Vi siete mai chiesti chi erano  Giovanni Balsamo conte di Cagliostro, Luigi D’Aquino dei Caramanico, Giovanbattista della Porta , Raimondo Di Sangro VII Principe di San Severo , Tommaso d’Aquino ,Sant’Alberto Magno, Giordano Bruno e Tommaso Campanella  ?

Sapete del vero significato della Fenice ?

Sapete cosa rappresenta il Caduceo ?

Che cosa è l’Uroboro ? …. ma sopratutto cosa rappresenta la leggendaria Pietra filosofale ?

Avete mai sentito parlare di triangoli esoterici , ricchi di misteriosa energia presenti nel nostro centro storico ?
Avete inoltre mai sentito parlare dei misteri che avvolgono i nostri obelischi di Piazza del Gesù e di Piazza San Domenico ?
Ebbene dunque, allora non vi resta altro che seguirci nell’affascinante   viaggio tra sacro, profano, riti esoterici, alchimia, massoneria nella Napoli del 700’  che faremo descrivendo  quei luoghi che videro il proliferare dei principi illuministi e massonici nella nostra città.
Ci addentreremo  con il nostro racconto nella zona densa di storia e mistero considerata da secoli magica per eccellenza tra i decumani e cardini, chiese e palazzi punti di incontro tra illuminati e antiche sedi di cenacoli  alchemici e massonici nonché dimore di personaggi illustri dell’Illuminismo e massoneria del XVIII sec.
Vi parleremo dei tre punti energetici della cintura di Orione che interseca i decumani ed i monumenti ad essa associati.
Vi racconteremo dell’antica  dimora del diavolo in città , dell’antico  culto di Priapo , delle janare , del Campanile della Pietrsanta , del  significato esoterico della statua del Corpo del Nilo , del  culto di Iside , e del miracoloso farmaco che guariva tutti i mali , la famosa Teriaca …
Ci soffermeremo sulla  concezione Ippodamea di polis secondo la scuola ermetico-pitagorica dell’antica Neapolis….
Vi parleremo del  mistero dell’obelisco di Piazza San Domenico Maggiore , del  motivo della sua posizione ,e  del  concetto della Camera Caritatis, ma non mancheremo di parlarvi delle   enigmatiche simbologie racchiuse nella chiesa di San Domenico e San Lorenzo …. delle famose speziere dei tanti monasteri ….. dei miracolosi medicamenti di Fra Donato D’Eremita …  ed infine dei tanti cenacoli presenti in città , che  frequentati  in gran parte dalla  nobiltà partenopea, cullavano la cultura  degli ideali illuministici che proliferavano nella Napoli settecentesca.
Bene, come vedrete ,  tutto ciò si racchiude in una sola parola “Alchimia”, un termine che suscita da tempi immemorabili interesse, mistero e curiosità.. Temine che racchiude in se un antico ed ermetico sistema filosofico primordiale sfociante in una sorta di scienza comprendente principi di chimica, fisica, astronomia ed astrologia e definita da molti occulta, la cui conoscenza, era ed è riservata esclusivamente ad una ristretta cerchia di individui.
E poichè Alchimia fa spesso rima con Massoneria ….. se volete saperne altro …..non vi resta altro che leggere  …….. .
Napoli sin dalla sua fondazione è stata da tutti considerata, una metropoli magica dotata di un fascino particolare, ma anche detentrice e gelosa custode di millenari misteri e segreti le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Crocevia di popoli e crogiolo di antiche dottrine è stata nel 600 un ideale luogo di ritrovo per alchimisti , filosofi , astrologhi e maghi che nella nostra città si trovavano in una condizione particolarmente stimolante .Molti di costoro facevano parte della nobiltà partenopea, ed erano sopratutto grandi cultori degli ideali illuministici che proliferavano nella Napoli di quei tempi . Essi chiusi nel segreto dei loro laboratori ,sperimentavano  e praticavano la misteriosa  “Alchimia”   che racchiudendo  in se un antico ed ermetico sistema filosofico ,  comprendeva  principi di chimica, fisica, astronomia ed astrologia ,  la cui conoscenza, era  riservata esclusivamente ad una ristretta cerchia di individui.
Illustri personaggi vissuti a cavallo tra il XVII ed il XVIII secolo come Raimondo Di Sangro VII Principe di San Severo , Giovanni Balsamo conte di Cagliostro, Luigi D’Aquino dei Caramanico, Giovanbattista della Porta, Tommaso d’Aquino , Giordano Bruno e Tommaso Campanella , trasformarono le loro dimore in abitazioni  particolari nelle quali vi erano almeno due o tre stanze destinate esclusivamente alle sublimazioni , alle soluzioni e alle distillazioni dove si praticavano le scienze ermetiche in un mix tra sacro e profano con strani e misteriosi simboli che ancora oggi , come possiamo osservare ,sono  impressi su monumenti e portali del nostro centro storico .

Dottrine e scienze che nel corso dei secoli hanno contribuito ad alimentare movimenti di pensiero e la costituzione di cenacoli filosofici raggiungendo l’apice, nel XVIII grazie alla diffusione dell’Illuminismo.

Questi cenacoli , furono raffinati salotti culturali e vivaci punti di ritrovo di intellettuali , scienziati , filosofi , naturalisti e ovviamente perfetti  templi esoterici per i seguaci dell’arte sacra.
All’ombra del Vesuvio tali Accademie erano già presenti dai tempi angioini che grazie al clima culturale creato da Roberto d’Angiò , detto ” il saggio ”  ed in seguito da Renato d’Angiò , diedero luogo ad un Ordine mistico ed esoterico  con fini alchemici . A questa seguì un altra importante Accademia  in periodo Aragonese che faceva riferimento  a Ferrante Sanseverino , principe di Sansevero che attraverso un ‘attività marcatamente esoterica , non mancava di opporsi e tramare nella stessa sede , insieme ad  altri nobili gentiluomini come il marchese Alfonso d’Avalos , nei confronti del vicerè Pedro da Toledo .
Ma il più importante cenacolo  del Rinascimento napoletano fu certamente la famosa Accademia fondata dal Beccadelli , detto il Panormita ( perchè nato a Palermo ) che fu ambasciatore e segretario di Alfoso d’Aragona . Alla sua morte , capo dell’Accademia divenne Giovanni Pontano e in suo onore fu chiamata Pontaniana .

N. B. Giovanni Pontano ,per 18 anni al servizio dei sovrani aragonesi  fu un  grande esponente di spicco dell’Umanesimo italiano durante i suoi tempi . Nato a Cerreto di Spoleto e morto a Napoli il 17 settembre 1503, egli fu non solo un grande letterato e alchimista dell’epoca ma anche un abile diplomatico politico . Venne riconosciuto dal Sannazaro come uno dei più fecondi letterati del 400 e forse il maestro assoluto dell’Umanesimo napoletano abbracciando nella sua opera numerosi aspetti della vita culturale ( non solo letteraria ) della sua epoca : dall’astrologia , all’etica , all’analisi della società , alla retoria , alla botanica .
Fu un grande studioso dell’antichità classica ed ebbe grandi doti di poeta latino , eccellendo sopratutto nelle prosa come si evince dalle numerose ed eterogenee sue opere poi raccolte da Pietro Summonte e dal Sannazzaro .
Allo stesso modo Giovan Battista Della Porta , fondò dapprima nei primissimi anni del 600 , l’Accademia Dei Segreti , nella villa nativa di Vico Equense e poi successivamente l’Accademia degli Oziosi che si riuniva  inizialmente nell’accogliente chiostro della chiesa di Santa Maria delle Grazie presente sulla collina di Caponapoli  e successivamente nella dimora del cavaliere e poeta Giovanni Battista Manso ( il nome ozio era quello inteso in senso culturale e creativo proveniente dagli antichi greci  ) . A questa importante accademia erano iscritti alcuni dei personaggi più rappresentativi in città che si resero protagonisti di una straordinaria avventura letteraria nonchè filosofica , politica , artistica e scientifica : Giovanni Battista Marino, Giovanni Battista Della Porta, Ascanio Filomarino , Giambattista Basile , Giulio Cesare Brancaccio , Ferrante Imperato e tanti altri illustri membri della prestigiosa Accademia napoletana .
Essi si incontrarono  per  decenni nel chiostro per praticare  un ozio intellettuale in cui non solo si affrontano problemi teologici o politici, troppo impegnativi, ma questioni letterarie, filosofiche e  scientifiche ,  che cercando di approfondire le cause dei fenomeni naturali , fondendo magia ed antiche tradizioni esoteriche cercarono di spostare il focus dell’Alchimia verso metodi di indagine necessari a creare rimedi utili alla medicina per guarire i mali fisici dell’uomo .
Sempre in tema di Accademie è inevitabile citare una di quelle che ancora oggi è famosa nel mondo per autorevolezza e prestigio : l’Accademia dei Lincei , che fin dalla sua nascita ebbe fruttuosi  rapporti con gli intellettuali  napoletani anche in tema di Alchimia . Essa , grossa novità per quei tempi , aveva come l’obbiettivo , quello di studiare tutte le scienze della natura con libera osservazione sperimentale sganciandosi quindi da ogni vincolo di tradizione e autorità . L’Accademia fondata  dall’aristocratico Federico Cesi che gestiva una principale sede a Roma , venne affidata dallo stesso a Giambattista Della Porta .
Tra i soci di questa Accademia troviamo l’astronomo , architetto ,medico e filosofo ,Niccolà Antonio Stelliola . il botanico Fabio Colonna , il medico Mario Schipani , gli speziali e naturalisti Ferrante e Francesco Imperato , Tommaso Campanella ed il discepolo di Bernardino Telesio , Antonio Persio.
L’attività di questa Accademia diede un notevole contributo all’espansione della chimica e della medicina spagirica basata sugli antichi concetti di Alchimia e sulle opere di Paracelso, il grande guaritore svizzero del XVI secolo.
I  fondatori erano infatti tutti seguaci di Paracelso , a cominciare dall’olandese Johannes Eck , il medico Johann Faber e Johann Schreck .
CURIOSITA’ : Paracelso è stato uno dei maggiori scienziati del Rinascimento, fu anche alchimista e medico visionario. Lui vedeva nella natura, una guida fondamentale per praticare la medicina e per curare le persone dalle loro malattie era solito preparare con tecniche alchemiche dei composti naturali eliminando però  i componenti da lui ritenuti pericolosi dalle formulazioni .

Il termine da lui coniato ,  medicina spagirica  , deriva dall’unione  di due parole greche : spao che significa separare e Ageiro che invece significa ricombinare. La  sua alchimia medica è qualcosa , possiamo definire  a metà  strada tra la odierna fitoterapia e l’omeopatia poichè  univa  i vantaggi di questi due sistemi terapeutici.

La Spagirica si basava  infatti  sulla convinzione che nell’uomo sano le forze dense e sottili sono in perfetto equilibrio e che la malattia interviene quando tale equilibrio è spezzato. La malattia dipenderebbe dunque da squilibri energetici che si manifestano solo in un secondo momento anche sul piano fisico.  Il medico, riconoscendo la causa della malattia, può trovare il giusto percorso di guarigione e ricondurre il paziente alla sua armonia. La vera guarigione però non può venire che dal paziente stesso; i metodi terapeutici si limitano a fornire gli impulsi necessari all’ auto-guarigione. Il rimedio spagirico è quindi sopratutto olistico perché concentra in sé le forze di guarigione del corpo, dell’anima e dello spirito.

Tra le altre numerose Accademie che animarono Napoli ed il Regno , in particolare tra il XVI e il XVII secolo , non possiamo dimenticare di far  almeno un cenno all’Accademia degli Investiganti , detta anche Accademia Chimica , fondata e diretta da Andrea Conclubet, marchese di Arena ( Clabria ) , pronipote di quel Conclubet che fu tra i difensori di Tommaso Campanella a tal punto da essere accusato di complicità e che morì ucciso vicino Portici in circostanze rimaste oscure .

I principali animatori di questa Accademia furono tre medici : il calabrese Tommaso Cornelio , l’irpino Leonardo di Capua e lo spagnolo Juan Caramuel Lobkowicz  che fu pure teologo e vescovo a Campagna e a Satriano . Accanto a loro , ovviamente anche una lunga nutrita pattuglia di intellettuali partenopei come Luca Antonio Porzio , Marzio Carafa duca di Maddaloni , Gennaro e Francesco d’Andrea , Niccolò Amenta , Carlo Buragna e tanti altri .

Una piccola citazione la la merita anche l’Accademia dei Discordanti fondata dal medico Carlo Pignataro.

A Napoli , a praticare le scienze alchemiche non vi furono comunque solo Accademie letterarie e scientifiche , corti reali e dimore aristocratiche ma , almeno inizialmente anche numerosi complessi religiosi presenti in città i cui monaci , raccogliendo gli insegnamenti e le conoscenze alchemiche di quei medici templari confluiti nell’ordine  , avevano avuto modo di sperimentare nuove formule e nuovi straordinari preparati che gli ex cavalieri  avevano appreso grazie ai contatti avuti con quei medici arabi a loro volta eredi della sapienza mesopotamica , egiziane e greca .

Questi monaci furono una straordinaria fucina di grandi  studiosi di botanica , farmacia , , medicina e alchimia che portarono   a trovare altri e ben più efficaci rimedi naturali per i malanni del tempo , dando luogo ad una nuova medicina alchemico- templare che ancora oggi possiamo talvolta osservare in alcuni simboli , a cominciare proprio dall’immagine del vecchio barbuto con il bastone ( l’abacus degli antichi iniziati ) con in mano il libro ( il grimoire)  della sapienza , sormontato dalla fiamma dell’adepto , senza dimenticare tra l’altro anche il famoso ” tau ” che appare sulla tonaca dei monaci .

Nella città di  Napoli ad un certo punto si contavano quasi una ventina di complessi religiosi che oltre all’assistenza spirituale offrivano anche quella sanitaria . Nei loro monasteri , i monaci   si dedicavano  molto alla produzione dei medicamenti , grazie alla creazione di numerosi orti  botanici dove si coltivavano erbe provenienti da ogni parte del mondo che se opportunatamente elaborate portavano alla produzione di nuove  ed efficaci sostanze medicali  che almeno inizialmente venivano distribuite gratuitamente ai malati .
CURIOSITA’: Fin dall’alto medioevo nei chistri dei conventi non mancava mai un ” Hotus sanitatis ” il ” giardino dei semplici ” , destinato alle piante medicinali , che era affidato ad un monaco infermiere , il quale , insieme ad altri religiosi , svolgeva il ruolo di erborista , speziale e terapeuta .
Nati sopratutto nel periodo angioino , i monasteri si moltiplicarono in gran numero sopratutto nel  periodo barocco , raggiungendo  nel settecento il picco massimo ( ancora oggi è denominata la città delle 500 cupole ) . A tal proposito basta pensare che  il patrimonio religioso legato in città  alla fede cristiana rappresentava alla fine del settecento , un quarto dell’intero patrimonio immobiliare edilizio del Regno di Napoli  (nel solo periodo francese furono soppressi ben 1322 monasteri ).
Molti complessi monastici e molte  comunità religiose   rappresentarono per il popolo un luogo  accoglienza dove oltre che pregare, spesso veniva offerta ad opera dei religiosi una prima assistenza sanitaria con erbe medicinali nate dai loro orti . Essi sparsi un po ovunque in tutta la città , furono delle vere e proprie medicherie dove ricorrere in caso di malanni .
Oltre ai frati benedettini , grandi spezierie sorsero  anche presso i conventi retti dai frati domenicani che vedevano  il loro centro  nei convento di  San Domenico Maggiore , San Pietro a Martire , Santo Rosario di Palazzo, e Santa Maria alla Sanita’ , senza però dimenticare quelli di San Severo Maggiore , Gesù e Maria,  l’ Eremo del S.S. Salvatore ai camaldoli , la Certosa di San Martino  ed il complesso conventuale di Sant’Antonio Abate dove i monaci  , grazie ad un particolare unguento ricavato dal grasso di maiale , erano specializzati nel curare l’Herpes Zoster ( fuoco di Sant’Antonio ).
CURIOSITA’: Nel monastero di San Domenico Maggiore , dove aveva  sede la facoltà di Teologia di Napoli  vi insegno’ anche San Tommaso d’Aquino . Nella una sua oramai famosa cella , ancora oggi presente  troviamo conservata una preziosa tavola del 200 raffigurante un prezioso crocifisso che si dice rivolse la parola a San Tommaso mentre  su un piccolo altarino troviamo anche un osso del santo .
Il filosofo e teologo Tommaso d’Aquino , discendente dalla famiglia dei conti d’Aquino, e’  ancora oggi da  molti ritenuto  non solo il maggior pensatore cattolico più importante del Medioevo ma quello che maggiormente ha influenzato   in  notevole maniera il pensiero della chiesa cattolica da quel momento fino ad oggi  . Egli fu il filosofo che portò a compimento l’adattamento del pensiero aristotelico in ottica cristiana e pur  essendo di grandissima dottrina e intelligenza, mantenne sempre nell’arco della sua vita una grande umiltà e serenità .

Nato nel 1225 a Roccasecca, un piccolo paesino del Lazio , Tommaso d’Aquino , dopo essere stato dapprima educato nell’abbazia di Montecassino si trasferì poi a Napoli per frequentare l’Università fondata pochi anni prima da Federico II.  All’età di 18 anni , entrò nell’ordine dei domenicani e, dopo un soggiorno nel suo castello di Roccasecca, dove si dedicò allo studio delle Sentenze e dei testi aristotelici (tradotti da Michele Scoto), lasciò l’Italia per divenire poi  nel 1246 divenne  allievo  di Alberto Magno, seguendolo dapprima nella sua docenza  a Parigi e poi a Colonia. Tornato a Parigi nel 1252 iniziò il suo magistero all’Università dove ottenne un notevole successo, venendo nominato nel 1257 magister, maestro .

Negli anni successivi alternò periodi di permanenza in Italia, dove tra l’altro si occupò di riorganizzare gli studi dell’ordine domenicano, a soggiorni parigini dove insegnava teologia. Nel 1272 rientrò definitivamente in Italia assumendo la docenza all’Università di Napoli.

Inviato da Papa Gregorio X al concilio di Lione nel 1274, si ammalò durante il viaggio e morì a soli 49 anni nel convento di Fossombrone. Il suo corpo, come non era infrequente, venne presto bollito per favorirne una migliore conservazione.

Nonostante una vita non particolarmente longeva egli produsse comunque una mole considerevole di scritti. A lui sono attribuite 36 opere e 25 opuscoli. Le sue opere maggiori son la Somma della verità della fede cattolica contro i Gentili, il Secondo commentario delle Sentenza e il suo capolavoro: la Somma teologica. Altra opera importante sono le Questioni, in cui Tommaso argomenta teologicamente le posizioni degli averroisti e degli agostiniani.

CURIOSITA’ : Nel suo aspetto fisico era un uomo grande e grosso, bruno, un po’ calvo ed aveva l’aria pacifica e mite dello studioso. Nel corso dei suoi studi a Parigi molti avevano ribattezzato Tommaso d’Aquino il “bue muto”, sia per la sua corporatura imponente ma pacifica, sia per il suo carattere taciturno.e silenzioso .  Il suo maestro Alberto Magno diceva: «Questi, che noi chiamiamo bue muto, un giorno muggirà così forte da farsi sentire nel mondo intero».

 

Tommaso d’Aquino è stato sicuramente uno dei più ferdenti rappresentanti del mondo cattolico , immerso nella preghiere e dotato di forte amore verso il prossimo . Di lui si racconta che spesso durante la Messa si commuoveva addirittura fino alle lacrime , ma si racconta anche della sua generosità verso gli altri , sempre disposto ad aiutare i più deboli e dispensare  buoni consigli verso chi ne aveva bisogno  Era un uomo molto sereno , di spirito forte, previdente nel giudicare, dotato di tenace memoria,  e libero da ogni sensualità che era capace di tenere a bada .

Giovanni XXII lo dichiarò santo nel 1323 mentre Pio X lo proclamò “Dottore della Chiesa”, raccomandandone lo studio come autore particolarmente affidabile.

Curiosita’:  La sua famiglia  provò a lungo a farlo desistere dalla sua vocazione, ma senza successo. Affascinato dal nuovo Ordine dei domenicani a Napoli, egli volle  entrarvi a tutti i costi nonostante il parere contrario dei parenti . Fu infatti da questi osteggiato in tutti i modi  possibili : i suoi fratelli arrivarono addirittura a provare a trascinarlo via con la forza sequestrandolo o addirittura distrarlo dalla sua missione tentando inutilmente di farlo   “cadere” con una donnina di facili costumi  da loro ingaggiata .

