Vi siete mai chiesti chi erano Giovanni Balsamo conte di Cagliostro, Luigi D’Aquino dei Caramanico, Giovanbattista della Porta , Raimondo Di Sangro VII Principe di San Severo , Tommaso d’Aquino ,Sant’Alberto Magno, Giordano Bruno e Tommaso Campanella ?
Sapete del vero significato della Fenice ?
Sapete cosa rappresenta il Caduceo ?
Che cosa è l’Uroboro ? …. ma sopratutto cosa rappresenta la leggendaria Pietra filosofale ?
Dottrine e scienze che nel corso dei secoli hanno contribuito ad alimentare movimenti di pensiero e la costituzione di cenacoli filosofici raggiungendo l’apice, nel XVIII grazie alla diffusione dell’Illuminismo.
Il termine da lui coniato , medicina spagirica , deriva dall’unione di due parole greche : spao che significa separare e Ageiro che invece significa ricombinare. La sua alchimia medica è qualcosa , possiamo definire a metà strada tra la odierna fitoterapia e l’omeopatia poichè univa i vantaggi di questi due sistemi terapeutici.
La Spagirica si basava infatti sulla convinzione che nell’uomo sano le forze dense e sottili sono in perfetto equilibrio e che la malattia interviene quando tale equilibrio è spezzato. La malattia dipenderebbe dunque da squilibri energetici che si manifestano solo in un secondo momento anche sul piano fisico. Il medico, riconoscendo la causa della malattia, può trovare il giusto percorso di guarigione e ricondurre il paziente alla sua armonia. La vera guarigione però non può venire che dal paziente stesso; i metodi terapeutici si limitano a fornire gli impulsi necessari all’ auto-guarigione. Il rimedio spagirico è quindi sopratutto olistico perché concentra in sé le forze di guarigione del corpo, dell’anima e dello spirito.
Tra le altre numerose Accademie che animarono Napoli ed il Regno , in particolare tra il XVI e il XVII secolo , non possiamo dimenticare di far almeno un cenno all’Accademia degli Investiganti , detta anche Accademia Chimica , fondata e diretta da Andrea Conclubet, marchese di Arena ( Clabria ) , pronipote di quel Conclubet che fu tra i difensori di Tommaso Campanella a tal punto da essere accusato di complicità e che morì ucciso vicino Portici in circostanze rimaste oscure .
I principali animatori di questa Accademia furono tre medici : il calabrese Tommaso Cornelio , l’irpino Leonardo di Capua e lo spagnolo Juan Caramuel Lobkowicz che fu pure teologo e vescovo a Campagna e a Satriano . Accanto a loro , ovviamente anche una lunga nutrita pattuglia di intellettuali partenopei come Luca Antonio Porzio , Marzio Carafa duca di Maddaloni , Gennaro e Francesco d’Andrea , Niccolò Amenta , Carlo Buragna e tanti altri .
Una piccola citazione la la merita anche l’Accademia dei Discordanti fondata dal medico Carlo Pignataro.
A Napoli , a praticare le scienze alchemiche non vi furono comunque solo Accademie letterarie e scientifiche , corti reali e dimore aristocratiche ma , almeno inizialmente anche numerosi complessi religiosi presenti in città i cui monaci , raccogliendo gli insegnamenti e le conoscenze alchemiche di quei medici templari confluiti nell’ordine , avevano avuto modo di sperimentare nuove formule e nuovi straordinari preparati che gli ex cavalieri avevano appreso grazie ai contatti avuti con quei medici arabi a loro volta eredi della sapienza mesopotamica , egiziane e greca .
Questi monaci furono una straordinaria fucina di grandi studiosi di botanica , farmacia , , medicina e alchimia che portarono a trovare altri e ben più efficaci rimedi naturali per i malanni del tempo , dando luogo ad una nuova medicina alchemico- templare che ancora oggi possiamo talvolta osservare in alcuni simboli , a cominciare proprio dall’immagine del vecchio barbuto con il bastone ( l’abacus degli antichi iniziati ) con in mano il libro ( il grimoire) della sapienza , sormontato dalla fiamma dell’adepto , senza dimenticare tra l’altro anche il famoso ” tau ” che appare sulla tonaca dei monaci .
Nato nel 1225 a Roccasecca, un piccolo paesino del Lazio , Tommaso d’Aquino , dopo essere stato dapprima educato nell’abbazia di Montecassino si trasferì poi a Napoli per frequentare l’Università fondata pochi anni prima da Federico II. All’età di 18 anni , entrò nell’ordine dei domenicani e, dopo un soggiorno nel suo castello di Roccasecca, dove si dedicò allo studio delle Sentenze e dei testi aristotelici (tradotti da Michele Scoto), lasciò l’Italia per divenire poi nel 1246 divenne allievo di Alberto Magno, seguendolo dapprima nella sua docenza a Parigi e poi a Colonia. Tornato a Parigi nel 1252 iniziò il suo magistero all’Università dove ottenne un notevole successo, venendo nominato nel 1257 magister, maestro .
Negli anni successivi alternò periodi di permanenza in Italia, dove tra l’altro si occupò di riorganizzare gli studi dell’ordine domenicano, a soggiorni parigini dove insegnava teologia. Nel 1272 rientrò definitivamente in Italia assumendo la docenza all’Università di Napoli.
Inviato da Papa Gregorio X al concilio di Lione nel 1274, si ammalò durante il viaggio e morì a soli 49 anni nel convento di Fossombrone. Il suo corpo, come non era infrequente, venne presto bollito per favorirne una migliore conservazione.
Nonostante una vita non particolarmente longeva egli produsse comunque una mole considerevole di scritti. A lui sono attribuite 36 opere e 25 opuscoli. Le sue opere maggiori son la Somma della verità della fede cattolica contro i Gentili, il Secondo commentario delle Sentenza e il suo capolavoro: la Somma teologica. Altra opera importante sono le Questioni, in cui Tommaso argomenta teologicamente le posizioni degli averroisti e degli agostiniani.
CURIOSITA’ : Nel suo aspetto fisico era un uomo grande e grosso, bruno, un po’ calvo ed aveva l’aria pacifica e mite dello studioso. Nel corso dei suoi studi a Parigi molti avevano ribattezzato Tommaso d’Aquino il “bue muto”, sia per la sua corporatura imponente ma pacifica, sia per il suo carattere taciturno.e silenzioso . Il suo maestro Alberto Magno diceva: «Questi, che noi chiamiamo bue muto, un giorno muggirà così forte da farsi sentire nel mondo intero».
Tommaso d’Aquino è stato sicuramente uno dei più ferdenti rappresentanti del mondo cattolico , immerso nella preghiere e dotato di forte amore verso il prossimo . Di lui si racconta che spesso durante la Messa si commuoveva addirittura fino alle lacrime , ma si racconta anche della sua generosità verso gli altri , sempre disposto ad aiutare i più deboli e dispensare buoni consigli verso chi ne aveva bisogno Era un uomo molto sereno , di spirito forte, previdente nel giudicare, dotato di tenace memoria, e libero da ogni sensualità che era capace di tenere a bada .
Giovanni XXII lo dichiarò santo nel 1323 mentre Pio X lo proclamò “Dottore della Chiesa”, raccomandandone lo studio come autore particolarmente affidabile.
Curiosita’: La sua famiglia provò a lungo a farlo desistere dalla sua vocazione, ma senza successo. Affascinato dal nuovo Ordine dei domenicani a Napoli, egli volle entrarvi a tutti i costi nonostante il parere contrario dei parenti . Fu infatti da questi osteggiato in tutti i modi possibili : i suoi fratelli arrivarono addirittura a provare a trascinarlo via con la forza sequestrandolo o addirittura distrarlo dalla sua missione tentando inutilmente di farlo “cadere” con una donnina di facili costumi da loro ingaggiata .
I Monasteri come dicevamo , furono quindi i primi grandi centri di assistenza sanitaria in città ed i loro orti dedicati alle erbe medicinali , divennero sede delle prime spezierie , dove gli stessi monaci creavano farmaci che poi , sopratutto i benedettini , somministravano agli ammalati : le loro sedi erano infatti sempre fornite di spazi destinati al ricovero e alla cura degli infermi .
Essi oltre che curare le anime curavano quindi anche il corpo , ma quest’ultimo , dopo una prima fase di alta generosità , finì poi nel trasformarsi in un un vero business di alto lucro . I farmaci infatti mentre inizialmente venivano distribuiti gratuitamente in cambio della sola elemosina in uno spirito altamente caritevole e all’insegna del solo aiuto verso gli infermi , vennero poi lentamente distribuiti spesso al solo pagamento di danaro o beni preziosi .
Il codice appartenne al letterato napoletano Antonio Seripando, fratello del più famoso cardinale Girolamo, generale degli agostiniani, tra i protagonisti del Concilio di Trento, già dai primi anni del 1500, ricevuto in dono dall’amico Girolamo Carbone, dottissimo umanista della corte aragonese. La proprietà del Carbone sembra che debba legarsi al dono fattogli dal filologo e bibliofilo cosentino, Aulo Giano Parrasio, di rientro a Napoli da Milano. Quest’ultimo l’avrebbe ereditato da Demetrio Calcondila, di cui aveva sposato la figlia Teodora.
Il codice, quindi, già a Napoli sicuramente fin dal primo ventennio del 1500, presso la biblioteca del convento agostiniano di S. Giovanni a Carbonara, fu poi portato a Vienna in Austria, nel periodo del viceregno austriaco, su ordine e volere di Carlo VI d’Asburgo, nel 1718, insieme ad altri testi di notevole pregio.
Restituito dopo la prima guerra mondiale nel 1919, dopo una breve sosta nella Biblioteca Marciana di Venezia, rientrò definitivamente a Napoli, per essere custodito definitivamente nella nostra Biblioteca Nazionale .
Virgilio era considerato il protettore della citta’ e questa operazione appariva agli occhi del popolo sacrilega , la profanazione del sepolcro mise in agitazione tutta la popolazione e sparsa la voce, l’ inquietudine comincio’ a circolare tra la gente.
La notizia si sparse per la citta’ ed una folla inferocita si riuni’ e circondo’ il luogo con aria minacciosa, preoccupata che venissero trafugate anche le ossa di Virgilio .
A quel punto per tranquillizzare il popolo , le ossa del poeta , raccolte in un sacco , furono tutte portate nel vecchio Castel dell’Ovo . Qui una volta arrivate vennero esposte dietro una grata a quanti volessero vederle e successivamente per ordine dello stesso re, vennero murate .
Dei libri magici e del misterioso straniero non si seppe piu’ nulla.
Numerose furono le voci sulla sorte dei manoscritti : c’e chi diceva che erano finiti nelle mani del papa a Roma che , spaventato dal contenuto aveva deciso di distruggerli ; chi invece narrava di incredibili prodigi che erano scaturiti da quelle formule . Persino il cardinale di Napoli affermo ‘ di aver potuto constatare personalmente la potenza di quelle formule magiche .
La città rimase per molto tempo sconvolta dall ‘evento . Virgilio era conosciuto come il protettore dei napoletani e la profanazione della sua tomba sembrava presagio di grande sventura. Quella stessa sventura , forse , che sembrera’ accanirsi attraverso i secoli contro Napoli ed i napoletani .

L’universo alchemico è quindi come vedremo pervaso di simboli, che, intrecciandosi in mutue relazioni, accompagnavano le varie operazioni e gli ingredienti costitutivi dei vari processi alchemici .
Nel linguaggio simbolico dell’alchimia lo zolfo era ritenuto l’elemento primordiale che insieme al mercurio poteva essere trasformato in qualsiasi altro metallo ( in special modo l’oro ) . Questi due composti erano quindi due essenze primordiali viste nel quadro di un sistema dualistico che riteneva qualsiasi materiale derivare dalla miscela di questi due componenti .
In Cina, India e Tibet si riteneva che il mercurio prolungasse la vita, curasse le fratture e aiutasse a conservare la buona salute; la parola indù per “alchimia” è rasavātam che significa letteralmente «la via del mercurio».
