolo portafortuna.

 

O cuorpo ’e Napule.

Il corpo di Napoli. La statua del dio Nilo posta nel Largo Corpo di Napoli nel pieno del centro storico. Verrebbe però da chiedersi, cosa c’entra il dio Nilo con il Corpo di Napoli? La statua risalente al II-III secolo, durante la sua travagliata vita fu ritrovata per l’ennesima volta intorno alla metà del 1400. Ma era priva della testa e fu erroneamente interpretata come un personaggio femminile per la presenza di alcuni putti che sembravano allattare al seno della madre. Diventò quindi il simbolo della città madre che allatta i propri figli e assunse il nome di “cuorpo ‘e Napule”. 

 

 

O figlio d’ ’a Madonna.

Il figlio della Madonna. Un bambino abbandonato dei genitori nella ruota degli esposti presso la Basilica dell’Annunziata Maggiore a Forcella. Il senso lato anche qualsiasi trovatello o figlio di nessuno.

 

 

’O figlio muto ’a mamma ’o ’ntenne.

Il figlio muto la mamma lo capisce. Lo stretto legame che unisce la madre al proprio figlio le permette di capire anche quello che gli altri non comprendono. Ma il detto si riferisce a colui che, conoscendola bene, non si lascia ingannare da una persona che cerca di nascondere i propri intenti. Si potrebbe adattare anche con la famosa esclamazione scherzosa: “Ti conosco, mascherina!”. 

 

 

O gallo ’ncoppa ’a munnezza.

Il gallo spazzatura. Più esattamente un gallo che canta usando un cumulo di spazzatura come piedistallo. Una persona che si compiace di se stesso, si vanta delle proprie qualità, spesso inventate. E lo fa cercando dominare delle persone che per qualche motivo non hanno la possibilità di controbattergli.

 

 

O guappo ’e cartone.

Il guappo di cartone. La persona che si atteggia a bravaccio o pericoloso delinquente ma in effetti è solo un bullo forte con i deboli e remissivo con i forti. 

 

 

O munaciello.

Il piccolo monaco. Uno spiritello bizzarro e dispettoso. Chi entra nei suoi favori beneficia di ampie protezioni. Chi malauguratamente se lo mette contro va incontro ad ogni sorta di guaio. 

 

’O ’nsist’.

Il prepotente. Un tipo da cui è meglio stare alla larga perché potrebbe essere anche un violento. In maniera ironica è riferito ad una persona che si atteggia a gradasso.

 

’O palazzo è auto e ’a signora è sorda.

Il palazzo è alto e la signora è sorda. In qualche caso le condizioni rendono difficile sentire ma in tante altre per proprio interesse si fa finta di non sentire. Riferito alle persone che a tutti i costi vogliono farsi ascoltare per avanzare le proprie richieste o far valere le proprie ragioni. Ma è tempo perso perché l’interpellato non ha alcuna voglia di ascoltare. 

 

O pato-pato.

Una quantità enorme. Generalmente usata per condizioni meteorologiche estrema’O pato-pato ’e ll’acquaquello negli ultimi anni definiamo bomba d’acqua Un vero diluvio.

 

‘O piglia e porta.

Il prende e porta. Lo spione. La persona che è meglio tenere alla larga quando la discrezione è d’obbligo. Abitualmente va a riportare in buona o in mala fede tutto quello che ascolta. 

 

O priore ’e San Martino.

Il priore di San Martino. Il marito tradito. La Certosa di San Martino si trova su una collina napoletana, fu trasformata in museo dopo l’Unità d’Italia. San Martino è il protettore dei cornuti.

 

O purpo se coce cu ll’acqua soia.

Il polpo si cuoce nella sua stessa acqua. Si dice di una persona che non accetta consigli e persevera nelle sue azioni, anche chiaramente deleterie. Situazione sulla quale è meglio non intervenire per evitare ulteriori complicazioni e aspettare che si sgonfi col tempo. Si tratta di un proverbio marinaro in chiave culinaria. Infatti è uno dei metodi per ammorbidire il polpo durante la cottura. Il mollusco viene messo in un tegame di terracotta e lasciato vicino ad una fonte di calore. E poiché il polpo è composto per l’80 per cento di acqua ne rilascia in abbondanza per poter cuocere.

 

’O primm’anno core a core; o sicond’anno cul’a culo; o terz’anno cauce ’nculo.

Il primo anno cuore a cuore; il secondo anno culo a culo; il terzo anno calci in culo. Il deterioramento della passione amorosa con il passare del tempo. In passato si poteva dire che ci si avviava a lenti passi verso la crisi del settimo anno. Oggi con l’aumento esponenziale delle separazioni e dei divorzi si rischia di non arrivarci nemmeno.

 

O riàvole ’e Mergellina.

Il diavolo di Mergellina. Una donna bellissima ma capricciosa e imprevedibile, rasentando in qualche caso la malignità, al pari del leggendario diavolo di Mergellina. Infatti secondo la leggenda una bellissima nobildonna napoletana con una fattura d’amore fece invaghire alla follia il vescovo Diomede Carafa. Ma il prelato nonostante la terribile tentazione riuscì a resistere e col tempo si rese conto che una forza malefica accresceva questo suo desiderio.
Si rivolse quindi ad un monaco esperto di magia e negromanzia che dopo aver pregato accostando le immagini di San Michele Arcangelo e Lucifero consigliò, al Carafa, per interrompere l’incantesimo di commissionare un dipinto i cui colori dovevano essere impastati con un balsamo speciale. Successivamente il dipinto doveva essere posto in un luogo sacro e benedetto con acqua santa.
Il dipinto fu posto e attualmente si trova nella chiesa di Santa Maria del Parto a Mergellina e raffigura la donna ammaliatrice con il suo bellissimo volto ma il corpo di un serpente (il demonio) che viene trafitto e scacciato da San Michele Arcangelo.

 

‘O scartellato

Un uomo con la gobba. ‘O scartellato a Napoli non è però un semplice uomo con la gobba. I Napoletani ritengono porti fortuna ma bisogna toccare la gobba per cui da secoli questi poveretti si vedono strofinare da qualche passante che incrocia. Vittima di questa tortura è stato anche Giacomo Leopardi nel suo soggiorno napoletano perché aveva questo problema. Purtroppo per loro le donne vengono discriminati anche in questo caso. ‘A scartellatala donna gobba però si riteneva portasse sfortuna quindi incontrarla era un cattivo segno e si facevano gli opportuni scongiuri. Per fortuna però questa differenza di genere è poco conosciuta per cui le donne gobbe dai più non sono guardate con diffidenza.

 

O schiattamuorto.

Il becchino, il beccamorto, il necroforo. Ma da cosa deriva questo termine napoletano così truculento. Le ipotesi sono numerose. Alcune molto fantasiose o divertenti ma le più probabili sono quelle che riportano ad alcune pratiche utilizzate almeno fino al Seicento. Lo scopo finale era quello di ridurre la massa corporea dei defunti per farne entrare il più possibile in una bara. Allo scopo veniva utilizzato un ambiente caratterizzato dalla presenza di sedili in muratura, detti scolatoi, sui quali venivano posizionati i corpi. I liquidi rilasciati dal corpo durante la decomposizione scendevano dai buchi degli scolatoi per essere raccolti in vasi d’argilla. Le salme essiccate ricevevano la sepoltura definitiva negli ossari. I resti di questi scolatoi sono ancora presenti nel Cimitero delle Fontanelle, nel convento delle Clarisse ad Ischia, ma anche in tantissimi altri conventi e chiese. Lo “schiattamuorto” non ha mai suscitato molta simpatia tra i napoletani che lo ritenevano portatore di disgrazie e al suo passaggio facevano tutti gli scongiuri possibili. Il termine comunque è tutt’altro che caduto in disuso a Napoli e ancora in tanti preferiscono usare  “schiattamuorto” piuttosto che becchino o beccamorto. Totò con la sua ironia dedicò a questa figura persino una poesia, ovviamente: ’O schiattamuorto.

 

O scemo ’e Miano.

Lo scemo di Miano. Miano era la sede dell’ospedale psichiatrico del Frullone. Questa frase viene usata in senso figurato per indicare una persona che si comporta come un idiota. O comunque non è particolarmente sveglia.

 

’O serpe ca muzzacàje a sòcrema murette ’e tuòsseco.

Il serpente che morse mia suocera morì avvelenato. Che le suocere non godano di grande simpatia è risaputo. Certamente non di quella delle nuore che spesso le odiano con tutto il cuore. Ma qualche volte nemmeno di quella dei generi che non sono meno benevoli nelle maledizioni che mandano loro. Le suocere sono ritenute viscide e velenose… più di un serpente

 

O tale e quale.

Il tale e quale. Lo specchio.

 

O tram a muro.

Il tram a muro. L’ascensore.

 

’O barbiere te fa bello, o vino te fa guappo e ’a femmena te fa fesso.

Il vino ti fa spaccone , il barbiere ti fa bello e la donna ti fa fesso.  Una perla di saggezza popolare.  I Barbiere ti fa bello, il vino gradasso e la donna scemo. L’alcool allenta i freni inibitori e rende sempre più audaci, purché non si diventi temerari altrimenti il coraggio può portare a gravi conseguenze. Il barbiere cura il look quindi migliora l’aspetto esteriore. Ma la donna, di un uomo innamorato riesce a fare ciò che vuole.

 

O Zi’ nisciuno.

Lo zio nessuno. Una persona assolutamente insignificante.

 

Ogne scarrafone è bello â mamma soja.

Ogni scarafaggio è bello alla sua mamma. Ogni mamma riesce a guardare il proprio figlio con gli occhi dell’amore quindi è ovvio che lo vede sempre bello. Ma il detto si riferisce, generalmente a tutto quello di cui si è fieri e si trova bello, guardandolo con occhi innamorati mentre gli altri, in maniera spassionata, non ci vedono alcuna bellezza.

 

’On Titta e ’o cane.

Don Titta e il cane. Due persone che si muovono sempre insieme. Però di solito uno guida e l’altro segue. Qualcuno sostiene che questa sia la versione laica di “Santu Rocco e ’o cane”  Infatti san Rocco nella iconografia popolare appare sempre accompagnato da un cane che in alcune immagini gli lecca le piaghe della peste e in altre gli porta da mangiare durante la malattia. San Rocco aveva contratto la malattia durante i suoi pellegrinaggi per aiutare gli appestati. Per questo motivo il santo veniva invocato dai fedeli nella speranza di scongiurare un’epidemia di peste.

‘O miédeco piatùso facette fa ‘a chiaja vermenosa
Il medico pietoso fece formare i vermi nella ferita
O ‘nu ricco marisciallo o ‘nu povero ballarino
O tanto o niente
‘O palazzo è àuto e ‘a signora è sorda
Il palazzo è alto e la signora non sente le voci che giungono dal basso
‘O passatiempo d’ ‘e zitelle so’ ‘e capille
Le ragazze stanno ore e ore a pettinarsi
‘O Pataterno dà ‘o ppane a chi nun tène ‘e diente
Il Padreterno dà il pane a chi non ha i denti
‘O patrone songh’ije, ma chi cummanna è muglierema
Il padrone sono io ma chi comanda è mia moglie
‘O pazzo fa ‘a festa e ‘o savio s’ ‘a pazzèa
Il pazzo organizza la festa e il saggio ne gioisce
‘O peggio passo è chillo d’ ‘a porta
Il peggior passo è quello della porta
‘O perdono è ‘e ll’uommene, ‘o scurdà è dd’ ‘e bbestie
L’uomo perdona, la bestia dimentica
‘O pesce fète d’ ‘a capa
Il pesce puzza dalla testa
‘O pesce gruosso se magna ‘o piccerillo
Il pesce grande mangia quello piccolo
‘O piecuro s’adda carusà ma nun s’adda scurtecà
L’agnello si deve tosare, non scorticare
‘O pietto forte vence ‘a mala sciorta
Il coraggio vince la sfortuna
O pparlà chiaro è fatto pe’ ll’amìce
Tra amici si deve parlare con chiarezza
‘O puorco chiatto se cocca sempe ‘ncuollo ‘o sicco
Il ricco vive sempre alle spalle del povero
‘O puorco cu ‘e denare se chiamma don puorco
Al ricco si dà sempre il don anche se ha una cattiva reputazione
‘O puorco miettence ‘a sciassa, sempe ‘a cora ‘nce pare
Anche indossando un abito elegante, il maiale rimane tale
‘O puorco se ‘ngrassa pe ne fà sacicce
Il maiale s’ingrassa per farne salsicce
‘O puorte appiso ‘ngànne
Ce l’hai appeso alla gola – È il tuo preferito
‘O purpo s’adda cocere dint’ ‘a ll’acqua soja
Il polipo deve cuocere nel suo brodo
‘O purtualle, ‘a matina è oro, ‘o juorno è argiento e ‘a sera è chiummo
L’arancia, la mattina è oro, il pomeriggio è argento e la sera è piombo
‘O ravanuottolo chiagne quanno fa bontiempo
Il rospo si lamenta quando fa bel tempo
‘O ricco fa chello che vò, ‘o pezzente fa chello che pò
Il ricco fa quello che vuole, il povero fa quello che può

 

‘ O Ricottar ( ricottare ) 

Questo è un modo di dire del dialetto napoletano molto famoso e tutt’oggi ancora spesso utilizzato nella lingua parlata. Il termine di per se indica solo quelle persone che si dedicano come mestiere a fare la ricotta , cioè un latticino che si ottiene dal siero di latte. Ma dai napoletani viene spesso usato in modo dispregiativo e  offensivo, per  insultare qualcuno , o meglio ancora lo si usa  usa  per riferirsi a una persona che non vuole fare sacrifici, che vuole ottenere benefici senza troppi sforzi. Poichè infatti la produzione della ricotta viene ottenuta sostanzialmente attraverso lo scarto della lavorazione del latte, senza sforzi o procedimenti particolarmente elaborati concettualmente il termine  ricottaro,  stato con il tempo associato per indicare  colui che   ottiene qualcosa senza alcun sacrificio o fatica. Questo ha portato nei secoli ad associare il termine a  chi sfrutta il lavoro della prostituta, senza fare alcuna fatica. Infatti,oggi con tale termine si è soliti in dialetto definire il cosidetto ” protettore , cioè  colui ottiene denaro sfruttando la prostituzione (il cosiddetto mantenuto ) .