 

I Monasteri come dicevamo , furono quindi i primi grandi centri di assistenza sanitaria in città  ed i loro orti dedicati alle erbe medicinali  , divennero sede delle prime spezierie , dove gli stessi monaci creavano farmaci che poi , sopratutto i benedettini , somministravano agli ammalati : le loro sedi erano infatti sempre fornite di spazi destinati al ricovero e alla cura  degli infermi .

Essi  oltre che   curare  le anime curavano  quindi anche il corpo , ma quest’ultimo , dopo una prima fase di alta generosità , finì poi nel  trasformarsi in un un vero business  di alto lucro . I farmaci infatti mentre inizialmente venivano distribuiti gratuitamente in cambio della sola elemosina in uno spirito altamente caritevole e all’insegna del solo aiuto verso gli infermi , vennero poi lentamente distribuiti  spesso al solo pagamento di danaro o beni preziosi .

 L’attività degli speziali nel tempo divenne quindi sempre più una fonte di guadagno per le strutture monastico-conventuali , a tal punto da costringere  papa Clemente XIII , ad  emanare una bolla con la quale si proibiva l’esercizio della professione di ” speziale ” all’interno degli ordini religiosi .
Un vero peccato perchè credo che le conoscenze chimiche di cui erano assoluti tesorieri avrebbero sicuramente accelerato il processo evolutivo della farmacologia e probabilmente salvato o almeno meglio curato molte persone nei tempi passati .
Il più famoso e bravo monaco speziale fu Fra Donato D’Eremita di Roccadevandro che operò prima nel convento della Sanità e poi in quello a Santa Caterina a Formiello , mentre tra i più famosi monaci esperti di alchimia dobbiamo ricordare il grande teologo, scienziato e filosofo e padre della chiesa Sant’Alberto Magno ( proclamato dottore della chiesa da Papa Pio XI nel 1931 ) che ebbe tra i suoi discepoli anche Tommaso d’Aquino ( entrambi appartenevano all’Ordine Domenicano ).

Ad egli viene attribuito un grande ruolo di messaggero  di pace avendo portato  al Concilio di Lione un grosso  contributo per l’unione della Chiesa Greca con quella Latina. 
Papa Gregorio XV nel 1622 lo ha beatificato. Papa Pio XI nel 1931 lo ha proclamato Santo e Dottore della Chiesa mentre Papa Pio XII  nel 1941 lo ha dichiarato Patrono dei cultori delle scienze naturali.
Per tutto il  medioevo , quindi medicina e farmacia furono appannaggio quasi esclusivo dei religiosi e la nostra città come nessun’altra fu quella che maggiormente offriva oltre che assistenza spirituale anche quella sanitaria . Essa contava un numero enorme di complessi monastici e molte  comunità religiose sia  maschili che femminili nate in parte grazie al gran numero di monaci esuli  fuggiti  da Costantinopoli  in seguito alla tenuta persecuzione inoclastica .Nella sue ricche biblioteche erano spesso presenti incredibili raccolte di antichi libri provenienti da ogni luogo allora esistente .
I Monasteri in città , erano inoltre il luogo dove venivano custoditi  e preservati  i pochi libri allora esistenti .
N.B. : Nella nostra biblioteca nazionale è oggi conservato un bellissimo libro con delle stupende illustrazioni , un tempo facente parte del famoso codice noto come ” Dioscurides Neapolitanus “considerato il più importante manuale di medicina e farmacia nel  mondo fino al medioevo . Si tratta di un’opera del medico greco Pedanio Dioscoride , realizzato  nel V secolo , considerato per lunghi secoli un grosso punto di riferimento terapeutico sia per il mondo occidentale che quello arabo.  In esso si parla dell’efficacia terapeutica delle sostanze naturali animali, vegetali e minerali .
Le tanta belle  illustrazioni, , che sono impreziosite da un ricco commento, e l’alta antichità, ne fanno un testimone fondamentale della cultura medica greco-romana e della sua accoglienza nel mondo bizantino-italiota tra la fine del VI e gli inizi del VII secolo.
Il codice appartenne al letterato napoletano Antonio Seripando, fratello del più famoso cardinale Girolamo, generale degli agostiniani, tra i protagonisti del Concilio di Trento, già dai primi anni del 1500, ricevuto in dono dall’amico Girolamo Carbone, dottissimo umanista della corte aragonese. La proprietà del Carbone sembra che debba legarsi al dono fattogli dal filologo e bibliofilo cosentino, Aulo Giano Parrasio, di rientro a Napoli da Milano. Quest’ultimo l’avrebbe ereditato da Demetrio Calcondila, di cui aveva sposato la figlia Teodora.
Il codice, quindi, già a Napoli sicuramente fin dal primo ventennio del 1500, presso la biblioteca  del  convento agostiniano di S. Giovanni a Carbonara, fu poi portato a Vienna in Austria, nel periodo del viceregno austriaco, su ordine e  volere di Carlo VI d’Asburgo, nel 1718, insieme ad altri testi di notevole pregio.
Restituito dopo la prima guerra mondiale nel 1919, dopo una breve sosta nella Biblioteca Marciana di Venezia, rientrò definitivamente a Napoli, per essere custodito definitivamente nella  nostra Biblioteca Nazionale .
Nella sezione ” manoscritti rari ” della stessa biblioteca nazionale di Napoli , si trova anche l’unico libro superstite dei tanti preziosi volumi che si trovavano nella ricca biblioteca della  casa dove abitava l’alchimista Ferrante Imparato . Si trattava di una leggendaria raccolta di libri che come pochi altri descriveva le meraviglie del regno vegetale . Dopo la scomparsa del fondatore vi fu purtroppo inizialmente una grossa dispersione del patrimonio dei tanti volumi ;  i soli nove dei volumi sopravvissuti furono acquistati dall’amico Sante Cirillo per poi finire nella biblioteca del nipote Domenico Cirillo, il grande medico e botanico poi tragicamente ucciso  Piazza Mercato , nel 1799  insieme ad altri patrioti della Rivoluzione napoletana  . I libri , come la sua biblioteca e la sua casa , furono tutti bruciati ( tranne uno ) , quando al ritorno dei Borboni ,molte bande  di uomini senza guida e liberi di agire devastarono in lungo e largo la città alla ricerca dei presunti ” traditori “.
Si racconta che il primo orto medico   fosse stato  realizzato in Irpinia , sul monte Montevergine dal famoso poeta  e mago Virgilio , la cui scienza pare gli provenisse dal possesso del libro di Chirone , ritrovati accanto al suo corpo dopo la morte  da un misterioso medico inglese  e portati via tra una folla popolare urlante e furiosa . Sembra secondo molti antichi racconti , che Virgilio, da giovane,entro ‘ in possesso dei libri quando entrando in una grotta incantata del monte Barbaro, posta nella zona flegrea, per scoprire le cause della natura magica di quel luogo , trovò il mago Creonte che poggiava la testa su di un libro pieno di sapere soprannaturale: Virgilio se ne impadronì e da allora cominciò la sua fortunata carriera di mago.

Gli stessi racconti narrano  che all’ epoca di Ruggero il normanno,  un misterioso medico inglese si presento’ al re chiedendogli il permesso di aprire il sepolcro che custodiva le spoglie di Virgilio e di poter prendere per studi scientifici tutto quello che vi era li’ custodito . Il re che poco tollerava il culto Napoletano di Virgilio , accondiscese . Cosi’ qualche giorno dopo diede l’ordine alle guardie preposte alla sorveglianza del luogo di aprire il sepolcro e di consegnare al medico il contenuto della tomba .
Virgilio era considerato il protettore della citta’ e questa operazione appariva agli occhi del popolo sacrilega , la profanazione del sepolcro mise in agitazione tutta la popolazione e sparsa la voce,  l’ inquietudine comincio’ a circolare tra la gente.
Una volta aperto il sepolcro e trovato lo scrigno , il medico forzo’ lo stesso e trovato i libri con le formule magiche fuggi’ con i preziosi manoscritti.
La notizia si sparse per la citta’ ed una folla inferocita si riuni’ e circondo’ il luogo con aria minacciosa, preoccupata che venissero trafugate anche le ossa di Virgilio .
A quel punto per tranquillizzare  il popolo , le ossa del poeta , raccolte in un sacco , furono tutte portate  nel vecchio Castel dell’Ovo . Qui una volta arrivate vennero esposte dietro una grata a quanti volessero vederle e successivamente per ordine dello stesso re, vennero murate .
Dei libri magici e del misterioso straniero non si seppe piu’ nulla.
Numerose furono le voci sulla sorte dei manoscritti : c’e chi diceva che erano finiti nelle mani del papa a Roma che , spaventato dal contenuto aveva deciso di distruggerli ; chi invece narrava di incredibili prodigi che erano scaturiti da quelle formule . Persino il cardinale di Napoli affermo ‘ di aver potuto constatare personalmente la potenza di quelle formule magiche .
La città rimase per molto tempo sconvolta dall ‘evento . Virgilio era conosciuto come il protettore dei napoletani e la profanazione della sua tomba sembrava presagio di grande sventura. Quella stessa sventura , forse , che sembrera’ accanirsi attraverso i secoli contro Napoli ed i napoletani .
CURIOSITA’ : grazie a Fra Donato , la spezieria di Santa Caterina a Formiello raccolse somme considerevoli di danaro che vennero tutte in gran parte utilizzate per abbellire la chiesa ed il convento . M sembra che all’origine della morte del famoso frate vi sia proprio un duro contenzioso sorto tra lo speziale e l’allora priore del convento che verteva proprio intorno all’utilizzo degli introiti dei prodotti medicamentosi .
Una grossa lita avvenuta tra i due , sembra che fini addirittura per sfociare nell’ordine di far rinchiudere frate Donato in una cella , dove poi morì secondo una versione ufficiale . Ma c’è chi sostiene che si sarebbe trattato di una messinscena per nascondere un omicidio tuttora irrisolto.
L’alchimia napoletana del 600 traeva grandi risorse dallo studio e dalla conoscenza di metalli, minerali, pietre ed erbe preziose dalle quali con l’arte della distillazione si praticava magici esperimenti e piante dalle quali si traevano prodigiosi infusi per curare le malattie ma si avvaleva anche e sopratutto delle più misteriose conoscenze di astronomo, filosofia e matematico, che portavano un alone di misterioso fascino a chi esercitava la pratica alchemica .
L’Alchimia , grazie sopratutto ai testi di Alberto Magno ,  Raimondo Lullo ,  Nicolas Flames e Paracelso , ebbe in quei secoli una grande diffusione in tutta Europa e la passione per l’ermetismo coinvolse un pò tutti i ceti , coinvolgendo in pari misura dal contadino al sovrano . Tutti credevano alla verità che portava l’Alchimia e tutti volevano essere chiamati alchimisti , un idiota , un ragazzo  , un vecchio , un nullafacente , una donna anziana , un monaco grasso , un prete o un soldato .
Quasi tutti bramavano sperimentare l’ambizioso progetto di trasmutare dei metalli vili in metalli nobili e fare di conseguenza oro e argento con mezzi artificiali , ma sopratutto tutti volevano avere la Pietra o polvere filosofale , designata anche con i nomi di Gran Magistero, Grande Elisir, Quintessenza o Tintura .
Secondo gli alchimisti essa messa a contatto con i metalli fusi era capace di mutarli rapidamente in oro , ma aveva anche la proprietà di guarire gli ammalati e prolungare la vita umana al di là dei suoi limiti naturali
Gli Alchimisti temevano però che i segreti dell’Alchimia potessero finire in mani sbagliate . Essi temevano il cattivo uso di questi segreti da parte di uomini malvagi e per tale motivo crearono intorno a loro , simboli , codici e misteriosi segni che formando una sorta di password, costituivano una sorte di accesso ad un secondo livello di lettura per ” iniziati ” e amanti dell’Alchimia ai quali non tutti potevano accedere . Essi con le loro allegorie  cercavano di nascondersi, e di rendersi occulti  con i loro simboli per preservare le loro conoscenze da quanti erano ancora impreparati a comprenderle e risultavano perciò esposti al pericolo di farne un cattivo uso.

L’universo alchemico è quindi come vedremo pervaso di simboli, che, intrecciandosi in mutue relazioni, accompagnavano  le varie operazioni e gli ingredienti costitutivi dei vari processi alchemici .

Nel linguaggio simbolico dell’alchimia  lo zolfo era ritenuto l’elemento primordiale che insieme al  mercurio poteva essere trasformato in qualsiasi altro metallo ( in special modo l’oro ) . Questi due composti  erano quindi  due essenze primordiali viste nel quadro di un sistema dualistico che riteneva  qualsiasi materiale derivare dalla  miscela di questi due componenti .

Lo zolfo  era già noto agli antichi, e viene citato nella storia biblica della genesi. Altre fonti fanno derivare il termine zolfo dall’arabo sufra, che vuol dire giallo. Lo zolfo fu menzionato da Omero nel IX secolo a.C., e veniva utilizzato sia come arma incendiaria di guerra insieme al carbone e al catrame, sia come medicinale.
Nel XII secolo i Cinesi inventarono la polvere da sparo che è una miscela di nitrato di potassio (KNO3), carbone e zolfo. I primi alchimisti diedero allo zolfo il suo simbolo alchemico, un triangolo sopra una croce e attraverso i loro esperimenti scoprirono che il mercurio poteva combinarsi con lo zolfo.
Il Mercurio in alchimia  era ritenuto, insieme allo zolfo,  come già detto , l’elemento primordiale con cui ogni altro metallo risultava formato, perché contenente in sé tutti i diversi aspetti e qualità della materia. Esso era noto sin da tempi antichi in Cina e India; fu anche rinvenuto in tombe dell’Antico Egitto risalenti al 1500 a.C.

In Cina, India e Tibet si riteneva che il mercurio prolungasse la vita, curasse le fratture e aiutasse a conservare la buona salute; la parola indù per “alchimia” è rasavātam che significa letteralmente «la via del mercurio».

Gli antichi greci e romani lo usavano negli unguenti e come cosmetico. Il simbolo chimico attuale del mercurio è Hg che deriva dalla parola hydrargyrum, latinizzazione del termine greco `Υδραργυρος (hydrargyros), parola composta dai termini corrispondenti ad “acqua” e “argento”, per via del suo aspetto liquido e metallico.
Per la sua caratteristica di assommare in sè proprietà antitetiche, essendo un metallo pesante ma anche volatile, sin da tempi remoti fu associato al dio Mercurio e al relativo pianeta, il cui simbolo riuniva insieme gli ideogrammi della Luna, cioè rispettivamente la coppa, il cerchio e la croce, a indicare una sintesi armonica dei tre archetipi fondamentali dell’astrologia: la falce della luna, posta in cima, esprimeva il predominio dell’aspetto femminile, vitale e fecondo, sulle proprietà del mercurio; il cerchio, simbolo del sole, rappresentava invece lo spirito maschile, ossia la capacità di conferire all’anima un’individualità e una coscienza, mentre la croce costituiva il sostrato materiale.
Nel Medioevo le sue qualità erano attribuite all’unicorno, il cui bianco candore esprimeva la purezza e la castità mercuriale di questa creatura mitologica.
Le proprietà filosofico-spirituali dello zolfo, per gli alchimisti erano complementari al mercurio: mentre quest’ultimo era infatti  associato alle qualità femminili della Luna, dell’acqua,  e della passività, lo zolfo era invece  simbolo maschile del sole, del fuoco, dell’attività, della coscienza, dell’individualità.
Lo zolfo Interagendo col mercurio liquido  doveva  quindi necessariamente trasformarlo in mercurio igneo per realizzare le nozze alchemiche tra Luna e Sole, e ottenere così l’oro dei filosofi, capace di risanare la corruzione della materia.
Paracelso vi aggiunse anche il sale, portando a tre i componenti dell’opera di riunificazione alchemica, ognuno esprimente una diversa capacità di trasmutazione della materia: lo zolfo per la combustione, il mercurio per la plasticità, ed il sale per la solubilità. Si tratta dei tre componenti corrispondenti nell’uomo rispettivamente a spirito, anima e materia.
Attraverso i loro esperimenti gli alchimisti scoprirono ben presto che il mercurio poteva combinarsi con lo zolfo, a cui Paracelso come abbiamo detto aggiunse poi anche il sale. In base al tipo e alle proporzioni di questi tre componenti, si pensava che in natura si verificasse una maggiore o minore solidificazione dell’etere, da cui si originavano così i quattro elementi classici: fuoco, aria, acqua, terra. Scopo dell’alchimia era disciogliere questi elementi tramite distillazione riportandoli ai loro ingredienti originari, per poi ricombinarli in una forma più pura e nobile: solve et coagula.
Mercurio, zolfo e sale, ovvero anima, spirito e materia, andavano cioè liberati dal loro aspetto fisico e trasfigurati in un senso spirituale. Gli esperimenti fisici su di essi fornivano la chiave analogica con cui interpretare i fenomeni psicologici dell’anima. L’analogia era infatti il principio filosofico che consentiva di desumere dal comportamento fisico di un elemento le proprietà spirituali ad esso corrispondenti.
In particolare il mercurio era associato alle caratteristiche della Luna, dell’acqua, dell’argento, della passività, della resistenza, della plasticità, della vitalità indifferenziata. Con l’aiuto dello zolfo, il mercurio liquido andava trasformato in mercurio igneo per realizzare le nozze alchemiche tra Luna e Sole, e ottenere così l’oro dei filosofi, capace di risanare la corruzione della materia; mentre in forma liquida esso costituiva un potente elisir di lunga vita.

L’alchimia nacque sopratutto come  una scienza esoterica il cui primo fine identificato simbolicamente con l’atto di  trasformare il  piombo , ovvero ciò che è negativo, in oro , ovvero ciò che è positivo nell’uomo, per fargli riscoprire la sua vera “natura interna” ed  il proprio Dio. L’incomprensione di alcune persone neofite  infatti ,  sopratutto nel medioevo , incapaci di penetrare il senso vero dei simboli, presero invece tutto alla lettera e credendo trattarsi solo di operazioni materiali si dettero ad un disordinato sperimentare. a cui probabilmente  dobbiamo  , pur se non intenzionalmente , la nascita della chimica moderna . Queste persone vennero tutte definite  ironicamente “soffiatori” e “bruciatori di carbone” dagli alchimisti veri.
Gli alchimisti credevano che l’intero universo stesse tendendo verso uno stato di perfezione, e l’oro, per la sua intrinseca natura di incorruttibilità, era considerato la sostanza che più si avvicinava alla perfezione. Era anche logico pensare che riuscendo a svelare il segreto dell’immutabilità dell’oro si sarebbe ottenuta la chiave per vincere le malattie ed il decadimento organico; da ciò l’intrecciarsi di tematiche chimiche, spirituali ed  astrologiche  che furono caratteristiche sopratutto dell’alchimia medievale.

 

 

La  trasmutazione  dei metalli di base in oro (ad esempio con la pietra filosofale o grande elisir o quintessenza o pietra dei filosofi o tintura rossa) simboleggiava solo  un tentativo di arrivare alla perfezione e superare gli ultimi confini dell’esistenza.

A livello planetario la rubedo è associabile al Sole, simbolo del fuoco e dello Spirito, astro ritenuto governatore dell’oro, e nel quale la Terra sarebbe destinata a ricongiungersi in futuro al termine della sua evoluzione.Tradizionalmente, ognuno dei sette  corpi celesti del sistema solare  conosciuti dagli antichi era associato con un determinato metallo.

La lista del dominio dei corpi celesti sui metalli è la seguente :

  • Il  SOLE  governa l’ ORO
  • La  LUNA  è connessa con l’ARGENTO
  • MERCURIO è connesso con il MERCURIO
  • VENERE con il RAME
  • MARTE con il FERRO
  • GIOVE con lo STAGNO
  • SATURNO con il PIOMBO

Sia i metalli che i corpi celesti erano in relazione con l’ anatomia umana  e le sette  viscere dell’uomo.

Nelle illustrazioni dei trattati medievali e di epoca rinascimentale compaiono inoltre spesso figure animali e fantastiche. Essi simboleggiavano i  tre principali stadi attraverso i quali la materia si trasformava, la nigredo, l’albedo e la rubedo erano infatti rispettivamente simboleggiati dal  CORVO , DAL CIGNO E DALLA FENICE .

Quest’ultima, per la sua capacità di rinascere dalle proprie ceneri, incarna il principio che «nulla si crea e nulla si distrugge», tema centrale della speculazione alchimistica. Era inoltre sempre la fenice a deporre l’uovo  cosmico, che a sua volta raffigurava il contenitore in cui era posta la sostanza da trasformare.