La trasmutazione dei metalli di base in oro (ad esempio con la pietra filosofale o grande elisir o quintessenza o pietra dei filosofi o tintura rossa) simboleggiava solo un tentativo di arrivare alla perfezione e superare gli ultimi confini dell’esistenza.
A livello planetario la rubedo è associabile al Sole, simbolo del fuoco e dello Spirito, astro ritenuto governatore dell’oro, e nel quale la Terra sarebbe destinata a ricongiungersi in futuro al termine della sua evoluzione.Tradizionalmente, ognuno dei sette corpi celesti del sistema solare conosciuti dagli antichi era associato con un determinato metallo.
La lista del dominio dei corpi celesti sui metalli è la seguente :
- Il SOLE governa l’ ORO
- La LUNA è connessa con l’ARGENTO
- MERCURIO è connesso con il MERCURIO
- VENERE con il RAME
- MARTE con il FERRO
- GIOVE con lo STAGNO
- SATURNO con il PIOMBO
Sia i metalli che i corpi celesti erano in relazione con l’ anatomia umana e le sette viscere dell’uomo.
Nelle illustrazioni dei trattati medievali e di epoca rinascimentale compaiono inoltre spesso figure animali e fantastiche. Essi simboleggiavano i tre principali stadi attraverso i quali la materia si trasformava, la nigredo, l’albedo e la rubedo erano infatti rispettivamente simboleggiati dal CORVO , DAL CIGNO E DALLA FENICE .
Quest’ultima, per la sua capacità di rinascere dalle proprie ceneri, incarna il principio che «nulla si crea e nulla si distrugge», tema centrale della speculazione alchimistica. Era inoltre sempre la fenice a deporre l’uovo cosmico, che a sua volta raffigurava il contenitore in cui era posta la sostanza da trasformare.
Anche il serpente ouroboros , che si mangia la coda, ricorre spesso nelle raffigurazioni delle opere alchemiche, in quanto simbolo della ciclicità del tempo e dell’uno il tutto (“En to Pan“).
L’Uroboro è l’immagine di un serpente che si morde la coda e la inghiotte. Questa diffusissima figura simbolica rappresenta, sotto forma animalesca, l’immagine del cerchio personificante l’ eterno ritorno. Esso sta ad indicare l’esistenza di un nuovo inizio che avviene tempestivamente dopo ogni fine. In simbologia, infatti, il cerchio è anche associato all’immagine del serpente che da sempre cambia pelle e quindi, in un certo senso, ringiovanisce. L’Uroboro rappresenta il circolo, la metafora espressiva di una riproduzione ciclica, come la morte e la rinascita, la fine del mondo e la creazione.
L’alchimia abbracciando alcune tradizioni filosofiche ha mantenuto quindi per millenni un suo speciale linguaggio criptico e simbolico che ha reso difficile nel tempo tracciare spesso il suo vero significato .
Sappiamo con certezza che l’opus alchemicum per ottenere la famosa pietra filosofale avveniva mediante sette procedimenti, divisi in quattro operazioni, PUTREFAZIONE , CALCINAZIONE, DISTILLAZIONE e SUBLIMAZIONE , e tre fasi chiamate, SOLUZIONE, COAGULAZIONE e TINTURA. ( il numero di queste fasi, variabile da tre a dodici a seconda degli autori di trattati alchimistici, è legato al magico significato dei numeri ) .
Attraverso queste operazioni la “materia prima”, mescolata con lo Zolfo ed il Mercurio e poi scaldata nella fornace ( Atonor ) ), nel cosiddetto processo di trasmutazione , andrebbe gradualmente trasformandosi ,cambiando ogni volta colore mentre passa attraverso i suoi vari stadi che sono fondamentalmente tre.
- NIGREDO o opera al nero, in cui la materia si dissolve, putrefacendosi;
- ALBEDO o opera al bianco, durante la quale la sostanza si purifica, sublimandosi;
- RUBEODO o opera al rosso, che rappresenta lo stadio in cui si ricompone, fissandosi.
Essendo il rosso considerato dagli alchimisti il colore intermedio tra bianco e nero, tra luce e oscurità, la rubedo rappresentava il ricongiungimento degli opposti, la chiusura del cerchio, l’unione di spirito e materia, di maschile e femminile, o di Sole e Luna, in definitiva l’androgino o rebis; dopo che il piombo era stato trasmutato in argento, essa segnava dunque il passaggio finale all’oro.
Nonostante la sua grande fama acquisita nel seicento pari a quella di altri grandi personaggi dell’epoca a lui contemporanei come Galileo, Keplero, e Gilbert , il nostro Giovan Battista Della Porta è oggi purtroppo un personaggio quasi da tutti dimenticato . Egli fu un uomo di grande rilievo nella storia del Rinascimento e merita forse più di tanti altri personaggi della nostra città di essere almeno ricordato con una statua , una grande piazza o una grande strada ( magari al posto di una di quelle dedicate ai Savoia ) .

Il nostro auspicio è che l’articolata quanto affascinante figura del grande intellettuale partenopeo cinquecentesco venga adeguatamente riproposta almeno agli allievi che frequentano la scuola a lui dedicata, un prestigioso istituto tecnico (che fu il primo e per molto tempo l’unico a Napoli) fondato nel 1862 come parte integrante della Reale Società di Incoraggiamento alle Scienze Naturali (voluta dal Bonaparte nel 1806) e collocato in un ex convento di via Foria, dove peraltro sono conservate antiche e rare attrezzature didattico-scientifiche (e si conserva la memoria storica della partecipazione all’Expo internazionale di Parigi, nel 1900).
L

Giovan Battista Della Porta non frequentò nessuna scuola o università ma grazie allo zio materno ebbe una formazione di altissimo livello, con maestri come il calabrese Domenico Pizzimenti (traduttore di Democrito e noto alchimista), Donato Antonio Altomare e Giovanni Antonio Pisano (medici di Corte), oltre a celebri musici, poeti e filosofi.
La casa napoletana di via Toledo – ma anche quella della nativa Vico Equense – fu quindi una superba “palestra” per la mente del precoce e talentuoso Giovan Battista (a 15 anni comincerà a scrivere la prima versione del “Magiae Naturalis, sive de miraculis rerum naturalium”, tre libri che poi diventeranno venti) e in seguito si trasformò in un cenacolo di eruditi (compreso il fratello medico, Gianvincenzo).
Anni dopo, sarà lui stesso a riunire l’elite della cultura prima sotto le insegne della “Accademia secretorum naturae” (l’Accademia dei Segreti, che fonderà intorno al 1560) e poi nelle fila dell’Accademia degli Oziosi (che nascerà nel 1611 tra i chiostri di Santa Maria delle Grazie, a Caponapoli, con il motto latino “Non pigra quies”). Tra i frequentatori del consesso che diverrà leggenda: Ferrante Imperato (speziale, alchimista e botanico); Giulio Cesare Capaccio (teologo e storico, autore dell’“Historia neapolitana”); Giambattista Basile (l’autore della madre di tutte le fiabe d’Europa: “Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de peccerille”); oltre naturalmente al co-fondatore dell’Accademia: il marchese Giovanni Battista Manso, apprezzato scrittore e poeta dell’epoca.
Il luogo dove si riunivano gli adepti, sono stati riscoperti , dopo secoli di oblio , nel 1985 , durante una perlustrazione eseguita da alcuni geleologi laddove un tempo si trovava un terzo dimicilio del Della Porta , cioè una villa alle Due Porte, un villaggio molto piccolo che portava alle colline dei Camaldoli ( oggi Via Domenico Fontana ) attualmente denominato quartiere Arenella .
Oltrepassando un anfratto presente nel muro in un garage sotterraneo di un palazzo in Via Cattaneo , all’angolo con piazzetta Due Porte , sono state infatti scoperte diverse stanze collegate tra loro con nicchie , lapidi , capitelli dorici, colonne intagliate nella roccia , tratti di finto opus reticulatum e affreschi raffiguranti scene dell’antico Egitto che in particolare rappresentavano Iside, , la dea della magia e del sapere , che allatta il figlio Horus al cospetto di Anubi.
Su altre pareti dell’anfratto che gli anziani del luogo chiamano “Teatrino ” , sono inoltre presenti simboli chiaramente esoterici come serpenti, incroci magici e strani numeri a forma di otto allungato . Ma il pezzo forte è rappresentato da una porta a forma di teschio con un’ orrenda bocca in cui pare che entrasse il maestro fondatore dell’Accademia .
Oggi purtroppo il sito , ovvero i resti di una villa rinascimentale di Giambattista della Porta, dove lo scienziato napoletano radunò attorno a sé diverse intelligenze per sperimentare l’alchimia, già due secoli prima del Principe di Sansevero, poichè resta di proprietà privata è interdetto al pubblico e ridotto a deposito di materiale edile .
Della Porta , come spesso accadeva agli studiosi in quei secoli, dovette fare i conti con un nemico assai pericoloso come il Sant’Uffizio – nel 1592, ad esempio, gli impedirà di stampare la versione in volgare del “De humana physiognomonia” (a Napoli uscirà con lo pseudonimo Giovanni de Rosa solo nel 1598) – d’altro canto potrà invece fruire della vicinanza e dell’amicizia del principe Federico Cesi, il fondatore e mecenate dell’Accademia dei Lincei, che sarà conquistato dal vulcanico studioso partenopeo (e in generale dalle tematiche alchemiche) e lo arruolerà nel suo consesso di fuoriclasse delle lettere (nel 1612 sarà nominato Vice-Principe del Liceo di Napoli, la prima e unica sede distaccata dell’Accademia). Della Porta gli dedicherà i quattro libri del celebre “De aëris transmutationibus”.
Tra gli altri suoi studi più noti ricorderemo solo le ricerche relative alla fisiognomica, l’inserimento di un obiettivo nell’apertura dell’obscura della macchina fotografica (che contribuirà allo sviluppo della fotografia), e le prime elaborazioni intorno al cannocchiale, per la cui paternità avrà poi qualche frizione con Galileo .
Scrisse a tal proposito un piccolo trattato dal titolo De telescopio, in cui descrisse le fasi di costruzione dello strumento, soffermandosi particolareggiatamente sulle sue caratteristiche tecniche allo scopo di mostrare a tutti la sua paternità sull’invenzione . Lui fu sicuramente il primo ad inventare lo strumento , ma non ebbe la percezione del corretto uso del nuovo apparecchio e delle novità che la sua invenzione implicava, merito che, alla fine, lo stesso Della Porta riconobbe a Galileo.
Come autore teatrale scrisse 3 tragedie e 14 commedie (più volte stampate e ristampate), recentemente raccolte nella Edizione nazionale delle opere di G. B. Porta, lodevole iniziativa delle Edizioni scientifiche italiane.
Il suo lavoro più noto è invece il “Magiae Naturalis” (1579), una sorta di antologia nella quale il filosofo-mago (nell’accezione rinascimentale ovviamente) spazia tra argomenti solo apparentemente eterogenei, dagli esperimenti magico-alchemici agli studi sull’ottica, passando per la botanica e per mille altre questioni che in qualche caso, oggi (ma un po’ anche allora) risultano di difficile interpretazione ai più. Tra i titoli dei paragrafi troviamo: “Della repulsione e dell’attrazione delle piante”; “Del modo di rendere più pesanti i metalli”; “Dell’amore e del segreto arcano degli afrodisiaci”; Delle straordinarie possibilità dei suoni”; “Dei sogni e dei mezzi infallibili per dominarli”; “Dei segreti dei mostri e delle virtù magiche della putrefazione”.
A portargli grossi grattacapi con la Santa Inquisizione fu un suo libro in cui raccontava di aver assistito alla cerimonia di preparazione d’una strega diretta al Sabba. La dettagliata descrizione dell’evento – e in particolare della ricetta usata da una vecchia megera – lo misero letteralmente nei guai finendo per essere coinvolto suo malgrado , al centro di una querelle internazionale sulla stregoneria (i roghi di donne erano cominciati da oltre un secolo).