Senza arrivare a tanto , il termine ricottaro viene comunque usato correntemente dai napoletani  per indicare una persona che sta senza fare nulla, che ozia per ore e ore o addirittura per tutto il giorno; di solito, di una persona che non vuole fare nulla, che non lavora, che non cerca o non trova lavoro e che vive ancora con i genitori, si dice “si nu ricuttar’” (sei un ricottaro), il classico fannullone. A Napoli oggi dire a qualcuno “si proprio’ nu ricuttar’”  significa offenderlo chiamandolo fannullone, un ricottaro, un fallito, uno che non fai mai nulla.

Ma non finisce qui . C’e infatti un’altra versione di questo termine . Secondo alcuni  storici del dialetto il termine deriverebbe   da “recòveta“, cioè la raccolta di denaro che si faceva in passato nei vicoli di Napoli per aiutare le famiglie di chi era finito in galera. Tali “raccolte”, collette, erano sollecitate da personaggi equivoci, che spesso ne approfittavano per sottrarre del denaro a chi non era in condizione di dire di no; dunque anche in questo caso , ritorna il concetto di ottenere benefici senza sforzi. Il ricottaro sarebbe, in sostanza, un guadagnatore di soldi, ottenuti senza alcuna fatica. Verso il finire del XIX secolo i lenoni che a Napoli venivano arrestati erano assistiti, per le spese legali del processo e in quelle del superfluo nella vita carceraria, dai “colleghi” che utilizzavano i proventi ricavati dalla prostituzione. Questa periodica colletta era chiamata, appunto, ‘a recòveta, la raccolta; fino a ricotta il passo fu assai breve e da ricotta a ricuttaro ancor di più.

 

‘O sacco vacante, allerto nun se mantène

Il sacco vuoto, in piedi non ci rimane – a stomaco vuoto si è deboli
‘O saluto è ‘e ll’Angelo
Il saluto è degli Angeli
‘O sazio nun crere ‘o riuno
Il sazio non da credito a chi ha fame
‘O scarparo porta ‘e ppeggio scarpe
Il ciabattino calza le scarpe rotte
‘O Signore è lungariello, ma nun è scurdariello
Il Signore prende tempo, ma non dimentica
‘O Signore manna ‘e vascuòtte a chi nun tène ‘e diente
Il Signore manda i biscotti a chi non ha denti per sgranocchiarli
O Signore nun è mercante, ca pava ‘o sabbato
Il Signore non è mercante, che paga il sabato
‘O sparagno nun è maje guaragno
Il risparmio non è mai guadagno
‘O spasso d’ ‘o cardillo è ‘a pappamosca
Il divertimento del cardellino è la cinciallegra
‘O supierchio rompe ‘o cupierchio
Il soverchio rompe il coperchio
‘O vero pezzente nun cerca ‘a lemmosina
Il vero povero non va in giro a chiedere la carità
‘O viecchio le prore ‘o cupierchio
Al vecchio prude il coperchio – con l’età arrivano i difetti

 

 

‘O vino sta bbuono dint’ ‘a mezavotta
Il vino sta bene nella botte

 

‘O vojo chiamma curnuto all’aseno
Il bue dà del cornuto all’asino

 

Ogne acqua scorre ‘a mmare
Ogni inizio ha una fine

 

Ogne altare tene ‘na croce
Ognuno ha i suoi problemi

 

Ogne bella scarpa addiventa scarpone
Ogni bella scarpa diventa ciabatta

 

Ogne cuoll’ ‘e butteglie tene ‘o suvero ca l’appila
Ogno collo di bottiglia ha il sughero che lo tura

 

Ogne gghiuòrno è taluòrno
Ogni giorno è la stessa cosa – monotonia

 

Ogne lassato è perdute
Ciò che si lascia è ormai perso

 

Ogne ‘mpedimento è giuvamento
Quando non si vuole fare una cosa, qualsiasi pretesto è buono per non farla

 

Ogni capa è ‘nu tribbunale
Ognuno vuole emettere la sua sentenza

 

Ogni scarrafone è bell’ ‘a mamma soja
Ogni scarafaggio è bello per la propria mamma

 

Ognuno sape ‘e fatte suoje
Ognuno conosce le cose proprie

 

Ognuno tira ll’acqua p’ ‘o mulino sujo
Ognuno pensa per se

 

Ordine ‘e Quistura vintiquatt’ ore dura
L’ordinanza del Questore dura ventiquattro ore

 

 

P’avè piatà ‘e ll’ate, ‘e ccarne mje s’ ‘e mmagnajeno ‘e cane
Per avere pietà degli altri, le mie carni le mangiarono i cani – quando si è troppo buoni la gente se ne approfitta

 

Pare ‘a fraveca e San Pietro, nun fernesce maje
Si dice di cose iniziate e mai ultimate

 

Pare ‘a sporta d’ ‘o tarallaro
Fare come il venditore di teralli – andare avanti e indietro

 

Pare ca cammina ‘ncopp’ ‘a ll’ove
Sembra che stia camminando sulle uova

 

Pare nu’ maccarone senza pertuso
Sembra un uomo senza personalità

 

Pare ‘o cannone ‘e miezejuorno
Si dice di chi ha un gran vocione

 

 ‘pariare.

Oggi con questo termine  sè soliti indicare uno stato di divertimento o quantomeno un momento in cui non ci sono pensieri negativi ma solo la tranquillità di essere spensierati e felici.  Pariare, pariamm, jamm a parià, sono tutte le varianti che indicano la condizione  di divertimento, in alcuni casi si può anche sentire “Mi stanno pariando addosso”, ovvero “Si stanno prendendo gioco di me”,

 

Parlanno d’ ‘o riavulo spuntajene ‘e ccorne
Parlando del diavolo comparvero le corna

 

Parla comm’ ‘a ‘nu libbro stracciato
Si dice di chi non si capisce quando parla

 

Pasca d’ ‘e fiore, se ‘ngegnano ‘e signure; Pasca d’ ‘e casatièlle, se ‘ngegnano ‘e puverielle
Il giorno della Pentecoste i signori si vestono a nuovo; a Pasqua, i poveretti si vestono come possono

 

Pascale spacca ‘a scala ‘a scala nu’ pò spaccà a Pascale
Pasquale spacca la scala, la scala non può spaccare Pasquale

 

Pascale, saglie p’ ‘a fune e scenne p’ ‘a scala
Pasquale, sale con la fune e scende per le scale

 

Passasse l’angelo e dicesse Ammenne!
Magari passasse un angelo e mi benedicesse!

 

Passato ‘o santo, passata ‘a festa
Passato il santo, passata la festa

 

Passere, frungille e male juorne, addò vaje subbeto ne truove
Passeri , fringuelli e brutte giornate non mancano da nessuna parte

 

Patte chiare e ‘micizia ‘a luongo
Patti chiari e amicizia lunga

 

Pazzo è chi se cunfida cu ‘na femmena
Non bisogna mai confidarsi con una donna

 

Pe’ campà aggia fa ‘e ccapriòle
Per tirare avanti, devo fare i salti mortali

 

Pe’ mancanza d’uommene se fanno ‘e ciucce cape e casa
In mancanza di veri uomini si nominano gli asini capi di casa

 

Pe’ mmare e pe’ cielo nun ce stanno taverne
Per mare e in cielo non ci sono ripari

 

Pe’ n’aceno ‘e sale ‘e perzo ‘a menesta
Per un granello di sale hai perso la minestra

 

Pe’ pavà e pe’ murì, ‘nce sta tiempo
Per pagare e per morire c’è tempo

 

Pigliate ‘a bbona quanno te vene, ca ‘a malamente nun manca maje
Prenditi la buona occasione quando ti capita, che la cattiva non manca mai

 

Pigliate l’ommo ‘e stoppa quanno ‘a sciorta te va ‘mpoppa
Prenditi l’uomo di stoppa quando le cose vanno bene

 

Po’ chiovere gnostia comme vò isso, maje cchiù niro pozzo addiventà
Anche se piovesse inchiostro, non potrei mai diventare più nero di come sono

 

Porta aperta a chi porta
Chi arriva portando un regalo è bene accetto

 

Prima ca trase, pane e cas; roppo trasuto, pane piruto
Prima di entrare, pane e formaggio; dopo, pane raffermo

 

Pullecenella, quanno nun tene che dicere, arape e chiure ‘a vocca
Pulcinella, quando non ha nulla da dire, apre e chiude la bocca

 

Paglietta.

Il paglietta. L’avvocato maneggione. Una sorta di azzeccagarbugli. Questo appellativo deriva dall’abitudine che avevano gli avvocati napoletani del primo Novecento di portare questo copricapo. Il paglietta compare in molte commedie dell’epoca come personaggio pittoresco che usa improbabili citazioni legali per impressionare il potenziale cliente o i presenti. Lo scopo inconfessato è quello di mettere insieme anche per quel giorno il pranzo con la cena.

 

Palazzo a spuntatore.

Palazzo a due uscite. Queste due uscite non sono però sullo stesso livello. Sono palazzi al cui interno si trova una scala costruita allo scopo di collegare due strade poste una delle quali ad un livello più basso. Una sorta di ascensore fatto a gradoni. A Napoli centro se ne possono trovare numerosi esempi ma il più rilevante anche sotto il profilo storico è la Scala San Potito che sale da via Pessina ed è proprio conosciuta come Palazzo Spuntatore.

 

Panza appuntuta pripara ’o fuso, panza chiatta pripara ’a zappa.

Pancia appuntita prepara il fuso, pancia piatta prepara la zappa. Secondo un’antica credenza si riteneva che la forma della pancia della donna incinta fosse indicativa del sesso del nascituro.

 

Palummelle nnante all’uocchie.

Le “farfalline” davanti agli occhi. Percepire dei punti luminosi davanti agli occhi. Potrebbe anche essere un problema patologico.

 

Parapatta e pace.

Pari e pace. Siamo pari. Non ti devo più niente né tu lo devi a me.

 

Paraustiello.

Ragionamente arzigogolato. Tentativo di giustificarsi o far valere le proprie ragioni ma in maniera incomprensibile per gli atri. Chiacchiere inconcludenti che dopo lunghi giri di parole risultano ancora incomprensibili suscitando spesso l’irritazione del destinatario.

 

Pare a nave e Francischiello, A popp cumbattevano e a prora nunn o ssapevano

Sembri la nave di Francischiello, dove a poppa combattevano ma a prua nessuno sapeva niente : Fare le cose senza un minimo di organizzazione

 

Paré ’a sporta d’ ’o tarallaro.

Sembrare il cesto del venditore di taralli. Si dice di una persona trattata senza la giusta considerazione. Che viene sballottata da un posto all’altro senza tener conto delle sue necessità. Oggi succede con gli anziani quando diventano un peso per i figli e sono costretti ad essere sballottati da una casa all’altra per evitare di far ricadere tutto il “fastidio” su un solo di loro.

 

Pare ’o puzzo ’e san Patrizio.

Sembra il pozzo di San Patrizio. C’è chi ritiene che non sia ben chiaro quale sia questo pozzo di San Patrizio. Ma le caratteristiche e la simbologia sembrano riportare a quello di Orvieto, fatto costruire da papa Clemente VII nel 1527 e concluso nel 1530 durante il pontificato di Paolo III Farnese. È un capolavoro di ingegneria realizzato da Antonio di San Gallo il Giovane. Aveva lo scopo di permettere la fuga del papa in caso di assedio della città. Il pozzo è profondo 54 metri, ha un diametro di 13 metri, con 245 scalini e 70 finestroni. L’espressione è utilizzata per indicare la profusione di immense energie o ricchezze per portare a compimento un’opera che non si conclude mai. In forma scherzosa descrive anche la persona che mangia in maniera esagerata e sembra non saziarsi mai.

Parla’ a schiovere.

Parlare a spiovere. Parlare tanto per parlare, senza arrivare ad una conclusione sensata. È come un provvedimento a pioggia che non ha un indirizzo preciso.

 

Parla comme t’ha fatto mammeta!

Parla come ti ha fatto tua mamma! Non parlare in maniera ostentata perché non ti si addice. Parla in modo semplice e facilmente comprensibile. 

 

Parlà mazzecato.

Parlare in maniera incomprensibile. È il comportamento di chi dovrebbe dire ma non lo vuol fare. Reticente, impaurito, insicuro. 

 

Parla quanno piscia ’a gallina.

Parla quando orina la gallina. Un ordine che non ammette repliche: taci e basta. Non devi intervenire nei nostri discorsi. 

 

Pascàle passaguàje.

Pasquale passaguai. Persona perseguitata dalla sfortuna o che usa la sfortuna per giustificare delle sue mancanze.

 

Patapate ’e l’acqua.