La Fenice, era per esempio in alchimia il compimento finale delle trasmutazioni chimiche, che culminavano con la realizzazione della pietra filosofale e la conversione dei metalli vili in oro. Essa era il simbolo della rubedo o della Fase al Rosso per la sua capacità di rinascere dalle proprie ceneri, congiungendo l’inizio e la fine di ogni ciclo. Designava quindi  in alchimia l’ultima fase della Grande Opera, quella «al Rosso» dopo la nigredo e l’albedo:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anche il  serpente ouroboros , che si mangia la coda, ricorre spesso nelle raffigurazioni delle opere alchemiche, in quanto simbolo della ciclicità del tempo e dell’uno il tutto  (“En to Pan“).

 

L’Uroboro  è l’immagine di un serpente che si morde la coda e la inghiotte. Questa diffusissima figura simbolica rappresenta, sotto forma animalesca, l’immagine del cerchio personificante l’ eterno ritorno. Esso sta ad indicare l’esistenza di un nuovo inizio che avviene tempestivamente dopo ogni fine. In simbologia, infatti, il cerchio è anche associato all’immagine del serpente che da sempre cambia pelle e quindi, in un certo senso, ringiovanisce. L’Uroboro rappresenta il circolo, la metafora espressiva di una riproduzione ciclica, come la morte e la rinascita, la fine del mondo e la creazione.

 

L’alchimia abbracciando  alcune tradizioni filosofiche ha mantenuto quindi per millenni un suo speciale linguaggio criptico e simbolico che ha reso  difficile nel tempo tracciare spesso il suo vero significato .

Sappiamo con certezza che l’opus alchemicum per ottenere la famosa pietra filosofale   avveniva mediante sette procedimenti, divisi in quattro operazioni,  PUTREFAZIONE , CALCINAZIONE, DISTILLAZIONE e SUBLIMAZIONE , e tre fasi chiamate, SOLUZIONE, COAGULAZIONE e TINTURA. ( il numero di queste fasi, variabile da tre a dodici a seconda degli autori di trattati alchimistici, è legato al  magico significato dei numeri ) .

Attraverso queste operazioni la “materia prima”, mescolata con lo  Zolfo ed il Mercurio  e poi  scaldata nella fornace ( Atonor )  ), nel cosiddetto processo di trasmutazione  , andrebbe gradualmente trasformandosi ,cambiando ogni volta colore mentre  passa attraverso i suoi vari stadi che sono fondamentalmente tre.

  •  NIGREDO o opera al nero, in cui la materia si dissolve, putrefacendosi;
  • ALBEDO o opera al bianco, durante la quale la sostanza si purifica, sublimandosi;
  • RUBEODO o opera al rosso, che rappresenta lo stadio in cui si ricompone, fissandosi.

 

 

 

Essendo il rosso  considerato dagli alchimisti il colore intermedio tra bianco e nero, tra luce e oscurità, la rubedo rappresentava il ricongiungimento degli opposti, la chiusura del cerchio, l’unione di spirito e materia, di maschile e femminile, o di Sole e Luna, in definitiva l’androgino o rebis; dopo che il piombo era stato trasmutato in argento, essa segnava  dunque il passaggio finale all’oro.

Analogamente, come la nigredo corrispondeva al corpo fisico dell’alchimista, e l’albedo alla sua anima, la rubedo ne identificava invece  lo spirito, cioè  la parte più elevata dei tre organi costitutivi dell’essere umano.
Il significato del rosso rimanda invece al sangue, alla vita, alla fertilità e al sacrificio; simboleggia lo zolfo che si ricongiunge al mercurio infondendovi la propria tintura, termine alchemico che non consiste solamente nel “dipingere” ma propriamente nel “trasmutare”.
Il rosso è anche l’attributo dei gradi più elevati della gerarchia massonica, così come rosso è il colore della tappezzeria delle logge in cui hanno sede i suoi rituali. La diffusione del rosso si riscontra nella presenza in numerose bandiere nazionali. Goethe ad esempio considerava il rosso il colore per eccellenza, sintesi degli opposti, che «contiene, in atto o in potenza, tutti gli altri colori», capace di «donare un’impressione tanto di gravità e dignità, che di clemenza e grazia».
Nella Divina Commedia la rubedo corrisponde all’ingresso di Dante e Beatrice nel Paradiso, mentre nell’ambito della teoria umorale alla rubedo è attribuito il temperamento sanguigno, oppure quello collerico.
Nell’alchimia cristiana il colore rosso equivale infatti alla Pentecoste, ossia alla discesa dello Spirito Santo sulla Terra in forma di lingue di fuoco.
L’alchimista un tempo  incuteva fascino e paura al tempo stesso . Esso era visto dal popolo spesso come un mago ma anche come un medico ed uno speziale che in quel periodo , tra la seconda metà del XVI secolo e la prima del XVII, erano considerati  terreni privilegiati del magistero magico ed è quindi naturale  come vedremo continuando l’articolo , che oltre alle più grandi ed universali figure di mago, come il Finella e lo stesso Della Porta, le tracce più consistenti dell’alchimia napoletana, siano state lasciate anche da figure mediche .
E’ infatti proprio nell’ambiente medico e naturalistico che si trovano nella nostra città  le tracce più evidenti dell’alchimia napoletana . L’indagine naturalistica, la curiosità di investigare circa i segreti che conservava la natura , lo sviluppo della spagiria e della medicina astrologica, diffusero il concetto in quegli anni nella nostra città della figura del  mago-medico . La cura delle piaghe del corpo si fusero infatti in quel periodo  con la purificazione e la nobilitazione della materia,  alla ricerca di una medicina il cui Elixir sia ad un tempo cura del corpo e rigenerazione interiore.
La nostra città ben si prestava allo sviluppo dell’Alchimia ,. Essa viveva uno dei tanti momenti difficili della sua storia , tormentata come era dai vari conquistatori . Dopo gli angioni e gli Aragonesi stavolta toccava ai spagnoli e cosa ancor peggiore , questa volta il Regno , sotto il controllo dei vicerè diventava solo una delle tante provincie dell’Impero spagnolo . Cominciò per la città di Napoli in particolare , una nuova epoca caratterizzata da una certa languezza politica e sopratutto morale . Bernardino Telesio e Giordano Bruno vengono duramente perseguitati , Giambattista Della Porta subisce un processo per  stregoneria e tutte la accademie entrando  nell’occhio del ciclone del sospettoso governo vicereale,  incominciarono ad attraversare un brutto momento di persecuzione .
I napoletani , erano guardati con sospetto dai vicereali spagnoli . Essi d’altronde erano stati gli unici ad opporsi e ribellarsi con violenza al tentativo del vicerè Don Pedro de Toledo di introdurre in città l’inquisizione spagnola . I tumutli scoppiati per evitare l’avvento dei tribunali ecclesiastici videro in armi e per una volte tutti uniti , popolo e nobili , ben 50000 persone .
La città in questo nuovo clima spesso caratterizzato da miseria , carestia, epidemie , eruzioni , terremoti e soffocanti gabelle , riusciva comunque a d essere una fucina incredibile di energia . Nelle sue  strade , nei suoi palazzi , nelle sue chiese si respirava comunque , seppur accompagnata dalle sue incertezze , uno straordinario fascino di speranza spesso aiutato dalle sue credenze ,e dalle  sue superstizioni . Nella misteriosa città delle sirene , caratterizzata da un grande fiume sotterraneo scomparso ( Sebeto ) , un affascinante  vulcano pronto ad eruttare  lingue di fuoco che alte sembravano lambire il cielo,  sorgenti termali che sgorgavano ovunque e  laghi scuri circondati da fitte e inesplorate foreste  ed antiche vecchie città sepoltecome Pompei ed Ercolano  erano proprio il luogo magico ideale per far meglio attecchire la nuova ” magia “.  . La città del Vesuvio , la terra delle sirene , con la sua natura incantatrice creava una magica atmosfera che divenne il terreno  ideale per far meglio attecchire l’alchimia . Nelle  sue strade e nei suoi stretti vicoli  indottrinati di antica cultura ellenica  , misteriosi laboratori ricchi di bizzarre fantasticherie, trovarono l’Habitat ideale per poter assoggettare a se le forze della natura.
La Napoli medioevale e quella barocca in particolare , sarà per lungo tempo una di quelle ” porte magiche ” rappresentanti il Tempio della sapienza ; il luogo privilegiato , insieme ad altre poche città europee ,ad essere un punto di riferimento per  grandi illuminati studiosi e ricercatori  .Essa vide  sbarcare nel suo porto grandi maestri alchemici e adepti  provenire provenire da tutta Europa.
Uno di questi fu  Arnaldo Di Villanova , nato a Barcellona nel 1240 e per questo motivo soprannominato “ il Catalano “. Egli era un grande e famoso medico e alchimista che si faceva chiamare maestro ma che andava vestito in giro in maniera molto semplice e sempre a cavallo di un asino .
Apparteneva al terz’ordine di San Francesco e non avendo casa ne’ Ostello , andò’ viaggiando molto e a lungo per le principali università italiane al solo scopo di perfezionare le sue conoscenze mediche.  Secondo molti , ad avvicinarlo all’Alchima fu il suo insegnante e grande teologo Cristiano Alberto Magno
Tra le sue tappe , oltre a Napoli , vi fu anche Salerno , dove come tutti sapete , si trovava la famosa Scuola di Medicina . Le sue straordinarie capacità’ diagnostiche e terapeutiche gli valsero la fiducia di diversi papi , tra cui L’appassionato papa di alchimia Bonifacio VIII che egli guarì da calcoli renali ed altre successive patologie
N.B. Papà Clemente , nonostante sia stato il pontefice che favori’ gli studi di medicina e di lingue orientali , istituendo a tal proposito numerose cattedre universitarie , e’ sopratutto ricordato dalla storia per essere stato l’artefice , in combutta con re Filippo IV del vigliacco massacro dei cavalieri templari
Arnaldo Di Villanova fu un uomo moto rinomato per sapienza naturale e grande scienza che lo portarono con zelo e virtuosismo alla creazione nel tempo dell’acqua infiammabile ( alcool a 60 gradi ) e dell’ acqua vitae mercuriale ( alcool a 90 gradi ) e fu , secondo molti anche tra i primi alchimisti a studiare la distillazione del vino .
Conoscitore della lingua araba , che imparo’ per studiare le opere antiche ereditate dalle tradizioni orientali e greche , egli uso’ l’alchimia alla continua ricerca di quella sostanza “ primateriale “ che non facendo parte dei quattro eventi universali ( acqua, terra , fuoco e aria ) era considerata la matrice di tutte e quattro , con la capacità’ quindi , una volta assemblate tra loro , di dare luogo a composti con qualità’ diverse .
Diede con i suoi studi un grosso contributo al progresso della chimica e sopratutto a quello della medicina che lo porto’ per fama ricevuta ad diventare il medico di corte di Giacomo d’Aragona prima e successivamente di Federico d’Aragona con il quale ebbe uno splendido rapporto di fiducia svolgendo non solo il ruolo di medico ma anche quello di ambasciatore e uomo di fiducia , visto i numerosi diversi incarichi di prestigio e missioni diplomatiche a lui affidate . Nonostante le sue amicizie papali e regali , queste non bastarono a salvarlo dal Tribunale dell’Inquisizione e come teologò “ scomodo “ finii persino più volte in carcere ( a Roma, Perugia e Parigi ) . L’inquisizione spagnola proibì la lettura di alcune sue opere , i cui temi erano la medicina , l’Astrologia , la Teologia e ovviamente l’Alchimia.
Il suo allievo più famoso fu Raimondo Lullo  (Ramon Lullo   ) originario di Palma de Maiorca,  teologo, filosofo, alchimista e sopratutto missionario , autore di quel complicato ed ambizioso progetto di lingua conosciuto come Ars Magna .
Nato da una famiglia nobile e ricca, dotato di un’ottima educazione divenne ben presto grande amico del secondogenito del re d’Aragona, don Giacomo, che eredito’ dal padre il singolare e poco duraturo “Regno di Maiorca”.
Di questo re, lui divenne una sorta di primo ministro; dopo essersi sposato e avuto due figli , intorno ai trent’anni , dopo aver avuto per ben cinque volte strane visioni di Cristo che lo invitavano a seguirlo , decide di farsi frate entrando nell’Ordine francescano dove si dedicò’ intensamente allo studio di filosofia, teologia, e lingua araba . D’accordo con la moglie e dopo aver lasciato beni sufficienti anche per i figli, lasciò lusso e agiatezza, feste di corte e bei vestiti e dopo aver venduto grossa parte dei suoi beni, si mise in cammino viaggiando molto in giro per il mondo . Visitò santuari e chiese, vivendo per molti anni in preghiera e povertà.
Elemento fondamentale del suo pensiero fu l’idea della missione per convertire gli ebrei e gli islamici al cristianesimo: in questa prospettiva elaborò la sua ars, una logica di linguaggio universale, capace di comunicare e diffondere in termini semplici il suo pensiero Cristiano ( che egli chiama Arte ) , ricevuto per illuminazione direttamente da Cristo , come atto utile alla conversione e alla diffusione del cristianesimo soprattutto tra i musulmani.
Vissuto sin da piccolo in una città’ multietnica come Maiorca in cui sono ugualmente forti le influenze del cristianesimo, dell’islamismo e dell’ebraismo , egli fu tra i primi a capire che bisogna conoscere bene a fondo la cultura dei popoli che si vogliono poi eventualmente evangelizzare. Il suo unico scopo era creare una lingua filosofica che potesse mostrare con lo scopo di diffondere il cristianesimo soprattutto tra i musulmani.agli infedeli le inconfutabili verità del Vangelo.
Con il tempo grazie all’appoggio di re Giacomo II riuscì a fondare un collegio per missionari e scrivere numerosi trattati di formazione missionaria che gli varranno poi il titolo di «dottore illuminato.
Egli fu non solo uno studioso ed un professore di successo, ma anche un testardo missionario che partito prima per la Tunisia e poi per Algeria cerco’ ripetutamente con la via del dialogo di convertire i musulmani parlando la loro lingua.
Ma gli andò tutto male e le cose non andarono al meglio per lui. Anche la sua scuola di lingua araba chiude dopo un ventennio.
La sua missione nel Nord Africa per convertire i musulmani si rivelò’ un vero fallimento .
Dapprima espulso e poi addirittura arrestato , picchiato ed imprigionato,  morì  secondo alcuni racconti lapidato dagli stessi saraceni a cui si era presentato per convertirli. Per fortuna sua venne raccolto da mercanti genovesi e riportato in patria, dove morì nel 1315.
Ma la sua morte divenuta leggenda e’ ancora oggi avvolta da mistero . Raimondo Lullo in realtà’ probabilmente morì  a Maiorca, di ritorno dall’Africa, e viene sepolto con grandi onori nella chiesa di San Francesco. La fama popolare di beato circondò la sua figura subito dopo la morte, e poi nei tempi successivi ,  ma  gli sforzi di farlo ufficialmente beatificare dalla chiesa falliscono continuamente. Solo nel 1850, gli venne conferito da Pio IX il titolo di beato, per il suo coraggio di vivere e predicare il Vangelo . Sarà poi soprannominato dai posteri Doctor illuminatus.
L’esito infelice della vita di Lullo, venne compensato da una maggiore fortuna , soprattutto durante il Rinascimento, ottenuta dalla sua Ars Magna.
Gli Alchimisti , sopratutto nella nostra città’ sono stati nel XVI secolo , i primi inventori del metodo sperimentale , cioè dell’arte di osservare e di indurre allo scopo di pervenire ad uno studio scientifico , facendo però spesso intervenire nelle loro ricerche le condivise credenze della loro epoca relative all’ astrologia e alla magia .
L’alchimia , venne lentamente annoverata  , sopratutto in epoca medioevale , come una scienza da studiare al pari di altre materie universitarie come aritmetica , fisica , cosmologia o musica e spesso  considerata tutt’uno con la chimica , l’astrologia e la filosofia . Gli stessi medici avevano per alchimia una speciale predilezione al punto ricercare spesso in arcaiche formule e particolari alambicchi  ,  composti per ricette e nuove soluzioni terapeutiche .
Molti , sopratutto nel periodo medioevale , in assenza di antibiotici ed altri rimedi efficaci , erano le persone che  vittime della denutrizione o della cattiva  alimentazione  , facilmente si ammalavano . Venne addirittura un tempo in città che , in seguito all’imperversare di di morbi ed epidemie , vi erano più persone malate che sane ed i medici spesso non sapendo come  affrontare il problema , ricorrevano non di rado all’alchimia .
Nel Medioevo in particolare , era veramente difficile professare la nobile arte del medico . La cura dei malanni del corpo , al pari di quella dell’anima era infatti  una questione di competenza della chiesa , che almeno inizialmente li considerava semplicemente come una punizione divina. Per curare le malattie del corpo e guarire  , non erano sufficienti i pochi insufficienti rimedi allora esistenti , essi si guarivano sopratutto con l’uso della preghiera , magari rivolta a qualche santo specializzato come per esempio San Rocco per la peste , San Biagio per la gola , Santa Lucia per gli occhi , Sant’Agata per il seno , Sant’Antonio per la lebbra e le malattie della pelle ( sopratutto l’herpes zoster chiamato appunto anche fuoco di Sant’Antonio ), Sant’Aspreno per il mal di testa , e così via …..
Come abbiamo prima detto , una prima assistenza sanitaria , veniva spesso esercitata nei complessi monastici dove nei loro chiostri , nel  cosiddetto “giardino dei semplici ” ( hortus sanitatis )  , destinato a piante medicinali , i monaci  riuscivano spesso a trovare  naturali rimedi terapeutici . Solo successivamente , dopo il concilio di Reims  avvenuto nel 1131 , fu poi vietato a monaci e canonici di studiare ed esercitare medicina ( intorno a questi monasteri  pare girassero attraverso questi medicinali ingenti somme di danaro ).
La medicina ufficiale era per lo più teorica e ricca di filosofia ma sopratutto astrologia . Le stelle erano infatti un fattore decisivo per la salute e nessun medico , anche quelli più apprezzati e famosi , non si mettevano mai all’opera e proferivano parola senza aver prima preso atto della situazione astrale . L’attività chirurgica era invece delegata ai cosiddetti  ” cerusici ” , che erano per lo più dei barbieri che oltre a tagliare o tingere barbe e capelli , praticavano salassi , estrazioni dentali ed acconciature di ossa . Essi erano tuttavia sempre subordinati ad un medico , la cui figura professionale sarà a lungo distinta dal chirurgo , che per molto tempo fu ritenuta di basso profilo. Per ben distinguere le due diverse figure professionali  , Il barbiere  indossava sempre una casacca corta da artigiano, mentre il medico portava invece sempre il camice lungo da dottore.
In questo contesto  di totale mancanza di rimedi medici efficaci , la medicina e la spagiria divennero terreni privilegiati del magistero magico ed è quindi naturale che, come più partitamente vedremo nelle prossime pagine, oltre alle più grandi ed universali figure di mago, come il Finella e lo stesso Della Porta, le tracce più consistenti dell’alchimia napoletana, per tutto il periodo che si snoda a cavallo tra la seconda metà del XVI secolo e la prima del XVII, siano state lasciate da medici e speziali.
A lasciare il segno ,in quel periodo ,   oltrpassando con la sua fama ,  le frontiere di tutta  Europa fu certamente Filippo Finella, una delle più versatili e multiformi personalità del Seicento napoletano. Le sue opere spaziando dall’astrologia all’alchimia,passando per la chiromanzia , la fisiognomica, la iatrochimica e l’astrologia medica , ottennero una notevole diffusione europea .
Filippo Finella , fu senza dubbio uno degli intellettuali di gran cultura che maggiormente seppe maggiormente cogliere i fermenti culturali ed ermetici offerti in quegli anni dalla nostra città . Egli nato  a Napoli nel 1584 , diete vita in città ad una grande produzione letteraria che spaziava dall’astrologia medica al teatro passando per l’alchimia ,  la chiromanzia e la fisiognomica che vennero nel tempo apprezzati anche nel resto dell’Italia e altri paesi europei .
Finella pubblicò infatti diversi libri sull’astrologia medica e fu sopratutto conosciuto ed apprezzato per un testo contenenti un completo elenco di ingredienti utili  a preparare sostanze  adatte alle diverse malattie . Egli inoltre  si dedicò molto allo studio del volto umano analizzando ben 1300 volti in circa 30 anni di lavoro dando un grosso equilibrato iniziale approccio  al delicato rapporto tra fisiognomica e applicazione di giustizia penale.
Si dedicò , scrivendo al riguardo  innumerevoli trattati , alla metoscopia (l’arte di interpretare la personalità in base alle rughe del volto )  e  all’analisi dei caratteri delle persone mettendole in relazione sia alla conformazione dei tratti somatici, sia alla distribuzione dei nei ed alle caratteristiche delle unghie delle mani.
Tra le varie opere del Finella l’unica di carattere specificamente alchemico è il Soliloquium Salium empyricum del 1649, opera iatrochimica di impronta paracelsiana in cui l’autore disserta dell’estrazione e dell’utilizzo terapeutico dei sali estratti dai regni animale, vegetale e minerale.
Seguendo l’alchimia paracelsiana, per il Finella, i composti sono formati da Zolfo, Mercurio e Sale e dalla reciproca proporzione di tali componenti i misti traggono origine e caratteristiche.
L’opera, di impianto tradizionale, è stata tuttavia varie volte oggetto d’attenzione da parte degli storici della scienza per alcune anticipazioni in rapporto alla tecnica di lisciviazione e calcificazione dei sali vegetali, nonché in relazione al riconoscimento della natura animale del corallo (fino ad allora considerato minerale).
Il Finella, la cui morte è databile poco dopo il 1650, fu, certamente una  delle più versatili e multiformi personalità del Seicento napoletano e fu in vita ,  con lo pseudonimo accademico de l’Inutile, tra gli animatori più in vista dell’Accademia degli Incauti, attiva fino alla metà del XVII secolo, che si riuniva nel convento del Carmine Maggiore.
Dalle fila degli Incauti, per un lungo periodo sotto la direzione di Orazio Comite e, successivamente, continuata sotto la direzione di altri importanti intellettuali napoletani, proveniva anche un altro alchimista napoletano, a testimonianza di un interesse alchemico che dovette costituire elemento centrale nell’attività di questa accademia.
Nel 1624, infatti, era stato stampato il testo di un Donato D’Eremita, il Dell’Elixir Vitae  un testo filosofico e spagirico in lingua volgare, per i tipi del Roncagliolo, cui faceva seguito l’edizione di un Antidotario firmato dallo stesso autore e pubblicato dallo stesso editore nel 1639.
Per un certo periodo a Firenze, speziale al servizio del Granduca di Toscana, Donato D’Eremita da Rocca D’Evandro, al suo rientro a Napoli, fu aggregato alla comunità domenicana di Napoli, prima nel convento di S. Maria alla Sanità, e, successivamente, intorno al 1611, in quello di S. Caterina a Formello. Proprio nelle spezierie conventuali, a suo dire, egli confezionava il meraviglioso elixir “… per riparo di qualunque infermità”.
Le fonti di questo bellissimo testo sono innumerevoli,  e spaziano  come si desume dalla tavola degli autori di riferimento posta a chiusura del volume, spaziano da autori arabi, greci, ai maestri dell’alchimia occidentale (tra cui spiccano, tra gli italiani, il Fioravanti ed il Mattioli) fino ad arrivare a più nomi di medici, filosofi e naturalisti napoletani contemporanei del buon Donato e, tra questi ultimi, ben visibili sono i nomi del Colonna, del Maranta, dell’Imperato e del Della Porta.
Il suo Elisir si racconta sia stato miracoloso e molto ricercato all’epoca per guarire da molti mali.
Il suo famoso Elisir ha ovviamente acceso nel tempo le fantasie e curiosità di molti storici .
Sappiamo  però fino ad oggi solo poche cose al riguardo . Sappiamo ad esempio, che nel descrivere le proprietà dell’Elixir, il frate affermava in alcuni suoi scritti  che la sua quintessenza, era una soluzione molto lontana dalle altre di acque forti e sali di vario genere.
La sua soluzione era diversa dalle altre e come egli sosteneva …”  opportunamente aguita, ha potestà di solvere oro e argento calcinati, e di ridurre tra brevissimo tempo i detti corpi in olio ”  ….
Aveva trovato una sostanza attraverso i suoi esperimenti una nuova sostanza …  un nuovo sale ….che gli permetteva poi di avere una speciale soluzione (Aqua Vitae ) … ed un miracoloso Elisir che a quanto pare cagionava felicità ( lo chiamarono con il nome ELISI, cioè i campi Elisi descritti da’ Poeti, ove si favoleggia che riposino dopo morte gli uomini felici e beati…”) 
Il sale dell’Eremita, sale filosofico indispensabile alla perfezione dell’Aqua Vitae, era  il prodotto paziente degli ostinati e reiterati assottigliamenti delle impurità della materia, delle feccie separate dalla distillazione e poste a fuoco di riverbero in vaso di creta per quaranta o sessanta giorni, “… infino che la detta materia sia fatta bianca”.
Il frate all’epoca ebbe molti estimatori in città , tra i quali, in primis, il buon frate ricorda “… le buone mem. del Sig. Gio. Battista Della Porta, eccellentissimo filosofo, e prencipe, a quel tempo, dell’Illustrissima Academia de gli Otiosi, con cui si accompagnò Col’Antonio Stigliola huomo dottissimo….”.
Giovan Battista è stato uno dei più grandi ed apprezzati alchimisti , filosofi , commediografi e scienziati del 600 italiano . Egli è  stato uno dei grandi protagonisti del rinascimento italiano, ed uno degli uomini più famosi dell’epoca in Italia .  Si racconta infatti a tal proposito che le due attrazioni turistiche più grandi di Napoli, circa l’anno 1600 fossero i bagni termali a Pozzuoli e Giambattista Della Porta .
 I suoi molteplici campi di studio che spaziano tra scienza e magia, ottica e fisica, fisionomia, agricoltura, teatro , alchimia ,matematica , chimica , filosofia , botanica , zoologia e tanti altri argomenti  fanno di lui uno delle più eccelsi menti che la nostra città abbia dato al mondo . Seppe essere oltre che un  eclettico scienziato , filosofo della natura, e noto drammaturgo  in Europa, anche un’ apprezzato studioso di medicina, matematica, astrologia, alchimia e botanica oltre che un apprezzato esperto di  demonologia, chiromanzia, crittografia, magnetismo, architettura, ottica e meccanica.
Effettuò  numerosi esperimenti per la costruzione di apparecchi ottici ,  e diversi tipi di specchi e di lenti . Fu l ‘inventore della  camera oscura e addirittura colui che inventò il famoso  cannocchiale  molto tempo prima di Galileo Galilei .