A scatenare la bufera è il riferimento a uno degli ingredienti della pomata usata dalle streghe (il primo dell’elenco), la “pinguedo puerorum”, cioè il grasso di neonato. Lui riporta la ricetta senza nessun particolare commento, limitandosi a chiarirne la funzione: serve a dilatare i pori della pelle e attenuare l’azione irritante sulla pelle di alcune sostanze, come il sangue di pipistrello. In realtà, lo studioso napoletano vuole confermare che il volo delle streghe non è reale, ma si tratta solo di allucinazioni provocate dalle sostanze psicotrope naturali assorbite con gli unguenti e quindi il diavolo non c’entra nulla: “…solo allora esse (le streghe, ) credono di volare, di banchettare, di incontrarsi con bellissimi giovani, dei quali desiderano ardentemente gli abbracci”.

Questo episodio macchiò per sempre ed in maniera definitiva la sua immagine e per molti anni nei secoli a venire egli rimase per molti un personaggio in odore di stregoneria e negromanzia.

Negli ultimi anni il maestro napoletano fu corteggiato da Rodolfo II d’Asburgo, imperatore del Sacro romano impero germanico, famoso per la sua passione per l’alchimia; il sovrano lo volle a Praga, dove trasferito la capitale (era a Vienna) ne fece una capitale mondiale dell’ermetismo riunendo in un solo luogo , un gran numero di astrologhi, scienziati, filosofi e artisti, e tutti grandi esperti di cose occulte (tra i tanti: John Dee, Edward Kelley; Tycho Brahe, Keplero, Giordano Bruno, Michael Sendivogius, Giuseppe Arcimboldo).
L’imperatore , la cui collezione di oggetti esoterici era la più vasta del mondo , era rimasto molto colpito dalle ricerche sulla trasmutazione dei metalli e in generale dal “De Distillationibus”(che riprendeva e ampliava le parti più alchemiche del “Magia Naturalis”) e quel “De Aeris transmutationibus” che è considerato il suo “testamento ermetico”.
Colantonio Stigliola (o Stelliola) da Nola, fu invece un un grande pitagorico, un esperto botanico ed un bravo tipografo, che ebbe una grande fama nel XVI secolo sopratutto nel campo farmacologico-spagirico.
Di Filippo Imparato sappiamo che ricoprì diverse cariche pubbliche come quella di Capitano del Popolo dell’Ottina di Nido,( uno dei sedili della città ) e non è improbabile che fosse coinvolto, nel 1585, nelle trattative relative alla rivolta contro l’aumento del pane provocato dalle speculazioni nobiliari.
La sua carica più importante in città fu comunque certamente quella di governatore di una delle più antiche ed importanti istituzioni sanitarie del Regno , la Real Casa dell’Annunziata , un enorme complesso che comprendeva bek cinque strutture ospedaliere , un’importante spezieria , un Monte di Pietà ed un grande collegio . Nel 1597 fu anche nominato protettore del Sacro Monte di Pietà , per il quale acquistò una nuova sede : Palazzo Carafa.
L’Imperato fu in contatto epistolare con i maggiori naturalisti e scienziati dell’epoca, come l’Aldrovandi, Ippolito Agostini , il Mattioli, il Cisalpino, il Clusio. Intorno al lui e al Della Porta che ebbe modo di frequentare si riunirono in quel periodo alcune delle più grandi menti scientifiche e culturali del momento in città come lo studioso naturalista , botanico e accademico Fabio Colonna , il grande bibliofilo Gian Battista Pinelli ,e lo stesso Stigliola, senza domenticare il suo fedele allievo lucano Bartolomeo Maranta .
La Theriaca di Andromaco il Vecchio costituiva in passato la più credibile approssimazione storica del mito della panacea universale, Il farmaco cioè che piu di ogni altra cosa si accostava alla famosa pietra filosofale , il simbolo della tradizione alchimistica. La Teriaca per lungo tempo ha rappresentato il rimedio più eccellente della Natura e dell’Arte, per guarire tanto i Veleni che le altre malattie del corpo umano e dei metalli.
La sua origine e’ antichissima e viene fatta risalire al III secolo A.c. quando in Egitto e ad Alessandria in particolare venivano usati delle sostante anti-veleno che venivano chiamate ” theriake” ( antidoto) . Erano delle formulazioni derivate da un miscuglio di varie sostanze di derivazione animale ( sangue di tartaruga, daino, lepre, capretto etc.) che fungendo da veri salvavita venivano inizialmente prevalentemente usati per combattere uno dei sistemi allora in voga piu’ subdolo per far fuori persone scomode; l’avvelenamento.
Nacque quindi , almeno inizialmente come rimedio anti-veleno , e nacque all’epoca di Mitridate il grande , re del Ponto , che preoccupato dei vari intrighi e complotti di corte ( avevano portato all’uccisione del padre ) trascorse molto tempo a prevenire un suo eventuale avvelenamento. Egli chiese quindi al suo medico di corte , Crautea e ai suoi farmacisti di creare un antidoto efficace.
Crautea , con il nome di ” Mitridatium” , mescolando tra loro una cinquantina di elementi tra sangue di animali ed erbe utili contro il morso dei serpenti diede così luogo alla prima e vera Teriaca
CURIOSITA’ : Si racconta che Il re utilizzo’ quotidianamente il rimedio fino ad assuefarsi e quando una volta sconfitto nelle guerre contro i romani decise di togliersi la vita non potè avvelenarsi ( al contrario delle figlie ) e fu costretto a ordinare alla sua guardia del corpo di ucciderlo con un colpo di spada .
Crautea era il medico di corte del grande Mitridate (133-64 A.C) re del Ponto, un sovrano dal pugno di ferro e di spiccata genialità (secondo la tradizione conosceva a menadito gli oltre 20 idiomi delle popolazioni a lui sottomesse). Il re fu, certamente, tra i più temibili nemici dell’impero romano. Salito al trono nel 112, il buon Mitridate dichiarerà guerra a Roma per ben tre volte. La prima guerra mitridatica (89-85 A.C.) iniziò con una imponente avanzata del nostro, che conquistò la Grecia, l’Asia minore le isole Egee, per essere poi sonoramente sconfitto dall’esercito romano guidato da Silla. Non pago, il buon re del Ponto ci riprova tra l’83 e l’81 A.C., riportando questa volta sostanziali vittorie su Roma. È solo con la terza guerra mitridatica che Roma, conquistando addirittura il Ponto e la residenza del re, dopo una guerra decennale (tra il 74 ed il 64 A.C.) avrà finalmente ragione di questo acerrimo nemico, grazie alle forze ed all’abilità strategica del suo esercito guidato, stavolta, da Lucullo e Pompeo. Mitridate fu così costretto a riparare in Scizia.
Ad un re tanto potente da sfidare ripetutamente la forza romana, probabilmente non dovevano mancare timori e preoccupazioni. Uno di questi, sicuramente, dovette essere il timore di rimanere avvelenato ad opera di un tradimento di corte. Che il buon re non fosse un semplice paranoico, ce lo dice la storia della sua morte. Tradito dal figlio Farnace egli decise di togliersi la vita, proposito che attuò servendosi della lama e del braccio di un suo fedele ufficiale.
Al ribelle re del Ponto, infatti, era da tempo preclusa la pur dignitosa via dell’aspide di Cleopatra e degli altri veleni, e ciò proprio in grazia dei servigi di quel Crautea di cui abbiamo sopra appena accennato.
Pressato dalle richieste del preoccupato sovrano, infatti, Crautea si era mobilitato, secondo la tradizione, alla ricerca di un rimedio sicuro contro ogni forma di avvelenamento. Il potente farmaco che era stato messo a punto, passato appunto alla storia come Mitridatium, era una formulazione complessa, composta da oltre una cinquantina di semplici.
E funzionava così bene che, come si è visto, Mitridate non poté avvelenarsi…
Per interi secoli da quel momento la Teriaca e’ stata considerata quasi una bevanda sacra capace di alleviare molti mali e la sua formulazione veniva attribuita ai discepoli del grande Ippocrate. La sua antica formula infatti , una volta rinvenuta in epoca romana da Pompeo in una cassa appartente al re Mitridate , fini’ per cadere nelle mani del medico di Nerone ( Andromaco il vecchio ) che carpendone il segreto, lo modificò solo leggermente aggiundovi la carne di vipera.
Il prodotto fu così chiamato ” La Teriaca di Andromaco ” .
A Roma la ricetta di Crautea ebbe un grande successo ed una grande popolarità che aumentò indenne fine a tutto il medio evo nelle opere di Galeno, raggiungendo il culmine della popolarità nel XVI secolo . Alcuni dei più noti medici dell’antichità scrissero della teriaca, da Xenocrate di Afrodisia (I sec. D. C.) a Plinio il Vecchio, ma i maggiori scritti sull’argomento furono senz’alcun dubbio quelli di Galeno (138-201 D. C.).
La teriaca, con qualche non poco significativa variazione di composizione (ogni studioso vi aggiungeva o sostituiva qualche componente al fine di migliorarne secondo le proprie conoscenze, l’effetto, mentre ogni speziale vi toglieva o sostituiva qualche componente, al fine di migliorarne la redditività secondo le proprie finanze…)
Essa , nella nostra penisola dopo qualche tempo veniva prodotta e commercializzata ovunque con la pretesa, naturalmente, di essere la migliore e la più fedele all’originale anche se la più famosa ricetta era sicuramente quella veneziana. Il motivo di tale supremazia era legato alla evidente potenza commerciale della repubblica, le cui navi solcavano i mari e visitavano i porti d’oriente ed occidente. Centro di importazione dei più esotici semplici, Venezia era il luogo dove, effettivamente, più facile doveva essere procurarsi gli ingredienti della famosa pozione.
In Italia le piu’ importanti spezierie finirono per fabbricare la Teriaca che veniva poi usata nei piu’ grandi ospedali del tempo . Venezia e Napoli furono le due citta’ dove maggiormente si fabbricava il prodotto.
La fabbricazione doveva seguire procedure ben precise che richiedevano dapprima l’approvazione da parte del collegio degli speziali e dei medici e poi la supervisione di testimoni ( anche alcuni rappresentanti del popolo) .
Tutto questo perche’ poi in caso il farmaco non funzionava , nessuno poteva accusare le autorità’ di aver usato ingredienti scadenti o peggio dimenticato qualcuno.
Il farmaco doveva anche rispettare un adeguato tempo di invecchiamento ( come il vino ) ed il tempo giusto per ottenere un buon effetto benefico contro le varie malattie , doveva essere in media quello di 12 anni . Ma se lo si voleva usare solo per sfruttare il suo potere come anti-veleno potevano essere usati quelli con tempi di invecchiamento dimezzati ( 6 anni ).
A Napoli , ai tempi di Ferdinando IV , poiche’ la vendita della Teriaca procurava un grosso guadagno divenne monopolio di stato . Di conseguenza nacque il contrabbando del prodotto ” pezzottato” che aveva una sua rete di distribuzione parallela e arricchiva delinquenti e speziali senza scrupoli.
La citta’ di Venezia istitui’ delle leggi severissime per chi faceva contrabbando della Teriaca taroccata o adulterata che potevano andare da semplici multe fino ad arrivare nei casi piu ‘ gravi addirittura alla pena di morte tramite il rogo.
La bevanda tra mito e realtà quotidiana, tra favola popolare e simbologia esoterica, tra scienza e magia, è stata per tutto l’arco della sua storia, una pozione fatata e sacra, delle misture magiche i cui effetti, di là di ogni analisi farmacologica, per l’universo mitico e magico di cui sono emanazione, ci rimarranno per sempre ignoti.
Essa era la bevande dell’immortalità, e della salute eterna
La curva ascendente della diffusione della teriaca continua ininterrottamente fino ai primi decenni del XVIII secolo, per registrare l’inizio della fase ascendente intorno alla metà del secolo. Alla fine del XVIII secolo, la teriaca scompare dalle farmacopee di molte città europee, ma in Italia, ed in special modo nel meridione, la sua popolarità continuerà ancora a lungo. E’ infatti a pochi decenni dal tramonto dell’antico antidoto, che, con una tardiva presa di coscienza delle potenzialità economiche del commercio della teriaca, il re di Napoli Ferdinando IV di Borbone, nel 1779, impone il monopolio statale sulla preparazione dell’antidoto. L’obbiettivo dichiarato è, naturalmente, quello di proteggere dalle teriache contraffatte la salute dei cittadini, ma, sicuramente, è proprio la ancor vasta dimensione del business teriaca ad attrarre re Ferdinando.
