Se volete vedere una fontana considerata un  vero capolavoro d’arte , vi dovete recare nella nostra città presso il Monastero di San Gregorio ( detto anche di San Liguoro ) situato nel quartiere di San Lorenzo , presso l’odierna Piazza San Gaetano e proprio  all’inizio di Via San Gregorio Armeno ,  uno dei cardini più famosi del nostro centro antico  per la presenza delle tante botteghe dove si costruiscono pastori e presepi .

L’antico monastero conserva infatti al centro di un bellissimo chiostro ricco di agrumeti e giardini ben curati , una  magnifica grande  bianca fontana barocca con delfini, maschere e cavalli marini,  affiancata da due grandi sculture  a grandezza naturale che raffigurano Cristo e la Samaritana (un richiamo al passo evangelico).  Si tratta di un vero capolavoro  eseguito  da  Matteo Bottigliero composto da strane maschere che spruzzano acqua , quattro cavalli alati e delfini con le code intrecciate sulla sommità..

L’opera datata   1533  è presente in un chiostro del cinquecento dove regnano sovrani pace ed alberi verdi . Il monastero  tutt’ora abitato da suore , accoglieva  un tempo le più nobili fanciulle della città destinate alla vita di clausura monacale.

 

 

Al bellissimo chiostro  vi si accede tramite  una rampa di scale decorata da affreschi di Giacomo del Po, e solo dopo aver attraversato un cancello di ingresso del convento un po’ nascosto che si trova proprio all’ingresso della stretta via San Gregorio Armeno  .

Lo scalone aperto ed il portale d’ingresso al convento  furono   eseguito da Giovanni Vincenzo Della Monica nel 1500 per rimediare proprio  al dislivello tra la strada sottoposta del cardine di San Gregorio che come vedrete conduce in basso verso Piazzette dell’Olmo ed il decumano inferore  e la quota di altezza del chiostro , posto molto più in alto nel monastero.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo scalone è costituito da trentatré gradini in piperno ed è posto tra due alte pareti parallele decorate dove intravediamo scolorite dal tempo  colonne di marmo verde, avvolte da spirali di foglie, con al centro allegorie femminili su piedistalli, alternate con vere aperture  dal lato destro del chiostro,  verso gli ex parlatori, e a finte finestre lungo il muro che fiancheggia  a sinistra la strada, con scorci prospettici e scherzosi episodi di cani e gatti sui davanzali. Questi affreschi raffiguranti foglie , colonne e figure allegoriche statuarie che vediamo consumati dal tempo e dalle intemperie ( incredibile che non vengano protetti ) sono stati eseguiti sempre nel 1700 da Nicola Antonio Alfami.

 

 

Nel 1770 furono aggiunte sullo scalone delle fasce laterali ad opera dello scultore  Pietro Ghetti ( originario di Carrara ) che insieme al fratello Bartolomeo sono stati autori di alcune grandi opere in città come il fastigio sul portale del Gesù Nuovo, l’altare maggiore della chiesa di  Monteoliveto ed il sepolcro del Cardinale  Brancaccio.

Salendo pian piano i gradoni d’accesso,al monastero  è un po’ come passare un confine , oltre il quale non c’è più il caotico rumore del vicino vicolo di San Gregorio Armeno. Improvvisamente è come se entrassimo  in un altro mondo , fatto di silenzio, e spiritualità.  Sullo scalone si viene accolti da sfarzosi affreschi  a metà tra religione e mitologia mentre in corrispondenza della porta  la nostra attenzione viene subito catturata dal laborioso marchingegno  dalla ruota degli esposti, posto sul portale d’ingresso  attraverso il quale i bambini meno fortunati erano affidati alle monache e alla speranza di un destino migliore.

Ma rappresentavano anche l’unico mezzo con cui le monache di clausura comunicavano con l’esterno: le ruote, infatti venivano utilizzate anche per  il passaggio di cibo, lettere, vestiti, ecc.

A conclusione della rampa si trova il grande portale in legno di noce incorniciato da un arco marmoreo dove  si sviluppa la composizione ad affresco di Giacomo del Pò eseguita agli inizi del Settecento  raffigurante la Gloria di san Benedetto.Il portale di marmo conserva le antiche ante  in noce ai cui lati vi sono le ruote rivestite da lamine di rame e incorniciate da intarsi marmorei ripresi anche nella parte interna.

 

 

 

Una volta varcato l’ingresso  , attraverso un ambiente voltato, vi è una sorta di ampio corridoio, alle cui pareti sono affrescate alla sua sinistra un grande affresco raffigurante l’Annunciazione eseguito da Paolo De Matteis e a destra delle scene della vita di Giovanni Battista eseguite nel 1657 da Micco Spadaro . Alla fine del piccolo corridoio troviamo l’accesso al chiostro grande  (realizzato da Vincenzo Della Monica)  a mio parere uno dei più belli e suggestivi della nostra città.