 

Il nostro auspicio è che l’articolata quanto affascinante figura del grande intellettuale partenopeo cinquecentesco venga adeguatamente riproposta almeno agli allievi che frequentano la scuola a lui dedicata, un prestigioso istituto tecnico (che fu il primo e per molto tempo l’unico a Napoli) fondato nel 1862 come parte integrante della Reale Società di Incoraggiamento alle Scienze Naturali (voluta dal Bonaparte nel 1806) e collocato in un ex convento di via Foria, dove peraltro sono conservate antiche e rare attrezzature didattico-scientifiche (e si conserva la memoria storica della partecipazione all’Expo internazionale di Parigi, nel 1900).

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Giovan Battista Della Porta
Giovan Battista Della Porta

 

Giovan Battista Della Porta non frequentò nessuna scuola o università ma grazie allo zio materno ebbe una formazione di altissimo livello, con maestri come il calabrese Domenico Pizzimenti (traduttore di Democrito e noto alchimista), Donato Antonio Altomare e Giovanni Antonio Pisano (medici di Corte), oltre a celebri musici, poeti e filosofi.

La casa napoletana di via Toledo – ma anche quella della nativa Vico Equense – fu quindi una superba “palestra” per la mente del precoce e talentuoso Giovan Battista (a 15 anni comincerà a scrivere la prima versione del “Magiae Naturalis, sive de miraculis rerum naturalium”, tre libri che poi diventeranno venti) e in seguito si trasformò in un cenacolo di eruditi (compreso il fratello medico, Gianvincenzo).

Anni dopo, sarà lui stesso a riunire l’elite della cultura prima sotto le insegne della “Accademia secretorum naturae” (l’Accademia dei Segreti, che fonderà intorno al 1560) e poi nelle fila dell’Accademia degli Oziosi (che nascerà nel 1611 tra i chiostri di Santa Maria delle Grazie, a Caponapoli, con il motto latino “Non pigra quies”). Tra i frequentatori del consesso che diverrà leggenda: Ferrante Imperato (speziale, alchimista e botanico); Giulio Cesare Capaccio (teologo e storico, autore dell’“Historia neapolitana”); Giambattista Basile (l’autore della madre di tutte le fiabe d’Europa: “Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de peccerille”); oltre naturalmente al co-fondatore dell’Accademia: il marchese Giovanni Battista Manso, apprezzato scrittore e poeta dell’epoca.

Il luogo dove si riunivano gli adepti, sono stati riscoperti , dopo secoli di oblio , nel 1985 , durante una perlustrazione eseguita da alcuni geleologi laddove un tempo si trovava un terzo dimicilio del Della Porta , cioè una villa alle Due Porte, un villaggio molto piccolo che portava alle colline dei Camaldoli ( oggi Via Domenico Fontana ) attualmente denominato quartiere Arenella .

Oltrepassando un anfratto presente nel muro  in un garage sotterraneo di un palazzo in Via Cattaneo , all’angolo con piazzetta Due Porte , sono state infatti scoperte  diverse stanze collegate tra loro con nicchie , lapidi , capitelli dorici, colonne intagliate nella roccia , tratti di finto opus reticulatum e affreschi raffiguranti scene dell’antico Egitto che in  particolare rappresentavano  Iside,  , la dea della magia e del sapere , che allatta il figlio Horus al cospetto di Anubi.

 

Su altre pareti dell’anfratto che gli anziani del luogo chiamano   “Teatrino ” , sono inoltre presenti simboli chiaramente esoterici come serpenti, incroci magici e strani numeri a forma di otto allungato . Ma il pezzo forte è rappresentato da una porta a forma di teschio con un’ orrenda bocca in cui pare che entrasse il maestro fondatore dell’Accademia .

Oggi purtroppo il sito , ovvero i resti di una villa rinascimentale di Giambattista della Porta, dove lo scienziato napoletano radunò attorno a sé diverse intelligenze per sperimentare l’alchimia, già due secoli prima del Principe di Sansevero, poichè resta di  proprietà privata è interdetto al pubblico e ridotto a deposito di materiale edile .

Della Porta , come spesso accadeva agli studiosi in quei secoli, dovette fare  i conti con un nemico assai pericoloso come il Sant’Uffizio – nel 1592, ad esempio, gli impedirà di stampare la versione in volgare del “De humana physiognomonia” (a Napoli uscirà con lo pseudonimo Giovanni de Rosa solo nel 1598) – d’altro canto potrà invece fruire della vicinanza e dell’amicizia del principe Federico Cesi, il fondatore e mecenate dell’Accademia dei Lincei, che sarà conquistato dal vulcanico studioso partenopeo (e in generale dalle tematiche alchemiche) e lo arruolerà nel suo consesso di fuoriclasse delle lettere (nel 1612 sarà nominato Vice-Principe del Liceo di Napoli, la prima e unica sede distaccata dell’Accademia). Della Porta gli dedicherà i quattro libri del celebre “De aëris transmutationibus”.

Tra gli altri suoi studi più noti ricorderemo solo le ricerche relative alla fisiognomica, l’inserimento di un obiettivo nell’apertura dell’obscura della macchina fotografica (che contribuirà allo sviluppo della fotografia), e le prime elaborazioni intorno al cannocchiale, per la cui paternità avrà poi qualche frizione con Galileo .

 Scrisse a tal proposito un piccolo trattato  dal titolo De telescopio, in cui descrisse  le fasi di costruzione dello strumento, soffermandosi particolareggiatamente sulle sue caratteristiche tecniche allo scopo di mostrare a tutti la sua paternità sull’invenzione .  Lui fu sicuramente  il primo ad inventare lo strumento , ma non ebbe  la  percezione del corretto uso del nuovo apparecchio e delle novità che la sua invenzione implicava, merito che, alla fine, lo stesso Della Porta  riconobbe a Galileo.

Come autore teatrale scrisse  3 tragedie  e 14 commedie (più volte stampate e ristampate), recentemente raccolte nella Edizione nazionale delle opere di G. B. Porta, lodevole iniziativa delle Edizioni scientifiche italiane.
Il suo lavoro più noto è invece il “Magiae Naturalis” (1579), una sorta di antologia nella quale il filosofo-mago (nell’accezione rinascimentale ovviamente) spazia tra argomenti solo apparentemente eterogenei, dagli esperimenti magico-alchemici agli studi sull’ottica, passando per la botanica e per mille altre questioni che in qualche caso, oggi (ma un po’ anche allora) risultano di difficile interpretazione ai più. Tra i titoli dei paragrafi troviamo: “Della repulsione e dell’attrazione delle piante”; “Del modo di rendere più pesanti i metalli”; “Dell’amore e del segreto arcano degli afrodisiaci”; Delle straordinarie possibilità dei suoni”; “Dei sogni e dei mezzi infallibili per dominarli”; “Dei segreti dei mostri e delle virtù magiche della putrefazione”.

 

A portargli grossi grattacapi con la Santa Inquisizione fu un suo libro in cui raccontava  di aver assistito alla cerimonia di preparazione d’una strega diretta al Sabba. La dettagliata descrizione dell’evento – e in particolare della ricetta usata da una vecchia megera – lo misero letteralmente nei guai  finendo per essere coinvolto suo malgrado , al centro di una querelle internazionale sulla stregoneria (i roghi di donne erano cominciati da oltre un secolo).

A scatenare la bufera è il riferimento a uno degli ingredienti della pomata usata dalle streghe (il primo dell’elenco), la “pinguedo puerorum”, cioè il grasso di neonato. Lui riporta la ricetta senza nessun particolare commento, limitandosi a chiarirne la funzione: serve a dilatare i pori della pelle e attenuare l’azione irritante sulla pelle di alcune sostanze, come il sangue di pipistrello. In realtà, lo studioso napoletano vuole confermare che il volo delle streghe non è reale, ma si tratta solo di allucinazioni provocate dalle sostanze psicotrope naturali assorbite con gli unguenti e quindi il diavolo non c’entra nulla: “…solo allora esse (le streghe, ) credono di volare, di banchettare, di incontrarsi con bellissimi giovani, dei quali desiderano ardentemente gli abbracci”.

Questo episodio macchiò per sempre ed in maniera definitiva la sua immagine e per molti anni nei secoli a venire egli  rimase  per molti un personaggio  in odore di stregoneria e negromanzia.

Negli ultimi anni il maestro napoletano fu corteggiato da Rodolfo II d’Asburgo, imperatore del Sacro romano impero germanico, famoso per la sua passione per l’alchimia; il sovrano lo volle a Praga, dove  trasferito la capitale (era a Vienna) ne fece  una capitale mondiale dell’ermetismo  riunendo in un solo luogo ,  un gran numero di astrologhi, scienziati, filosofi e artisti, e tutti grandi esperti di cose occulte (tra i tanti: John Dee, Edward Kelley; Tycho Brahe, Keplero, Giordano Bruno, Michael Sendivogius, Giuseppe Arcimboldo).

L’imperatore , la cui collezione di oggetti esoterici era la più vasta del mondo , era rimasto molto colpito dalle ricerche sulla trasmutazione dei metalli e in generale dal “De Distillationibus”(che riprendeva e ampliava le parti più alchemiche del “Magia Naturalis”) e quel “De Aeris transmutationibus” che è considerato il suo “testamento ermetico”.

Colantonio Stigliola (o Stelliola) da Nola, fu invece un un grande pitagorico, un esperto botanico ed un bravo tipografo,  che ebbe una grande  fama nel XVI secolo sopratutto nel campo farmacologico-spagirico.

I suoi molteplici e vari interessi intellettuali,  lo portarono ben presto assai lontano dalla giovanile professione di medico, iniziata nel 1571 con la laurea presso lo studio della famosa scuola medica  di  Salerno. A farlo desistere ben presto dalla  sua pratica sanitaria , pare ci fosse alla base una sua reazione avversa ai soprusi di un nobile che gli preferì un medico più accondiscendente . Egli deluso, rivolse così la sua famelica curiosità scientifica e culturale , verso altre discipline  come la botanica , la matematica , la chimica ( detta allora ” filosofia vulcanica ” ) , l’astrologia e ovviamente l’alchimia di cui divenne un grande esperto.
Fù architetto, ingegnere e topografo per il governo . Sappiamo, ad esempio, della sua attività di topografo, su incarico del governo del viceregno, che lo portò alla realizzazione di carte di straordinaria esattezza e precisione, in seguito ritirate dal vicereame, probabilmente per l’uso militare di cui avrebbero potuto essere oggetto. Le carte dello Stigliola, purtroppo non ci sono pervenute, ma sono servite di base per gran parte dei successivi rilievi topografici e cartografici della Campania. Analogamente, abbiamo notizia della sua fervente attività di stampatore, che porterà la sua stamperia, situata nella zona dell’attuale Piazza Dante , nell’arco di circa quindici anni di attività, ad essere una delle più produttive e famose della città.
Dal 1593, lo troviamo impegnato quale ingegnere municipale e membro del Tribunale delle Fortificazioni ed in questa veste, oltre ad attendere agli impegni quotidiani del suo incarico, elaborò tre progetti ciclopici, quali la costruzione del porto della città, l’ampliamento della cinta muraria ed il risanamento della Terra di Lavoro (nel casertano) dalle acque stagnanti e paludose. I tre progetti naufragarono, osteggiati probabilmente dal suo principale concorrente, Domenico Fontana, ben introdotto presso la corte del vicereame.
Le sue opere risentono almeno inizialmente fortemente degli studi e delle ricerche del suo maestro Maranta , riguardanti  l’interesse per le erbe ed i loro effetti psicotropi (ad es. dell’oppio). Mentre successivamente in altre opere appaiono  chiari i suoi  suoi interessi fisici ed ingegneristici,
Disprezzava apertamente i Gesuiti e questo , insieme al fatto di avere l’abitudine di commentare la Bibbia in affollati incontri a porte chiuse nella sua libreria , lo portò ad un duro scontro con la chiesa che accusandolo di idee luterane gli inflisse ben due anni nelle carceri di Pio V.
Un suo grande allievo  ed anche  grande amico del Campanella, capace di seguire con una certa efficacia il solco da lui tracciato ,  fu il medico di origine calabrese Andrea Fodio Gambara , ma a lasciare il segno ,in quel periodo , fu sopratutto un altro personaggio , farmacista e naturalista , a cui  Colantonio Stigliola fu assai legato , di nome Ferrante  Imperato  di cui purtroppo sopratutto nella sua prima fase di vita non sappiamo molto.
Nato tra il 1535 ed il 1540, nulla conosciamo infatti del periodo della giovinezza e della sua formazione . Sappiamo solo con certezza che egli fu assai legato a quel Colantonio Stigliola , che come il suo maestro Bartolomeo Maranta , fu oggetto delle persecuzioni pretestuose e violente dell’Inquisizione  e sappiamo anche che anche fu amico del Della Porta e del Campanella , nonchè  un convinto seguace del conterraneo Bruno Giordano .
Le sue prime notizie risalgono alla sua età adulta, quando lo incontriamo già speziale, con bottega in Napoli, nella zona di Santa Chiara , in qualità di  onorato professionista  promosso ai vertici della corporazione degli speziali ( la sua 2 bottega ” e
Le cronache  del tempo parlano di un suo  Museo, dove assistito dal figlio Francesco, giureconsulto, ma anch’egli appassionato naturalista , esponeva reperti del mondo vegetale, animale e minerale, faticosamente reperiti dalle zone più lontane, grazie ad un lavoro, senza dubbio dispendioso, di ricerca e raccolta. Il  pregevole museo naturalistico , (di cui una bella incisione, posta in apertura alle due edizioni italiane dell’Historia, ci dona una veduta) allestito presso la sua casa di Palazzo Gravina in città ,  è ricordato come una meraviglia da viaggiatori e studiosi, che vi accorrevano come a tappa irrinunciabile nel loro passaggio per Napoli. Esso , arricchito grazie alla corrispondenza ed allo scambio con altri naturalisti europei , divenne  in quel periodo , uno dei più noti musei in Europa , nonche un importante luogo di ritrovo per gli uomini di scienza e di cultura che venivano chiamati ” naturae curiosi “.
CURIOSITA’ : Nel piccolo museo c’erano molti animali imbalsamati , tra cui un grosso coccodrillo piazzato al centro del soffitto
Una  delle grandi  attrazioni che rappresentavano un altro valido motico per frequentare il  piccolo museo naturale che aveva allestito in una sala ed un vasto terrazzo giardino della sua casa , era anche una eccezionale collezione di ottanta preziosi volumi ( all’epoca erano tanti ) di grosso formato , raccolti in giro per l’Europa che descriveva forse in maniera unica per l’epoca , le meraviglie del regno vegetale.
Il Leggendario ” Erbario ”  dopo la sua morte  , insieme a tutto il suo patrimonio  ( museo compreso ) venne  purtroppo  rapidamente disperso . Secondo alcune fonti , sopravvissero alla collezione , inizialmente solo nove volumi che vennero acquistati dall’amico Sante Cirillo , per finire anni dopo nella collezione di suo nipote medico Domenico Cirillo , dove rimasero fino ai fatti del 1799 , quando le truppe fedeli ai Borbone li bruciò insieme alla sua casa .
Si , avete capito bene . Si tratta proprio di quel famoso Domenico Cirillo che insieme ad altri patrioti ed  eroi della Rivoluzione  napoletana ,come Mario Pagano  , Eleonora Fonseca Pimental e la povera Luisa Sanfelice furono tra gli ultimi condannati a morte di Piazza Mercato . .Dopo di allora ,infatti  piazza del Mercato cesso’ di essere adibita alle esecuzioni capitali .
N.B. Dalla folle distruzione dei libri , si salvò fortunosamente  un solo volume , che acquistato da Minieri Riccio , fu poi donato alla Biblioteca Nazionale della nostra città , dove ancora oggi è conservato nella sezione ” manoscritti rari “.