La preparazione venne affidata in esclusiva alla Reale Accademia di Scienze e Belle Lettere, e tutti gli speziali del regno furono obbligati ad acquistarne almeno mezzo libbra l’anno. Dovevano inoltre esserne sempre forniti, ed all’ispezione del Protomedico o del suo vice, ogni speziale doveva esibire, oltre al vasetto della teriaca, la ricevuta dell’acquisto annuale.
Il prezzo, fissato con intenti concorrenziali (il prezzo di mercato della teriaca veneziana era intorno ai 24 carlini) oscilla, a seconda delle quantità acquista, dai 18 ai 12 carlini (per un acquisto di almeno cinque libbre).
In effetti, nonostante il provvedimento governativo, ingenti quantità di teriaca veneziana continueranno ad essere contrabbandati nei confini del regno, nonostante i ripetuti tentativi di bloccare l’ingresso della richiestissima teriaca concorrente (che, tra le altre cose, eludeva costantemente la regia dogana) o attraverso l’inefficace meccanismo repressivo, o attraverso continue riorganizzazioni del sistema distributivo e l’imposizione di più ingenti e gravosi quantitativi minimi d’acquisto agli speziali.
Le cose non migliorarono quando il diritto di esclusiva sulla fabbricazione, chiusa la Reale Accademia, passò, nel 1807, per iniziativa di Giuseppe Bonaparte, al neonato Real Istituto di Incoraggiamento alle Scienze naturali di Napoli, che, attraverso varie vicissitudini, mantenne il proprio diritto fino al 1860, anno in cui, comunque, possiamo considerare già concluso il ciclo della fortuna della teriaca .
Ma se storicamente fallimentare fu la vendita della teriaca “Statale”, non è improbabile che tra XVI e XVIII secolo il regno di Napoli fosse ai primi posti nel consumo di teriaca veneziana, e si può essere certi che, a quest’ultima si affiancava anche quella tradizionalmente preparata in segreto dagli speziali napoletani.
Intorno alla Teriaca ed i suoi “magici ” poteri si insediarono in città , alcuni dei personaggi più importanti della cultura seicentesca napoletana, speziali, naturalisti, medici, alchimisti e filosofi . Nell’immaginario alchemico la Teriaca era un alter ego dell’Elixir Vitae, del Pharmaco Catholico, della Medicina Universale, che è a sua volta precipitato archetipale dell’acqua benedetta, del Sôma del Rg-veda o dell’Haona iranico .
Alla potente e rispettata categoria degli speziali napoletani non poteva non incuriosire quale fosse la preparazione della teriaca, quali fossero le virtù terapeutiche ad essa attribuite e le patologie di applicazione del portentoso rimedio.
Tra questi, ad interessarsi maggiormente del potente farmaco al punto da scriverne un famoso testo che ebbe gran successo in tutta Europa fu come già detto Bartolomeo Maranta , un naturalista di grande levatura e allievo di Luca Ghini che si formò presso il Giardino dei Semplici fondato a Pisa da Cosimo de’ Medici.
Egli a Napoli, strinse intimi rapporti di amicizia e collaborazione col naturalista e speziale napoletano Ferrante Imperato, passato alla storia delle scienze naturali per il Dell’Istoria Naturale .
Nella sua famosa opera ” Della Theriaca et del Mithridato” , il venosino Bartolomeo Maranta, scrive ed insegna l’arte ed il vero modo per comporre il famoso medicamento .
Egli rappresenta la dimostrazione di quanto speculativo potesse talvolta essere l’alchimia nel seicento . All ’indagine e alla sperimentazione genuina mistico-filosofica fatta da veri alchemici con la loro scientifica arte , si contrappoevano e sostituivano spesso anche falsari ed inventati maghi che con la loro figura di imbonitore e ciurmatori rabbonivano spesso ingenue persone al solo scopo di lucro , infangando in tal modo la nobile arte alchemica.
Uno dei dubbi personaggio in questione fu il Signor Girolamo Chiaramonte, proveniente da Lentini, che con la sua polvere cinerea bianca, vantava un altro elixir vitae dagli effetti miracolosi.
Egli viveva inizialmente in Sicilia dove nel 600 , praticava l’arte di alchimista e santone con un misterioso elisir con il quale secondo molti egli compì per anni incredibili guarigioni. Egli discendeva da una delle più nobili e illustri famiglie isolane, e visse inizialmente a Messina , in Sicilia dove nel 600 , praticava l’arte di alchimista e santone con un misterioso elisir con il quale secondo molti egli compì per anni incredibili guarigioni.
In Sicilia elaborando le sue formule e realizzando qui il suo prodigioso elisir , divenne famosissimo e le sue cure furono finanche documentate con grandissimo dettaglio da medici, nobili e autorità dell’epoca che testimoniarono il suo reale funzionamento .
Quello che lo distinse infatti da tutti gli altri ciarlatani del passato è che le sue cure sono state infatti ben documentate con grandissimo dettaglio da numerosi esperti dell’epoca.
Come spiegato nei suoi trattati e nei documenti d’epoca, il suo ritrovato era una mistura di quattro ingredienti segreti, di natura minerale. Lo chiamò Belzuar, con il nome di pietre magiche delle leggende, che guarivano da ogni male. Fatto sta che il suo elisir curava davvero tutti i tipi di febbri, i tumori e molti mali e dolori delle più diverse cause. In tutti i casi in cui il Belzuar non funzionava, che lo stesso autore elencava coscienziosamente, esso giovava comunque ad un generale benessere dell’organismo.
A Napoli egli venne perchè chiamato dall’Ordine dei Cavalieri di Malta, nel tentativo di curare il precario stato di salute di Fra Giulio De Falco, in quel tempo recevitore di Malta nel Regno .
CURIOSITA’ : Arrivato a Firenze nel 1620 si esibì in numerose esperienze pubbliche, all’ospedale di Firenze, non dissimili da quelle già avvenute all’ospedale dell’Annunziata di Napoli, che segnano un discreto successo pubblico della polvere. Qui il metodo del Chiaramonte viene messo a confronto con quello dei medici dell’Ospedale di Santa Maria la Nova. Per ordine di Cosimo, di 16 ammalati, otto vengono curati dal Chiaramonte ed otto dai medici dell’ospedale. Gli otto pazienti del siciliano sono affetti da diversi tipi di febri ed hanno un’età compresa tra i 14 ed i 61 anni. Sei, con un periodo di assunzione della polvere che va da 15 a 45 giorni, guariscono. Due, ribelli ad ogni cura, muoiono. Avendo riguardo ad un tale eccezionale risultato, il lettore non stupirà certo nel venire a sapere che, degli otto, pazienti curati secondo il metodo tradizionale dei medici fiorentini, solo tre riuscirono a sopravvivere, essendo gli altri cinque passati repentinamente a miglior vita nel giro di poche settimane. L’obiezione dei medici fiorentini fu che, in precedenza, agli ammalati guariti dal Chiaramonte, erano stati per lungo tempo somministrate le loro terapie, per cui non si poteva esser sicuri che le guarigioni in questione fossero effettivamente opera della polvere citrina del concorrente siciliano. A quel punto il Chiaramonte richiese direttamente a Cosimo un’altro lotto di malati nuovi di zecca, vergini di ogni intervento e terapia, e li ottiene. Sono sette, tutti di età compresa tra i 14 ed i 30 anni, afflitti da febbri varie, e tutti, affidati al solo elixir, guariscono in poche settimane.
Poco dopo, Cosimo, da tempo malato, manda a chiamare il Chiaramonte. Questi viene però prontamente ed efficacemente osteggiato dai medici del principe, che non vogliono affidare il loro illustre paziente ad un medico straniero, sulla cui preparazione e sui cui metodi nessuno sa nulla. La polvere misteriosa può anche esser nociva, ed il principe non deve affidarsi a mani estranee. Cosimo, dunque, non si affida al Chiaramonte,e dopo poco morì…
Memore di questa esperienza , Lorenzo, il fratello di Cosimo, affetto “di febre maligna con petecchie“, decide invece ignorando i medici di corte del Granducato, di affidarsi al Chiaramonte e al suo portentoso belzuar guarendo dalla malattia nel volgere di poco tempo.
L’apoteosi, probabilmente, si ha nel 1625, a Genova. Il teatro dell’azione è l’Ospedale della Chiesa della Santissima Annunziata. Qui, grazie all’interessamento del protofisico Carlo Pannicelli, vengono consegnati al Chiaramonte 20 malati gravi, di cui solo due, nonostante la polvere, muoiono.
….. visto l’incoraggiante risultato…ordinorno di nuovo che me fossero consegnati altri 16, delle quali 15 guarirno et uno si morse … Onde ammirati li detto Signori del detto Magistrato fecero decreto che in detto ospitale me si consegnassero 25 letti con 25 ammalati, et mancando, o per salute, o per morte, che di nuovo si riempiono alla cura di Girolamo Chiaramonte siciliano, sempre con l’osservanza del sopradetto Pannicelli…
Nel corso di una permanenza di vari mesi, Chiaramonte cura con successo ben 170 ammalati, e, naturalmente, a questo punto, a proposito di questa esperienza, riporta la relazione del Protettore dell’ospedale, Nicolò Zoagli. Le osservazioni del Pannicelli, invece, riempiono decine e decine di pagine del Trattato, e costituiscono ulteriore attestazione di efficacia ed affidabilità della polvere.
Tuttavia assieme alla popolarità, ecco farsi avanti gli onnipresenti imitatori ed usurpatori, che vorrebbero togliere a Chiaramonte i meriti, la gloria ed i guadagni della polvere misteriosa .La vera battaglia che egli dovette quindi fare era quella contro i medici e gli speziali che ostacolano il completo ed assoluto trionfo della sua polvere.
Il segreto, così attentamente custodito dal Chiaramonte, tuttavia, con ogni probabilità non andò perso. Nell’ultima pagina del Compendio, infatti, Girolamo annota:
…Io ho palesato questo secreto a mio fratello per nome Vito che sta meco, et di più ho fatto due lettere le quali tengo sigillate per due Principi miei Signori, dentro le quali ci ho scritto questo secreto, acciò nella mia morte non si perda un tanto medicamento per la salute del prossimo…
Dunque, altre dovettero essere le ragioni della progressiva scomparsa del medicamento di Chiaramonte. Pian piano, inesorabilmente, il medicamento, ormai popolare nelle corti di tutta la penisola, osteggiato dalla medicina ufficiale, ma diffuso al punto da provocare dispute di paternità, imitazioni fraudolente e “punti vendita” autorizzati, dovette mostrare i suoi limiti.
La panacea universale, priva della faconda abilità pubblicitaria del suo ideatore, dovette perdere molto del suo incanto, per scomparire rapidamente dalla memoria di consumatori, medici e speziali. Le farmacopee non nomineranno infatti mai il Chiaramonte. La sua prodigiosa polvere si perderà per sempre nell’infinito labirinto del tempo, insieme tutti gli altri elisir miracolosi che hanno caratterizzato l’alchimia rendendola ancora più misteriosa e affascinante ma sopratutto non ci dirà mai più se il Chiaramonte fosse un truffatore o un grande alchemico .
Per anni infatti il mondo si è chiesto chi fosse veramente Cagliostro . Un Avventuriero o un grande iniziato?
Il gusto per l’occulto e per lo straordinario, la capacità di di affascinare le menti, il desiderio di stupire, la convinzione di essere dotato di miracolosi poteri, taumaturgo, alchimista, imbonitore, o semplice imbroglione . Del Conte di Cagliostro ancora oggi non si sa con certezza come definirlo . Sappiamo infatti con certezza poco della vita, ma sicuramente ancor meno della sua morte.
Senza alcun dubbio possiamp però dire che Cagliostro fu un vero e proprio Guru per l’Epoca nonostante il suo profilo enigmatico complesso, criptico ed esoterico molto affascinante e senza alcun dubbio possiamo anche affermare che fu poco o per nulla onesto.