Pioggia torrenziale e improvvisa. Un vero diluvioUna pioggia torrenzialeSpesso un fenomeno improvviso tipico delle piogge estive: da un momento all’altro ha fatto ‘o patapate ’e l’acqua. Oppure: non posso uscire perché sta facendo ’o patapate ’e l’acqua.

 

Pavà’ ’e pperacotte

Pagare le pere cotte. Pagare le conseguenze di quello che si è fatto o che hanno fatto altri facendo ricadere la colpa su di noi.

 

Pazzo chi joca e pazzo chi nun ghioca.

Pazzo chi gioca e pazzo chi non gioca. È folle rischiare, ma lo è altrettanto non prendere mai rischi.

 

Pe’ ghionta ’e ruotolo

In aggiunta al rotolo. E come se non bastasse, si aggiunge anche il resto. Altre al danno la beffa. Fino agli anni ’60 circa, il pane veniva venduto a peso esatto. Quindi quando il pezzo di pane, ad esempio, non era esattamente un chilogrammo se ne aggiungeva un altro pezzetto (la ghionta) per arrivare al peso esatto. 

 

Pe’ mare nun ce stanno taverne.

Nel mare non si trovano taverne. La vita dei pescatori è fatta di duro lavoro, senza svaghi.

 

Pe na magnata ’e fave.

Per una mangiata di fave. Un prezzo talmente irrisorio da non giustificare quel che si è fatto, sia nel bene che nel male. 

 

Pe’ vintinove e trenta.

Per ventinove e trenta. C’è mancato proprio pocoPer un pelo! In versione temporale: essere arrivati tardi ma di pochissimo.

 

Pepitola.

La pepitola è una malattia delle galline che le porta a chiocciare (fare co-co-cò) in maniera ininterrotta. In senso figurato si dice di una persona logorroica, che parla in maniera interrotta rendendo insopportabile la vita alle persone che condividono lo stesso ambiente.

 

Perdere Filippo e ’o panaroPare a nave e Francischiello, A popp cumbattevano e a prora nunn o ssapevano

Perdere Filippo e il paniere significa  essere indeciso tra due cose e perderle entrambe   :  Perdere proprio tutto come conseguenza di un troppo indugiare. I troppi tentennamenti determinano la perdita di qualche occasione vantaggiosa. Il “panaro” è un cesto di vimini che un tempo veniva utilizzato per il trasporto del pane.

 

Pescetiello ’e cannuccia.

Pesciolino di cannuccia. Un sempliciotto facile da raggirare. Il riferimento è ad un pesce che si lascia catturare con estrema facilità nonostante il metodo molto banale utilizzato per farlo abboccare. La cannuccia è un semplice canna da pesca con un pezzetto di pane utilizzato come esca.

 

Péttola’ nculo e cumpagne.

Una cricca di bighelloni. Un gruppo di scugnizzi o un gruppo di persone dall’aspetto trasandato che denuncia poca cura di sé e cattive condizioni economiche. Parite pettola ‘n’culo e cumpagne: state sempre assieme.

 

Petrusino ogne menesta.

Prezzemolo in ogni minestra. Persona che si occupa in modo invadente e fastidioso degli affari altrui. Onnipresente. Pettegolo. Chi è presente in ogni occasione. Il prezzemolo nella cucina partenopea è facile ritrovarlo in tantissime pietanze quindi il paragone ben si adatta al nostro pettegolo.

 

Pezzente

Significa medicante, straccione, persona che vive in condizioni di grande miseria: “Jì vestuto come a ‘nu pezzente” (andare vestito come un pezzente); “Paré nù pezzente” (sembrare un pezzente), “Fà o pezzente” (persona meschina eccessivamente attaccata al denaro).

 

 

Pezzente sagliuto

E’ un modo di dire in genere riferito a persone che notoriamente povere siano poi per qualche motivo si siano  improvvisamente ed inopinatamente ritrovate in   uno status emergente. Di tali poveri che abbiano asceso di colpo la scala sociale, è bene diffidare, in quanto poco raccomandabili.

 

 

Pezzente significa medicante, straccione, persona che vive in condizioni di grande miseria: “Jì vestuto come a ‘nu pezzente” (andare vestito come un pezzente); “Paré nù pezzente” (sembrare un pezzente), “Fà o pezzente” (persona meschina eccessivamente attaccata al denaro). Si tratta di una voce di origine meridionale, pervenuta anche nell’italiano, ed etimologicamente è il participio passato del verbo napoletano “pezzire” (chiedere l’elemosina).

 

 

Piglià a scigna.

Prendersi la scimmia. Andare su tutte le furie. Arrabbiarsi. Incollerirsi. ma anche comportarsi come colui che è sotto l’effetto di un’ubriacatura. Infatti la “scigna” in oggetto non è l’animale che conosciamo. È una derivazione dal latino sinia che vuol dire sia ubriachezza (alterazione psichica dovuta all’abuso di alcol) che rabbia.

 

 

Piglià calimma.

Prendere tepore. Riuscire finalmente a riscaldarsi. Eduardo De Filippo nella commedia Natale in casa Cupiello, infreddolito e affondato nelle coperte, rivolto alla moglie dice “non potevo pigliare calimma”. Cioè: con il freddo che fa nemmeno sotto le coperte riesce a prendere calore. 

 

Pigliarse ’o dito cu tutt”a mano

Prendersi il dito con tutta la mano. Approfittare della benevolenza concessa. Abusare della generosità o della fiducia concessa. Concedendo troppa confidenza può capitare che lo scostumato si prenda il dito con tutta la mano.

 

Pigliate ‘a bona quanno te vene, ca ‘a malamente nun manca maje.

Prenditi la buona occasione quando puoi, perché la cattiva non manca mai.

 

Pisse-pisse.

Parlare fittamente come complottando. Ma più che altro pettegolando.

 

Pittà ’o sole.

Dipingere il sole. A chi va oltre i tempi necessari a realizzare una certa cosa ironicamente si dice: ma che stai pittando ’o sole?

 

Pittò, va’ a pitta!

Pittore, vai a pittare! Non interferire in cose che non ti riguardano. Limitati a fare il tuo compito.

 

Po’ chiu’ na raputa ’e cosce ca n’araputa ’e cascia.

Può più un’apertura di gambe che un’apertura di cassa. Espressione piuttosto triviale ma difficile da smentire. Lo dimostrano le escort ingaggiate per accompagnare il potente di turno, quando arriva per concludere un affare di grande rilevanza. In passato molte cortigiane erano maestre in queste arti. Con le loro prestazioni potevano influire sulle sorti della politica e sulla volontà degli stessi sovrani. La fondatezza di questo proverbio è confermata da un altro molto simile: Tira cchiù nu pilo ’e femmena ca na pareglia e vvuoje. Tira più un pelo di donna che una coppia di buoi. E lo ha compreso bene Antonio Albanese che nei panni dell’onorevole Cetto La Qualunque, durante un comizio elettorale promette: «Cchiù pilu pe tutti».

 

Povero Maronna.

Un povero disgraziato contro cui si accanisce la cattiveria della gente.

 

Primm’ ’e mo.

Prima di adesso. Immediatamente. All’istante. Hai perso già troppo tempo ti devi muovere subito!

 

Prommette certo e vene meno sicuro.

Promette certo e viene meno sicuro. Persona inaffidabilePersona che garantisce la soluzione di un problema grazie al suo intervento. Tuttavia venendo meno all’impegno preso lascerà l’altra persona a pagarne le conseguenze. 

 

Pullicenella spaventato da ’e maruzze.

Pulcinella spaventato (dalle “corna”) delle chiocciole. Pulcinella si spaventa perché confonde le corna delle chiocciole per quelle del diavolo. Persona particolarmente paurosa che si meraviglia e si spaventa per delle cose ovvie e assolutamente innocue.

 

Puozze aunnà comm’ aonna ’o mare!

Che tu possa abbondare come abbonda il mare! Ti auguro tutto il bene possibile. Un augurio sincero rivolto ad una persona che ha appena ottenuto un successo che apre a delle promettenti aspettative future.

 

Pure ’e pullece tenene ’a tosse.

Pure le pulci hanno la tosse. Anche i meno qualificati cercano di far sentire la propria voce. Se rivolta ad un bambino è abbastanza comprensibile ed è un invito a non fare ragionamenti da “grandi”. Una forma benevola usata con leggerezza. La forma odiosa per fortuna è più rara perché esprime il disprezzo per un adulto non ritenuto degno di esprimere il suo parere.

 

Puozze murì ‘e truono a chi nun piace ‘o bbuono
Possa essere fulminato chi afferma che non gli piacciono le cose buone

 

puozze sculà“.

E il peggior augurio  che un napoletano puo darvi . L’agghiacciante imprecazione può essere tradotta in “Possa tu colare“, ossia, possa tu essere collocato da cadavere in apposito sedile forato in basso da far colare i toui fluidi corporei , lasciando le tue spoglie progressivamente essiccarsi e trasformarsi in una mummia  Questa frase dialettale, usata a Napoli e provincia, ha origini antichissime. Risale al periodo compreso tar il IX ed il XVIII secolo,  in cui la sepoltura veniva effettuata anche nelle chiese, in appositi ipogei. I cadaveri venivano seduti sullecosidette ” cantarelle ” , sedili in pietra forati che lasciavano colare gli umori della salma, con la testa appoggiata in una fessura scavata nel tufo. Questa operazione veniva chiamata “sculatura“, invece quando poi i corpi non “scolavano” allora si gonfiavano e “schiattavano“. Da qui l’altra locuzione: “puozze schiattà“. Il Meridione e, in particolare, la città di Napoli  conserva le testimonianze della pratica della “doppia sepoltura”, costituita dalla presenza di un putridarium, comunemente noto come scolatoio  oppure dalle terresante . In città ancora oggi sono visibili i resti di questa macabra usanza poi terminata quando interventi più severi sull’igiene in città la abolirono del tutto.

Ancora oggi in città abbiamo antiche strutture che testiniono ce ne sono diversi :  tra quelli più noti ricordiamo quelli della chiesa del  ” Munacone “, (S. Vincenzo alla Sanità ), nelle catacombe di San Gaudioso e quelli di  Sant’Agostino alla Zecca. Ma quelli più conosciuti e sicuramente più suggestivi sono quelli di  Ischia  conservati in un ambiente sotterraneo del  Castello Aragonese , nel quale si ha la sensazione di stare faccia a faccia con la morte. Noto come il  Cimiero delle Clarisse ” si trova nei sotterranei del Convento dell’omonimo ordine monastico, fondato nel 1575. Le monache erano solite fare visita ogni giorno alle sorelle defunte, per meditare sulla morte e sulla caducità dell’esistenza, infatti assistere alle fasi di decomposizione del cadavere doveva far riflettere sulla fragilità del corpo e sull’importanza di curare e nutrire sopratutto lospirito a dispetto delle cose materiali. In questo modo il  Cimitero delle Clarisse rappresentava  una sorta di Purgatorio, uno spazio intermedio tra la vita e la morte, e la scolatura era il rituale di passaggio dell’anima prima di ascendere al Regno Celeste.

 

Puozze vòllere e malo cocere
Che possa bollire e cuocere male

 

Pur’ ‘e ciucce tèneno ‘e pariente
Anche gli asini hanno i parenti

 

Pur ‘e mmure tenono ‘e rrecchie
Anche i muri hanno orecchie

 

Pur’ ‘e pullece teneno ‘a tosse
Anche le pulci si fanno sentire e parlano (teneno a tosse ):  Riferito a chi non è nessuno ma crede di essere un capo

 

Pure ‘a riggina avette bisogno d’ ‘a vicina
Anche la regina ebbe bisogno della vicina.

Pure ‘ndurata, a cajola pe’ l’auciello, è sempe ‘nu carcere
anche se dorata, la gabbia è pur sempre un carcere per l’uccello
Pure ‘o ciuccio è ommo
Anche l’asino è maschio
Quann’ ‘o cavallo nun vò vevere aje voglia ‘e siscà
Se il cavallo non vuole bere è inutile che fischi
Quann’ ‘o ciuccio parla latino, è signo ‘e mal’ annata
Quando l’asino parla latino, è segno di cattiva annata

 

Quànno ‘o cùlo se fa pesànte ce ne iàmmo p’e sànte.

Quando il sedere diventa pesante andiamo dai santi. Verso la fine della vita spesso ci si accosta alla religione.

 

Quanno ‘a furmicula mette ‘e scelle, è segno ca vo’ muri’.

Quando una formica mette le ali, è segno che vuole morire. Quando vuoi fare qualcosa contro la tua natura puoi rischi la vita.