Originariamente esso era un  chiostro parzialmente adibito ad orto poi in seguito al concilio di Trento , che sanci’ regole di clausura per le suore , nel 1565 si decise di modificare l’ intero complesso , affidando il  rifacimento del chiostro all’ architetto Vincenzo della Monica

Il chiostro è oggi una vera e propria oasi di pace : un luogo ricco  di misticismo dove il silenzio ed il canto degli uccelli fanno da sfondo al bel giardino ricco di cedri e belle piante su cui affacciano le antiche stanze abitate un tempo dalle suore di clausura. Il bel belvedere terrazzo – giardino  resero certamente  la clausura piu’ sopportabili alle suore che da questa altezza potevano osservano un bellissimo panorama .

Il convento era infatti un tempo uno  degli edifici religiosi  più ambiti e  prestigiosi  della nostra città dove le antiche nobili famiglie facevano a gara per ” sistemare ” le proprie giovani figliole.

 

 

 

La cosa anche se vi appare strana , non vi deve meravigliare ..

Molti dei  tanti conventi nati in tutta la città  in quel periodo , erano sorti  principalmente proprio per gestire le figlie non primogenite  di nobili famiglie aristocratiche .Era infatti in voga in tempi antichi che per diversi motivi ,ma principalmente economici , le seconde o terze figlie nate in una nobile famiglie si dessero alla vita monacale .La  nascita di una figlia femmina era vista come una disgrazia provocando nei genitori una terribile angoscia per la dote che essi avrebbero dovuto fornire poichè  questo significava indebolire il proprio patrimonio familiare .La dote era prevista  loro malgrado per la sola primogenita  e non era assolutamente ipotizzabile sprecare una seconda dote. Dividere un patrimonio familiare tra due o più figli significava indebolire la ricchezza ed il potere della famiglia , e  concedere più di una dote nuziale sarebbe risultato gravoso anche per le tasche dei casati più facoltosi.

Le seconde e terze figlie erano inevitabilmente destinate alla vita monacale ma ….di lusso.

Bisogna comunque considerare che la vita della donna fin dal Medioevo era molto dura : essa non aveva potere economico e la sua esistenza sociale era dovuta esclusivamente alla funzione di madre e moglie completamente assoggettata al volere del marito , generalmente impostole dal padre , e che era quasi sempre analfabeta.

Con la monacazione , paradossalmente , la donna si sottrae al suo destino e , anche se la scelta le è imposta da ragioni economiche e dinastiche del genitore , una volta entrata nel monastero le si aprono spazi di libertà più ampi rispetto a quelli offerti ad una giovane sposa : la possibilità di una alfabetizzazione non solo utile alla lettura delle opere religiose ma anche alla pratica della gestione del monastero , dove essa occupa spazi decisionali nell’amministrazione di una comunità che ha quasi sempre ampi rapporti economici e commerciali , nonchè relazioni continue con le autorità religiose e politiche.

CURIOSITA’ :

La nobiltà napoletana nel XVI  secolo , tende , con la monacazione forzata delle figlie femmine non destinate al matrimonio, a trasformare i monasteri femminili in propaggini delle casate stesse non solo utili a smaltire l’eccedenza demografica femminile , ma anche a gestire forme di potere sia politico che economico . La vita comunitaria in questi monasteri era una chimera : le monache occupavano appartamenti privati costruiti e tramandati dalle appartenenti alle famiglie nobili all’ interno delle mura conventuali , servite dalla converse , e gestivano sia patrimoni privati , sia quelli dello stesso monastero qualora occupassero alte cariche .

A questo punto è opportuno ricordare che nei monasteri le monache erano sopratutto suddivise in due grandi categorie : le coriste o signore e le converse . Le prime erano quelle che amministravano il monastero , guidate da una badessa ( sempre scelta dal loro gruppo ) , una vicaria e da poche altre . Esse gestivano le enormi risorse economiche del monastero ed erano coinvolte in esborsi anche personali per contribuire talvolta alle diverse spese che il monastero doveva sostenere . Le converse , di contro , svolgevano compiti molto umili ed erano a tutti gli effetti le servitrici delle signore e non godevano degli stessi privilegi .