Nei verbali del Santo Ufficio egli dichiarò, senza problemi, che la sua ”Ars” derivasse da alcuni insegnamenti impartiti da un filosofo napoletano ,durante il suo soggiorno nella nostra città . Tale personaggio è stato da molti considerato essere da un lato il cavalier Luigi d’Aquino , noto all’epoca per essere un importante menbro della massoneria napoletana nonché grande protagonista della Loggia della Perfetta Unione e dall’altro essere addirittura il famoso Principe di Sangro che a detta di molti fu la sua Guida in campo di segreti egizi.
CURIOSITA’: Secondo numerosi studiosi fu proprio in Campania che egli ricevette il misteriosissimo manoscritto massone , risalente agli alessandrini del Tempio di Iside , definito da molti ” la Bibbia per il rito Egizio “. Questo ” codice ” poi descritto dal Cagliostro , è un insieme di concetti, figure e caratteri che è stato dettato millenni fa dagli ierofanti egizi, e applicato nei loro grandi templi.
Particolarmente poi studiato da Giordano Bruno, Il Principe Raimondo e il Conte di Cagliostro , esisterebbe, secondo questa pratica, una sorta di santuario energetico fatto di messaggi occultati nella pietra, nelle note musicali, nell’arte e nella scrittura di testi letterari che porterebbero alla vera conoscenza .
Questo santuario energetico , rappresenta un luogo ricco di potenza dove grazie al confluire di energia viva , avvengono normalmente strani fenomeni paranormali . Ai capi di questo santuario ci sarebbero , per assicurare energia sufficiente dei nodi di forza o energia rappresentati da alcune città . Napoli sarebbe una di queste città e quindi un punto di collegamento geografico massone importante con altre città europee ( probabilmente tutte quelle visitate nei suoi viaggi da Cagliostro ) .
Queste città , Napoli compresa , sarebbero determinanti per la sopravvivenza della terra stessa in quanto creerebbero con la loro energia dei luoghi di forza in cui la Terra, assieme all’acqua, abbia dei pilastri energetici rsacri e ricchi di potenza capaci di dare stabilità ed equilibrio al mondo intero .
Queste città ” Luoghi di forza” sono alcune parti della terra, dove si sommano, più che in altre zone delle componenti magnetiche naturali, dovute alla composizione delle rocce o del terreno che permettono l’avverarsi di alcuni fenomeni particolari normalmente attribuiti alla volontà divina, e gli antichi sapienti, gli iniziati sapevano riconoscsre dal colore della vegetazione, o dalla assoluta mancanza della stessa, dalla diversa disposizione delle pietre, quei particolari ” luoghi delle forze” sui quali si sarebbe potuto operare per ottenere il fenomeno magico” .
Alcune città sparge sul globo rapprenerebbero da questo punto di vista dei punti cardini importanti formando dei triangoli magici .
Il Triangolo della Magia Bianca e l’opposto Triangolo della Magia Nera , ovviamente fatti di energia positiva e negativa che spesso coesistendo ,nelle lotta , si compensano tra loro . I tre punti di questi triangoli magici sono rappresentati da tre città sparse sul globo. Solo una di queste fa parte di entrambi i triangoli, ovvero l’italiana Torino . Insieme a Londra e a San Francisco fa infatti parte del Triangolo della Magia Nera, mentre insieme a Lione e Praga fa parte del Triangolo della Magia Bianca.
La città piemontese è inoltre attraversata dal 45° parallelo, ulteriore motivo che lascia pensare ad un forte concentrato di positività.
Sospesa tra bene e male, e sede di un’incessante lotta tra luce e tenebre nonchè fulcro di forze del bene e del male insinuate tra le strade, presenti nei suoi monumenti e percepibili nelle sue piazze anche Napoli da sempre è stata considerata un’importante cittò esoterica con i suoi triangoli .
CURIOSITA’: Il Triangolo nella sua simbologia esprime sia l’idea della divinità, come riscontrabile nel simbolo della Trinità , sia l’idea dell’ascesi dell’uomo verso la trascendenza divina, l’Universale.
Nella tradizione pitagorica il triangolo simboleggia invece come vedremo l’Unità. Il triangolo ha sempre quindi . come figura geometrica appassionato il mondo fin dai tempi antichi e per il mondo esoterico esso è lancora oggi la rappresentazione grafica dei quattro elementi basi della vita.
Per esempio, il triangolo con la punta verso l’alto simboleggia il fuoco e il sesso maschile, con la punta in basso invece sta a significare l’acqua e il sesso femminile. L’equilibrio dei due triangoli è dato dalla loro unione nella forma dell’esagono stellato, cioè la rappresentazione grafica del sigillo di Salomone , composto dall’incrocio dei due triangoli inversi. Il triangolo è alla base della formazione dellapiramide .
Il Significato del triangolo si esprime soprattutto attraverso il suo relazionarsi con le figure geometriche fondamentali del Centro, del Cerchio, della Croce e del Quadrato.

Nella nostra città i tre punti più esoterici manco a farlo apposta ( guarda un po ) si trovano proprio ai vertici di un triangolo e non sono altro che I tre punti energetici della cintura di Orione che riflessi sulla terra , interseca i decumani ed i monumenti ad essa associati.
Basta per accorsene procurarsi una piantina del centro storico ed un pennarello…
Dopo aver individuato sulla pianta i tre luoghi esoterici che corrispondono alla collocazione della chiesa del Gesù Nuovo , della Chiesa di San Lorenzo Maggiore , e della Chiesa di S. Maria Maggiore e dopo averli uniti, si noterà che grafiamente i tre punti vanno infatti a formare un triangolo .
I tre luoghi sono sempre stati considerati in città dei luoghi ricchi di mistero .
La chiesa del Gesù Nuovo o Trinità Maggiore racchide tutto il suo mistero nella sua bellissima facciata rinascimentale
La facciata è caratterizzata da bugne di piperno di forma piramidale con la punta rivolta verso chi guarda. Le bugne inoltre presentano sui lati delle incisioni particolari di un misterioso alfabeto.
Sembra che sull’edificio gravava un maleficio che perseguitò i suoi occupanti dovuta proprio a i segni sulle buglie .
Roberto Sanseverino ,principe di Salerno quando nel 1740 ordinò a Novellino di San Lucano la costruzione della Trinità Maggiore, cioè la Chiesa del Gesù Nuovo per tenere lontano le forze malefiche, ordinò che le punte fossero rivolte verso l’esterno mentre invece i maestri pipernai abbiano disposto in modo scorretto le pietre.( punte rivolte all’interno in alcuni tratti ).
Per questo le energie positive si sarebbero trasformate in negative, attirando sul palazzo numerose sciagure (l’ultima, durante la seconda guerra mondiale, con la caduta di una bomba proprio sul soffitto della navata che però, miracolosamente, non esplose).
Il Sanseverino ,che era anche un esperto alchimista ,avrebbe indicato nei dettagli dove posizionare le pietre che, prima di essere lavorate, venivano “irrorate” di magia positiva dal lato utile.
Secondo una leggenda non sarebbe stata l’ignoranza dei maestri pipernieri, a costruire il bugnato impilando le rocce al contrario ( In tal modo gli influssi negativi sarebbero entrati nell’edificio e quelli positivi sarebbero sfociati all’esterno) in quanto essi erano abili conoscitori dell’alchimia e dell’esoterismo ( lo stesso Roberto Sanseverino li aveva chiamati a corte perché conoscitori della magia) e quindi non si sarebbe trattato di un errore così grossolano ma di un ” errore ” diciamo voluto in quanto si sospetta che questi furono corrotti dai nemici del nobile.
Sarà vero o no , ma sta di fatto che nei secoli il Gesù Nuovo è stato afflitto da numerosi malefici. I problemi di proprietà, ad esempio: il figlio di Roberto Sanseverino, Antonello, ricevuto il palazzo in eredità, fu allontanato dal regno a causa di contrasti con gli Aragonesi; anche Ferrante Sanseverino, l’ultimo principe di Salerno, fu allontanato dal re Filippo II; la Compagnia dei Gesuiti, che acquistò il palazzo dallo stesso Filippo II, fu successivamente allontanata come Ordine.
Ma anche le numerose confische dei beni ai Sanseverino, la completa distruzione di un’ala del palazzo, gli innumerevoli crolli della cupola e il successivo incendio della chiesa.
Tutto sta che dell’originario palazzo resta oggi solo la struttura del basamento e la facciata in bugnato a punta di diamante.
Ultimamente si è ipotizzato un nuovo significato dei simboli sul bugnato: non si tratterebbe di magia, ma più semplicemente di uno spartito musicale , scritto in lettere aramaiche, in totale sette lettere, da leggersi al contrario: dal basso verso l’alto, da destra verso sinistra.
Quindi quei segni sulla facciata della chiesa del Gesù Nuovo ,non sono altri che un pentagramma scritto in aramaico ( l’aramaico era la lingua parlata da Gesù). L’uso di segni che componevano una musica non era inusuale negli anni del tardo umanesimo e gli stessi Sanseverino fecero incidere dei simboli musicali nel loro palazzo a Lauro di Nola
Dopo numerosi studi è stato stabilito che si tratta di musica rinascimentale che segue i canoni gregoriani la cui riscrittura ha portato alla composizione di un concerto il cui sogno è quello di eseguirla in pubblico proprio al Gesù Nuovo.
Il concerto è stato intitolato «Enigma», ed è stato trascritto per organo, invece che per strumenti a plettro.
Nell’interno del complesso della struttura , cosa da non sottovalutare nel parlare della chiesa da un punto di vista esoterico , è anche presente la fontana egizia di Morfisia del 67 d.C., alimentata dall’acqua del Sebeto. La famosa fontana dell’immortalità un tempo collocata in piazza del Gesù dove è anche presente l’obelisco più famoso in città alto 30 metri, che fu eretto dai Gesuiti grazie a una colletta pubblica voluta da Padre Pepe. Il lavoro scultoreo (la statua poggia su una guglia marmorea) fu di Matteo Bottigliero e Mario Pagano. Sulla sua sommità è posta una statua della Madonna dell’Immacolata , interamente di rame che l’8 dicembre di ogni anno riceve l’incoronazione con una corona di fiori ,da parte dei vigili del fuoco, come segno di devozione della città nei riguardi della Vergine.
Se ci avviciniamo all’obelisco, possiamo notare che sul marmo, sono posti dei strani simboli ed una faccia di scheletro che sono state nel tempo all’origine di una antica leggenda popolare che si è raccolta intorno all’obelisco. Si racconta infatti da tempo di alcune figure blasfeme, insieme a quella della morte, scolpite insieme a quelle mariane, che sembrerebbero mostrarsi solo in alcuni momenti della giornata, con il gioco di luce ed ombre, o in certe visuali creati dalla prospettiva.
L’immagine della morte con la falce apparirebbe guardando la statua da dietro e un’ antica leggenda vuole addirittura che chiunque riuscisse, semmai , a vederne l ‘ immagine di faccia ne acquisti in cambio l’ immortalità.
Lo strano fenomeno sembra spiegarsi con uno strano effetto ottico che si può notare solo in alcune ore della giornata, soprattutto verso sera all’imbrunire, che rendono la statua grottesca: osservando la statua da dietro infatti si noterà che ella avrà il velo increspato. Aguzzando la vista, con un gioco di prospettiva la statua sembrerà del tutto diversa: il velo coprirà, come un cappuccio, una figura simile alla Morte che brandisce la classica falce ;l’immagine delle Madonna nasconde quindi un segreto, o forse è solo suggestione.
In alcune ore del giorno, specialmente con la luce del tramonto o dell’alba, l’aspetto della statua cambia alla vista. Il drappo non sembra più coprire la Vergine, ma una figura scheletrica che regge una falce: la Morte.