 Di Filippo Imparato sappiamo che ricoprì diverse cariche pubbliche come quella  di Capitano del Popolo dell’Ottina di Nido,( uno dei sedili della città ) e non è improbabile che fosse coinvolto, nel 1585, nelle trattative relative alla rivolta contro l’aumento del pane provocato dalle speculazioni nobiliari.

La sua carica più importante in città fu comunque certamente quella di governatore di una delle più antiche ed importanti istituzioni sanitarie del Regno , la Real Casa dell’Annunziata , un enorme complesso che comprendeva bek cinque strutture ospedaliere , un’importante spezieria , un Monte di Pietà ed un grande collegio . Nel 1597 fu anche nominato protettore del Sacro Monte di Pietà , per il quale acquistò una nuova sede : Palazzo Carafa.

Di lui si perdono le tracce intorno al 1614 e, sulla base dei documenti rimastici, si ritiene che la sua morte sia databile tra il 1621 ed il 1625.
Erbario e museo furono dispersi, probabilmente, dopo la morte di Francesco e disparvero nelle nebbie della storia, ma l’Historia Naturale rimane a testimoniare lo spessore di una attività intellettuale e scientifica di grande respiro .
Pur se più volte oggetto di attenzione da parte di storici e specialisti, l’Historia di Ferrante non è mai stata considerata, dal punto di vista filosofico, nel suo impianto generale, che in più punti richiama tematiche e caratteri tipici dell’alchimia e dell’ermetismo, ben oltre che nel semplice utilizzo della nomenclatura chimica e spagirica, a quel tempo bagaglio comune di esoteristi e speziali.
CURIOSITA’ : all’epoca si raccontava in giro che al Colantonio Stigliola si dovesse, tout-court, la stesura dell’Historia, che egli avrebbe ceduto all’Imperato per un compenso di cento scudi . Su questo presunto  presunto mercimonio dell’Historia nessuno dei due amici si pronunciò mai. In realtà, è assai probabile che l’Imperato molto dovesse all’impianto filosofico dell’alchimista ed ermetista nolano.
Filippo Imparato creò nella zona di Monteoliveto , anche un piccolo orto botanico che acquisì una vasta notorietà in città , nonostante la notevole concorrenza . Va infatti ricordato che in epoca barocca erano piuttosto diffusi i giardini dove si coltivavano , sopratutto nelle dimore aristocratiche , oltre che  nei complessi monastici le piante medicinali  . Per i ricchi disporre di un orto ” dei semplici ” era all’epoca quasi la norma .

L’Imperato fu in contatto epistolare con i maggiori naturalisti e scienziati dell’epoca, come l’Aldrovandi, Ippolito Agostini , il Mattioli, il Cisalpino, il Clusio. Intorno al lui  e al Della Porta che ebbe modo di frequentare si riunirono in quel periodo alcune delle più grandi menti scientifiche e culturali del momento in città come lo studioso naturalista , botanico e accademico Fabio Colonna , il grande bibliofilo Gian Battista Pinelli ,e  lo stesso Stigliola, senza domenticare il suo fedele allievo lucano  Bartolomeo Maranta .

L’allievo naturalista e botanico, Fabio Colonna (1567-1640),  promosso dai Lincei ,  fu grande amico anche  dello Stigliola, di Cesi, e del Campanella. Di lui si ricordano il Phitobasanos  un’opera botanica continuata poi con l’Ecphrasis Stirpium.  Si occupò anche  di ittiologia, astronomia e di musica, con la progettazione di uno strumento a tastiera ad accordatura perfetta .
Egli insieme al Celsi furono protagonisti di una lunga serie di trattative fatte con il figlio di Stigliola , per ottenere alcuni manoscritti inediti della vasta e ancora sconosciuta opera quando l’amato amico morì nel giugno del 1623 . I Lincei per ottenere i manoscritti inediti del defunto padre , pare che dovettero pagare con soldi  il loro possesso all’erede figlio dello Stigliola, Giovan Domenico (  architetto,  ma non certamente del genio e della cultura paterna )  .
Il medico , botanico , fisico ed alchimista Bartolomeo Maranta , nato a Venosa , in Lucania , laureatosi a Napoli , si trasferì poi a   Pisa, per  frquentare  la  scuola del grande naturalista Luca Ghini, ( nel Giardino dei Semplici fondato a Pisa da Cosimo De’ Medici) . Ritornato a Napoli, fu amico di Giovan Vincenzo Pinelli, fondatore anch’egli di un importante orto botanico sito a Napoli in zona Miracoli.
Fu grande amico del naturalista bolognese Ulisse Aldobrandi e di Pietro Andrea Mattioli .
Del Maranta sono noti il libro Della theriaca et del Mithridato libri duo , in cui parla  del leggendario farmaco che per circa duemila anni sarà considerato da tutti il rimedio  per la cura di tutti i mali ed il methodi cognoscendorum simplicium libri tres, dove  attraverso  una vasta farmacologia botanica illustra e descrive le diverse specie  vegetali coltivabili in un giardino dei semplici e le loro  annesse capacità medicamentose.

La Theriaca di Andromaco il Vecchio costituiva in passato la più credibile approssimazione storica del mito della panacea universale, Il farmaco cioè che piu di ogni altra cosa si accostava alla famosa pietra filosofale , il simbolo della  tradizione alchimistica. La Teriaca per lungo tempo ha rappresentato  il rimedio più eccellente della Natura e dell’Arte, per guarire tanto i Veleni che le altre malattie del corpo umano e dei metalli.

La sua origine e’ antichissima e viene fatta risalire al III secolo A.c.  quando in Egitto e ad Alessandria in particolare venivano usati delle sostante anti-veleno che venivano chiamate ” theriake” ( antidoto) . Erano delle formulazioni derivate da un miscuglio di varie sostanze di derivazione animale ( sangue di tartaruga, daino, lepre, capretto etc.) che fungendo  da veri salvavita venivano inizialmente prevalentemente usati per combattere uno dei sistemi allora in voga piu’ subdolo per far fuori persone scomode; l’avvelenamento.

Nacque quindi , almeno inizialmente come rimedio anti-veleno , e nacque   all’epoca di Mitridate il grande , re del Ponto , che preoccupato dei vari intrighi  e complotti di corte ( avevano portato all’uccisione del padre ) trascorse molto tempo a prevenire un suo eventuale avvelenamento. Egli chiese quindi al suo medico di corte , Crautea e ai suoi farmacisti di creare un antidoto efficace.

Crautea , con il nome di ” Mitridatium” , mescolando tra loro una cinquantina di elementi tra sangue di animali ed erbe utili contro il morso dei serpenti diede così luogo alla prima e vera Teriaca

CURIOSITA’ : Si racconta che Il re utilizzo’ quotidianamente il rimedio fino ad assuefarsi e quando una volta sconfitto nelle guerre contro i romani decise di togliersi la vita non potè avvelenarsi ( al contrario delle figlie ) e fu costretto a ordinare alla sua guardia del corpo di ucciderlo con un colpo di spada .

Crautea era il medico di corte del grande  Mitridate  (133-64 A.C) re del Ponto, un sovrano dal pugno di ferro e di spiccata genialità (secondo la tradizione conosceva a menadito gli oltre 20 idiomi delle popolazioni a lui sottomesse). Il re fu, certamente, tra i più temibili nemici dell’impero romano. Salito al trono nel 112, il buon Mitridate dichiarerà guerra a Roma per ben tre volte. La prima guerra mitridatica (89-85 A.C.) iniziò con una imponente avanzata del nostro, che conquistò la Grecia, l’Asia minore le isole Egee, per essere poi sonoramente sconfitto dall’esercito romano guidato da Silla. Non pago, il buon re del Ponto ci riprova tra l’83 e l’81 A.C., riportando questa volta sostanziali vittorie su Roma. È solo con la terza guerra mitridatica che Roma, conquistando addirittura il Ponto e la residenza del re, dopo una guerra decennale (tra il 74 ed il 64 A.C.) avrà finalmente ragione di questo acerrimo nemico, grazie alle forze ed all’abilità strategica del suo esercito guidato, stavolta, da Lucullo e Pompeo. Mitridate fu così costretto a riparare in Scizia.

Ad un re tanto potente da sfidare ripetutamente la forza romana, probabilmente non dovevano mancare timori e preoccupazioni. Uno di questi, sicuramente, dovette essere il timore di rimanere avvelenato ad opera di un tradimento di corte. Che il buon re non fosse un semplice paranoico, ce lo dice la storia della sua morte. Tradito dal figlio  Farnace  egli decise di togliersi la vita, proposito che attuò servendosi della lama e del braccio di un suo fedele ufficiale.

Al ribelle re del Ponto, infatti, era da tempo preclusa la pur dignitosa via dell’aspide di Cleopatra e degli altri veleni, e ciò proprio in grazia dei servigi di quel Crautea di cui abbiamo sopra appena accennato.

Pressato dalle richieste del preoccupato sovrano, infatti, Crautea si era mobilitato, secondo la tradizione, alla ricerca di un rimedio sicuro contro ogni forma di avvelenamento. Il potente farmaco che era stato messo a punto, passato appunto alla storia come Mitridatium, era una formulazione complessa, composta da oltre una cinquantina di semplici.

E funzionava così bene che, come si è visto, Mitridate non poté avvelenarsi…

 

Per interi  secoli da quel momento la Teriaca e’ stata considerata quasi una bevanda sacra capace di alleviare molti mali e la sua formulazione veniva attribuita ai discepoli del grande Ippocrate. La sua  antica formula  infatti  , una volta rinvenuta in epoca romana da Pompeo in una cassa appartente al re Mitridate ,  fini’ per cadere nelle mani del medico di Nerone ( Andromaco  il vecchio ) che carpendone il segreto,  lo modificò solo  leggermente aggiundovi  la carne di vipera.

Il prodotto fu così  chiamato ” La Teriaca di Andromaco ” .

A  Roma la ricetta di Crautea ebbe un grande successo ed una grande popolarità  che aumentò  indenne fine a tutto il medio evo nelle opere di Galeno, raggiungendo il culmine della popolarità  nel  XVI secolo . Alcuni dei più noti medici dell’antichità scrissero della teriaca, da Xenocrate di Afrodisia (I sec. D. C.) a Plinio il Vecchio, ma i maggiori scritti sull’argomento furono  senz’alcun dubbio quelli  di Galeno (138-201 D. C.).

La teriaca, con qualche non poco significativa variazione di composizione (ogni studioso vi aggiungeva o sostituiva qualche componente al fine di migliorarne secondo le proprie conoscenze, l’effetto, mentre ogni speziale vi toglieva o sostituiva qualche componente, al fine di migliorarne la redditività secondo le proprie finanze…)

Essa , nella nostra penisola dopo qualche tempo  veniva prodotta e commercializzata ovunque con la pretesa, naturalmente, di essere la migliore e la più fedele all’originale anche se la più famosa ricetta  era sicuramente quella veneziana. Il motivo di tale supremazia era legato alla evidente potenza commerciale della repubblica, le cui navi solcavano i mari e visitavano i porti d’oriente ed occidente. Centro di importazione dei più esotici semplici, Venezia era il luogo dove, effettivamente, più facile doveva essere procurarsi gli ingredienti della famosa pozione.

 

Il potente farmaco divenne comunque  famoso ovunque e attraverso piccole modifiche che ogni illustre medico del tempo vi apportava acquistava sempre maggiori proprietà terapeutiche finendo per divenire un’autentica panacea nelle sue molte versioni.
La Teriaca infatti da rimedio per combattere gli avvelenamenti divenne  nel tempo un farmaco prodigioso in grado di combattere tutti i ” veleni” creati nell’organismo umano dalle varie malattie. Veniva quindi usato contro ogni sorta di malattia, passando dalla peste al mal di testa e finendo col curare malattie psichiche o addirittura  la pigrizia sessuale maschile.
Asma , tosse, obesita’, ascessi , sordita’ , rabbia , lebbra , aborti avanzati , ciclo mestruale , infiammazioni varie ….. Tutto veniva curato con la Teriaca che conteneva tra l’altro il ” sugo di papavero ” ( praticamente l’oppio ).
Il prodotto poteva essere assunto nel vino, nel miele o nell’acqua ma sempre dopo essersi purgati altrimenti non faceva effetto. Inoltre era meglio iniziare la terapia in inverno od in autunno ( in estate solo in casi eccezionali e disperati ).

 

 

 

 

 

 

 

 

In Italia le piu’ importanti spezierie finirono per fabbricare la Teriaca che veniva poi usata nei piu’  grandi ospedali del tempo . Venezia e Napoli furono le due citta’ dove maggiormente si fabbricava il prodotto.
La fabbricazione doveva seguire procedure ben precise che richiedevano dapprima l’approvazione da parte del collegio degli speziali e dei medici e poi la supervisione di testimoni ( anche alcuni rappresentanti del popolo) .
Tutto questo perche’ poi in caso il farmaco non funzionava , nessuno poteva accusare le autorità’ di aver usato ingredienti scadenti o peggio dimenticato qualcuno.
Il farmaco doveva anche rispettare un adeguato tempo di invecchiamento ( come il vino ) ed il tempo giusto per ottenere un buon effetto benefico contro le varie malattie , doveva essere in media quello di 12 anni . Ma se lo si voleva usare solo per sfruttare il suo potere come anti-veleno potevano essere usati quelli con tempi di invecchiamento dimezzati ( 6 anni ).
A Napoli ,  ai tempi di Ferdinando IV , poiche’ la vendita della Teriaca procurava un grosso guadagno divenne monopolio di stato . Di conseguenza nacque il contrabbando del prodotto ” pezzottato” che aveva una sua rete di distribuzione parallela e arricchiva delinquenti  e speziali senza scrupoli.
La citta’ di Venezia istitui’ delle leggi severissime per chi faceva contrabbando della Teriaca taroccata o adulterata che potevano andare da semplici multe fino ad arrivare nei casi piu ‘ gravi addirittura alla pena di morte tramite il rogo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La bevanda tra mito e realtà quotidiana, tra favola popolare e simbologia esoterica, tra scienza e magia, è stata per  tutto l’arco della sua storia, una pozione  fatata e  sacra, delle misture magiche i cui effetti, di là di ogni analisi farmacologica, per l’universo mitico e magico di cui sono emanazione, ci rimarranno per sempre ignoti.

Essa era la bevande dell’immortalità, e della salute eterna

La curva ascendente della diffusione della teriaca continua ininterrottamente fino ai primi decenni del XVIII secolo, per registrare l’inizio della fase ascendente intorno alla metà del secolo. Alla fine del XVIII secolo, la teriaca scompare dalle farmacopee di molte città europee, ma in Italia, ed in special modo nel meridione, la sua popolarità continuerà ancora a lungo. E’ infatti a pochi decenni dal tramonto dell’antico antidoto, che, con una tardiva presa di coscienza delle potenzialità economiche del commercio della teriaca, il re di Napoli Ferdinando IV di Borbone, nel 1779, impone il monopolio statale sulla preparazione dell’antidoto. L’obbiettivo dichiarato è, naturalmente, quello di proteggere dalle teriache contraffatte la salute dei cittadini, ma, sicuramente, è proprio la ancor vasta dimensione del business teriaca ad attrarre re Ferdinando.

La preparazione venne affidata in esclusiva alla Reale Accademia di Scienze e Belle Lettere, e tutti gli speziali del regno furono obbligati ad acquistarne almeno mezzo libbra l’anno. Dovevano inoltre esserne sempre forniti, ed all’ispezione del Protomedico o del suo vice, ogni speziale doveva esibire, oltre al vasetto della teriaca, la ricevuta dell’acquisto annuale.

Il prezzo, fissato con intenti concorrenziali (il prezzo di mercato della teriaca veneziana era intorno ai 24 carlini) oscilla, a seconda delle quantità acquista, dai 18 ai 12 carlini (per un acquisto di almeno cinque libbre).

In effetti, nonostante il provvedimento governativo, ingenti quantità di teriaca veneziana continueranno ad essere contrabbandati nei confini del regno, nonostante i ripetuti tentativi di bloccare l’ingresso della richiestissima teriaca concorrente (che, tra le altre cose, eludeva costantemente la regia dogana) o attraverso l’inefficace meccanismo repressivo, o attraverso continue riorganizzazioni del sistema distributivo e l’imposizione di più ingenti e gravosi quantitativi minimi d’acquisto agli speziali.

 Le cose non migliorarono quando il diritto di esclusiva sulla fabbricazione, chiusa la Reale Accademia, passò, nel 1807, per iniziativa di Giuseppe Bonaparte, al neonato Real Istituto di Incoraggiamento alle Scienze naturali di Napoli, che, attraverso varie vicissitudini, mantenne il proprio diritto fino al 1860, anno in cui, comunque, possiamo considerare già concluso il ciclo della fortuna della teriaca .

Ma se storicamente fallimentare fu la vendita della teriaca “Statale”, non è improbabile che tra XVI e XVIII secolo il regno di Napoli fosse ai primi posti nel consumo di teriaca veneziana, e si può essere certi che, a quest’ultima si affiancava anche quella tradizionalmente preparata in segreto dagli speziali napoletani.

Intorno alla Teriaca ed i suoi “magici ” poteri si insediarono in città , alcuni dei personaggi più importanti della cultura seicentesca napoletana, speziali, naturalisti, medici, alchimisti e filosofi . Nell’immaginario alchemico la Teriaca era  un alter ego dell’Elixir Vitae, del Pharmaco Catholico, della Medicina Universale, che è a sua volta precipitato archetipale dell’acqua benedetta, del Sôma del Rg-veda o dell’Haona iranico .

Alla potente e rispettata categoria degli speziali napoletani non poteva non incuriosire quale fosse la preparazione della teriaca, quali fossero le virtù terapeutiche ad essa attribuite e le patologie di applicazione del portentoso rimedio.

Tra questi, ad interessarsi maggiormente del potente farmaco al punto da scriverne  un famoso  testo che ebbe gran successo in tutta Europa fu  come già detto Bartolomeo Maranta , un naturalista di grande levatura e  allievo di Luca Ghini che si formò  presso il Giardino dei Semplici fondato a Pisa da Cosimo de’ Medici.

Egli a Napoli, strinse intimi rapporti di amicizia e collaborazione col naturalista e speziale napoletano Ferrante Imperato, passato alla storia delle scienze naturali per il Dell’Istoria Naturale .

Nella sua famosa opera ” Della Theriaca et del Mithridato”  , il venosino Bartolomeo Maranta, scrive ed insegna l’arte ed il vero modo per  comporre il famoso medicamento .

Ma mentre in città  l’Elisir spagirico-filosofico di frate Donato D’Eremita da Rocca D’Evandro , l’alchimia di Maranta, Stigliola, di Imperato e Della Porta costituivano oggetto privilegiato dell’attenzione della élite intellettuale e nobile napoletana, ad avere una notorietà assai più universale e popolare fu uno strano alchimista che nulla aveva a che fare con la vera ” arte alchemica “.

Egli rappresenta  la dimostrazione di quanto speculativo  potesse talvolta essere l’alchimia nel seicento .  All ’indagine e alla sperimentazione genuina mistico-filosofica fatta da veri alchemici con la loro scientifica arte ,  si contrappoevano e sostituivano spesso anche falsari ed inventati maghi che con la loro figura  di imbonitore e  ciurmatori rabbonivano spesso ingenue persone al solo scopo di lucro , infangando in tal modo la nobile arte alchemica.