Quann’ ‘o peducchie saglie ‘ngloria, perd’ ‘a scienza e ‘a memoria 
Quando il pidocchio sale in gloria, perde la scienza e la memoria
Quann’ ‘o piro è ammaturo, care senza turceturo
Quando la pera è matura, cade senza necessità del bastone
Quann’ ‘o riavulo t’accarezza dice ca vò ll’anema
Quando il diavolo ti accarezza è perchè vuole l’anima
Quann’ uno s’addà ‘mbriancà, è mmeglio ca ‘o ffà cu ‘o vino bbuono
Se qualcuno deve ubriacarsi è meglio che lo faccia col vino buono
Quanne tante e quanno niente
O tanto o niente
Quanno ‘a caurara volle, mena subbeto ‘e maccarune
Quando l’acqua nella pentola bolle, cala subito i maccheroni
Quanno ‘a cemmenera pe’ mme nun funziona, lassa ca chella ‘e ll’ate se ne cade
Quando il mio comignolo non funziona, lascia pure che quello altrui crolli
Quanno ‘a femmena è tentata e resta onesta, vò dicere ca nun è stata tentata bbuono
Quando una bella donna è tentata e resta onesta, significa che non è stata tentata bene
Quanno ‘a furmicola mett’ ‘e scelle, è segno ca vò murì
Quando alla formica spuntano le ali, è il momento che deve morire
Quanno ‘a gallina scachetea, è signo ca ha fatto ll’uovo
Quando la gallina fa coccodè vuol dire che ha fatto l’uovo
Quanno ‘a gatta nun ce sta ‘e surice abballano
Quando manca il gatto, i topi fanno festa
Quanno ‘a zita è maretata tutt’ ‘a vonno
Dopo che la giovane ha preso marito, tutti le fanno la corte
Quanno nun haje che gghjucà, joca coppe
Quando nun hai nulla da giocare, gioca coppe
Quanno ‘o ciuccio è tuosto, mazza cchiù tosta
Quando l’asino fa il duro, bisogna trattarlo con durezza
Quann’ ‘o mare è calmo, ogni strunz è marenaro
Quando il mare è calmo, ogni stupido è marinaio.
Quanno ‘o mare nun è muorto, ‘e pisce so’ vvive 
Col mare mosso, la pesca è più abbondante

 

Quanno ‘o mellone jesce russo, ognuno ne vo’ ‘na fella

Quando il cocomero è rosso, ognuno ne vuole una fetta – quando c’è un buon affare, ognuno vuol partecipare
Quanno scioscia viento ‘e terra, ‘o pesce nu’ zompa dint’ a’ tiella
Quando soffia il vento di terra, il pesce non salta nel tegame
Quanno se magna se cuntratta c’ ‘a morte
Quando si mangia è pericoloso parlare
Quanno sì ‘ncunie, statte; Quanno sì martiello, vatte!
Quando sei incudine resta fermo, quando sei martello, approfitta!
Quanno so secure secure ‘e maccarune se ne fujeno ‘a ‘int’ ‘o piatto
Proprio quando sei prossimo al traguardo, la vittoria può sfuggirti di mano
Quanno spienne tanto appienne
Il guadagno è proporzionato alla somma investita
Quanno stanno troppe gualle a cantà nun schiare maje juorno
Quando c’è più di un gallo a cantare non spunta mai il giorno
Quanno te miette ‘ncopp’ ‘a doje selle, primm’ o poie vaje ‘nterra
Quando ti siedi su due selle, prima o poi ti troverai per terra
Quanno vide ‘a mala parata è meglio ca te ne vaje
Quando le cose si mettono male è meglio darsela a gambe
Quanno vide ca ‘o pagliaio ‘e llate sta brucianno, dice ca ‘o tujo è già bruciato
Quando vedi bruciare il fienile degli altri, vuol dire che il tuo ha già preso fuoco
Quanto cchiù ne simmo, cchiù belle parimmo
Più siamo e più ci divertiamo

 

 

Rafanié, fatt’accattà’ ’a chi nun te sape.

Ravanello, fatti comprare da chi non ti conosce. Vorresti fregare proprio me che ti conosco bene. Prova con qualcuno che non ti conosce e potrebbe fidarsi. Un proverbio che si adatta benissimo a chi dopo aver commesso le sue malefatte in una zona se ne cerca un’altra dove nessuno lo conosce. Tuttavia tra i tanti ignari delle sue attività poco pulite può trovare qualcuno che lo conosce bene e ovviamente non si lascia incantare.

 

Rà è carte e musica mman ò barbiere e lanterne mman e cecat

 (Dare uno spartito in mano a un barbiere e una lanterna nelle mani di un cieco) : Dare a qualcuno un oggetto che non sa utilizzare

 

Ricco Pellone

Il ricco Epulone. Si dice di una persona che più che ricca fa ostentazione di una ricchezza che forse non è effettivamente quella che vorrebbero far credere. Espressione che in genere viene usata proprio in senso dispregiativo. Epulone è un protagonista nel Vangelo della parabola del Ricco e del mendicante Lazzaro. Il Ricco che tradizionalmente è chiamato Epulone nel testo biblico non ha alcun nome. Nella parabola tratta dal Vangelo di Luca Epulone dopo una vita di agi muore e si ritrova all’Inferno tra grandi sofferenze. Nel frattempo muore anche il mendicante lebbroso che in vita giaceva alla sua porta, che però viene messo dall’altra parte della “barricata”, accanto ad Abramo. E proprio ad Abramo si rivolge il Ricco e lo prega di mandargli Lazzaro con il dito bagnato d’acqua per portagli un poco di sollievo bagnandogli la lingua che bruciava. Ma Abramo gli spiega che la sua richiesta non può essere esaudita perché tutto il bene possibile lo ha già goduto sulla terra. Inoltre tra loro esiste un abisso che impedisce a chi si trovava da quel lato di attraversare per andare nell’altro. Secondo gran parte dei commentatori il mendicante non è Lazzaro di Betania, resuscitato da Gesù che tra l’altro non era un indigente. Nella tradizione cristiana Lazzaro è ritenuto protettore dei malati di lebbra e i lebbrosari che proprio per questo sono detti anche lazzaretti.

 

Rutto pe’ rutto.

Rotto per rotto. Quello che abbiamo cercato di evitare è successo quindi cerchiamo di rimediare tanto non abbiamo più niente da perdere.

 

Rerimmo e pazziammo, e ‘a tabbacchera nun ‘a tuccammo
Ridiamo e scherziamo, ma non tocchiamo la tabacchiera

 

Rotta pe’ rotta, miettece ‘a pezza
Rotta per rotta, metti una toppa

 

 

S’adda rispettà ‘o cane pe’ ‘o patrone
Bisogna rispettare il cane per il suo padrone

 

S’appiccia comme a ‘nu micciariello
Si accende come un fiammifero – si dice dell’irascibile

 

S’è affucato dint’ ‘a ‘nu bicchiere d’acqua
È affogato in un semplice bicchiere d’acqua – Si è fatto prendere dal panico

 

S’è aunita ‘a limma e ‘a raspa
Si sono riunite la lima e la raspa – si dice di due persone note per la loro lingua graffiante

 

S’è aunito ‘o strummolo ‘a tiriteppola e ‘a funicella corta.
Si sono uniti la trottola che gira fuori centro e lo spago corto

 

S’è ‘mbrugliata ‘a matassa
Si sono ingarbugliate le cose

 

 

S’è mmagnato ‘e maccarune
Ha capito tutto – non ha abboccato alla trappola

 

S’è pperzo ‘o stampo
Si è perso lo stampo – non ce ne sarà mai più uno simile – si dice di persona unica e preziosa

 

S’è squagliato ‘o sanghe ‘a dint’ ‘e vvene
Mi si è raggelato il sangue nelle vene – si dice a seguito di un’emozione improvvisa

 

S’ ‘o sta magnanno cu ll’uocchie
Se lo sta mangiando con gli occhi – si dice quando si desidera ardentemente qualcuno

 

San Giuseppe c’ha passato ‘a chianozza
San Giuseppe ci ha passato la pialla – detto alla donna priva di curve

 

Sant’Uliviero, Sant’Uliviero, fa ca ogge nun è comme ajere
Sant’Oliviero, Sant’Oliviero, fa in modo che oggi non sia come ieri

 

Sarchiapone tene ‘e gghjiorde
Sarchiapone non sta mai fermo un minuto

 

Scarta fruscio e piglia primmera!
Scarta frùscio e piglia primera” Letteralmente: scarti “flusso” e pigli primiera.

Questa esclamazione è uno di quei classici modi di dire napoletani praticamente  intraducibile nella lingua italiana , e spesso molto usata dai napoletani solo per intendere  una sorta di “Bene, andiamo di male in peggio!”.  La frase  deriva da un  famoso gioco d’azzardo di carte, molto in uso nelle  taverne del secolo scorso. L’espressione infatti pari derivi da un antico gioco d’azzardo (pare sia nato intorno alla fine del ‘400) che veniva e viene effettuato con un mazzo di 40 carte. Ogni giocatore metteva la posta in gioco in un contenitore (piatto) comune e riceveva 4 carte: lo scopo del gioco era quello di realizzare una delle tre combinazioni vincenti previste. Il punteggio più alto del gioco era costituito proprio dal Primiera, cioè quattro carte di semi diversi, che valeva 84 punti, seguiva la 55, ovvero il sette ( che vave ( 21 punti ) , il sei (18 punti ) e l’asso ( 16 punti )dello stesso seme, e infine il Fruscio, 4 carte dello stesse seme. che valeva 70 punti .  Lo svolgimento del gioco prevedeva che ogni giocatore, a turno,poteva  scartare quante carte voleva  e prenderne altrettante dal mazzo. Vinceva chi, alla fine della mano, riusciva a realizzare una delle tre combinazioni vincenti. Durante le fasi del giocon laddove il punteggio che aveva un giocatore tra le mani  non era di suo gradimento, egli aveva la possibilità di effettuare uno scarto e sperare in un punteggio migliore per il passaggio successivo. Durante le mani di gioco  poteva ovviamente  capitare non solo di scartare un punteggio alto come quello del Fruscio, ma anche di non riuscire a beccare una Primiera e quindi peggiorare e  perdere tutto : per questo motivo, in realtà, sarebbe più corretto dire “scarta frùscio e (nun) piglie prmmera.  In caso di parità di combinazioni valeva il punteggio più alto, e in caso di ulteriore parità, vinceva la gerarchia del seme. Il punteggio più alto del gioco era costituito proprio dal Fruscio, cioè quattro carte dello stesso seme, seguiva poi la Primiera, .Risulta chiaro che, essendo il gioco basato sull’azzardo (non a caso è considerato l’antenato del poker), non si è mai sicuri di poter vincere, soprattutto rinunciando ad una combinazione certa, ad esempio il fruscio , per cercare di realizzarne una più importante. Da qui l’espressione, che può essere equiparata al “Cadere dalla padella nella brace” oppure a “Chi lascia la via vecchia per la nuova sa quello che perde ma non quello che trova” o altri detti che invitano alla prudenza e sconsigliano le scelte più o meno avventate.

I Valori delle carte erano ;  • Sette 21 punti • Sei 18 punti • Asso 16 punti • Cinque 15 punti • Quattro 14 punti • Tre 13 punti • Due 12 punti • Figure 10 punti Gerarchia dei semi • Coppe • Denari • Bastoni • Spade Gerarchia delle combinazioni vincenti • Primiera • Cinquantacinque

Secondo altri invece il gioco di carte in questione (la passatella) aveva come scopo principale quello di disporre della “passata”, che in questo caso era costituita da una bottiglia di vino pagata da tutti i partecipanti. I personaggi principali delle tavolate della passatella erano due, il padrone ed il “sotto”, cioè il secondo classificato che fungeva da stratega del vincitore. Il padrone, ovviamente, in veste di vincitore, poteva decidere di offrire da bere a tutti, ma nel far ciò doveva stare molto attento a non inimicarsi nessuno. Poteva, infatti, capitare di essere costretti ad offrire da bere anche ai propri nemici di gioco nel caso in cui questi fossero amici del “sotto”, tutto ciò per evitare un’eventuale vendetta del proprio stratega. Lo scopo finale del gioco era quello di far bere tutti, tranne un solo partecipante, che sarebbe poi divenuto lo zimbello del gruppo.

 

Scètate Carulì ca ll’aria è ddoce
Svegliati che oggi è una bella giornata – detto a chi ha la testa fra le nuvole

 

Sciacqua Rosa e bive Agnese, ca ‘nce sta chi ‘nce fa ‘e spese
Sciacqua Rosa e bevi Agnese, che c’è chi sostiene le spese – ironia sullo sperperio

 

Scuro comme ‘a ‘na vocca ‘e lupo
Tetro comme la gola d’ un lupo

 

Se chiure ‘na porta e s’arape ‘nu purtone
Si chiude una porta e si apre un portone

 

Se dice ‘o peccato e no ‘o peccatore
Si racconta il fatto ma senza menzionare l’autore

 

Se fruscia Pintauro, d’ ‘e sfugliatelle jute ‘acito
Si vanta Pintauro, delle sfogiatelle andate a male

 

Se pava niente? E sedugneme ‘a cap’ ‘o pere
È tutto gratis? Allora ungimi dalla testa ai piedi

 

Se piglieno cchiù mmosche cu’ ‘na goccia ‘e mele, ca cu’ ‘na vott’ acìto
Si prendono più mosche con una sola goccia di miele che con una botte piena d’aceto

 

Se so’ rutti ‘e tiempe, bagniajiuò!
Si è guastato il tempo, bagnino!