Alcuni associano tale figura a quella della “Santa Muerte”, la “Santissima” divinità venerata da alcuni culti e sette sorti in Messico e che alimentano alcune branche di criminalità negli U.S.A..Difficile risulta credere che anche a Napoli ci sia stato il culto della “Santissima”: la Santa Muerte ha origini incerte per quanto riguarda la data di nascita. E’ certo che il culto sia nato in Messico e che fino agli inizi del Duemila fosse rimasto tale. Dopodiché, un arcivescovo messicano allontanato dalla Chiesa Cattolica, ne professò le regole. Dapprima additato dalla comunità messicana, oggi la religione-culto gode di popolarità, soprattutto nei ranghi delinquenziali. Comunque sia, la statua tipica della Santa Muerte è uno scheletro in un velo di vario colore a seconda del male da debellare (in giallo: risolve problemi di danaro, in rosso: cancella i crucci in amore; in nero quella generica e più conosciuta…).
L’accezione esoterica presenta tra le mani, oltre che la falce e la bilancia, una marionetta e una clessidra, a sottolineare la sua importanze nel conteggio della vita dell’uomo.
Spesso si pensa che invocarla inutilmente provocherebbe la morte di un parente o un amico e che, più raramente, la Santa Muerte sia gelosa degli altri santi, che non dovrebbero essere più adorati.
Leggenda o realtà che sia, la nostra Vergine Maria dell’Obelisco dell’Immacolata è fatta di rame, che col tempo si è ossidato ed è diventato azzurro-verde.
Lo stesso colore della Santa Muerte risolutrice dei problemi di lavoro …..
La Chiesa di San Lorenzo mostra invece la sua parte esoterica nel suo interno , sul dorso della mano guantata della statua dormiente di Leone II . Si tratta del famoso sigillo di Salomonis noto anche come Esagramma salomonico . Il simbolo è formato da due triangoli equilateri incrociati e rappresenta l’unione tra uomo e divino. Il Sigillo di Salomone ha un’origine molto antica e si riscontra in diverse culture, non solo religiose. La stella a sei punte viene spesso ritrovata nei libri magici e negli esorcismi di tradizione popolare, assumendo le sembianze di potente simbolo magico . Si narra che Re Salomone, figlio di David, usò la stella a sei punte per scacciare i demoni in punto di morte.
La Chiesa di Santa Maria Maggiore che si trova nel decumano maggiore venne eretta come basilica paleocristiana su una preesistente struttura di epoca romana, essa risale al IV secolo ,nello stesso luogo dove si ergeva un tempo il tempio dedicato alla dea Diana ,dea della Luna e della caccia, e protettrice delle donne.
Le sue sacerdotesse e seguaci, dette janare , erano le depositarie di un sapere astronomico e religioso senza tempo ed erano a conoscenze di molti culti misterici ( Il termine janara era la trascrizione dialettale del latino dianara, che significa “seguace di Diana”).
Esse conoscevano il ciclo dei pianeti e miracolosi rimedi fito-terapici e pertanto secoli fa, quando non esistevano ospedali o ambulatori medici, era proprio a loro che si rivolgevano le genti locali per essere curate.

Il culto per la dea Diana era riservato alle sole donne (perché a queste prometteva parti non dolorosi ) che sopratutto in corrispondenza con la luna nuova, si recavano in processione al tempio di Diana/Artemide per propiziare il parto o per ringraziare la dea per averle assistite ( in molti scavi sono emersi ex voto anatomici e statuette di madri con lattanti).
Le sacerdotesse di Diana erano anche esperte ostetriche, e praticavano gli aborti attraverso infusi di erbe, come il prezzemolo. Il ritrovamento negli scavi di Pompei di oggetti simili a raschietti ha fatto supporre l’ipotesi che nell’antichità venisse praticato anche l’aborto con raschiamento dell’utero.
Queste sacerdotesse erano temute e rispettate, depositarie di un sapere astronomico, religioso e medico senza tempo e si tramandavano in maniera ereditaria antichi culti e pratiche occulte di magia.
CURIOSITA’: Gli uomini furono ingelositi da tale culto che li escludeva del tutto anche da questioni familiari e furono infastiditi da tali arti magiche che incominciarono a temere. Gli uomini inoltre erano irritati dalla popolarità che il culto di Diana riscuoteva in questa zona poiché molte promesse spose pur di evitare matrimoni infelici, preferivano votarsi alla Dea Diana e offrire la loro castità. Le ragazze divenute poi sacerdotesse venivano appellate dagli stessi uomini amareggiati, in maniera dispregiativa col sostantivo di ianare (da dianare o sacerdotesse di Diana) ed infine per vendicarsi bollate di stregoneria, capaci di invocare il demonio. La parte maschile del popolo, quindi che mal vedeva questo luogo frequentato da sole donne, temendo di perdere il loro potere in società, incominciarono a fare di tutto per screditarlo.
Incominciarono con lo screditare le sacerdotesse accusandole di eresia, adulterio apostasia, blasfemia, e bigamia e tante altre numerose ingiurie con il solo scopo di annullarne il potere acquisito.
Già tutto questo basterebbe a dare un significato misterioso al luogo che invece come se non bastasse pare che esso sia il luogo dove secondo un’antica leggenda, sotto la piccola piazzetta antistante , vi abitasse il diavolo in persona. Egli tutte le notti travestito da enorme maiale, pare che si aggirava minaccioso per la piazza e le strade limitrofe per spaventare col suo diabolico grugnito i passanti.
Il feroce maiale dal grugnito infernale, appariva nel cuore della notte aggredendo i passanti e squarciando porte e finestre. Per tutti si trattava della personificazione del male: era il Diavolo, incarnatosi nel corpo di un maiale, con l’intento di suscitare terrore e disperazione.
Secondo gli abitanti del luogo, il centro di tale malvagità si trovava proprio sui vecchi resti del tempio di Diana, dove alcune donne (streghe) continuavano a praticare strani vecchi rituali sinistri in gran segreto, che avevano il solo scopo di alimentare la furia vendicativa di Diana, che per vendicarsi della distruzione del tempio a lei dedicato aveva così consegnato alla città un orribile maiale, invaso di violenza e ira accecante che con il suo spaventoso grugnito, sembrava uscire dall’ inferno.
Il popolo napoletano anticamente, nonostante da tempo avesse accettato la fede cristiana, continuava di tanto in tanto a praticate culti pagani in città’ e fino a tutto il seicento si continuava a svolgere in questo luogo ogni mese di maggio una grande festa conosciuta come ” gioco della Porcella“.
Si trattava di una reminiscenza dei sacrifici di maialini dedicati a Demetra, dea della terra, che aveva il suo tempio poco lontano, vicino piazza San Gaetano, dove ora sorge la chiesa barocca di San Gregorio Armeno. Bisogna anche ricordare che durante il Medioevo era comunque consuetudine uccidere un maialino o una scrofa in questo periodo nella cattedrale principale di una città’ o paese.
Avete mai sentito ammazzare un maiale purtroppo? Le urla sono alte e strazianti e questo spaventava il popolo … ed esse sembravano provenire proprio da quel luogo, da quella piazzetta ….. da sotto a quel campanile che fu considerato maledetto dal demonio.
N.B. Nel vicino Campanile della Pietrasanta , la cui architettura è costituito da frammenti di epoche diverse , si possono notare anche delle delle piccole sculture in marmo di teste di suino, che fanno riferimento alla leggenda del Porco-Diavolo e alla Festa della Porcella.
Furono proprio questi riti pagani e la paura di quete urla di maiali uccisi durante la famosa festa le origini della intuizione, nel 533 d.C. che spinsero San Pomponio, Vescovo di Napoli, a cogliere l’occasione per erigere una basilica Paleocristiana sui resti del tempio pagano di Diana. Egli non aspettava altro che l’occasione buona. Ed un giorno questa avvenne…
Un giorno, in concomitanza di più persone che avevano contemporaneamente deciso di praticare l’antico culto pagano, le urla di notte si levarono strazianti e spaventose.
Le persone impaurite associarono la presenza dell’animale alle donne che praticavano il culto della Dea Diana, quindi per loro quell’animale era il Diavolo travestito da maiale. Spaventati corsero dal vescovo Pomponio, e lo supplicarono di pregare la Madonna per allontanare il demonio. Il vescovo spinto dalla folla organizzo’ subito una messa che dedico alla vergina Maria pregandola di intervenire seduta stante.
La risposta avvenne secondo il vescovo durante la notte grazie ad un suo sogno: la Vergine avrebbe raccomandato a Pomponio di andare nel luogo dove appariva il demonio, e di cercare con attenzione un panno di colore celeste, e di scavare sotto quel panno fino a quando non riusciva a trovare una pietra di marmo che li si nascondeva.
Quello era il luogo dove egli doveva costruire una Basilica paleocristiana da dedicare alla Madonna se voleva liberarsi del demonio.
Soltanto così si sarebbero liberati della satanica apparizione, e così nacque la chiesa di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta, che deve il proprio nome alla pietra santa e che sembra si trovi ancora all’interno della chiesa stessa.
Sulla pietra che mostrava una croce incisa fu posta un’immagine della Madonna e ad essa fu dato un potere enorme: quando la si baciava essa procurava l’ indulgenza da tutti i peccati ed il salvataggio eterno.
La famosa pietra Santa pare che fosse stata portata da pellegrini provenienti da Gerusalemme, ed in particolare si pensa che la pietra provenga dalla chiesa di Santa Maria Maggiore di Sion e che essa sia stata addirittura benedetta dal papa nell’anno 533. Dopo inutili tentativi di ricerca fu rinvenuta durante i lavori di restauro del 1657, eseguiti dal famoso architetto dell’epoca Cosimo Fanzago e conservata nel suo interno. Essa fu posta ai piedi della statua della Madonna della Neve , un tempo presente nella chiesa ed oggi andata perduta .
Anora oggi , a distanza di secoli , la possiamo vedere esposta ai piedi della stessa cappella votive dedicata alla Madonna , incastonata su un piedistallo di pietra lavica nera .
Il Campanile appare impregnato di iscrizioni e simboli misteriosi fra cui la tavola del gioco romano «ludus latrunculorum» una sorta di anrenato del gioco della dama . Una scacchiera , che richiama la pianta “ippodomea” di Napoli.
La scacchiera, ricordiamelo , è uno dei simboli della Massoneria ed è il pavimento rituale di ogni loggia massonica. Ritroviamo il quadrato infatti in riferimento alla Tetractys pitagorica ed è considerato il numero della manifestazione Universale nel concetto del quadrato Perfetto.
L’evento della costruzione della Basilica e la sconfitta del diavolo, simbolo del bene che prevale sul male, e’ stato per molti anni ricordato dallo stesso vescovo con un particolare cerimoniale. Egli affacciato alla finestra della Basilica, ogni anno, per ricordare la data dell’evento, sgozzava dinanzi a tutti un’enorme suino che doveva essergli offerto dai fedeli. La pratica poi per fortuna è stata abbandonata perché ritenuta indecorosa e pagana.
Il furbo vescovo Pomponio provvide dopo la costruzione della basilica, a dare una nuova immagine all’intero luogo affidando la chiesa ai monaci benedettini, che curavano sia uomini che donne con erbe speciali e pozioni medicamentose; particolare attenzione fu data alle donne che soffrivano per parti difficili.
Incominciò contemporaneamente una campagna denigratoria e diffamatoria nei confronti di quelle misteriose sacerdotesse detentrici di poteri magici a lui e a tutta la chiesa sconosciuti. Con l’aggravante di aver rifiutato Dio, le dianare vennero di conseguenza designate come donne possedute dal diavolo che esse servivano con riti magici. Secondo il tribunale dell’inquisizione si dedicavano all’esercizio della stregoneria grazie ai loro poteri occulti con l’unico intento di servire Belzebu’ ma non adorarlo . Esse infatti erano solo seguaci della misteriosa divinità Diana che nella mitologia greco-romana, era seguita nelle sue peregrinazioni notturne da una schiera di morti senza pace: i morti anzitempo, i bambini deceduti prematuramente, le donne morte di parto , le vittime di morte violenta e quelle appartenenti ad entità stregonesche .Con la decadenza della religione antica e l’avvento del cristianesimo, Diana assunse «le sembianze inizialmente di una sorta di fata-maga – per poi giungere a quello di strega che dovevano necessariamente essere combattute , distrutte e perseguitate . Tutte le donne che ricorrevano al culto di Diana furono a quel punto accusate di stregoneria e bandite dalla città.