Le nobili monache quindi non vivevano male se si eccettua la castità (?  ) e questo successe fino al famoso Concilio di Trento nel 1563 dove fu stabilito una più severa vita monacale con obbligo di clausura . Le stanze  a disposizione delle suore divennero più semplici e  spartane e gli stessi monasteri dovettero adeguarsi ad  una riorganizzazione degli spazi che dovevano rendere “invisibili” le donne, separandole dal mondo con alte mura, inferriate e ruote. Questo editto di fatto svuotò i monasteri di nobili monache che abbandonarono i conventi per far ritorno alle proprie famiglie.
Le monache di San Gregorio Armeno manifestarono il loro dissenso e solo per una  parte si adeguarono al nuovo ordinamento . Seppero con bravura barcamenarsi alle nuove direttiva  ecclesiastiche, sapendo  favorire mediazioni, accettare compromessi e aprire spazi di libertà e di creatività, divenendo parte attiva nel lungo, complesso e contraddittorio processo di riforma. Nonostante il divieto di mondanità, di ostentare ricchezze, di fare teatro o di eseguire canto figurato, esse fecero del monastero un celebre e raffinato centro di cultura e di arte, dove trovarono accoglienza, dal XVII al XIX secolo, rinomati pittori, scultori e musicisti.

Nel 1572 l’intero complesso fu totalmente ristrutturato . Nel 1574  si diede inizio ai lavori di demolizione della vecchia chiesa, che doveva trovarsi nel luogo dove è oggi il cortile e la cappella dell’Idria ( la sola superstite del primitivo organismo).Venne di conseguenza  realizzata una nuova chiesa stavolta defilata rispetto al monastero e , costruito  il  campanile .  Fu creato in piperno il grande scalone monumentale aperto che conduce all’ ingresso del monastero  ed il suo bel portale d’ingresso . Venne inoltre negli anni successivi completato il monumentale chiostro che oggi possiamo ancora ammirare .

 

 

 

 

 

 

 

L’attuale monastero conserva nel suo interno un refettorio ricco di magnifici affreschi alle pareti eseguiti da Dionisio Lazzari e Francesco Solimena e due preziose cappelle contigue e collegate tra di loro che rappresentano  l’unica testimonianza superstite della presenza al centro del complesso monastico prima del 1572 dell’antica chiesa di San Gregorio  : la cappella della Madonna dell’Idra con la sua pavimentazione in mattonelle a mosaico bianche e nere ( databili tra il I secolo a.C. e il I d.C ) abbellita da una volta e da tele dipinte da Paolo De Matteis e  da un altare marmoreo di Pietro Ghetti e la vicina  cappella  con lo stesso magnifico pavimento  oggi purtroppo spoglia e caratterizzata da nicchie vuote dove molto probabilmente un tempo vi erano collocate delle statue.

 

Dal chiostro si può anche  accedere al coro dell’abside della chiesa  al quale segue un corridoio (corridoio delle Monache) che  giunge  prima ad un vestibolo, dove è presente  una tavola del 400 che raffigura la  Madonna della Libera che si trovava  nell’antica chiesa, e poi  alla cappella del Presepe, chiamata in questo modo per  la bella scena dell’Adorazione dei pastori raffigurata nella pala d’altare ,dipinta  nel 600 da Ippolito Borghese.

Nella cappella si trova  una settecentesca scultura in legno intagliato dell’Immacolata di Pietro Pantaleo  e alle pareti varie decorazioni ad affresco di Belisario Corenzio  .

Un ‘altra importante cappella è quella delle reliquie dove sono conservate dentro una mobilia del 700 numerose reliquie di santi cui i monastero si è arricchito nel corso dei secoli .

Altro ambiente interessante è quello del salotto della badessa che conserva mobili ed arredi originali con decorazioni ed affreschi di gusto rococò.

N.B. : Il monastero nel suo interno custodisce  un ricco archivio composto da manoscritti relativi alla vita del complesso religioso ed una importante  antica raccolta  musicale che comprende preziosi canti religiosi e vecchie composizioni di importanti musicisti dell’epoca ( Handel, Haydn, Paisiello, , Pergolesi ,Barbatiello e tanti altri ).

Nell’angolo angolo sud-orientale si apre invece l’ingresso al coro grande sopra l’atrio della chiesa, sopra il  quale fu costruito in seguito  un altro  coro (chiamato “d’inverno”) più comodo per  le suore benedettine in quanto permetteva di raggiungere il coro  dai corridoi interni al monastero, senza dover passare  per il chiostro esterno.

Questo secondo coro fu costruito al di sopra del soffitto ligneo decorato, in corrispondenza dell’atrio di ingresso alla chiesa, sopra il coro pensile, o “coro principale.

Le monache decisero di costruirlo  ed utilizzarlo  per la preghiera notturna, evitando così  di dover attraversare tutto il monastero per recarsi in chiesa in piena notte, al buio e d’inverno con il freddo. Questo secondo coro fu  ricavato eliminando una parte del tetto e perforando alcuni vani inservibili della soffitta della chiesa e  fu denominato “coro d’inverno” . Ad esso  vi si accedeva direttamente dalle celle del secondo piano.