 

Sempe mmiria e mai pietà
Meglio avere l’invidia della gente e non la loro pietà

 

Senza denare nun se cantano messe
Senza soldi non si celebrano messe

 

Si ‘a carretta nun se sedùgna, nun cammina
Se le ruote non si ingrassano, il carro non cammina

 

Si carta coglie jucatore s’avanta
Quando prende una buon a carta, il giocatore si vanta

 

Si marzo ‘ngrogna, te fa zumpà ‘o dito cu ttutta ll’ogna
Se il freddo di marzo incalza, ti fa congelare il dito compresa l’unghia

 

Si marzo nun te ciònca, abbrile nun te manca
Se marzo non ti paralizza, aprile non ti manca

 

Si me n’esco ‘a chesti botte, maje cchiù ascì ‘e notte!
Se me ne esco da questo guaio non andrò più in giro la notte

 

Si nun è lupo, sarrà cane niro
Se non è un farabutto poco ci manca

 

Si nun è zuppa è pan bagnato
Gentilmente inviato a duepuntotre.it, dall’amico Ciro di Vico Equense. E come dice Lui: è sempre la stessa cosa

 

Si ‘o Signore me pruvede, m’aggia fa ‘nu quàcquaro anfin’ abbascie ‘e piede
Se il Signore mi aiuta, mi comprerò un cappotto lungo fino ai piedi

 

Si sì ‘nnato furtunato, jettate ‘a mmare, ca ‘o mare te votta ‘a fore
Se sei nato fortunato, buttati a mare, poiché il mare ti ricaccerà fuori

 

Si vuò campà anne e annune, vive vino ‘ncopp’ ‘e maccarune
Se vuoi avere vita lunga, bevi vino e mangia maccheroni

 

So’ gghjuto a Puortece pe’ ‘na rapessa
Sono arrivato fino a Portici per comprare un ravanello

 

So’ gghjuto ‘mparaviso pe’ scagno
Sono andato in paradiso per combinazione – dicesi quando si ha una botta di fortuna

 

So’ gghjùto pe’ me fa ‘a Groce e m’aggio cecato n’uocchio
Per farmi il segno della Croce, mi sono messo il dito in un occhio

 

Spanne ‘sti ppenne e pò vall’arrecuzzà
Spargi queste piume e poi và a raccoglierle – dicesi di compito difficile da svolgere

 

Sparte ricchezza e addeventa puvertà
Dividendo una ricchezza tra molte persone, alla fine diventerà poca cosa

 

Spione ‘e pulezzia porta ‘a lettera ‘a casa mia
Spione di Polizia porta la lettera a casa mia

 

Squagliatella, ‘sta ‘nzogna
Fai liquefare questa sugna

 

Sta sott’ ‘a pettola d’ ‘a mugliera
Dicesi di persona succube della moglie

 

Staje sempe ‘ntrìrece
Si dice a chi sta sempre dappertutto

 

Stammatina muglierema steva tutta ‘ntufàta
Questa mattina mia moglie era tutta infuriata

 

Stò verenno ‘a morte cu’ ll’uocchie
Sto vedendo la morte con gli occhi – lo dice chi sta soffrendo molto

 

Stongo attaccato mane e ppère
Ho le mani legate – si dice quando si è obbligati o costetti a fare determinate scelte

 

Stongo campanno ‘a nnascusa d’ ‘o Pataterno
Sto facendo una vita da eremita

 

Storta va deritta vène
Storta va diritta vien – non tutto il male vien per nuocere

 

Surco cummoglia surco
Solco copre altro solco – tipo: chiodo scaccia chiodo.

 

S’è aunita ’a funa corta e ’o strummolo a tiriteppete.

Si sono unite la trottola che gira vacillando (a causa della punta fuori asse) e la cordicella per la rotazione corta. Peggio non poteva andare. Si è verificata la concomitanza di due fatti negativi. Ma si dice anche di una coppia assolutamente inconciliabile e senza alcuna possibilità di poter coesistere. Lo “strummolo” era un’antica  trottola di legno che girava su una punta d’acciaio. Aveva delle scanalature orizzontali che servivano per avvolgervi la cordicella di tirare per farlo roteare. Ovviamente per funzionare la punta doveva essere in asse e la cordicella della lunghezza giusta.

 

S’è ’mbrugliata a matassa.

Si è ingarbugliata la matassa. La situazione è precipitata ormai è diventata molto complessa. La situazione è sfuggita di mano ed è difficile riprenderla.

 

S’è scumbinata ’a grammatica.

Si è stravolta la grammatica. È il caos! Non si capisce più niente. La logica è andata a farsi benedire.

 

Salute a’’ fibbie – recette don Fabbie!

Saluti alla fibbia – disse don Fabio! Me ne strafrego di quello che dici. Un’espressione usata in maniera molto piccata in risposta ad un’accusa a cui non si può rispondere in maniera argomentata. Non avendo più niente da controbattere.

 

San Genna’, mettece ’a mana toja!

San Gennaro, mettici la mano tua! San Gennaro aiutaci tu! La situazione è troppo precaria per poterla risolvere con le nostre forze affidiamoci a San Gennaro.

 

San Genna’, pienzace tu!

San Gennaro, pensaci tu! Non so che pesci pigliareSan Gennaro mi affido a te!

 

San Giuseppe nce ha passata a chianozza.

San Giuseppe ci ha passato la pialla. Si dice di una donna quasi senza seno. L’intenzione è quella di mettere in risalto una presunta scarsa femminilità. Ma chi lo pensa non conosce Jane Birkin. Comunque, tranne che negli anni ’60 quando Twiggy, una modella magrissima sconvolse il mondo della moda e il modello di femminilità, la donna di tutte le epoche è stata sempre piuttosto prosperosa. Difficile quindi per uomini abituati a seni prorompenti concepire una donna “liscia”. Di conseguenza il sarcasmo popolare attribuiva all’opera di San Giuseppe, falegname, la piallatura delle rotondità preesistenti.

 

San Pascale Baylonne, protettore delle donne, mannammillo nu marito bello, tuosto e sapurito.

San Pasquale Baylonne protettore delle donne, mandamelo un marito bello, tosto e saporito. Invocazione delle donne in cerca di marito a San Pasquale Baylonne, affinché gli facesse trovare un uomo con cui la natura era stata molto generosa.

 

Santa Teresa pisciasotta

Santa Teresa non riesce a trattenere la pipì. Secondo la tradizione la giornata di santa Teresa è generalmente piovosa. Il significato del termine pisciasotto viene utilizzato anche per additare una persona paurosa e piuttosto vigliacca.

 

Se l’ha ammuccato sano sano.

Se l’è bevuta tutta. C’è caduto come un pollo, non ha avuto il minimo dubbio.

 

Santu Mangione.

San Mangione. Santo protettore dei corrotti e degli imbroglioniBersaglio preferito di quest’affermazione sono i politici o gli amministratori noti per la loro disponibilità a concedere favori dietro compenso.

 

Scapricciatiello.

Lo scapricciatello. Un giovanotto che ha deviato dalla retta via e si sta incamminando lungo una china pericolosa. Una figura non particolarmente negativa perché si riferisce ad un ragazzo con qualche grillo di troppo in testa ma ancora recuperabile.

 

Scarfasegge.

Riscaldasedie. Fannullone. Impiegato che in ufficio scalda solo la sedia. Scansafatiche, sfaticato. 

 

Scaurachiuóve.

Scaldachiodi. Lavoro inesistente lo stesso che fa il fannullone. Persona sfaccendata, sfaticato.

 

Scavamento ’e Pumpei.

Scavo di Pompei. Ambiente molto malridotto o semplicemente disordinato e sovraccarico di oggetti mal riposti. 

 

Schiarà juorno.

Far giorno. Albeggiare.

 

Schiattà’ ’ncuórpo.

Schiattare in corpo. Rodersi dalla rabbia. Mal sopportare una persona.

 

Schiattamuorto.

Il becchino.

 

Sciacquàrse ’a vócca primm’ ’e parlà.

Sciacquarsi la bocca prima di parlare. È già un richiamo per qualche parola non troppo gradita scaturita nella discussione. Il risentito invita (bonariamente o minacciosamente) a misurare bene le parole prima di parlare di una certa persona, le cui qualità sono indiscusse. 

 

Sciasciona.

Donna rotondetta ma simpatica e piacente.

 

Sciò sciò ciucciuvè.

Via via civette! Scongiuro.

 

Sciosciammocca.

Un sempliciotto, ingenuo e credulone.

 

Sciù! p’ ’a faccia toia.

Sciù! per la faccia tua. Alla faccia tua!

 

Sciué sciué.

Senza perdere tempo. Sbrigativamente. Sommariamente. 

 

Sciupafemmene.

Dongiovanni. Donnaiolo, farfallone, casanova.

 

Scummà ’e sango.

Schiumare di sangue. Colpire causando una ferita con abbondante fuoriuscita di sangue.

 

Scummigliare a zella.

Scoprire la tigna. Far venire alla luce tutto quello che si era voluto tener nascosto. 

 

Scurà notte.

Fa notte.

 

Se n’adda accattà tutte mmericine!

Se ne deve comprare tutte medicine. Una maledizione lanciata dalla “vittima” a chi si è appropriato fraudolentemente o quasi del suo danaro.

 

Se ricorda ’o chiuppo a Forcella.

Risale ai tempi del pioppo a Forcella. Che risale a tempi lontanissimi.

 

Se sò mbrugliate ’e llengue.

Si sono imbrogliate, ingarbugliate le lingue. Una serie di equivoci ha portato alla difficoltà di esporre le proprie ragioni.

 

Se so rotte le giarretelle.

Sono andate in frantumi le piccole brocche. Quella che sembrava un’amicizia indissolubile è andata in frantumi.

 

Senza denare nun se cantano messe.

Senza denaro non si cantano messe. Purtroppo, è una verità antica e incontrovertibile. Ma oggi è ancora più attuale perché nella società consumistica il denaro è la base dell’esistenza. Essere o non essere oggi dipende dal portafogli.

 

Sfasulato.

Sfaticato.

 

Sfezzia’

Divertirsi con qualcuno o con qualche cosa.

 

Si’ ghiuto a Roma e nun haje visto ’o Papa.

Sei andato a Roma e non hai visto il Papa. Fare qualcosa perdendo di vista quello che era l’elemento più importante da considerare.

 

Sì ’na zoza.

Sei un sudicio. Ma principalmente viene utilizzato per descrivere una persona immorale, infida, priva di valori.

 

Si’ ’nu babbà.

Sei un babà. Sei bella e dolce.

 

Si’ nu Sarchiapone.

Sei un sarchiapone. Persona goffa, sciocca, credulone, grossolana, sgraziata, imbranata. Tuttavia questa espressione non si utilizza con particolare cattiveria quanto piuttosto come uno sfottò bonario. In tempi recenti il termine è diventato famoso dopo essere stato utilizzato in uno sketch televisivo da Walter Chiari e Carlo Campanini. Quest’ultimo con una gabbia vuota ma coperta in maniera che non si possa vedere il contenuto invita l’altro a indovinare come sia fatto il Sarchiapone che dice essere l’animale che si trova in quella gabbia. Walter Chiari si dispera tentando in tutti i modi di indovinare le caratteristiche di questo animale e lasciandosi prendere la mano arriva a descrivere un animale mostruoso che mette in ansia tutti i viaggiatori presenti che si allontanano fino a svuotare la carrozza. Solo a questo punto Campanini confessa che la gabbia è vuota e lo stratagemma ha come unico scopo quello di svuotare lo scompartimento troppo affollato. Totò invece racconta di un commovente Sarchiapone nella poesia: Sarchiapone e Ludovico. La triste storia di un purosangue che ormai vecchio viene ceduto per pochi soldi ad un carrettiere che lo mette nella stalla insieme all’altrettanto vecchio asinello Ludovico. Quest’ultimo conosce meglio la vita e l’animo umano per cui gli dice di non sperare nel ritorno agli splendori del passato ormai la sua realtà resterà quella che vive. Sarchiapone non lo accetta e sceglie di porre fine ad una vita di umiliazioni.

 

Si vene ’a morte manco ’o trova

Nemmeno se viene la morte lo trova. Si dice di una persona che non si riesce mai a trovare. Ha un senso amichevole perché non si riferisce ad una persona che non vuole farsi trovare

 

So’ cadute l’anielle, ma so’ restate ‘e ddéte!

Sono caduti gli anelli ma sono rimaste le dita . È arrivata d’improvviso la povertà, ma resta ancora la possibilità di rifarsi una vita.

 

Sorece nfuso a ll’uoglio.

Il topo bagnato nell’olio. Una persona impomatata con la brillantina in maniera esagerata.

 

Sott’ ’a botta.

Sotto la botta. Di colpo. All’istante. Sott’ ‘a botta, ‘mpressiunata. È un verso della famosissima Tammuriata nera portata al successo dalla Nuova compagnia di Canta popolare nel ’76. La canzone è ambientata nella Napoli del primissimo dopoguerra, dove molte ragazze napoletane si accompagnavano a militari americani sia per sopravvivere alla miseria sia, in qualche caso, nella convinzione di aver trovato l’uomo della propria vita. In ogni caso la chiave comune era il sesso. Molti di questi militari erano neri per cui non era raro vedere in quel periodo figli di donne napoletane di pelle scura. La canzone di Nicolardi ed E. A. Mario racconta appunto di una caso del genere e del tentativo della mamma di fingere inspiegabile la nascita di un figlio nero. Però l’ipotesi risibile è che: “A ‘e vvote basta sulo na guardata,e ‘a femmena è restata, sott’ ‘a botta, ‘mpressiunata”. Cioè “A volte basta solo uno sguardo e la donna resta di colpo impressionata (o persino incinta)

 

Sparterse ’o suonno.

Dividersi il sonno. Un’amicizia talmente forte da permettere di scambiarsi qualsiasi confidenza. Molto spesso però questa espressione ha un risvolto amaro e si completa con un rammarico: un atto si slealtà da parte da parte della persona con cui si era “spartut ’o suonno”, con cui ci si confidava ogni segreto.

 

Spavo ncerato.

Spago incerato. Pigliarse ’o spavo ’ncerato: assumere un onere di cui si sarebbe potuto benissimo fare a meno perché sarà molto impegnativo. Può significare anche prendersi troppa confidenza inopportuna.

 

Sperì comme a nu cane.

Desiderare avidamente come un cane. In senso stretto osservare avidamente degli alimenti quando si è affamati. Ma si può estendere a tante altre situazioni che si vorrebbero soddisfare ma che difficilmente lo saranno.