Uno dei dubbi  personaggio in questione fu il  Signor Girolamo Chiaramonte, proveniente da Lentini,  che con la sua polvere cinerea bianca, vantava un altro elixir vitae dagli effetti miracolosi.

Egli viveva inizialmente in Sicilia dove nel 600 , praticava l’arte di alchimista e santone  con un misterioso elisir con il quale secondo molti egli compì per anni incredibili guarigioni. Egli discendeva  da una delle più nobili e illustri famiglie isolane, e visse inizialmente a Messina , in Sicilia dove nel 600 , praticava l’arte di alchimista e santone  con un misterioso elisir con il quale secondo molti egli compì per anni incredibili guarigioni.

In Sicilia  elaborando le sue formule e realizzando qui il suo prodigioso elisir , divenne famosissimo e le sue cure furono finanche documentate con grandissimo dettaglio da medici, nobili e autorità dell’epoca che testimoniarono  il suo reale funzionamento .

Quello che lo distinse infatti  da tutti gli altri ciarlatani del passato è che le sue cure sono state infatti ben documentate con grandissimo dettaglio da numerosi esperti dell’epoca.

 

Come spiegato nei suoi trattati e nei documenti d’epoca, il suo ritrovato era una mistura di quattro ingredienti segreti, di natura minerale. Lo chiamò Belzuar, con il nome di pietre magiche delle leggende, che guarivano da ogni male. Fatto sta che il suo elisir curava davvero tutti i tipi di febbri, i tumori e molti mali e dolori delle più diverse cause. In tutti i casi in cui il Belzuar non funzionava, che lo stesso autore elencava coscienziosamente, esso giovava comunque ad un generale benessere dell’organismo.

La sua avventura  cominciò a Messina nel 1618, dove il presunto  spagirista ottenne  dal protomedico l’autorizzazione a medicare con la sua polvere, ottenendo successi, a quanto pare, mirabolanti. A seguito dei suoi comprovati successi, Chiaramonte ottenne infatti nel 1618 il permesso delle autorità messinesi di somministrare pubblicamente il suo farmaco, guarendo moltissime persone.

A Napoli egli venne perchè chiamato dall’Ordine dei Cavalieri di Malta, nel tentativo di curare il precario stato di salute di Fra Giulio De Falco, in quel tempo recevitore di Malta nel  Regno .

Il De Falco guarisce rapidamente ma la cura del Chiaramonte, accolto, pare, a braccia aperte, dall’Ordine di Malta di Napoli, suscita un certo scalpore, al punto che, nel 1619, la Gran Corte della Vicaria, sembrerebbe su stimolo dello stesso Chiaramonte (abile pubblicitario…) istituisce un processo per raccogliere testimonianze sull’efficacia dell’Elixir. Testimoniano, a decine, i cavalieri di Malta, guariti da ogni sorta di malanni, insieme a molti gentiluomini napoletani (in tutto una quarantina di testimonianze). Dopo tale trionfo la polvere viene pubblicamente usata nell’ospedale dell’Annunziata (2 morti su 15: un record, pare, per gli elixir del tempo…).
Egli viaggiò e rese famoso il suo Elisir in tutta Italia , spostandosi continuamente nei vari ospedali e riportando di volta in volta ,  nei suoi scritti, tutte le autorizzazioni e i decreti ottenuti da principi e dalle autorità scientifiche del tempo ( fu ospite graditissimo delle corti più prestigiose).
Fu invece sempre molto abbottonato  sulla composizione del  suo misterioso elixir.
Si sa che non è nocivo, che è composto di minerali “… ma preparati et purgati…” in modo da non nuocere. Del resto, per chi volesse approfondire, il Chiaramonte non manca di tendere la mano :
… Et perché dicono alcuni che questo medicamento è terra semplice, ò pietra, et che non consta di preparatione et compositione alcuna, io per chiarezza di ogni uno, offero ad ogni Signore, ò altro che vorrà chiarirsene, di dimostrargli in atto tutti li quattro ingredienti separati, con la terra ed acqua sua… Ma avvertasi ch’io per questa demonstrazione ne voglio premio grande, perché si palesa e si vede apertamente tutto il magistero, et manipulatione del mio secreto…
Chiaramonte mette in guardia dalle imitazioni:
… sappia che questa mia polvere è di colore cinerito… si dà in una cartoccia chiusa et sigillata con arme di un braccio armato che tiene una testa di saracino per li capelli, et le lettere intorno che dicono Girolamo Chiaramonte… et perché tutte le sopraddette cose si possono contrafare, per sicurtà di ognuno ho eletto un loco preciso in Napoli… ove tengo casa aperta per quelle persone che si vorranno servire… Poiché in molte parti vi sono state alcune persone che sotto mio nome hanno dispensato alcune loro polvere con poca salute del prossimo, come fu Pier Francesco Gilardini Bolognese in Firenze, allo quale furono consegnati 6 ammalati dell’Ospitale di S. Maria la Nova et con il suo medicamento ne morsero 4 et le altre due ci furono levati per non farli anco morire, et in Modona un mio servo, Ventura da Ventura, il quale pubblicando havermi rubbato il secreto, dava certa terra sulforea con la quale fece danno a diverse persone, et Antonio Bianchi allo quale portai meco in Firenze, et doppo si volle fare autore di questo secreto, et fu forzato fuggire…
Sotto controllo costante di scettici, autorità e scienziati, tra continui esami e processi dai quali uscì sempre trionfante, egli somministrò il suo rimedio a chiunque ne avesse bisogno, umiliando tutti i suoi detrattori e guarendo centinaia di casi dichiarati incurabili.
CURIOSITA’ : Arrivato a Firenze nel 1620 si esibì in numerose  esperienze pubbliche, all’ospedale di Firenze, non dissimili da quelle già avvenute all’ospedale dell’Annunziata di Napoli, che segnano un discreto successo pubblico della polvere. Qui il metodo del Chiaramonte viene messo a confronto con quello dei medici dell’Ospedale di Santa Maria la Nova. Per ordine di Cosimo, di 16 ammalati, otto vengono curati dal Chiaramonte ed otto dai medici dell’ospedale. Gli otto pazienti del siciliano sono affetti da diversi tipi di febri ed hanno un’età compresa tra i 14 ed i 61 anni. Sei, con un periodo di assunzione della polvere che va da 15 a 45 giorni, guariscono. Due, ribelli ad ogni cura, muoiono. Avendo riguardo ad un tale eccezionale risultato, il lettore non stupirà certo nel venire a sapere che, degli otto, pazienti curati secondo il metodo tradizionale dei medici fiorentini, solo tre riuscirono a sopravvivere, essendo gli altri cinque passati repentinamente a miglior vita nel giro di poche settimane. L’obiezione  dei medici fiorentini fu che, in precedenza, agli ammalati guariti dal Chiaramonte, erano stati per lungo tempo somministrate le loro terapie, per cui non si poteva esser sicuri che le guarigioni in questione fossero effettivamente opera della polvere citrina del concorrente siciliano. A quel punto il Chiaramonte richiese direttamente a Cosimo un’altro lotto di malati nuovi di zecca, vergini di ogni intervento e terapia, e li ottiene. Sono sette, tutti di età compresa tra i 14 ed i 30 anni, afflitti da febbri varie, e tutti, affidati al solo elixir, guariscono in poche settimane.
Poco dopo, Cosimo, da tempo malato, manda a chiamare il Chiaramonte. Questi viene però prontamente ed efficacemente osteggiato dai medici del principe, che non vogliono affidare il loro illustre paziente ad un medico straniero, sulla cui preparazione e sui cui metodi nessuno sa nulla. La polvere misteriosa può anche esser nociva, ed il principe non deve affidarsi a mani estranee. Cosimo, dunque, non si affida al Chiaramonte,e dopo poco  morì…
Memore di questa esperienza ,  Lorenzo, il fratello di Cosimo, affetto  “di febre maligna con petecchie“, decide invece ignorando i medici di corte del Granducato,  di affidarsi al Chiaramonte e al suo  portentoso belzuar  guarendo dalla malattia nel volgere di poco tempo.
L’apoteosi, probabilmente, si ha nel 1625, a Genova. Il teatro dell’azione è l’Ospedale della Chiesa della Santissima Annunziata. Qui, grazie all’interessamento del protofisico Carlo Pannicelli, vengono consegnati al Chiaramonte 20 malati gravi, di cui solo due, nonostante la polvere, muoiono.
…..  visto l’incoraggiante risultato…ordinorno di nuovo che me fossero consegnati altri 16, delle quali 15 guarirno et uno si morse … Onde ammirati li detto Signori del detto Magistrato fecero decreto che in detto ospitale me si consegnassero 25 letti con 25 ammalati, et mancando, o per salute, o per morte, che di nuovo si riempiono alla cura di Girolamo Chiaramonte siciliano, sempre con l’osservanza del sopradetto Pannicelli…

 

Nel corso di una permanenza di vari mesi, Chiaramonte cura con successo ben 170 ammalati, e, naturalmente, a questo punto, a proposito di questa esperienza, riporta la relazione del Protettore dell’ospedale, Nicolò Zoagli. Le osservazioni del Pannicelli, invece, riempiono decine e decine di pagine del Trattato, e costituiscono ulteriore attestazione di efficacia ed affidabilità della polvere.
Tuttavia assieme alla popolarità, ecco farsi avanti gli onnipresenti imitatori ed usurpatori, che vorrebbero togliere a Chiaramonte i meriti, la gloria ed i guadagni della polvere misteriosa .La vera battaglia che egli dovette quindi fare era quella  contro i medici e gli speziali che ostacolano il completo ed assoluto trionfo della sua polvere.
Nelle opere divulgative egli risponde alle critiche dei medici, citando ad ogni piè sospinto Galeno e Dioscoride, arricchisce l’esposizione dell’impianto medico-astrologico di derivazione ermetica. Questo, però, non dovette bastare ad assicurare al suo elixir fama immortale. A qualche decennio di distanza, il Theatro del Donzelli, che pure scrupolosamente annota l’elixir di Donato, non conserva traccia della miracolosa polvere cinerita belzuar minerale dell’intraprendente siciliano.
L’equivoco alone di mistero intorno alla composizione delle cartine dovette contribuire alla rapida dissoluzione del ricordo del portentoso rimedio e da allora, il mistero del Belzuar non è mai più trapelato.

Il segreto, così attentamente custodito dal Chiaramonte, tuttavia, con ogni probabilità non andò perso. Nell’ultima pagina del Compendio, infatti, Girolamo annota:

…Io ho palesato questo secreto a mio fratello per nome Vito che sta meco, et di più ho fatto due lettere le quali tengo sigillate per due Principi miei Signori, dentro le quali ci ho scritto questo secreto, acciò nella mia morte non si perda un tanto medicamento per la salute del prossimo…

Dunque, altre dovettero essere le ragioni della progressiva scomparsa del medicamento di Chiaramonte. Pian piano, inesorabilmente, il medicamento, ormai popolare nelle corti di tutta la penisola, osteggiato dalla medicina ufficiale, ma diffuso al punto da provocare dispute di paternità, imitazioni fraudolente e “punti vendita” autorizzati, dovette mostrare i suoi limiti.

La panacea universale, priva della faconda abilità pubblicitaria del suo ideatore, dovette perdere molto del suo incanto, per scomparire rapidamente dalla memoria di consumatori, medici e speziali. Le farmacopee non nomineranno infatti mai il Chiaramonte. La sua prodigiosa polvere si perderà per sempre nell’infinito labirinto del tempo, insieme  tutti gli altri elisir miracolosi che hanno caratterizzato l’alchimia rendendola ancora più misteriosa e affascinante ma sopratutto non ci dirà mai più se il Chiaramonte fosse un truffatore o un grande alchemico .

Lo stesso Conte Cagliostro tra gli alchimisti dell’epoca venne spesso annoverato  per la sua  attività di speculatore e raggiri talvolta operato non solo a incolti o sempliciotti persone ma anche potenti regine , cardinali e  uomini di cultura , tra i ciarlatani ed imbroglioni che circondavano il mondo alchemico.

Per anni infatti  il mondo si è chiesto chi fosse veramente Cagliostro . Un Avventuriero o un grande iniziato?

Il gusto per l’occulto e per lo straordinario, la capacità di di affascinare le menti, il desiderio di stupire, la convinzione di essere dotato di miracolosi poteri, taumaturgo, alchimista, imbonitore, o semplice imbroglione .  Del Conte di Cagliostro ancora oggi non si sa con certezza come definirlo  . Sappiamo infatti  con certezza poco della vita, ma sicuramente ancor meno della sua morte.

Senza alcun dubbio possiamp però dire che Cagliostro fu un vero e proprio Guru per l’Epoca nonostante il suo profilo enigmatico complesso, criptico ed esoterico molto affascinante  e senza alcun dubbio possiamo anche affermare che fu  poco o per nulla onesto.

 Sappiama anche con certezza che fondò la prima Loggia Massonica di Rito Egiziano a Lione nel 1784 che si rifaceva al culto isiaco dei Faraoni.

Nei verbali del Santo Ufficio egli dichiarò, senza problemi, che la sua ”Ars” derivasse da alcuni insegnamenti impartiti da un filosofo napoletano ,durante  il suo soggiorno nella nostra città . Tale personaggio è stato da molti considerato essere da un lato  il cavalier  Luigi d’Aquino , noto all’epoca  per essere un importante menbro della  massoneria napoletana nonché grande protagonista della Loggia della Perfetta Unione e dall’altro essere addirittura il famoso Principe di Sangro  che a detta di molti fu la sua Guida in campo di segreti egizi.

CURIOSITA’: Secondo numerosi studiosi fu  proprio in Campania  che egli ricevette il misteriosissimo manoscritto massone , risalente agli alessandrini del Tempio di Iside , definito da molti ” la Bibbia per il rito Egizio “. Questo ” codice ” poi descritto dal Cagliostro ,  è un insieme di concetti, figure e caratteri che è stato dettato millenni fa dagli ierofanti egizi, e applicato nei loro grandi templi.

Particolarmente poi studiato da  Giordano Bruno, Il Principe Raimondo e il Conte di Cagliostro ,  esisterebbe, secondo questa pratica, una sorta di santuario energetico  fatto di messaggi occultati nella pietra, nelle note musicali, nell’arte e nella scrittura di testi letterari che porterebbero alla vera conoscenza .

Questo santuario energetico , rappresenta un luogo ricco di potenza dove  grazie al confluire di energia  viva , avvengono normalmente strani fenomeni paranormali . Ai capi di questo santuario ci sarebbero , per assicurare energia sufficiente dei nodi di forza o energia rappresentati da alcune città . Napoli sarebbe una di queste città e quindi un punto di collegamento geografico massone importante con altre città europee ( probabilmente tutte quelle visitate nei suoi viaggi da Cagliostro ) .

Queste città , Napoli compresa , sarebbero determinanti per la sopravvivenza della terra stessa in quanto creerebbero con la loro energia dei luoghi di forza  in cui la Terra, assieme all’acqua, abbia dei pilastri   energetici rsacri e ricchi  di potenza  capaci di dare stabilità ed equilibrio al mondo intero .

Queste città ” Luoghi di forza” sono  alcune parti della terra, dove si sommano, più che in altre zone delle componenti magnetiche naturali, dovute alla composizione delle rocce o del terreno che permettono l’avverarsi di alcuni fenomeni particolari normalmente attribuiti alla volontà divina, e gli antichi sapienti, gli iniziati sapevano riconoscsre dal colore della vegetazione, o dalla assoluta mancanza della stessa, dalla diversa disposizione delle pietre, quei particolari ” luoghi delle forze” sui quali si sarebbe potuto operare per ottenere il fenomeno magico” .

Alcune città sparge sul globo rapprenerebbero da questo punto di vista dei punti cardini importanti formando dei triangoli magici .

Il  Triangolo della Magia Bianca e  l’opposto Triangolo della Magia Nera , ovviamente fatti di energia positiva e negativa che spesso coesistendo ,nelle lotta , si compensano tra loro . I tre punti di questi triangoli magici sono rappresentati da tre città sparse sul globo. Solo una di queste fa parte di entrambi i triangoli, ovvero l’italiana Torino  . Insieme a Londra e a San Francisco fa infatti parte del Triangolo della Magia Nera, mentre insieme a Lione e Praga fa parte del Triangolo della Magia Bianca.

La città piemontese è inoltre attraversata dal 45° parallelo, ulteriore motivo che lascia pensare ad un forte concentrato di positività.

Sospesa tra bene e male, e sede di un’incessante lotta tra luce e tenebre nonchè fulcro di forze del bene e del male insinuate  tra le strade, presenti nei suoi monumenti e percepibili nelle sue piazze anche Napoli da sempre è stata considerata un’importante cittò esoterica con i suoi triangoli .

CURIOSITA’: Il Triangolo nella sua simbologia esprime sia l’idea  della divinità, come  riscontrabile nel  simbolo della Trinità , sia l’idea dell’ascesi dell’uomo verso la trascendenza divina, l’Universale.

Nella tradizione pitagorica il triangolo simboleggia invece come vedremo l’Unità. Il triangolo ha sempre quindi . come figura geometrica appassionato il mondo fin dai tempi antichi e per il mondo esoterico esso è lancora oggi la rappresentazione grafica dei quattro elementi basi della vita.

Per esempio, il triangolo con la punta verso l’alto simboleggia il fuoco e il sesso maschile, con la punta in basso invece sta a significare l’acqua e il sesso femminile. L’equilibrio dei due triangoli è dato dalla loro unione nella forma dell’esagono stellato, cioè la rappresentazione grafica del sigillo di Salomone  , composto dall’incrocio dei due triangoli inversi. Il triangolo è alla base della formazione dellapiramide .

Il Significato del triangolo si esprime soprattutto attraverso il suo relazionarsi con le figure geometriche fondamentali del Centro, del Cerchio, della Croce e del Quadrato.

simboli

Nella nostra città i tre punti più esoterici manco a farlo apposta ( guarda un po ) si trovano proprio ai vertici di un triangolo e non sono altro che  I tre punti energetici della cintura di Orione che riflessi sulla terra , interseca i decumani ed i monumenti ad essa associati.

Basta per accorsene procurarsi una piantina del centro storico ed un  pennarello…

 

Dopo aver individuato sulla pianta  i tre luoghi esoterici  che corrispondono alla collocazione della chiesa del Gesù Nuovo ,  della  Chiesa di San Lorenzo Maggiore ,  e della  Chiesa di S. Maria Maggiore  e dopo averli uniti, si noterà che  grafiamente i tre punti vanno infatti a formare un triangolo .

I tre luoghi sono sempre stati considerati in città dei luoghi ricchi di mistero .

La chiesa del Gesù Nuovo o Trinità Maggiore racchide tutto il suo mistero  nella sua bellissima facciata rinascimentale

La facciata è caratterizzata da bugne di piperno di forma piramidale con la punta rivolta verso chi guarda. Le bugne  inoltre presentano sui lati delle incisioni particolari  di un misterioso alfabeto.

Sembra che sull’edificio gravava un maleficio che perseguitò i suoi occupanti dovuta proprio a i segni sulle buglie .

Roberto Sanseverino ,principe di Salerno quando nel 1740 ordinò a Novellino di San Lucano la costruzione della Trinità Maggiore, cioè la Chiesa del Gesù Nuovo per tenere lontano le forze malefiche, ordinò che le punte fossero rivolte verso l’esterno mentre invece i maestri pipernai abbiano disposto in modo scorretto le pietre.( punte rivolte all’interno in alcuni tratti ).

Per questo le energie positive si sarebbero trasformate in negative, attirando sul palazzo numerose sciagure (l’ultima, durante la seconda guerra mondiale, con la caduta di una bomba proprio sul soffitto della navata che però, miracolosamente, non esplose).


Il Sanseverino ,che era anche un esperto alchimista ,avrebbe indicato nei dettagli dove posizionare le pietre che, prima di essere lavorate, venivano “irrorate” di magia positiva dal lato utile.
Secondo una leggenda  non sarebbe stata l’ignoranza dei maestri pipernieri, a costruire  il bugnato impilando le rocce al contrario ( In tal modo gli influssi negativi sarebbero entrati nell’edificio e quelli positivi sarebbero sfociati all’esterno) in quanto essi erano abili  conoscitori dell’alchimia e dell’esoterismo ( lo stesso Roberto Sanseverino li aveva chiamati a corte perché conoscitori della magia) e quindi non si sarebbe trattato di un errore così grossolano ma di un ” errore ” diciamo voluto in quanto si sospetta che questi furono corrotti dai nemici del nobile.