La loro persecuzione iniziò come quelle di tutte le streghe, con le prediche di San Bernardino da Siena. Egli le indicava come causa di sciagure e sosteneva la tesi secondo la quale dovessero essere sterminate. Nel 1486 fu addirittura pubblicato il “Malleus Maleficiarum “, che spiegava come riconoscere le streghe, come processarle e come interrogarle con torture atroci. Proprio attraverso tali torture furono raccolte diverse confessioni, nelle quali si parlava di sabba a Benevento, di voli, di scope e della pratica di succhiare il sangue dei bambini. Di conseguenza molte di queste fantomatiche streghe finivano poi per essere mandate al rogo o al patibolo.
La leggenda delle streghe di Benevento ebbe risonanza amplissima in tutta Europa e, l’albero del “noce stregato”, ipoteticamente situato in una località chiamata Ripa delle Janare, nei pressi del fiume Sabato, divenne il più famoso del mondo.
Secondo una leggenda e strane confessionati carpite sotto tortura , queste streghe di Benevento pare , si raccogliessero attorno ad un noce magico, in un rito magico detto Sabba. Prima di avviarsi le streghe si preparavano al sabba cospargendosi il petto con un unguento gelosamente conservato sotto il letto o nel camino, dopodiché uscivano volando sulle proprie scope di saggina, al suono dell’antico adagio: “Sotto l’acqua, sotto ‘u viento, sott’ a noce ‘e Beneviento” . Giunte in una località chiamata Ripa delle Janare, le streghe una volta reso omaggio al capo (assomigliante ad un grosso cane o ad un caprone) si davano poi al rituale.
Questi consistevano in banchetti, con spiriti e demoni sotto forma di caproni o gatti. Il banchetto veniva consumato intorno a “’na tavola longa longa”, carica di dolci, vini ed altre cose prelibate. Seguiva la danza cui le streghe partecipavano con grida,imprecazioni , ostie profanate, crocifissi calpestati, imprecazioni e fracasso infernali culminanti in vere e proprie orgie dove spesso si accoppiavano con demoni Qualcuno a tal proposito ha avanzato l’ipotesi che il misterioso unguento fosse una sostanza allucinogena (amanita muscaria). Dopo le riunioni le streghe seminavano il terrore. Si credeva che causassero aborti, deformità nei neonati, facessero dispetti, facendo trovare le criniere dei cavalli intrecciate. Ancora oggi nei paesini del beneventano circolano voci secondo le quali le streghe rapiscano dalle culle i neonati, per passarseli tra di loro e riportarli infine al loro posto. Il rituale di carattere erotico-orgiastico ebbe grande diffusione popolare , fino a quando fu bandito, nel 139 a.C.. In seguito il culto proseguì in forma misterica ed esoterica.
La pianta del noce era considerata “Simbolo di fertilità” (si evince dal termine glans, ghianda, da cui deriva anche la parola “glande”) in quanto gli antichi romani vedevano anche una somiglianza tra i testicoli ed il mallo (il guscio) della noce. Le noci venivano usate per scherzi nuziali: durante il corteo venivano gettate sul marito, oppure (secondo Virgilio) lanciate dallo sposo stesso.
L’albero di noce era anche sacro a Dionisio ed anche nei rituali pagani della celebrazione dei Misteri Dionisiaci, le sacerdotesse del dio, cioè le Menadi, chiamate anche Baccanti, celebravano danze sfrenate ed estatiche attorno ad un albero di noce.
La chiesa locale non poteva però accettare che tutto questo si svolgesse sotto i suoi occhi, e approfittando di una delle periodiche guerre tra Longobardi e Bizantini il vescovo del periodo: San Barbato fece tagliare il Noce di Benevento. Ma lo stesso albero pare che più’ volte sia ricresciuto nonostante più volte tagliato continuando ad essere il luogo preferito dalle streghe per i loro Sabba.
Il rito sembra avere origini similitudini lontane importate dalle dominazioni locali.
In particolare il tutto sembra probabilmente legato al periodo in cui la città di Benevento venne conquistata dai Longobardi.
I longobardi infatti, che celebravano il culto di Wotan, padre degli dei, con un rito orgiastico presso il fiume Sabato, erano usi appendere ad un albero sacro la pelle di un caprone. Successivamente i guerrieri, correndo a cavallo intorno all’albero, gareggiavano per colpire la pelle con le frecce, la quale poi veniva strappata a brandelli e mangiata.
Questi particolari riti celebrati presso il fiume Sabato, sono stati probabilmente all’origine dell’idea dei riti delle streghe.
I Longobardi inoltre adoravano un serpente d’oro (probabilmente legato alla dea Iside, che era dominatrice dei serpenti).
Nonostante che la sua immagine venga spesso confusa con lo stereotipo della strega cattiva, la janara è, in realtà, il simbolo della vita vissuta in armonia con la natura, ossia in sintonia con la madre Terra. Si ritiene che le ultime vestali del tempio di Iside e Diana a Benevento, scacciate dalla città, furono costrette a vivere nei boschi della valle del fiume Sabato, e siano le progenitrici delle janare, le quali conoscevano il ciclo dei pianeti, e i rimedi fito-terapici. Secoli fa, quando non esistevano ospedali o ambulatori medici, era proprio a loro che si rivolgevano le genti locali per essere curate.
Non si conosceva l’identità delle janare: esse di giorno potevano condurre una esistenza tranquilla senza dare adito a sospetti. Una Janara poteva essere una persona normale, magari anche sposata, in grado di frequentare le messe domenicali.
Di notte, però, dopo essersi cosparse il petto del suo unguento magico, esse avevano la capacità di spiccare il volo a cavallo di una una scopa costruita con saggina essiccata.
Nelle campagne lentamente incominciò a diffondersi la paura per le streghe e si cercò di trovare un rimedio utile per allontanarle. Presso gli usci si ponevano quindi scope o sacchetti con grani di sale, in modo che, se la janara riusciva ad entrare, sarebbe stata costretta a contare i fili della scopa o i granelli di sale, senza poter venire a capo del conto. L’alba sopraggiungeva a scacciarla, poiché non si accorgeva del passare del tempo, impegnata nell’insulsa operazione. Gli oggetti posti a tutela delle porte infatti avevano ed hanno insite virtù magiche: la scopa per il suo valore fallico, oppone il potere maschile e fertile a quello femminile e sterile della janara; i grani di sale sono portatori di vita, poichè un’antica etimologia connette sal (sale) con Salus (la dea della salute).
Pe combattere le streghe , c’erano fortunatamente , nel mondo contadino popolari , i benandanti , una serie di persone predestinate fin dalla nascita a contrastare il potere delle streghe e dei stregoni .Essi credenze popolari medievaliavevano il potere e la capacita di uscire come spirito dal proprio corpo per affrontare le streghe e le altre creature diaboliche che come vedremo minacciavano la fertilità dei campi. Queste battaglie notturne si svolgevano durante le quattro tempora, e i benandanti combattevano armati di rami di finocchio contro streghe e stregoni armati, invece, di canne di sorgo. Se i benandanti vincevano, il raccolto sarebbe stato propizio e quell’anno sarebbe stato quello dell’abbondanza , se altrimenti perdevano il raccolto era misero e quell’anno era quello della carestia.
Il loro potere secondo credenze popolari nasceva dalla fortuna di essere nati «con la camicia», cioè ancora avvolti dopo il parto , da una piccolo residuo di menbrane del sacco amniotico , Questo segnale veniva considerato benaugurante ed il neonato che ne era in possesso veniva non solo considerato un futuro uomo fortunato, ( si riteneva addirittura che la «camicia» amniotica avesse il potere di proteggere dalle ferite), ma addirittura un futuro benandante .
I benandanti venivano comunque divisi in quelli «agrari» le cui battaglia erano finalizzate per la fertilità dei campi, ( in genere riservate ai benandanti uomini), in quelli «funebri» che in processioni notturne parlavano con i morti ,( perlopiù benandanti donne) ed in quelli «terapeutici» che invece curavano malattie e ferite, praticando una magia positiva e benefica in opposizione alla magia diabolica distruttiva delle streghe ( in queste attività erano coinvolti sia benandanti uomini sia donne).
In generale erano comunque considerati almeno inizialmente come elementi positivi . Essi oltre che combattere streghe e stregoni , si racconta che conoscevano il passato e il futuro, erano in grado di ritrovare oggetti perduti, allontanavano la grandine e conoscevano incanti che proteggevano la gente e gli animali dall’azione delle streghe . Non solo: essi dichiaravano anche di essere capaci di evocare «l’esercito furioso, composto da bambini morti prima di essere battezzati, dagli uomini uccisi in battaglia e da tutti gli “ecstatici”», cioè da coloro la cui anima aveva abbandonato il corpo senza farvi più ritorno. Ancora, essi affermano di essere in grado di compiere tali prodigi per essere stati ammessi nel «misterioso regno di Venere»: ciò, naturalmente, li ricollega alla divinità femminile adorata durante questi ambigui convegni notturni, la Frau Venus germanica che ricorda la Afrodite mediterranea. Non stupisce, quindi, perchè poi in un secondo momento l’inquisizione ,in meno di un secolo, fu pronta a metterli sotto pressione trasformandoli in odiati antagonisti. Furono infatti con il tempo trasformati da amichevoli benefici guaritoi in incredibili adoratori del demonio che si recavano a misteriosi raduni notturni, di cui non potevano far parola sotto pena di essere bastonati, cavalcando lepri, gatti e altri animali.
Come abbiamo potuto aver modo di vedere , un tempo (verso la fine del 500 ed inizio 600 ), era molto diffuso il mito della processione notturna , formato da coloro che sono morti prima del tempo, come ad esempio i guerrieri morti in battaglia, costretti a vagare durante le quattro tempora (e in particolare nelle notti che vanno da Natale all’Epifania) finché non sia trascorso il periodo che dovevano trascorrere sulla terra. Durante questo periodo i contadini credevano che una divinità di nome Hera, portatrice di abbondanza, vagasse volando durante tutti i dodici giorni ( questo periodo era consacrato al ritorno dei morti», durante il quale, nel mondo germanico, «si pensava che i morti andassero in giro vagando ).
CURIOSITA’ : Secondo molte testimonianze, la schiera dei morti, denominata «esercito furioso», sarebbe guidata dal leggendario uomo selvatico o demone della vegetazione, conosciuto con il nome di Harlechinus o Hellequin .
Tali figure femminile furono inizialmente identificata in Diana, la dea lunare non solo legata alla cacciagione, ma anche alla vegetazione, e solo in un secondo tempo con la “ Befana “, una vecchina affettuosa ,rappresentata su una scopa volante che aleggiava sopra i campi di notte per propiziarne la fertilità che ancora oggi , passati tanti secoli viene da noi festeggiata nei 12 giorni che seguono il Natale ( epifania ).
Essa , vista come la personificazione al femminile della natura invernale, veniva rappresentata come una vecchia gobba con naso adunco, capelli bianchi spettinati e piedi abnormi, vestita di stracci e scarpe rotte. Il naso adunco era beneaugurante per il raccolto dell’anno seguente.
Ma è nel nord Europa e sopratutto nella tradizione celtica che si ritrova il vero aspetto della benevola vecchina vestita di laidi stracci. che ancora oggi raffigura la befana . Queste divinità, nelle dodici notti del Solstizio d’inverno, si recavano a visitare ogni casa, entrando dalla cappa del camino, spargendo e dispensando fortuna.
I Romani che ereditarono tali riti , credevano che in queste dodici notti (il cui numero avrebbe rappresentato i dodici mesi dell’innovativo calendario romano ) per propiziare la fertilità dei futuri raccolti , volassero sui campi coltivati, benevoli e mitologiche figure femminili ( da cui il mito della befana “volante).
Il proverbiale «volo delle streghe», e le loro cavalcate notturne ebbe comunque una notevole diffusione nell’Europa medievaleanche se con diversi personaggi . . A capo di questa processione notturna dalle nostre parti vi era sicuramente Diana mentre nelle zone germaniche vi erano le divinità Perchta e Holda, dee della vegetazione, della morte ,della vita e quindi della fertilità, ma anche della luna e della notte.