 

Spià ’na cosa.

Domandare una cosa. Fare una domanda. Chiedere un’informazione.

 

Spuglià a ssan Giacchìno pe’ vvestì a ssant’Antuóno.

Spogliare san Gioacchino per vestire sant’Antonio. Una cattiva risoluzione dei problemi o un’ingiustizia. Non farsi scrupolo di danneggiare qualcuno pur di favorire qualcun altro.

 

Stà’ alleluia!

Stare alleluia! Essere talmente ubriachi da raggiungere il culmine della gioia e dell’allegria. Condizione paradisiaca.

 

Stà buono mpurpato.

È ben inzuppato. È riferito ad una persona esageratamente ricca. Inzuppata di denaro. Un Paperon de’ Paperoni.

 

Stà c’ ’o còre int’ ô zzùccaro.

Stare col cuore nello zucchero. Essere all’apice della felicità. Una felicità che fa vedere tutto rosa. È la condizione dell’innamorato che vive un momento di grazia per qualche esternazione amorosa della partner.

Stà comm’a na Pasca.

Stare come una Pasqua. È felice e gode di ottima salute. Non ha bisogno di niente e e di nessuno e si gode la sua tranquillità.

 

Stà’ comm’a ’o diavulo e l’acqua santa.

Stare come il diavolo e l’acqua santa. Due persone assolutamente incompatibili. Nemici per la pelle. Destinato al fallimento un incarico affidato a due persone diametralmente opposte e che mal si sopportano, che sono appunto come il diavolo e l’acqua santa. 

 

Stà ’o naso e vocca.

Stare naso e bocca. Essere vicinissimi. Essere a pochissima distanza. 

 

Sta schiaranno iuorno ’a Afragola.

Sta facendo giorno ad Afragola (comune in provincia di Napoli). Si dice in maniera ironica quando qualcuno si appresta ad iniziare un lavoro quando a rigor di logica la giornata è finita. Da interpretare come: “Ma non ti accorgi di come si è fatto tardi?” 

 

Sta sempe c’ ’a capa ’a pazzìa.

Sta sempre con la testa a scherzare. Con lui è difficile fare un discorso serio ha sempre voglia di scherzare. È un mattacchione. 

 

Sta’ sott’’a pettula d’’a mugliera.

Sta sotto la falda della camicia della moglie. Infatti, la pettola è il lembo posteriore della camicia che viene infilato nei pantaloni. Lo rivela in maniera inequivocabile, Tommasino detto Nennillo, figlio di Luca Cupiello (Eduardo De Filippo) nella famosissima commedia: Natale in casa Cupiello. Sconvolto per il tradimento della moglie, Nicolino, genero di Luca, si era vestito in fretta per raggiungerla a casa dei genitori. Nennillo però si era accorto di qualcosa fuori posto nell’abbigliamento del cognato, e aveva esclamato ridendo: «Uh… Niculino cu’ ‘a péttola ‘a fora!» (Uh… Nicolino con la “pettola” fuori dai pantaloni!). Il proverbio si riferisce quindi al marito che vive sotto la “pettola” della moglie. Cioè non è autonomo ma è condizionato nelle sue scelte dal legame di sottomissione con la consorte. In tema di pettola c’è anche un modo di dire che si adatta benissimo ai cosiddetti “bamboccioni: ‘o pettulella ‘e mammà. Costui è un giovanotto, che nonostante non sia più un adolescente, continua a fare affidamento sulla mamma per tutte le sue esigenze. Però la mamma non è immune da colpe perché, invece che spingerlo a cercare la sua strada lo difende a spada tratta da coloro che lo accusano di essere uno sfaticato.

 

Stamm’ tutt’ sott’ ’o cielo.

Stiamo tutti sotto il cielo. Nessuno si ritenga privilegiato come uomo mortale. Siamo tutti sottoposti allo stesso destino e sarebbe meglio rendersene conto prima di fare del male. È la filosofia della “Livella” di Totò. Si può interpretare anche in maniera più fatalista: ci vediamo domani mattina per prendere un caffè  a meno che non ce lo impedisca una volontà divina.     

 

Statte buono.

Stammi bene. ArrivederciCiaoIn ogni caso un saluto di congedo. Nella sostanza spesso rivela un senso di freddezza nel saluto.

 

Steveme scarze a chiaveche!

Eravamo a corto chiaviche! Ci mancavi solo tu! Ironia triviale per accogliere l’amico che si unisce in ritardo alla “raffinata” combriccola. 

 

Strunzià.

Deridere. BeffeggiarePrendere in giro. Ingannare, raggirareRendere didicolo  qualcuno.

 

Stuort o muort.

Storto o morto. Bene o male; “in un modo o nell’altro ci riusciremo”. “Tiriamo avanti utilizzando quei pochi mezzi su cui possiamo contare”.

 

Suspira Cesare pecché ha visto ’e cosce d’’a signora.

Sospira Cesare perché ha visto le gambe della signora. È una battuta scherzosa che di solito si fa vedendo una persona pensierosa sospirare anche se non ci sono gambe e signore.

 

 

 

T’aggià ‘mparà e pò t’aggia perdere
Ti devo insegnare tutto e poi ti devo perdere
T’aggio fatto truvà ‘nu bello piattino
Ti ho ripagato per quello che mi hai fatto – nel bene e nel male
T’ ‘e luvato ‘a vocca a ‘o cane e t’ ‘e miso mmocca ‘o lupo
Ti sei tolto da un guaio e ti sei cacciato in un altro peggiore
T’hanno fatto ‘a serrènga
Ti hanno fatto la siringa – ti hanno imbrogliato
T’he fatto ‘e cunti senza ‘o tavernaro
Ti sei fatto i conti senza l’oste
Tacche ‘e cchiuovo, tacche ‘e cchiuovo
Botta e risposta
Tanno voglio murì, quanno tre rilorge vann’ eguale
Allora voglio morire quando tre orologi segneranno la stessa ora
Tanta vote s’adda jiènchere ‘o sacco, ‘nfin’ ‘a cchè se schiatta
Tante volte si deve riempire il sacco, finchè non scoppia
Tante niente, accedettero ‘o ciuccio
Tanti pesi modesti, fecero morire l’asino
Tanto c’ha fatto, ha girato ‘a frittata
Tanto ha fatto, fino a quando ha girato le carte in tavola
Te fète ancora ‘a vocca ‘e latte
Ti puzza ancora l’alito di latte – Sei troppo piccolo
Te sì ddate ‘a zappa ‘ncopp’ ‘o père
Ti sei dato la zappa sui piedi – Ti sei tradito da solo
Te sì ‘mmiso cu dduje piere dint’ ‘a ‘na scarpa
Ti sei messo con due piedi in una scarpa – Ti sei messo in un brutto guaio
Te staje appennenno a ‘e ffeline
Ti stai appennendo alle ragnatele – si dice di chi si sta arrampicando sugli specchi
Te tengo appiso all’urdemo buttone d’ ‘a cammisa
Per me sei l’ultima persona sulla faccia della terra!
Te tengo stampato ‘ncuorpo
So tutto di te – ti conosco come le mie tasche
Tene ‘a bbellezza d’ ‘o ciuccio
Si dice ironicamente di chi è bello solo perchè è giovane
Tène ‘a capa fresca
Si dice per indicare una persona spensierata, poiché senza problemi
Tene ‘a faccia d’ ‘e ccorne vecchie
È uno sfrontato – ha una faccia da schiaffi
Tene ‘a mugliera ‘ncampagna
Ha la moglie in campagna – ha l’amica
Tené ‘a neve dint’ ‘a sacca
Ha la neve in tasca – si dice di uno che ha fretta
Tène ‘a sàraca dint’ ‘a sacca
Nasconde qualcosa nella tasca – chi non dice tutta la verità
Tène ‘a zeppola ‘mmocca
Colui che ha un difetto di pronuncia
Tene ‘e rrènnete spase ‘o sole
Ha le rendite stese al sole – È molto ricco
Tene ‘o pizzo bbuono e ‘e scelle rotte
Ha buon gusto nello scegliere ma vuole spendere poco
Tène ‘o scurriato senza ‘a carrozza
Ha la frusta ma non la carrozza – un po’ come avere la patente senza l’auto
Tène ‘o serpone dinto ‘o manicone!
Ha una serpe nella manica – chi nasconde un segreto
Tene tanta corne quann’ ‘a ‘nu cesto ‘e maruzze
Ha tante corna quante quelle che si contano in un cesto pieno di lumache

 

 

Tene’ ’a Mangiatora vascia.

Avere la mangiatoia bassa. Nelle stalle la mangiatoia viene tenuta bassa perché in caso contrario gli animali farebbero fatica a mangiare. In senso figurato la persona con la mangiatoia bassa è colui che beneficia di vantaggi che non provengono dal suo impegno e dalla sua disponibilità. Vive tra agi immeritati e ne approfitta per non impegnarsi a cercare una propria fonte di guadagno. 

 

Teng’ ‘e làppese ca m’abballano p’ ‘a capa
Ho le matite che mi ballano in testa – Sono nervoso

 

Tèngo ‘nu chiuovo fisso ‘ncapa
Ho un pensiero fisso in testa

 

Tiempo e frònne vò ‘a crapa
Tempo e foglie vuole la capra per mangiare con calma

 

Tiempo perduto, nun s’acquista cchiù
Il tempo perso non si riacquista più

 

Tieni ‘o core dint’ ‘o zucchero
Hai il cuore nello zucchero

 

Tirà ‘a varca ‘o sciùtto
Mettersi al riparo da qualsiasi tipo di calamità

 

Tre cose ‘a femmena addà sfujì: Renare, vino e fenesta
La donna deve rifiutare soldi, vino e finestra

 

Tre so’ ‘e fetienti: Mimì, Cocò e Càrmene ‘o pazzo
Tre sono i cattivi: Mimì, Cocò e Carmine il pazzo

 

Tre so’ ‘e putiente: ‘o Papa, ‘o rrè e chi nun tène niente
Tre sono i potenti: il Papa il re ed il nullatenente

 

Trica, e vene pesante
Aspetta, ed è peggio

 

Tanno tanno.

Allora allora. Proprio in quel momentoUn fatto avvenuto da pochissimo.

 

Tanno pe tanno.

Allora per allora. All’istante. Immediatamente.

 

Te manno ’e Pellegrini!

Ti mando all’ospedale Pellegrini! Te ne do talmente tante che sicuramente avrai bisogno del pronto soccorso di un ospedale per farti medicare. L’ospedale è più conosciuto come Vecchio Pellegrini e si trova al centro di Napoli nella zona della Pignasecca. Nacque annesso alla Chiesa della Santissima Trinità nel XVI secolo. Il complesso fu fondato dal cavaliere Fabrizio Pignatelli di Monteleone e disegnato da Carlo Vanvitelli. Deve il proprio nome alla funzione iniziale della struttura. Lo scopo era quello di fornire assistenza ai fedeli di passaggio per la città per raggiungere altri luoghi di culto.  

 

Te pare sempe che ’o culo t’arrobba ’a cammisa.

Ti sembra sempre che il sedere ti rubi la camicia. Avaro e diffidente. Sta sempre sul chi va là nel timore anche infondato che qualcuno gli possa sottrarre qualche cosa.

 

Te tengo stampato ’ncuorpo!

Ti tengo stampato nel mio corpo. Ti conosco come le mie tasche. Tu per me non hai segreti. Non puoi fingere con me.

 

Te veco, e te chiagno.

Ti vedo e ti piango. Sei in una situazione critica. Penso che il tuo futuro sia tutt’altro che roseo ti compatisco.

 

Tene’ ’a capa sulo pe’ spàrtere ’e recchie.

Avere la testa solo per separare le orecchie. È un imbecille. La sua testa è un involucro vuoto, privo di cervello.

 

Tene’ ’a neva ’int’ ’a sacca.

Avere la neve in tasca. Chi non trova mai il tempo per fermarsi. Frettoloso. Persona che mostra di avere sempre troppa fretta. A volte può essere un velato rimbrotto a chi dà l’impressione di non aver piacere a trattenersi.

 

Tène ’a panza azzeccata cu’ ’e rine.

Ha la pancia incollata ai reni. Una persona esageratamente magra. Scheletrico. Secco. Macilento.

 

Tene ’a parola superchia.

Ha la parola superflua. Si dice di chi vuole sempre avere l’ultima parola. Di chi straparla in modo saccente e interviene anche in maniera inopportuna in ogni discussione.

 

Tené ’a zeppola mmocca.

Avere la zeppola in bocca. Difetto di pronuncia con la “s” moscia. Balbettare. In medicina è il sigmatismo. Esempi significativi sono Nicola Zingaretti (soprannominato da Beppe Grillo  proprio “Er Zeppola”) e ai massimi livelli Maurizio Costanzo.

 

Tene na cimma de scirocco.

Ha una cima di scirocco. È incavolato forteMa che c’entra lo scirocco? Sta subendo in massimo grado gli effetti dello scirocco, il caldissimo vento africano. Porta umidità e quindi afa. Si riteneva che questo clima fosse particolarmente dannoso per i malati di “nervi”. Quindi quando si dice che qualcuno ha la cima di scirocco si intende che è arrabbiato, irascibile, intrattabile.

 

Tene’ ’e làppese a quadriglié p”a capa.