Sarà vero o no , ma  sta di fatto che nei secoli il Gesù Nuovo è stato afflitto da numerosi malefici. I problemi di proprietà, ad esempio: il figlio di Roberto Sanseverino, Antonello, ricevuto il palazzo in eredità, fu allontanato dal regno a causa di contrasti con gli Aragonesi; anche Ferrante Sanseverino, l’ultimo principe di Salerno, fu allontanato dal re Filippo II; la Compagnia dei Gesuiti, che acquistò il palazzo dallo stesso Filippo II, fu successivamente allontanata come Ordine.
Ma anche le numerose confische dei beni ai Sanseverino, la completa distruzione di un’ala del palazzo, gli innumerevoli crolli della cupola e il successivo incendio della chiesa.
Tutto sta che dell’originario palazzo resta oggi solo la struttura del basamento e la facciata in bugnato a punta di diamante.

Ultimamente si è ipotizzato un nuovo significato dei simboli sul bugnato: non si tratterebbe di magia, ma più semplicemente di uno spartito musicale , scritto in lettere aramaiche, in totale sette lettere, da leggersi al contrario: dal basso verso l’alto, da destra verso sinistra.

Quindi quei segni sulla facciata della chiesa del Gesù Nuovo ,non sono altri che un pentagramma  scritto in aramaico ( l’aramaico era la lingua parlata da Gesù). L’uso di segni che componevano una musica non era inusuale negli anni del tardo umanesimo e gli stessi Sanseverino fecero incidere dei simboli musicali nel loro palazzo a Lauro di Nola

 

Dopo numerosi studi è stato stabilito che si tratta di musica rinascimentale che segue i canoni gregoriani la cui riscrittura ha portato alla composizione di un concerto il cui sogno è quello di eseguirla in pubblico proprio al Gesù Nuovo.
Il concerto è stato intitolato «Enigma», ed è stato trascritto per organo, invece che per strumenti a plettro.

Nell’interno del complesso della struttura  , cosa da non sottovalutare nel parlare della chiesa da un punto di vista esoterico , è anche presente la fontana egizia di Morfisia del 67 d.C., alimentata dall’acqua del Sebeto.  La famosa fontana dell’immortalità un tempo collocata in  piazza del Gesù dove è anche presente l’obelisco  più famoso in città alto 30 metri, che fu eretto  dai Gesuiti grazie a una colletta pubblica voluta da Padre Pepe. Il lavoro scultoreo (la statua poggia su una guglia marmorea) fu di Matteo Bottigliero e Mario Pagano. Sulla sua sommità è posta una  statua della  Madonna dell’Immacolata , interamente di rame che  l’8 dicembre di ogni anno riceve l’incoronazione  con una corona di fiori ,da parte dei vigili del fuoco, come segno di devozione della città nei riguardi della Vergine.

Se ci avviciniamo all’obelisco, possiamo notare che sul marmo, sono posti dei strani simboli ed una faccia di scheletro che sono state nel tempo all’origine  di una antica leggenda popolare che si è raccolta intorno all’obelisco.  Si racconta infatti da tempo di alcune figure blasfeme, insieme a quella della morte, scolpite insieme a quelle mariane, che sembrerebbero mostrarsi solo in alcuni momenti della giornata, con il gioco di luce ed ombre, o in certe visuali creati dalla prospettiva.

L’immagine della morte con la falce apparirebbe guardando la statua da dietro e un’ antica leggenda vuole addirittura che chiunque riuscisse, semmai , a vederne l ‘ immagine di faccia ne acquisti in cambio l’ immortalità.

 

Lo strano fenomeno sembra spiegarsi con uno strano effetto ottico che si può notare solo in alcune ore della giornata, soprattutto verso sera all’imbrunire, che rendono la statua grottesca: osservando la statua da dietro infatti si noterà che ella avrà il velo increspato. Aguzzando la vista, con un gioco di prospettiva la statua sembrerà del tutto diversa: il velo coprirà, come un cappuccio, una figura simile alla Morte che brandisce la classica falce ;l’immagine delle Madonna nasconde quindi un segreto, o forse è solo suggestione.

In alcune ore del giorno, specialmente con la luce del tramonto o dell’alba, l’aspetto della statua cambia alla vista. Il drappo non sembra più coprire la Vergine, ma una figura scheletrica che regge una falce: la Morte.

 

 

Alcuni associano tale figura a quella della “Santa Muerte”, la “Santissima” divinità venerata da alcuni culti e sette sorti in Messico e che alimentano alcune branche di criminalità negli U.S.A..Difficile risulta credere che anche a Napoli ci sia stato il culto della “Santissima”: la Santa Muerte ha origini incerte per quanto riguarda la data di nascita. E’ certo che il culto sia nato in Messico e che fino agli inizi del Duemila fosse rimasto tale. Dopodiché, un arcivescovo messicano allontanato dalla Chiesa Cattolica, ne professò le regole. Dapprima additato dalla comunità messicana, oggi la religione-culto gode di popolarità, soprattutto nei ranghi delinquenziali. Comunque sia, la statua tipica della Santa Muerte è uno scheletro in un velo di vario colore a seconda del male da debellare (in giallo: risolve problemi di danaro, in rosso: cancella i crucci in amore; in nero quella generica e più conosciuta…).
L’accezione esoterica presenta tra le mani, oltre che la falce e la bilancia, una marionetta e una clessidra, a sottolineare la sua importanze nel conteggio della vita dell’uomo.
Spesso si pensa che invocarla inutilmente provocherebbe la morte di un parente o un amico e che, più raramente, la Santa Muerte sia gelosa degli altri santi, che non dovrebbero essere più adorati.
Leggenda o realtà che sia, la nostra Vergine Maria dell’Obelisco dell’Immacolata è fatta di rame, che col tempo si è ossidato ed è diventato azzurro-verde.
Lo stesso colore della Santa Muerte risolutrice dei problemi di lavoro …..

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La Chiesa di San Lorenzo mostra invece la sua parte esoterica nel suo interno , sul  dorso della mano guantata della statua dormiente di Leone II .  Si tratta del famoso sigillo di Salomonis  noto anche come Esagramma salomonico . Il simbolo è formato da  due triangoli equilateri incrociati e rappresenta l’unione tra uomo e divino. Il Sigillo di Salomone ha un’origine molto antica e si riscontra in diverse culture, non solo religiose. La stella a sei punte viene spesso ritrovata nei libri magici e negli esorcismi di tradizione popolare, assumendo le sembianze di  potente simbolo magico . Si narra che Re Salomone, figlio di David, usò la stella a sei punte per scacciare i demoni in punto di morte.

 

La Chiesa di Santa Maria Maggiore  che si trova nel decumano maggiore venne eretta come basilica paleocristiana su una preesistente struttura di epoca romana, essa risale al IV secolo ,nello stesso luogo dove si ergeva un tempo  il tempio dedicato alla dea  Diana ,dea della Luna e della caccia, e  protettrice delle donne.

Le sue sacerdotesse e seguaci, dette janare  , erano le depositarie di un sapere astronomico e religioso senza tempo ed erano a conoscenze di molti culti misterici ( Il termine janara era la trascrizione dialettale del latino dianara, che significa “seguace di Diana”).
Esse conoscevano il ciclo dei pianeti e miracolosi rimedi fito-terapici e pertanto secoli fa, quando non esistevano ospedali o ambulatori medici, era proprio a loro che si rivolgevano le genti locali per essere curate.

le ianare

Il culto per la dea Diana era  riservato alle sole donne (perché a queste prometteva parti non dolorosi ) che sopratutto in  corrispondenza con la luna nuova, si recavano in processione al tempio di Diana/Artemide per propiziare il parto o per ringraziare la dea per averle assistite ( in molti scavi sono emersi ex voto anatomici e statuette di madri con lattanti).

 

Le sacerdotesse di Diana erano anche esperte ostetriche, e praticavano gli aborti attraverso infusi di erbe, come il prezzemolo. Il ritrovamento negli scavi di Pompei di oggetti simili a raschietti ha fatto supporre l’ipotesi che nell’antichità venisse praticato anche l’aborto con raschiamento dell’utero.
Queste sacerdotesse erano temute e rispettate, depositarie di un sapere astronomico, religioso e medico senza tempo e si tramandavano in maniera ereditaria antichi culti e pratiche occulte di magia.

CURIOSITA’: Gli uomini  furono ingelositi  da tale culto che li escludeva del tutto anche da questioni familiari  e furono infastiditi da tali arti magiche  che incominciarono a temere. Gli uomini inoltre erano irritati dalla popolarità che il culto di Diana  riscuoteva in questa zona poiché molte promesse spose  pur di evitare matrimoni infelici, preferivano votarsi alla Dea Diana e offrire la loro castità. Le ragazze divenute poi sacerdotesse venivano appellate dagli stessi uomini amareggiati, in maniera dispregiativa col sostantivo di  ianare (da dianare o sacerdotesse di Diana) ed infine per vendicarsi bollate di stregoneria, capaci di invocare il demonio. La parte maschile del popolo, quindi che mal vedeva questo luogo frequentato da sole donne, temendo di perdere il loro potere in società, incominciarono a fare di tutto per screditarlo.

Incominciarono con lo screditare le sacerdotesse accusandole di eresia, adulterio apostasia, blasfemia, e bigamia e tante altre numerose ingiurie con il solo scopo di annullarne il potere acquisito.

Già tutto questo basterebbe a dare un significato misterioso al luogo che invece come se non bastasse pare che esso sia il luogo dove secondo un’antica leggenda, sotto la piccola piazzetta antistante ,  vi abitasse il diavolo in persona. Egli  tutte le notti travestito  da enorme maiale, pare che si aggirava minaccioso per la piazza e le strade limitrofe per spaventare col suo diabolico grugnito i passanti.

 

Il  feroce maiale dal grugnito infernale, appariva nel cuore della notte aggredendo i passanti e squarciando porte e finestre. Per tutti si trattava della personificazione del male: era il Diavolo, incarnatosi nel corpo di un maiale, con l’intento di suscitare terrore e disperazione.
Secondo gli abitanti del luogo, il centro di tale malvagità  si trovava proprio  sui vecchi resti del tempio di Diana, dove alcune donne (streghe) continuavano a praticare strani vecchi rituali sinistri in gran segreto,  che avevano il solo scopo di alimentare  la furia vendicativa di Diana, che per vendicarsi della distruzione del tempio a lei dedicato aveva così consegnato alla città un orribile maiale, invaso di violenza e ira accecante che con il suo spaventoso grugnito, sembrava uscire dall’ inferno.

Il popolo napoletano anticamente, nonostante da tempo avesse accettato la fede cristiana, continuava di tanto in tanto a praticate culti pagani in città’ e fino a tutto il seicento si continuava a svolgere in questo luogo ogni mese di maggio una grande festa conosciuta come ” gioco della Porcella“.
Si trattava di una reminiscenza dei sacrifici di maialini dedicati a Demetra, dea della terra, che aveva il suo tempio poco lontano, vicino piazza San Gaetano, dove ora sorge la chiesa barocca di San Gregorio Armeno. Bisogna anche ricordare che durante il Medioevo era comunque consuetudine uccidere un maialino o una scrofa in questo periodo nella cattedrale principale di una città’ o paese.
Avete mai sentito ammazzare un maiale purtroppo? Le urla sono alte e strazianti e questo spaventava il popolo …  ed esse sembravano provenire proprio da quel luogo, da quella piazzetta ….. da sotto a quel campanile che fu considerato maledetto dal demonio.

N.B. Nel vicino Campanile della Pietrasanta , la cui architettura è costituito da frammenti di epoche diverse , si possono notare anche delle  delle piccole sculture in marmo di teste di suino, che fanno riferimento alla leggenda del Porco-Diavolo e alla Festa della Porcella.

 

Furono proprio  questi riti pagani e la paura di quete urla di maiali uccisi durante la famosa festa  le origini della intuizione, nel 533 d.C. che spinsero San PomponioVescovo di Napoli, a cogliere l’occasione per erigere una basilica Paleocristiana sui resti del tempio pagano di Diana. Egli non aspettava altro che l’occasione buona. Ed un giorno questa avvenne…

 

Un giorno, in concomitanza di più persone che avevano contemporaneamente deciso di praticare l’antico culto pagano, le urla di notte si levarono strazianti e spaventose.
Le persone impaurite associarono la presenza dell’animale alle donne che praticavano il culto della Dea Diana, quindi per loro quell’animale era il Diavolo travestito da maiale. Spaventati corsero dal vescovo Pomponio, e lo supplicarono di pregare la Madonna per allontanare il demonio. Il vescovo spinto dalla folla organizzo’ subito una messa che dedico alla vergina Maria pregandola di intervenire seduta stante.

La risposta avvenne secondo il vescovo durante la notte grazie ad un suo sogno: la Vergine avrebbe raccomandato a Pomponio di andare nel luogo dove appariva il demonio, e di cercare con attenzione un panno di colore celeste,  e di scavare sotto quel panno fino a quando non riusciva a trovare una pietra di marmo che li si nascondeva.
Quello era il luogo dove egli doveva costruire una Basilica paleocristiana da dedicare alla Madonna se voleva liberarsi del demonio.

Soltanto così si sarebbero liberati della satanica apparizione, e così nacque la chiesa di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta, che deve il proprio nome alla pietra santa e che sembra si trovi ancora all’interno della chiesa stessa.
Sulla pietra che mostrava una croce incisa  fu posta un’immagine della Madonna e ad essa fu dato un potere enorme:  quando la si baciava essa procurava l’ indulgenza  da tutti i peccati ed il salvataggio eterno.
La famosa pietra Santa pare che fosse stata portata da pellegrini provenienti da Gerusalemme, ed in particolare si pensa che la pietra provenga dalla chiesa di Santa Maria Maggiore di Sion e che essa sia stata addirittura benedetta dal papa nell’anno 533. Dopo inutili tentativi di ricerca fu rinvenuta durante i lavori di restauro del  1657, eseguiti dal famoso architetto dell’epoca Cosimo Fanzago  e conservata nel suo interno. Essa fu posta ai piedi della statua della Madonna della Neve , un tempo presente nella chiesa ed oggi andata perduta .

Anora oggi , a distanza di secoli , la possiamo vedere esposta ai piedi della stessa cappella votive dedicata alla Madonna , incastonata su un piedistallo di pietra lavica nera .

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Campanile appare impregnato di iscrizioni e simboli misteriosi fra cui la tavola del gioco romano «ludus latrunculorum»  una sorta di anrenato del gioco della dama .  Una  scacchiera , che richiama la pianta “ippodomea” di Napoli.

La scacchiera, ricordiamelo , è uno dei simboli della Massoneria  ed è il pavimento rituale di ogni loggia massonica. Ritroviamo il quadrato infatti  in riferimento alla Tetractys pitagorica ed è considerato il numero della manifestazione Universale nel concetto del quadrato Perfetto.

 

 

L’evento della costruzione della Basilica e la sconfitta del diavolo, simbolo del bene che prevale sul male, e’ stato per molti anni ricordato dallo stesso  vescovo con un particolare cerimoniale. Egli affacciato alla finestra della Basilica, ogni anno, per ricordare la data dell’evento, sgozzava dinanzi a tutti un’enorme suino che doveva essergli offerto dai fedeli. La pratica poi per fortuna è stata abbandonata perché ritenuta indecorosa e pagana.
Il furbo vescovo Pomponio provvide dopo la costruzione della basilica, a dare una nuova immagine all’intero luogo affidando la chiesa ai  monaci benedettini, che curavano sia uomini che donne con erbe speciali e pozioni medicamentose;  particolare attenzione fu data alle donne che soffrivano per parti difficili.
Incominciò contemporaneamente una campagna denigratoria e diffamatoria nei confronti di quelle misteriose sacerdotesse detentrici di poteri magici a lui e a tutta la chiesa sconosciuti. Con l’aggravante di aver rifiutato Dio, le dianare vennero di conseguenza designate come donne possedute dal diavolo che esse servivano con riti magici.  Secondo il tribunale dell’inquisizione si dedicavano all’esercizio della stregoneria grazie ai loro poteri occulti con l’unico intento di servire Belzebu’ ma non adorarlo . Esse infatti erano solo seguaci della misteriosa divinità Diana che  nella mitologia greco-romana, era seguita nelle sue peregrinazioni notturne da una schiera di morti senza pace: i morti anzitempo, i bambini deceduti prematuramente, le donne morte di parto , le vittime di morte violenta e quelle appartenenti ad entità   stregonesche .Con la decadenza della religione antica e l’avvento del cristianesimo, Diana assunse  «le sembianze inizialmente di una sorta di fata-maga – per poi giungere a quello di strega che dovevano necessariamente essere  combattute , distrutte e  perseguitate .   Tutte le donne che ricorrevano al culto di Diana furono a quel punto accusate di stregoneria e bandite dalla città.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La loro persecuzione iniziò come quelle di tutte le streghe,  con le prediche di San Bernardino da Siena.  Egli  le indicava come causa di sciagure e sosteneva la tesi secondo la quale dovessero essere sterminate. Nel 1486 fu addirittura pubblicato  il “Malleus Maleficiarum “, che spiegava come riconoscere le streghe, come processarle e come  interrogarle con torture atroci. Proprio attraverso tali torture furono raccolte diverse confessioni, nelle quali si parlava di sabba a Benevento, di voli, di scope e della pratica di succhiare il sangue dei bambini.  Di conseguenza molte di queste fantomatiche streghe finivano poi per essere mandate al rogo o al patibolo.

 

La leggenda delle streghe di Benevento ebbe risonanza amplissima in tutta Europa e, l’albero del “noce stregato”, ipoteticamente situato in una località chiamata Ripa delle Janare, nei pressi del fiume Sabato, divenne il più famoso del mondo.

Secondo una leggenda e strane confessionati carpite sotto tortura ,  queste streghe di Benevento pare , si raccogliessero attorno ad un noce magico, in un rito magico detto Sabba. Prima di avviarsi le streghe si preparavano al sabba cospargendosi il petto con un unguento gelosamente conservato sotto il letto o nel camino, dopodiché uscivano volando sulle proprie scope di saggina, al suono dell’antico adagio: “Sotto l’acqua, sotto ‘u viento, sott’ a noce ‘e Beneviento” . Giunte in una località chiamata Ripa delle Janare, le streghe una volta reso omaggio al capo (assomigliante ad un grosso cane o ad un caprone) si davano poi al rituale.
Questi consistevano in banchetti, con spiriti e demoni sotto forma di caproni o gatti. Il banchetto veniva consumato intorno a “’na tavola longa longa”, carica di dolci, vini ed altre cose prelibate. Seguiva la danza cui le streghe partecipavano con grida,imprecazioni , ostie profanate, crocifissi calpestati, imprecazioni e fracasso infernali culminanti in vere e proprie orgie dove spesso si accoppiavano con demoni  Qualcuno a tal proposito ha avanzato l’ipotesi che il misterioso unguento fosse una sostanza allucinogena (amanita muscaria). Dopo le riunioni le streghe seminavano il terrore. Si credeva che causassero aborti, deformità nei neonati, facessero dispetti, facendo trovare le criniere dei cavalli intrecciate. Ancora oggi nei paesini del beneventano circolano voci secondo le quali le streghe rapiscano dalle culle i neonati, per passarseli tra di loro e riportarli infine al loro posto. Il rituale di carattere erotico-orgiastico ebbe grande diffusione popolare , fino a quando fu bandito, nel 139 a.C.. In seguito il culto proseguì in forma misterica ed esoterica.

La pianta del noce era considerata “Simbolo di fertilità” (si evince dal termine glans, ghianda, da cui deriva anche la parola “glande”) in quanto gli antichi romani vedevano anche una somiglianza tra i testicoli ed il mallo (il guscio) della noce. Le noci venivano usate per scherzi nuziali: durante il corteo venivano gettate sul marito, oppure (secondo Virgilio) lanciate dallo sposo stesso.

L’albero di noce era anche sacro a Dionisio ed anche nei rituali pagani della celebrazione dei Misteri Dionisiaci, le sacerdotesse del dio, cioè le Menadi, chiamate anche Baccanti, celebravano danze sfrenate ed estatiche attorno ad un albero di noce.
La chiesa locale non poteva però accettare che tutto questo si svolgesse sotto i suoi occhi, e approfittando di una delle periodiche guerre tra Longobardi e Bizantini il vescovo del periodo: San Barbato fece tagliare il Noce di Benevento. Ma lo stesso albero pare che più’ volte sia ricresciuto nonostante più volte tagliato continuando ad essere il luogo preferito dalle streghe per i loro Sabba.