Probabilmente esse rappresentavano l’arcaica progenitrice dei Germani, cioè la divina filatrice Berta dai “grandi piè”, madre di Artù,ma in omonima anche genitrice di Odino-Wotan . Personaggio che come re Artù sono entrambi in relazione con l’orso (con la cui pelle, ricordiamo, si travestivano le sacerdotesse di Artemide Brauronia durante i loro rituali). L’animale, oltre ad una relazione con Afrodite, evoca possibili riferimenti alla stella polare (Ursae Minoris) nonché all’assialità (il sacro frassino Yggdrasill, Albero del Mondo a cui Odino resta appeso per nove giorni.
Essa fu volutamente rappresentata vecchia perché doveva simbolicamente rappresentare l’anno vecchio ed indicare il finire di un ciclo: con il solstizio d’inverno si passa infatti dal vecchio al nuovo, dal freddo e dalle notti interminabili all’allungarsi del periodo di luce. Con la fine dell’anno ancora oggi si entra nel nuovo anno , lasciando il vecchio alle spalle per guardare il nuovo .
Il substato arcaico delle feste di fine anno riguardo i tradizionali 12 giorni fra Natale ed Epifania era un momento molto importante nel passato per le antiche civiltà .Era il periodo che nel vecchio calendario Giuliano avveniva il solstizio d’inverno. Ed era il periodo in cui veniva celebrato un giorno particolare : il 25 dicembre.
In quel periodo il sole raggiunge il punto di massima distanza dal piano equatoriale, la notte raggiunge la massima estensione e la luce del giorno la minima. Si verificano cioè la notte più lunga e il giorno più corto dell’anno.
Subito dopo il solstizio, la luce del giorno torna gradatamente ad aumentare e il buio della notte a ridursi fino al solstizio d’estate, in giugno, col giorno più lungo dell’anno e la notte più corta.
Il giorno del solstizio cade generalmente il 21, ma per l’inversione apparente del moto solare diventa visibile solo il terzo/quarto giorno successivo,cioè il giorno 24 dicembre . Il sole, quindi, nel solstizio d’inverno giunge dapprima nella sua fase più bassa di luce e calore, per tornare poi il giorno dopo più forte e vitale . Egli mostra in questo modo di essere “invincibile” alle stesse tenebre.
Il 25 dicembre quindi il sole rinasce, per dare il nuovo “Natale” all’anno.
Era questo un giorno molto importante e simbolico per gli antichi popoli perché rappresentava la rinascita del mondo . Esso venne celebrato ovunque associandolo spesso al giorno di nascita o di feste di alcune divinità , la cui storia ha poi certamente ispirato alcuni racconti riportate dalla religione cristiana , come per esempio la data della nascita di Cristo .
N.B. Sol Invictus, cioè Sole invitto era il nome religioso usato per diverse divinità
La divinità maggiormente celebrata il 24 dicembre era il Dio Mithra , una divinita’ di origine indiana e persiana ,il cui culto era una delle religioni più ‘ diffuse nell ‘ antichità
Egli viene spesso rappresentato con in testa una corona raggiata donatagli dal sole in conseguenza di un patto raggiunto tra i due ( era per questo considerato il dio dei giuramenti e dei patti ).
Il Dio Mitra veniva festeggiato nel giorno in cui oggi festeggiamo la nascita di Gesù’ il 25 dicembre e al termine del suo operato , con l’aiuto del Sole assunse in cielo a 33 anni , da dove continuava a proteggere gli esseri umani. Era inoltre stato partorito incarnandosi in una donna vergine, venne adorato dai pastori , aveva dodici discepoli e veniva soprannominato “il Salvatore”. . Fu ucciso da una lancia che gli trapassò il suo costato e risorse dopo tre giorni . Poiché era nato vicino alla pietra di una caverna ,presso un albero sacro e con la torcia in mano ( simbolo della luce che si spande sul mondo ) , la caverna divenne il simbolo della nascita del nuovo Dio .
Il mito narra che alcuni pastori presenti all’evento soprannaturale gli avevano offerto primizie dei greggi e dei raccolti. Non poche le analogie con la nascita del Cristo in una “grotta” illuminata da una stella mentre i pastori lo adoravano.
I luoghi dove si venerava il suo culto erano chiamati mitrei e la dottrina che portava la sua conoscenza prevedeva la partecipazione di una presenza di un sacerdote .
E per finire , egli veniva adorato sopratutto la Domenica .
Come potete notare ci sono molte analogie con la nascita e la figure di Cristo .Come appare evidente che che i cristiani abbiano “ribattezzato” la festa pagana del Sole Invitto come “Festa della nascita di Cristo”, spostandone la data dal 21 al 25 dicembre, per soppiantare l’altra, sempre molto diffusa tra la popolazione.
“Il Natale nei primi secoli della chiesa cristiana non veniva infatti celebrato , in quanto l’usanza cristiana in generale era quella di celebrare la morte delle persone più importanti, non il giorno della loro nascita …
La festa del Natale come nascita di Gesù fu stabilita in memoria di questo evento solo nel quarto secolo …Poiché il giorno esatto della nascita di Cristo non era noto, la Chiesa occidentale nel quinto secolo ordinò che la festa venisse celebrata per sempre nello stesso giorno dell’antica festa romana in onore della nascita del dio Sole”.
CURIOSITA’ : Altre Chiese cristiane, come quella ortodossa, copta, armena, continuano a celebrare la nascita di Cristo il giorno dell’ l’Epifania .
Il popolo era comunque molto legato alle feste pagane dei saturnalie della brumalia . Esse erano troppo radicate nel costume popolare per essere abolite dall’influenza del Cristianesimo … La festa pagana, con le sue baldorie e gozzoviglie, era talmente popolare che i Cristiani furono ben contenti di avere trovato una scusa per perpetuarne la celebrazione con pochi cambiamenti, sia nello spirito che nelle usanze …
CURIOSITÀ’ : A Roma Mitra fu soprattutto il Dio dei soldati, che con le sue regole di comportamento molto precise, richiedeva temperanza, l’autocontrollo e sopratutto compassione anche nella vittoria . Nell’antica Roma oltre a diffondersi tra le milizie militari , venne comunque abbracciata anche da agricoltori, burocrati, mercanti , schiavi, e persino da grandi Imperatori .
La gran confusione fra i culti pagani e quello cristiano durò diversi secoli, facendo letteralmente indispettire il mondo cristiano .
Guardate cosa scriveva a questo proposito sconsolato il papa Leone I nel 460 :
«È così tanto stimata questa religione del Sole che alcuni cristiani, prima di entrare nella Basilica di San Pietro in Vaticano, dopo aver salito la scalinata, si volgono verso il Sole e piegando la testa si inchinano in onore dell’astro fulgente. Siamo angosciati e ci addoloriamo molto per questo fatto che viene ripetuto per mentalità pagana. I cristiani devono astenersi da ogni apparenza di ossequio a questo culto degli dei. »
Il Mitraismo, era un grosso concorrente per la chiesa cristiana per che esso , come il Cristianesimo, offriva la salvezza ai suoi seguaci ( anche Mitra era nato nel mondo per salvare l’umanità dal male ).
Il suo culto non prevedeva l’abolizione di altre religioni .Gli antichi romani , erano infatti un popolo molto tollerante dal punto di vista religioso . Essi avevano una propria religione di stato che era pagata dallo stato , ma le altre religioni erano ugualmente rispettate e potevano convivere ufficialmente con queste. La religione cristiana quindi ,non fu perseguitata come religione, ma perchè i suoi seguaci volevano abolire le religioni di stato romane. Volevano insomma abbattere qualsiasi altra religione, in modo davvero poco democratico.
Aureliano consacrò il tempio del Sol Invictus il 25 dicembre 274, in una festa chiamata Dies Natalis Solis Invicti, “Giorno di nascita del Sole Invitto”, facendo del dio-sole la principale divinità del suo impero ed indossando egli stesso una corona a raggi. La festa del Dies Natalis Solis Invicti divenne via via sempre più importante in quanto si innestava, concludendola, sulla festa romana più antica, i Saturnali che si prolungavano dal 17 al 25 Dicembre e finivano con le Larentalia o festa dei Lari, le divinità tutelari incaricate di proteggere raccolti, strade, città e famiglia.
Curiosità : I Saturnalia, una celebrazione religiosa dedicata al dio Saturno, dapprima divinità agraria latina, protettrice della semina e delle sementi, e poi assimilato al dio greco Cronos, sposo di Rhéa, la “Terra”.
A proposito di antiche festività romane legate ai campi sapete che anche il Ferragosto , la festa più attesa dell’estate , ha origini pagane e risale all’Antica Roma ?
Il termine Ferragosto deriva dalla locuzione latina Feriae Augusti (riposo di Augusto) ed indica una festività istituita nel 18 a.C. dall’imperatore Ottaviano Augusto, primo imperatore romano ( il mese agosto e la festa prese tale nome proprio In suo onore ). Si trattava di un periodo di riposo , festeggiamenti e celebrazioni successivi ai Consalia, cioè le feste che celebravano la fine dei lavori agricoli dedicate a Conso, che, per i Romani, era il dio della terra e della fertilità. I lavori agricoli erano terminati e, dopo le fatiche nei campi, i romani potevano svagarsi assistendo a corse di cavalli e altri giochi pubblici.
L’Imperatore aggiunse il periodo di lungo riposo e festeggiamenti alle già presenti celebrazioni dei Vinalia rustica, Nemoralia o i Consualia .
Le Feriae Augusti servivano proprio a riprendersi dalle fatiche dei campi . I contadini in questo periodo potevano finalmente quindi riposarsi e per usanza facevano gli auguri ai proprietari dei terreni ricevendo in cambio una mancia.
Il riposo era concesso a tutte le attività lavorative ed oltre agli uomini era allargato anche agli animali “simbolo” del lavoro quali muli e asini che venivano fatti riposare e abbelliti con fiori e ghirlande. In tutto l’Impero si organizzavano feste , celebrazioni e giochi pubblici di vario genere, come per esempio famose corse di cavalli, mentre gli animali da tiro, esentati dai lavori nei campi, venivano adornati di fiori. Anticamente, come festa pagana, era celebrata il 1° agosto. Ma i giorni di riposo (e di festa) erano in effetti molti di più: anche tutto il mese, con il giorno 13, in particolare, dedicato alla dea Diana.
La celebrazione delle Feriae Augusti originariamente cadeva il 1º agosto, mentre la scelta del 15 agosto, quando si festeggia Ferragosto nei giorni nostri, si deve alla Chiesa Cattolica, che fece coincidere la festa religiosa dell’Assunzione di Maria. La data del ferragosto venne infatti spostata dalla chiesa cattolica ,attorno al VII secolo, dal primo al 15 agosto, proprio per farla coincidere con l’Assunzione di Maria. ( assunta in cielo in questa data sia con l’anima sia con il corpo )
La tradizione invece della gita fuoriporta nasce nel ventennio fascista. Nel 1931, infatti, l’allora ministero delle Comunicazioni istituì i “Treni popolari di Ferragosto“, che permettevano agli italiani di raggiungere le località di vacanza a un prezzo ridotto .
L’offerta valida solo per il 13, il 14 e il 15 agosto , aveva due varianti : la prima di un solo giorno che poteva comprendere un raggio massimo di 50-100 km) e la seconda di tre giorni che poteva comprendere un raggio di 100-200 km. In quell’occasione, molti italiani videro per la prima volta il mare, la montagna, e le città d’arte. Questa iniziativa fu un evento importante per gli italiani . Essi per la prima volte nella storia dell’Italia moderna avevano la possibilità, a prezzi ridotti rispetto al normale, di visitare spiagge, monti e città che difficilmente diversamente avrebbero mai visitato.
Non a caso, infatti, il Ferragosto è una festività esclusivamente italiana, visto che in giro per il mondo il 15 agosto è un giorno come tutti gli altri. Eccezion fatta per la cattolica Irlanda, che però celebra la giornata di oggi per la festa dell’Assunzione di Maria, non certo perché un imperatore romano, più di duemila anni fa, aveva ideato una festività propagandistica o perché duemila anni dopo un suo emulo aveva deciso di mandare in “vacanza” gli italiani.