Letteralmente: avere le matite a quadretti per la testa. Essere distratto dalle troppe preoccupazioni che girano per la testa. Essere intrattabile. I problemi gli fanno scoppiare la testa. Ma cosa sono questi  làppese a quadriglié? È la deformazione fonetica di un’espressione latina riferita ad un tipo di costruzione muraria romana. Sono delle pareti con delle forme geometriche a rilievo per accentuarne il chiaroscuro. Rilievi che sono detti bugne. Quelle a diamante hanno la forma di piccole piramidi accostate obliquamente a centinaia. Di conseguenza hanno una base quadrata. Costruire una facciata di bugne è un’opera difficilissima realizzati da maestri di grande bravura. Quindi metaforicamente è un’opera complicatissima da far venire il mal di testa. Un bellissimo esempio di bugnato di piperno a diamante è quello del Gesù Nuovo di Napoli nell’omonima piazza. Incisi su queste bugne compaiono dei misteriosi segni ordinati secondo un ritmo particolare. Si supponeva, tra le tante ipotesi, che fosse una chiave occulta messa dai maestri del piperno per caricare  energie positive.  Nel 2010 lo storico dell’arte Vincenzo De Pasquale e i musicologi ungheresi Csar Dors e Lòrànt Réz ritennero di aver fatto una straordinaria scoperta. Quei segni formavano uno spartito utilizzando sette lettere aramaiche. Andavano lette al contrario, dal basso verso l’alto e da destra a sinistra. Decifrarono un’opera che intitolarono Enigma. Alla realizzazione di questa opera diedero il loro contributo anche altri studiosi. Al contrario, un altro studioso di simbologia esoterica, Stanislao Scognamiglio mise in discussione tutta l’interpretazione fatta. Per lui quei segni sono tutt’altra cosa. Però, è un dato di fatto che questa musica è stata suonata quindi De Pasquale & C. qualche appiglio alla loro teoria ce l’hanno e chi vuole, può ascoltare Enigma in questo filmato. Scognamiglio però sostiene che la sua teoria di certo non è campata in aria. Ma frutto di un meticoloso lavoro e di un’attenta ricerca con l’utilizzo di supporti iconografici. E tra questi, una tavola periodica del Settecento, nella quale sono riportati i singoli grafemi alchemici di laboratorio, moltissimi dei quali sovrapponibili a quelli di Piazza del Gesù. E aggiunge che “glifi di stessa natura si trovano sulle mura greche a Piazza Bellini e su altri edifici antecedenti alla Chiesa del Gesù Nuovo”.

 

Tene’ ’e recchie ’e pulicane .

Avere le orecchie del pubblicano. Il pubblicano era un antico funzionario dell’Erario romano incaricato di riscuotere le tasse. Un esattore per cui è ovvio che fosse molto attento a cogliere anche le voci che lo avrebbero portato a scoprire degli evasori. Metaforicamente avere un udito straordinario ma per ascoltare fatti altrui. Impiccione. Ficcanaso. In senso positivo: riuscire a captare anche a notevole distanza più di quello che riescono a sentire gli altri.

 

Tène folla Pintauro!

C’è folla da Pintauro! Si dice con ironia di persona che improvvisamente si trova ad avere più attenzioni di quelle che riceve normalmente. Chi si rende prezioso nonostante sia poco credibile. Pintauro è una pasticceria napoletana. Pasquale Pintauro nei primi decenni dell’Ottocento fu il creatore della sfogliatella napoletana. La sua pasticceria fu la prima ad avviare la produzione e la vendita delle sfogliatelle. Negli anni di maggiore successo era talmente affollata che la coda dei clienti si prolungava lungo il marciapiede all’esterno del negozio (comunque abbastanza piccolo). Tuttavia non è che oggi Pintauro abbia perso troppe posizioni. Occupa sempre una posizione verticistica nel settore. Ma i suoi clienti sono diminuiti perché a 200 metri è nata una pasticceria le cui sfogliatelle non hanno nulla da invidiare a quelle di Pintauro: è la pasticceria Mary. La sfida tra titani del dolce si svolge quotidianamente lungo la famosa via Toledo. 

 

Tene’ l’arteteca.

Essere perennemente irrequieti. Si dice in special modo dei bambini iperattivi, troppo vivaci, che non si fermano un attimo. Arteteca ha una lontana derivazione dal latino arthritis ma senza percorrere tutto il percorso quello che conta è che per i romani indicava una malattia che aveva delle caratteristiche, tra le altre, anche convulsive. Da qui la derivazione di un carattere frenetico. “Arteteca”, è anche il nome di un duo comico, una coppia di coniugi, arrivato al successo con lo spettacolo televisivo Made in Sud.

 

Tenè mente.

Guardare. Osservare ma senza particolare interesse, magari per curiosità. Guardare da spettatore estraneo.

 

Tené’ ’nfrisco.

Tenere in fresco. Conservare in attesa del momento giusto. Va bene anche in senso letterale come tenere in fresco qualche cosa.

 

Tene ’o mariuolo ’ncuorpo.

Ha il ladro in corpo. È piuttosto ambiguo perché sa di nascondere un segreto compromettente. È portatore di un segreto inconfessabile. 

 

Tene’ ’o vacile d’oro pe’ ce jettà ’o sanghe rinto.

Avere la bacinella d’oro per buttarci dentro il sangue. Essere ricchi ma non poter godere di quella ricchezza. Considerazione astiosa nei confronti di una persona meschina che grazie alla sua posizione approfitta dei sottoposti ma non può avvalersi dell’agiatezza di cui gode perché è afflitto da gravi problemi.

 

Tene ’a vocca ca pazzeja cu ’e recchie.

Ha la bocca che gioca con le orecchie. Ha la bocca larghissima. Commento derisorio dell’aspetto fisico di una persona. 

 

Tene ’e rennete spase a u sole.

Avere le rendite sparse al sole. Essere ricchissimo. Ma spesso si usa in maniera ironica per indicare una persona che aspira a progetti troppo grandi per quelle che sono le proprie possibilità: quindi immagina di essere ricchissimo senza esserlo.

 

Tene’ nu brutto police int’ ’a recchia.

Avere una brutta pulce nell’orecchio. Avere un brutto presentimento. Avere un pensiero preoccupante che frulla per la testa. Questo pensiero però potrebbe essere stato inculcato da qualche malalingua.

Tiene mmano.

Tieni in mano. Aspetta un poco che poi risolveremo. Non è ancora il momento fai in maniera da tenere in sospeso.

 

Tiene ’nu culo quant’e Porta Capuana .

Hai un culo grande quando Porta Capuana. È una delle nove porte più antiche di Napoli. Espressione scurrile per indicare una persona con una fortuna esagerata. Una fortuna che non si manifesta in una sola direzione. Potrebbe essere al gioco, agli eventi della vita, alla conquista per trascorrere un’allegra serata. Ma nessun riferimento con la classica fortuna in amore. 

 

Tieneme ca te tengo.

Tienimi che ti tengo. Barcollare. La situazione è precaria e stiamo in bilico con buone probabilità di cadere, sosteniamoci a vicenda. Una situazione simile a quella cinematografica dei due ubriachi che tornando dal bar si appoggiano l’un l’altro per cercare di non cadere.

 

Tiracazune.

Bretelle. Era dette anche tiranti perché al contrario della cintura non stringevano in vita ma trattenevano dei pantaloni troppo larghi per non cadere.

 

Tomo tomo.

Serio serio. Comportarsi come nulla fosse in una situazione che al contrario richiederebbe delle valide spiegazioni. Quieto. Tranquillo. Flemmatico.

 

Tra mastu’ Francisco e ’o bancariello nun se sape chi ha fatte rummore.

Tra mastro Francesco ed il tavolino non si sa chi dei due ha fatto rumore. Un rimpallarsi di colpe. Scaricabarile. Mastro Francesco potrebbe essere un ciabattino che per rispondere ai vicini che gli contestano il fracasso che arriva dal suo negozio invece di ammettere il suo martellare accusa il tavolino di essere troppo rumoroso.

Trave ‘e sapone.

Trave di sapone. Albero della cuccagna. L’albero della cuccagna è un palo ricoperto di sostanza grassa, o comunque viscida, in cima al quale si trovano dei regali. Devono essere raggiunti e conquistati dopo una durissima arrampicata che solo alcuni partecipanti sono in grado di concludere. I regali sono solitamente alimentari perché la tradizione è molto antica e ovviamente per la plebe dei secoli scorsi era un’occasione per mettere in tavola dei prodotti che diversamente avrebbero solo sognato. Comunque oggi l’albero della cuccagna si può trovare in molte sagre paesane e i regali per i vincitori possono essere di ogni tipo.

 

Tore ’e Crisciénzo e Totonno â Port”e Massa.

Salvatore De Crescenzo e Antonio di Porta di Massa. Salvatore di Crescenzo è considerato il primo grande e potente capo della camorra post-unitaria. Antonio Lubrano, detto Porta di Massa dal nome del luogo d’origine, nella zona del porto di Napoli fu il suoi nemico giurato, capo di un’altra combriccola di delinquenti. La loro vita fu un continuo insanabile confronto senza esclusione di colpi. Alla fine la spuntò De Crescenzo che fece accoltellare l’avversario appena entrato in carcere dopo l’ennesima condanna. Quindi questo detto è riferito a due persone il cui carattere è assolutamente inconciliabile ma si comportano anche da improbabili bulli.

 

Tre ccose so’ sempre fredde: naso ’e cane, mana ’e barbiere, culo ’e femmena.

Tre cose sono sempre fredde: il naso del cane, la mano del barbiere, il sedere delle donne. Espressione chiaramente scherzosa di una verità empirica ma non assoluta. Probabilmente una constatazione dell’autore in base alla sua esperienza.

 

Tricchitracche, tanto a parte!

Tric trac, un tanto per parte! Ciascuno paga per la propria parte. Dividere le spese proporzionalmente a quanto si è consumato. Pagare alla romana.

 

Truvà ’a pèzza a cculóre.

Trovare la toppa a colori. Cercare in maniera artificiosa di trovare una scusa plausibile. Arrampicarsi sugli specchi. Cercare disperatamente di tirarsi fuori da una situazione divenuta molto difficile.

 

Che staje accucchianno?

Ma che stai dicendo? Ma di che cosa stai parlando? Non riesco a capire dove vuoi arrivare.

 

Tu me scippe ’e paccari ’a mano.

Mi strappi gli schiaffi dalle mani. Cerco di essere ragionevole ma il tuo comportamento rischia di farmi perdere la pazienza e riempirti di schiaffi.

 

Tutto ‘o lassato è perduto.

Tutto il lasciato è perso. Ciò che ci si è perso è perso per sempre.

 

Ttuppetià

Bussare, picchiare; in senso figurato: congiungersi in un rapporto sessuale.

 

Tu staie arreto a ‘o brecco.

Tu stai dietro la carrozza. Sei una nullità. Non ti rendi conto nemmeno delle cose più evidenti che ti succedono intorno.

 

Tu tiene ’a capa fresca.

Hai la testa fresca. Beato te che vivi tranquillo senza problemi che ti frullano per la testa. Avere la testa senza pensieri, disinteressato alle questioni che richiedono responsabilità

 

Tu vi’ quanno è bello Parigge!

Vedi quanto è bella Parigi! Non c’entra la Tour Eiffel né una romantica serata lungo la Senna. È un’espressione delusa e rabbiosa di fronte ad un fatto negativo e inaspettato. Un moto di meraviglia che può tradursi in “Ma tu guarda cosa mi va a capitare!”, oppure “Ma vedi un poco cosa debbo sopportare!”

 

Tutto a Giesù e niente a Marì.

Tutto a Gesù e niente a Maria. Una spartizione illogica che avvantaggia un contraente togliendo all’altro, in maniera arbitraria.

 

Tricchitracche, tant’ ‘a pparte
Tric-trac, dividiamo tanto per ciascuno

 

Trova cchiù ampressa ‘a femmena ‘a scusa, ca ‘o sorice ‘o pertuso
Trova prima la donna il pretesto, che il topo la tana

 

Truòvate chiuso e pierdete st’accunto
Fatti trovare chiuso e perdi il cliente

 

Tu sì proprio ‘nu guajo ‘e notte
Si dice di chi arreca solo danni

 

Tutt’ ‘o lassato è perduto
Tutto ciò che si lascia è perduto

 

Tutt’ ‘o stuorto s’ ‘o pporta ll’ascia
Tutto ciò che è storto lo porta via l’ascia

 

 

‘U ppoco abbasta, ‘o supierchio avanza
Il poco basta, il superfluo avanza

 

‘U scutulià d’ ‘e ssacche se vede si è pòvere o è farina
Scuotendo le tasche, si vedrà se è polvere o farina

 

‘U sfizio d’ ‘o viento è ‘a mmùmmera
Il divertimento del vento è l’anfora

 

 

U libro d’u pecchè nun s’è stampato ancora.

Il libro del perché non si è stampato ancora. Un modo per non rispondere ad una domanda inopportuna e indiscreta. È anche un’abitudine che hanno i bambini di chiedere dei perché a cui non sappiamo rispondere, qualcuno risolve con un’espressione del genere.

 

Uanema

Oh anima! Esclamazione enfatica di meraviglia: Nientedimeno! All’anima!

 

 

U cchiù doce d’ ‘a vita è ‘u ddurmi’.

Il sonno è quanto c’è di meglio nella vita.

 

 

Una pe bevere e n’ autra pe sciacquà.

Una per bere e un’altra per sciacquare. Dare una strigliata di quelle che non si dimenticano. Aspro e risoluto rimprovero. 

 

 

Uno ’e tutto.

Uno di tutto. Un ricco assortimento. Di tutto. Espressione che può essere usata in diversi contesti. Un negozio può avere “uno ‘e tutto”: nel senso che in quel negozio puoi trovare tutto quello che cerchi, è molto fornito.