Il rito sembra avere origini similitudini lontane importate dalle dominazioni locali.
In particolare il tutto sembra probabilmente legato al periodo in cui la città di Benevento venne conquistata dai Longobardi.

I longobardi infatti, che celebravano il culto di Wotan, padre degli dei, con un rito orgiastico presso il fiume Sabato, erano usi appendere ad un albero sacro la pelle di un caprone. Successivamente i guerrieri, correndo a cavallo intorno all’albero, gareggiavano per colpire la pelle con le frecce, la quale poi veniva strappata a brandelli e mangiata.

Questi particolari riti celebrati presso il fiume Sabato, sono stati probabilmente all’origine dell’idea dei riti delle streghe.
I Longobardi inoltre adoravano un serpente d’oro (probabilmente legato alla dea Iside, che era dominatrice dei serpenti).
Nonostante che la sua immagine venga spesso confusa con lo stereotipo della strega cattiva, la janara è, in realtà, il simbolo della vita vissuta in armonia con la natura, ossia in sintonia con la madre Terra. Si ritiene che le ultime vestali del tempio di Iside e Diana a Benevento, scacciate dalla città, furono costrette a vivere nei boschi della valle del fiume Sabato, e siano le progenitrici delle janare, le quali conoscevano il ciclo dei pianeti, e i rimedi fito-terapici. Secoli fa, quando non esistevano ospedali o ambulatori medici, era proprio a loro che si rivolgevano le genti locali per essere curate.

Non si conosceva l’identità delle janare: esse di giorno potevano condurre una esistenza tranquilla senza dare adito a sospetti. Una Janara poteva essere una persona normale, magari anche sposata, in grado di frequentare le messe domenicali.
Di notte, però, dopo essersi cosparse il petto del suo unguento magico, esse avevano la capacità di spiccare il volo a cavallo di una una scopa costruita con saggina essiccata.

Nelle campagne lentamente incominciò a diffondersi la paura per le streghe e si cercò di trovare un rimedio utile per allontanarle. Presso gli usci si ponevano quindi scope o sacchetti con grani di sale, in modo che, se la janara riusciva ad entrare, sarebbe stata costretta a contare i fili della scopa o i granelli di sale, senza poter venire a capo del conto. L’alba sopraggiungeva a scacciarla, poiché non si accorgeva del passare del tempo, impegnata nell’insulsa operazione. Gli oggetti posti a tutela delle porte infatti avevano ed hanno insite virtù magiche: la scopa per il suo valore fallico, oppone il potere maschile e fertile a quello femminile e sterile della janara; i grani di sale sono portatori di vita, poichè un’antica etimologia connette sal (sale) con Salus (la dea della salute).

Pe combattere le streghe , c’erano fortunatamente , nel mondo contadino popolari , i  benandanti , una serie di persone predestinate fin dalla nascita a contrastare il potere delle streghe e dei stregoni .Essi credenze popolari medievaliavevano  il potere e la capacita di uscire come spirito dal proprio corpo per affrontare le streghe e le altre creature diaboliche che come vedremo minacciavano la fertilità dei campi. Queste battaglie notturne si svolgevano durante le quattro tempora, e i benandanti combattevano armati di rami di finocchio contro streghe e stregoni armati, invece, di canne di sorgo. Se i benandanti vincevano, il raccolto sarebbe stato propizio e quell’anno sarebbe stato quello dell’abbondanza , se  altrimenti perdevano  il raccolto era misero e quell’anno era quello della carestia.

Il loro potere secondo  credenze popolari nasceva dalla fortuna di essere  nati «con la camicia», cioè ancora avvolti dopo il parto , da una piccolo residuo di menbrane del sacco amniotico , Questo segnale veniva considerato  benaugurante ed il neonato che ne era in possesso veniva non solo considerato un futuro uomo fortunato, ( si riteneva addirittura che la «camicia» amniotica avesse il potere di proteggere dalle ferite), ma addirittura un futuro benandante .

I benandanti venivano comunque divisi in quelli  «agrari» le cui battaglia erano finalizzate per la fertilità dei campi, ( in genere riservate ai benandanti uomini),  in quelli  «funebri»  che in processioni notturne  parlavano con i morti ,(  perlopiù benandanti donne) ed in quelli  «terapeutici»  che invece  curavano malattie e ferite, praticando una magia positiva e benefica in opposizione alla magia diabolica distruttiva delle streghe ( in queste attività erano coinvolti sia benandanti uomini sia donne).

In generale erano comunque considerati almeno inizialmente come elementi positivi . Essi oltre che combattere streghe e stregoni , si racconta che conoscevano il passato e il futuro, erano in grado di ritrovare oggetti perduti, allontanavano la grandine e conoscevano incanti che proteggevano la gente e gli animali dall’azione delle streghe . Non solo: essi dichiaravano anche di essere capaci di evocare «l’esercito furioso, composto da bambini morti prima di essere battezzati, dagli uomini uccisi in battaglia e da tutti gli “ecstatici”», cioè da coloro la cui anima aveva abbandonato il corpo senza farvi più ritorno. Ancora, essi affermano di essere in grado di compiere tali prodigi per essere stati ammessi nel «misterioso regno di Venere»: ciò, naturalmente, li ricollega alla divinità femminile adorata durante questi ambigui convegni notturni, la Frau Venus germanica che ricorda la Afrodite mediterranea. Non stupisce, quindi, perchè poi in un secondo momento  l’inquisizione ,in meno di un secolo, fu pronta a metterli sotto  pressione trasformandoli  in odiati antagonisti. Furono infatti con il tempo trasformati da amichevoli benefici  guaritoi  in incredibili  adoratori del demonio  che si recavano a misteriosi raduni notturni, di cui non potevano  far parola sotto pena di essere bastonati, cavalcando lepri, gatti e altri animali.

Come abbiamo potuto aver modo di vedere , un tempo (verso la fine del 500 ed inizio 600 ), era molto diffuso il mito  della processione notturna , formato da coloro che sono morti prima del tempo, come ad esempio i guerrieri morti in battaglia, costretti a vagare durante le quattro tempora (e in particolare nelle notti che vanno da Natale all’Epifania) finché non sia trascorso il periodo che dovevano trascorrere sulla terra. Durante questo periodo i contadini credevano che una divinità di nome Hera, portatrice di abbondanza, vagasse volando durante tutti i dodici giorni ( questo periodo era consacrato al ritorno dei morti»,  durante il quale, nel mondo germanico, «si pensava che i morti andassero in giro vagando ).

CURIOSITA’ : Secondo molte testimonianze, la schiera dei morti, denominata «esercito furioso», sarebbe guidata dal leggendario uomo selvatico o demone della vegetazione, conosciuto con il nome di Harlechinus o Hellequin .

Tali figure femminile furono inizialmente identificata in Diana, la dea lunare non solo legata alla cacciagione, ma anche alla vegetazione, e solo in un secondo tempo con la “ Befana “, una vecchina affettuosa ,rappresentata su una scopa volante che aleggiava sopra i campi di notte per  propiziarne la fertilità che ancora oggi , passati tanti secoli viene da noi festeggiata nei 12 giorni che seguono il Natale ( epifania ). 

Essa , vista come la personificazione al femminile della natura invernale, veniva rappresentata come una vecchia gobba con naso adunco, capelli bianchi spettinati e piedi abnormi, vestita di stracci e scarpe rotte. Il naso adunco era beneaugurante per il raccolto dell’anno seguente.

Ma è nel nord Europa e sopratutto nella tradizione celtica che si ritrova il vero aspetto della benevola vecchina vestita di laidi stracci. che ancora oggi raffigura la befana .  Queste divinità, nelle dodici notti del Solstizio d’inverno, si recavano a visitare ogni casa, entrando dalla cappa del camino, spargendo e dispensando fortuna.

 

 

 

 

 

 

 

I Romani che ereditarono tali riti , credevano che in queste dodici notti (il cui numero avrebbe rappresentato i dodici mesi dell’innovativo calendario romano )  per propiziare la fertilità dei futuri raccolti , volassero sui campi coltivati, benevoli  e mitologiche figure femminili ( da cui il mito della befana “volante).

Il proverbiale «volo delle streghe», e le loro cavalcate notturne ebbe comunque una notevole diffusione nell’Europa medievaleanche se con diversi personaggi . . A capo di questa processione notturna dalle nostre parti vi era sicuramente  Diana mentre  nelle zone germaniche vi erano le divinità  Perchta e Holda, dee della vegetazione, della morte ,della vita  e quindi della fertilità, ma anche della luna e della notte.

Probabilmente esse rappresentavano  l’arcaica progenitrice dei Germani, cioè  la divina filatrice  Berta dai “grandi piè”, madre di Artù,ma in  omonima anche genitrice di Odino-Wotan . Personaggio che come re Artù sono entrambi in relazione con l’orso (con la cui pelle, ricordiamo, si travestivano le sacerdotesse di Artemide Brauronia durante i loro rituali). L’animale, oltre ad una relazione con Afrodite, evoca possibili riferimenti alla stella polare (Ursae Minoris) nonché all’assialità (il sacro frassino Yggdrasill, Albero del Mondo a cui Odino resta appeso per nove giorni.

Essa fu volutamente rappresentata vecchia perché doveva simbolicamente rappresentare l’anno vecchio ed indicare il finire di un ciclo: con il solstizio d’inverno si passa infatti dal vecchio al nuovo, dal freddo e dalle notti interminabili all’allungarsi del periodo di luce. Con la fine dell’anno ancora oggi si entra nel nuovo anno , lasciando il vecchio alle spalle per guardare il nuovo .

Il substato arcaico delle feste di fine anno riguardo i  tradizionali 12 giorni fra Natale ed Epifania era un  momento molto importante nel passato per le antiche civiltà .Era il periodo che  nel vecchio calendario Giuliano avveniva il solstizio d’inverno. Ed era il periodo in cui veniva celebrato un giorno particolare : il 25 dicembre. 

In quel periodo il sole raggiunge il punto di massima distanza dal piano equatoriale, la notte raggiunge la massima estensione e la luce del giorno la minima. Si verificano cioè la notte più lunga e il giorno più corto dell’anno.

Subito dopo il solstizio, la luce del giorno torna gradatamente ad aumentare e il buio della notte a ridursi fino al solstizio d’estate, in giugno, col giorno più lungo dell’anno e la notte più corta.

 Il giorno del solstizio cade generalmente il 21, ma per l’inversione apparente del moto solare diventa visibile solo il terzo/quarto giorno successivo,cioè il giorno 24 dicembre . Il sole, quindi, nel solstizio d’inverno giunge dapprima nella sua fase più bassa  di luce e calore, per tornare poi il giorno dopo più forte e vitale . Egli mostra in questo modo di essere  “invincibile” alle stesse tenebre.

 Il  25 dicembre quindi il sole rinasce, per dare il nuovo “Natale” all’anno.

Era questo un giorno molto importante  e simbolico per gli antichi popoli perché rappresentava la rinascita del mondo . Esso  venne celebrato ovunque associandolo spesso al giorno di nascita o di feste di alcune divinità , la cui storia ha poi certamente ispirato alcuni racconti riportate dalla religione cristiana , come per esempio  la data della  nascita di Cristo .

 

N.B.  Sol Invictus, cioè Sole invitto era il nome religioso usato per diverse divinità

La divinità maggiormente celebrata il 24 dicembre era il Dio  Mithra , una divinita’ di origine indiana e persiana ,il cui  culto era una delle religioni più ‘ diffuse nell ‘ antichità

Egli viene spesso   rappresentato con in testa una corona raggiata donatagli dal sole in conseguenza di un patto raggiunto tra i due ( era per questo considerato il dio dei giuramenti e dei patti ).

 Il Dio Mitra veniva festeggiato nel giorno in cui oggi festeggiamo la nascita di Gesù’ il 25 dicembre  e al termine del suo operato , con l’aiuto del Sole  assunse in cielo a 33 anni , da dove continuava a proteggere gli esseri umani.  Era inoltre stato partorito incarnandosi in una donna  vergine, venne adorato dai pastori ,  aveva dodici discepoli e veniva soprannominato “il Salvatore”.   . Fu ucciso da una lancia che gli trapassò il suo costato e risorse dopo tre giorni . Poiché era nato vicino alla  pietra di una caverna ,presso un albero sacro e con la torcia in mano ( simbolo della luce che si spande sul mondo ) , la caverna divenne il simbolo della nascita del nuovo Dio .

Il mito narra che alcuni pastori presenti all’evento soprannaturale gli avevano offerto primizie dei greggi e dei raccolti. Non poche le analogie con la nascita del Cristo in una “grotta” illuminata da una stella mentre i pastori lo adoravano.

 I luoghi  dove si venerava il suo culto erano chiamati mitrei e la dottrina che portava la sua conoscenza prevedeva la partecipazione di una presenza di un sacerdote .

E per finire , egli veniva adorato sopratutto la Domenica .

Come potete notare ci sono molte analogie  con la nascita e la figure di Cristo .Come appare evidente che che i cristiani abbiano “ribattezzato” la festa pagana del Sole Invitto come “Festa della nascita di Cristo”, spostandone la data dal 21 al 25 dicembre, per soppiantare l’altra, sempre molto diffusa tra la popolazione.

“Il Natale nei primi secoli della chiesa cristiana non veniva infatti  celebrato , in quanto l’usanza cristiana in generale era quella di celebrare la morte delle persone più importanti, non il giorno della loro nascita …

 La  festa del Natale come nascita di Gesù fu stabilita in memoria di questo evento solo nel quarto secolo …Poiché il giorno esatto della nascita di Cristo non era noto, la Chiesa occidentale nel quinto secolo ordinò che la festa venisse celebrata per sempre nello stesso giorno dell’antica festa romana in onore della nascita del dio Sole”.

CURIOSITA’ : Altre Chiese cristiane, come quella ortodossa, copta, armena, continuano  a celebrare la nascita di Cristo  il  giorno dell’ l’Epifania .

Il popolo  era comunque molto legato alle feste pagane dei saturnalie della brumalia . Esse erano troppo radicate nel costume popolare per essere abolite dall’influenza del Cristianesimo … La festa pagana, con le sue baldorie e gozzoviglie, era talmente popolare che i Cristiani furono ben contenti di avere trovato una scusa per perpetuarne la celebrazione con pochi cambiamenti, sia nello spirito che nelle usanze …

CURIOSITÀ’ : A Roma Mitra fu soprattutto il Dio dei soldati, che con le sue regole di comportamento molto precise, richiedeva temperanza, l’autocontrollo e sopratutto compassione anche nella vittoria . Nell’antica Roma oltre a diffondersi  tra le milizie militari ,  venne comunque abbracciata anche da  agricoltori, burocrati, mercanti ,  schiavi, e persino da grandi Imperatori .

La gran confusione  fra i culti pagani e quello cristiano durò diversi secoli, facendo letteralmente indispettire il mondo cristiano .

 Guardate cosa scriveva a questo  proposito sconsolato  il papa Leone I nel 460 :

«È così tanto stimata questa religione del Sole che alcuni cristiani, prima di entrare nella Basilica di San Pietro in Vaticano, dopo aver salito la scalinata, si volgono verso il Sole e piegando la testa si inchinano in onore dell’astro fulgente. Siamo angosciati e ci addoloriamo molto per questo fatto che viene ripetuto per mentalità pagana. I cristiani devono astenersi da ogni apparenza di ossequio a questo culto degli dei. »

Il Mitraismo, era un grosso concorrente per la chiesa cristiana per che esso , come il Cristianesimo, offriva la salvezza ai suoi seguaci ( anche Mitra era nato nel mondo per salvare l’umanità dal male ). 

Il suo culto non prevedeva l’abolizione di altre religioni .Gli antichi romani , erano infatti  un popolo molto tollerante dal punto di vista religioso . Essi  avevano una propria religione di stato che era pagata dallo stato , ma le altre religioni erano ugualmente rispettate e potevano convivere ufficialmente con queste. La religione cristiana quindi ,non fu perseguitata come religione, ma perchè i suoi seguaci volevano abolire le religioni di stato romane. Volevano insomma abbattere qualsiasi altra religione, in modo davvero poco democratico.

Aureliano consacrò il tempio del Sol Invictus il 25 dicembre 274, in una festa chiamata Dies Natalis Solis Invicti, “Giorno di nascita del Sole Invitto”, facendo del dio-sole la principale divinità del suo impero ed indossando egli stesso una corona a raggi. La festa del Dies Natalis Solis Invicti divenne via via sempre più importante in quanto si innestava, concludendola, sulla festa romana più antica, i Saturnali che  si prolungavano dal 17 al 25 Dicembre e finivano con le Larentalia o festa dei Lari, le divinità tutelari incaricate di proteggere raccolti, strade, città e famiglia.

Curiosità : I Saturnalia, una celebrazione religiosa dedicata al dio Saturno, dapprima divinità agraria latina, protettrice della semina e delle sementi, e poi assimilato al dio greco Cronos, sposo di Rhéa, la “Terra”.

A proposito di antiche festività romane legate ai campi  sapete che anche  il Ferragosto , la festa più attesa dell’estate , ha origini pagane e risale all’Antica Roma ?

Il termine Ferragosto deriva dalla locuzione latina Feriae Augusti (riposo di Augusto) ed indica una festività istituita nel 18 a.C. dall’imperatore Ottaviano Augusto, primo imperatore romano ( il mese agosto e la festa prese tale nome proprio In suo onore  ). Si trattava di un periodo di riposo , festeggiamenti e celebrazioni  successivi ai Consalia, cioè le feste che celebravano la fine dei lavori agricoli dedicate a Conso, che, per i Romani, era il dio della terra e della fertilità. I lavori agricoli erano terminati e, dopo le fatiche nei campi, i romani potevano svagarsi assistendo a corse di cavalli e altri giochi pubblici.

L’Imperatore aggiunse  il periodo di lungo riposo e festeggiamenti alle già presenti celebrazioni dei Vinalia rustica, Nemoralia o i Consualia .

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Le Feriae Augusti servivano proprio a riprendersi dalle fatiche dei campi  .  I contadini in questo periodo potevano finalmente quindi riposarsi e per usanza facevano gli auguri ai proprietari dei terreni ricevendo in cambio una mancia.

Il riposo era concesso a tutte le attività lavorative ed oltre agli uomini era allargato anche agli animali “simbolo” del lavoro quali muli e asini che venivano fatti riposare e abbelliti con fiori e ghirlande. In tutto l’Impero si organizzavano feste , celebrazioni e giochi pubblici di vario genere, come per esempio famose corse di cavalli, mentre gli animali da tiro, esentati dai lavori nei campi, venivano adornati di fiori. Anticamente, come festa pagana, era celebrata il 1° agosto. Ma i giorni di riposo (e di festa) erano in effetti molti di più: anche tutto il mese, con il giorno 13, in particolare, dedicato alla dea Diana.

La celebrazione delle Feriae Augusti originariamente cadeva il 1º agosto, mentre la scelta del 15 agosto, quando si festeggia Ferragosto nei giorni nostri, si deve alla Chiesa Cattolica, che fece coincidere la festa religiosa dell’Assunzione di Maria. La data del ferragosto venne infatti spostata dalla chiesa cattolica ,attorno al VII secolo,  dal primo al 15 agosto, proprio per farla coincidere con l’Assunzione di Maria. ( assunta in cielo in questa data sia con l’anima sia con il corpo )

La tradizione invece della gita fuoriporta nasce nel ventennio fascista. Nel 1931, infatti, l’allora ministero delle Comunicazioni istituì i “Treni popolari di Ferragosto“, che permettevano agli italiani di raggiungere le località di vacanza a un prezzo ridotto .

L’offerta  valida solo per il 13, il 14 e il 15 agosto , aveva due varianti : la prima  di un solo giorno che poteva comprendere un raggio massimo di 50-100 km) e la seconda di tre giorni che poteva comprendere un raggio di 100-200 km. In quell’occasione, molti italiani videro per la prima volta il mare, la montagna, e le città d’arte. Questa iniziativa fu un evento importante per gli italiani . Essi per la prima volte nella storia dell’Italia moderna  avevano la possibilità, a prezzi ridotti rispetto al normale, di visitare spiagge, monti e città che difficilmente diversamente avrebbero mai visitato.

Non a caso, infatti, il Ferragosto è una festività esclusivamente italiana, visto che in giro per il mondo il 15 agosto è un giorno come tutti gli altri. Eccezion fatta per la cattolica Irlanda, che però celebra la giornata di oggi per la festa dell’Assunzione di Maria, non certo perché un imperatore romano, più di duemila anni fa, aveva ideato una festività propagandistica o perché duemila anni dopo un suo emulo aveva deciso di mandare in “vacanza” gli italiani.