Questo secondo coro permetteva  alle monache anche la possibilità di avere una visuale verso l’altare maggiore della chiesa, concessa grazie ad un’apertura intorno all’ovale che incornicia la tela di San Benedetto tra i santi Mauro e Placido del soffitto della navata.

La chiesa un tempo presente nel luogo dove oggi vi è il cortile e la cappella dell’Idria venne demolita  nel 1574 per essere ricostruita defilata dal monastero dove è oggi presente .

N.B. Nel 1572 l’intero complesso fu totalmente ristrutturato . Dopo aver demolito la vecchia chiesa per ricostruirne una nuova lungo via San Gregorio , venne costruito il campanile , creato in piperno il grande scalone monumentale aperto che conduce all’ ingresso del monastero  ed il suo bel portale d’ingresso . Venne inoltre negli anni successivi completato il monumentale chiostro che oggi possiamo ancora ammirare .

La chiesa  denominata di Santa Patrizia ,da quando nel 1864 in essa furono traslate le spoglie di Santa Patrizia ,  presenta un interno fra i piu’ suggestivi del barocco cupo napoletano da distinguere da quello gioioso del Fanzago . Possiamo osservare in essa , una delle decorazioni barocche piu’ ricche e sfarzose della citta’, in cui spiccano preziosi affreschi di Luca Giordano .
La chiesa su progetto di Giovan Battista Lavagna dopo un restauro del 500 ,divenne ad unica navata con quattro cappelle laterali e fu realizzato lo straordinario soffitto cassettonato .
Fu costruito il cosiddetto ‘ coro di’ inverno ‘ sopra le capriate del tetto al di sopra del soffitto , per consentire alle monache malate di assistere alle funzioni .
Da notare ancora , ‘ il comunichino ‘ che consentiva alle monache di ricevere la comunione , e la ‘ scala Santa’ , che le monache erano obbligate a salire tutti i venerdi’ del mese di marzo per penitenza .
A fianco c’e la cappella di Santa Patrizia , secondo patrone di Napoli il cui sangue contenuto in un’ampolla si liquefà in presenza del popolo credente ogni anno il 25 agosto .

 

La storia del monastero vide il suo inesorabile declino nel XVIII secolo . Se  infatti il monastero era comunque riuscito a sopravvivere in qualche modo alle modifiche imposte dal concilio di Trento , il colpo definitivo gli fu dato da un altro decreto che avvenne nel  1742  ad opera  dell’arcivescovo Spinelli. Egli emanò  un editto diretto a tutti i monasteri e conservatori della capitale e della diocesi.  In questo  ribadiva il divieto assoluto di sostenere spese di qualsiasi genere e in qualsiasi circostanza, vigeva l’obbligo di annotare gli introiti e le uscite nei registri monastici in modo da garantire un maggior controllo sui movimenti di denaro.

Il cardinale Spinelli in particolare puntava il dito su una delle conseguenze più vistose provocata dalle continue elargizioni a favore dei monasteri: le doti, i vitalizi, le corresponsioni annue determinavano una circolazione di denaro che dava adito ad una mondanità in «perpetua gara di vanissime spese».

La conseguenza fu che ad inizio Novecento il monastero rischiò di essere scorporato, anche per la progressiva perdita di denaro: così l’ultima badessa, Giulia Caravita dei principi di Sirignano, acconsentì all’ingresso nel monastero di una nuova congregazione, quella delle Suore crocifisse adoratrici dell’Eucaristia che prese quindi possesso dell’edificio il 4 dicembre 1922.

Tra le cose curiose di questo monastero vi è  una targa che ricorda a tutte le suore il fatto che solo la madre badessa dalla seconda settimana di dicembre poteva  utilizzare i due forni (quello grande e quello piccolo) e quindi non rispettare il digiuno, a differenza delle altre suore.  Con il Concilio di Trento vennero istituite anche delle penitenze obbligatorie e i monasteri dell’epoca si adeguarono di conseguenza. Nel monastero di San Gregorio Armeno, ad esempio, nel 1692 vennero introdotte le “Scale Sante”, una scalinata costruita in un ambiente situato nella parte sinistra dell’altare maggiore, accessibile tramite il presbiterio. La particolarità sta nel fatto che le suore dovevano salire, in ginocchio, la scalinata ogni venerdì di marzo. Questa pratica è rimasta fino ai primi anni dell’Ottocento. Oggi la scala è ancora visibile e riflette la grandezza del barocco napoletano. Nella parte inferiore della scalinata, infatti, troviamo un dipinto che rappresenta degli angeli e dei simboli della passione.

Altra curiosità di questo monastero è la sua sopravvivenza alle soppressioni napoleoniche . Fu infatti uno dei pochi monasteri benedettini a rimanere superstite durante il periodo francese ( forse perchè uno dei più ricchi ).

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