 

 

Uno leva ’o quatro e ll’ato ’o chiuovo.

Uno toglie il quadro e l’altro il chiodo. Una gara a distruggere le proprie cose. Una versione ancora più completa che meglio rende l’idea: Marito mio bello, marito mio bbuono, tu lieve ‘o quadro e jì levo ‘o chiuovoMarito mio bello, marito mio buono, tu levi il quadro ed io levo il chiodo.
Si dice di una coppia particolarmente scialacquona che spende in maniera dissennata. Ma anche di una coppia che distruggendo il matrimonio ognuno mettendoci del suo.

 

 

Uócchie a zennariéllo .

Occhi maliziosi e ammiccanti. In una antica canzone napoletana è la “sardella innamorata de ‘o guarracino  fece l’uocchie a zernnariello”.

 

Uócchie chine e mmàne vacante.

Occhi pieni e mani vuote. Osservare vogliosamente le grazie di una donna ma restando a mani vuote. Quando i costumi erano più castigati di quelli che sono oggi, agli uomini bastava poco per rimanere a bocca aperta osservando le forme di una donna, specie in televisione. Le mogli gelose si vendicavano con questa constatazione o con l’equivalente: vedere e non toccare è cosa da crepare.

 

Uocchie sicche.

Occhi secchi. Malocchio. Gli occhi secchi sono quelli che lanciano il malocchio quanto non disgrazie e sventure peggiori. Infatti ancora più esplicitamenteL’uocchie sicche so’ peggio d”e scuppettate. Il malocchio è peggio dei colpi di fucili. La potenza del malocchio è devastante e può procurare più danno delle fucilate. Anche perché nella superstizione si ritiene che il malocchio generi degli influssi difficilissimi da neutralizzare.

 

 

Uosso pezzillo.

Malleolo. È una parte dell’articolazione della caviglia.

 

 

Uovo ’e n’ora, pane ’e nu juorno, farina ’e nu mese, vino ’e n’ann e figliola ’e quinnic’anne.

Uovo di un’ora, pane di un giorno, farina di un mese, vino di un anno e ragazza di 15 anni. Questo detto è particolarmente interessante perché dimostra come anche le concezioni morali sono determinate dal momento storico. Per noi una ragazzina di 15 anni è considerata poco più che una bambina, e tranne i pedofili o i coetanei, nessun adulto la metterebbe in cima ai suoi desideri sessuali. Eppure, ai tempi di questo proverbio era un’aspirazione del tutto lecito e normale.

 

‘U velluto è addiventato raso
Il velluto è diventato raso

 

Una noce dinto ‘o sacco nun fa rummore
Una sola noce nel sacco non fa rumore

 

Una pe’ bevere e n’ ata pe’ sciacquà
Una per bere e un’altra per sciacquare

 

Uocchie chine e mane avvacante
Occhi pieni e mani vuote

 

Uocchie ‘nterra e ‘a mente a Dio
Lo sguardo verso il suolo e la mente in alto

 

 

Va ‘a scavà ‘e vide ca truove
Va a scavare e vedi cosa trovi

 

Va’ tanto n’acqua ‘e maggio, quanno va ‘o carro e ‘o vojo c’ ‘o tira
Vale tanto una pioggia di maggio, quanto il carro e il bue che lo tira

 

Va’ truvanne ‘a Cristo ‘a dint’ ‘e lupine
Cerca Cristo nei lupini – si dice di chi è molto pignolo

 

Va’ truvanno ‘o pilo dint’ ‘a ll’uovo
Va cercando il pelo nell’uovo – come sopra

 

Và, ‘e ca ‘o riavulo t’aiuta. Ogne passo n’ ‘a caruta
Vai, e che il diavolo ti aiuti. Ad ogni passo una caduta

 

Vabbene! dicette donna Lena, quanno vedette ‘a mamma, ‘a figlia e pur’ ‘a jatta prena
Va bene! Disse donna Lena, quando vide la mamma, la figlia e la gatta incinta

 

Vaje truvanne ‘e guaje cu ‘a lanternella
Vai cercando i guai con la lanterna

 

Vaje truvanne ‘o spiccicaturo ‘a quinnece riente
Stai cercando il pettine con quindici denti

 

Vaje vuttanno ‘o carro p’ ‘a scesa!
Stai spingendo il carro in discesa – si dice di chi ha la vita facile

 

Valeno cchiù l’uocchie che ‘na schiuppettata
Colpiscono più gli occhi che un colpo di fucile

 

Varca storta viaggia deritto.

Barca storta viaggia dritto. Quello che all’inizio sembrava mal riusciti e poi invece si avvia correttamente.

 

Vatte ‘o fierro quann’ è càvero.

Bisogna battere il ferro finchè è ancora caldo

 

Vène vierno p’ ‘e male vestute
Arriva l’inverno per chi non è ben vestito

 

Viàt’ ‘a chi nu’ vvère e nu’ ssente: ije veco, sento e schiatto ‘ncuorpo
Beato chi non vede e non sente: io vedo, sento e mi addoloro

 

Vide chi parla d’onore: Francischiello ‘o sapunaro
Vedi chi parla d’onore: Franceschino il rigattiere

 

Vide Napule e po’ muore
Vedi Napoli e poi muori

 

Va’ a vasa’ ’o pesce ’e San Rafele.

Vai a baciare il pesce di San Raffaele Arcangelo. Nella Chiesa di San Raffaele a Napoli è custodita la statua dell’Arcangelo con Tobia. Nel gruppo marmoreo l’Arcangelo Raffaele poggia il piede sulla testa di un grosso pesce. In passato le donne del popolo si recavano a baciare questo pesce perpetuando un antico rito di fecondità. 

 

Va te cocca.

Vai a coricarti. Levati dai piedi! Sparisci! Vattene a quel paese! Ma anche: non sparare cavolate.

 

Va truvanno chi l’accide.

Va cercando chi lo uccide. Una persona molto sicura di sé che non ha paura di niente. Non si preoccupa di assumere atteggiamenti spavaldi e provocatori.

 

Vajassa.

Donna volgare e sguaiata. Che non si fa scrupolo di attaccar briga strillando e se necessario ricorrere alle mani. Originariamente indicava una serva poi nel tempo ha acquistato queste connotazioni disdicevoli.

 

Vacante comm’a na cucozza.

Vuoto come una zucca. Stupido. Senza cervello.

 

Venì a chi si tù e chi songh’ie.

Venire, arrivare a chi sei tu e chi sono io. Discutere in maniera accesa cercando di zittire l’altra persona evidenziando la superiorità della propria posizione. Si può immaginare che da questo alterco venga fuori un continuo batti e ribatti sul rispettivo valore. Insomma un duplicato del “lei non sa chi sono io”.

 

Venimmo a nuje.

Veniamo a noi. Dopo esserci allontanati dall’argomento ritorniamo a quello che era il tema del nostro discorso. Oppure: riepiloghiamo e concludiamo.

 

Vermenara ( oppure ‘Aggio fatt e vierm )  

Grande spavento. Rimanere scioccati da un grande spavento. Il termine deriva da una vecchia credenza popolare che attribuiva ad una grossa paura la causa dei vermi intestinali.

 

Vide Napole, e po muore

Vedi Napoli, e poi muori.

 

Vino a una recchia.

Vino a un orecchio. Vino buono. La definizione nasce da una particolare interpretazione della qualità del vino osservando gli effetti sul movimento della testa del bevitore. Secondo questa teoria quando il vino è buono la testa del bevitore si chinerebbe da un solo lato. Quindi nascondendo un orecchio e lasciandone visibile solo uno, da cui “vino a una recchia”. Vino a doje recchie. Al contrario, quando il vino è annacquato, la testa del bevitore si chinerebbe in avanti e le orecchie sarebbero visibili entrambe. Di conseguenza il vino scadente viene definito a “ddoje recchie”.

 

Vota e gira.

Volta e gira. Per quanto si cerchi di cambiare il risultato resta lo stesso.

 

Vota e gira ’o cetrulo e và ’nculo a ’o parulano.

Volta e gira il cetriolo e finisce sempre “dietro” all’ortolano. Espressione colorita e rabbiosa di chi si ritiene la vittima designata di tante ingiustizie. Comunque vadano le cose già suppone che a rimetterci sarà lui.

 

Vota ‘e pisce ca s’abbruciano.

Gira i pesci, che si bruciano. Un invito deciso a non proseguire nel discorso che sta prendendo una china molto insidiosa, perché sta toccando argomenti che è preferibile, e forse opportuno, evitare. 

 

Votta ‘a petrella e annasconne ‘a manella.

Scaglia la pietruzza e nasconde la manina. Azione furbesca di colui che innesca una discussione o un’azione inopportuna facendo in maniera da non restarne coinvolto come il reale fomentatore. Il diminutivo rende meglio l’idea di un’azione svolta cercando di farsi notare il meno possibile.

 

Votta votta.

Spingi spingi. Conseguenza di un affollamento tumultuoso in una piazza o in una manifestazione dove ci si trova ad essere trasportati dalla folla. La metropolitana nell’ora di punta è un buon esempio. Una coda disordinata dove si sgomita per guadagnare posizioni. Baraonda, gazzarra. 

 

Vrenzola ’e parola.

Straccio di parola. Fermatevi un poco, tacete, date anche me la possibilità di dire la mia. 

 

Vulè ’o cocco munnàto e buono.

Volere l’uovo sgusciato e pronto da mangiare: Volere tutto bello e pronto   Raccogliere i frutti di quello che non si è seminato. Pretendere di ottenere senza sforzo quello che gli altri devono sudarsi. In poche parole vuol dire essere un fannullone scansafatiche 

 

Vutare a tarantella.

Volgere a tarantella. Il tentativo di trasformare in burla quella che al contrario è una situazione molto seria.

 

Vide ‘o mare quanno è bello
Guarda che bel mare

 

Vieste sciccone ca pare barone
Vesti elegante che sembri nobile

 

Vino e maccarune songo ‘a cura p’ ‘e purmone.
Curare i malanni bevendo e mangiando

 

Vizio ‘e natura, ‘a ‘nfin’ ‘a morte dura
Vizio di natura dura fino alla morte

 

Vo’ tenè ‘a votte chiena e ‘a mugliera ‘mbriaca
Vuole avere la botte piena e la moglie ubriaca

 

Voce ‘e popolo voce ‘e Ddio
Voce di popolo voce di Dio

 

Vruòccole, gnuòccole e predecatùre, fatta Pasca nun sèrveno cchiù
Broccoli, gnocchi e predicatori, finita la Pasqua, non servono più

 

Vuje site ‘o masto ‘e chianozza?
Scusi, lei è lei il falegname?

 

Vuommeche ‘e vecchia attaccàte co’ ‘e nnucchetèlle gialle
Sono i capricci di vecchiaia legati coi fiocchettini gialli

 

Zantraglia.

Equivalente di vaiassa. Donna volgare e sguaiata. Che non si fa scrupolo di attaccar briga strillando e se necessario ricorrere alle mani. Due sono le principali ipotesi sull’etimologia di questa parola. La prima la associa al termine spagnolo “andrajo” che significa “straccio”. Quindi queste donne oltre ad avere le “virtù” suddette erano anche straccione e puzzolenti. La derivazione francese, invece, riporta ai giorni in cui al Maschio Angioino, alla fine dei lauti banchetti reali, i cuochi affacciandosi dai balconi lanciavano gli scarti di carne, e urlando “Les entrailles” (le frattaglie). Le zandraglie che avevano atteso quel momento si lanciavano come belve affamate su quei resti in una lotta senza esclusione di colpi.

 

Zezzeniello.

L’ugola. Più esattamente indica la parte alta del collo, dei maschi, quella dove si trova il pomo di Adamo. Una protuberanza che richiama alla mente la forma di una piccola tetta, quindi una zezzella o zezzenella, che maschilizzando diventa zezzeniello.

 

Ziracchio d’ommo.

Un nanerottolo. Uomo molto basso. Può essere utilizzata sia per deridere ironicamente che per insultare con cattiveria.

 

Zita cuntignosa.

Ragazza, giovane contegnosa. Ragazza che ostenta un’austerità di costumi e una serietà che non ha. Donna che gode di una fama non troppo cristallina ma all’occorrenza assume gli atteggiamenti di una zitella molto morigerata.

 

Zitto, chi sape ’o juòco.

Zitto chi conosce il gioco. Chi lo conosce non riveli il trucco altrimenti il gioco o “la truffa” fallisce. 

 

 

Zuca’ a ddoje zizze.

Succhiare da due mammelle. Fare il doppio gioco. 

 

Zumpà’ comm’a n’arillo.

Saltare come un grillo. Essere in gran forma. Scattante. Vivace.

 

Zi’ pre’ ‘o cappiello va stuorto … Accussì addà jì!
Parroco, ha il cappello storto … Così deve andare!

 

Zìmbare ‘e caprette; ‘na sola ‘mbulletta
Montone e agnello allo stesso prezzo

 

Zitto zitto ‘a mmièzo ‘o mercato
Parlare a bassa voce al mercato – Detto ironico che indica chi dice un segreto in pubblico raccomandando di non riferirlo ad altri ma che in poco tempo divente di dominio pubblico: Agire cioè con una presunta massima segretezza ma fare in modo che il segreto trapeli con estrema facilità.

 

Zompa chi pò!… Dicette ‘o ranavuòttolo
Si salvi chi può! … Disse il ranocchio.

 

 

 

ARTICOLO DI ANTONIO CIVETTA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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