Il gioco Ludus latrunculorum, o più semplicemente dei Latrunculi (briganti, mercenari), era un gioco da tavolo molto in voga nell’antica Roma.

Secondo alcuni esperti di storia greco-romana, il gioco era una variante di un gioco praticato nell’Antica Grecia chiamato Petteia, che si poneva  a metà tra la dama e gli scacchi di oggi.

Nel tempo di  questo gioco ci sono pervenute notizie vaghe circa  le dinamiche del gioco e sul ruolo che avevano le pedine..

Il numero delle pedine in particolare  è ancora oggi sconosciuto: alcuni suppongono che siano state 30 altri 16 . Sappiamo con certezza invece che esse avevano diversi ruoli. e , a seconda della pedina  avevano diversi compiti: c’erano le mandrae, i milites e i bellatores (di queste ultime due non si è certi se fossero le stesse chiamate con nomi diversi).

Neanche della stessa  grandezza della tabula lusoria ci è nota: è stata ritrovata  per esempio una scacchiera di 18 caselle  in Danimarca , ma non essendo completa non è sicuro se fosse rettangolare o quadrata. Nella  Basilica Iulia a Roma  è stata invece ritrovata una tabula lusoria con 8 caselle per lato. Secondo l’interpretazione di altri, la tabula lusoria sarebbe stata di 12 caselle per 18.

Tutte  dinamiche del gioco solo al momento ipotizzate, nonostante esso sia stato un passatempo molto diffuso nell’antica Roma e tenuto molto in considerazione sia dalla plebe che dai patrizi.

N.B. Per il ludus latrunculorum serviva semplicemente una scacchiera, detta tabula lusoria, e delle pedine. A volte i riquadri di gioco venivano incisi sugli scalini di edifici frequentati in modo che, tra un’attesa e l’altra, fosse possibile passare il tempo in agguerrite partite al gioco dei latrunculi.

Il nome del gioco deriva dalla parola “latro” che in latino significa mercenario o brigante e oggi, secondo  gli studi fatti, pare che esso era infatti ,un gioco di strategia militare tramite il quale gli antichi romani passavano le loro serate circa 1700 anni fa.

Nel gioco i due eserciti schierati sulla scacchiera,  ognuno  guidato da un comandante detto “bellator”, dovevano  catturare gli avversari attraverso semplici mosse .

«Il principio molto importante del gioco era la manovra delle  figure fatta in modo che esse formassero un gruppo molto legato.   La pedina isolata dal resto e circondata dall’avversario metteva in   pericolo se stessa e tutte le altre figure dello stesso colore Sembra infatti che  la migliore tattica era la formazione di  solidi gruppi di pedine .  L’avversario, però, con un gioco intelligente ed anche sacrificando  qualcuna delle proprie pedine poteva sfondare questa composizione,     guadagnando così la libertà di movimento sul retrofronte   dell’avversario, ottenendo in questo modo la possibilità di una   graduale conquista della fortezza».

Nelle regole generali vigevano alcuni principi fissi importanti :

  • I briganti potevano muoversi in orizzontale o verticale per un qualsiasi numero di caselle e non potevano passare sopra un’altra pedina.
  • Alcune pedine potevano muoversi anche in diagonale.
  • Quando una pedina raggiungeva il lato opposto della scacchiera assumeva particolari compiti che non ci sono pervenuti.
  • Un “brigante” ( miles o pedone) veniva catturato se circondato su due lati da due pedine nemiche , ad esempio a destra e sinistra o in alto e in basso.

La tavola da gioco dei latruncoli era divisa probabilmente in 96 quadrati, tutti dello stesso colore. Ai due estremi venivano schierati gli eserciti di pedine in osso o in  avorio .Non sappiamo il numero esatto dei pezzi per partecipante: le ricostruzioni più accreditate ipotizzano dodici pedine, ma anche sedici o trenta. A queste va aggiunto il dux o bellator, una sorta di “re”.

N.B. Ancora per analogia con gli scacchi, le singole pedine sono da noi chiamate a volte “pedoni”, altrimenti milites.

Come per il gioco degli scaacchi, anche il «Ludus Latrunculorum» era  un gioco puramente intellettuale. Le regole erano infatti semplici, ma quello che era difficile ,sfidante ed intrigante era applicarle. Per vincere  era importante muovere sempre una pedina a copertura dell’altra. Il dux o bellator, bisognava strategicamente difenderlo . Esso infatti veniva  mangiato se  accerchiato da tutti e quattro i lati.

CURIOSITA’:Le pedine, e occasionalmente il gioco stesso, erano chiamati calculi (“sassolini”)

 

 

 

 

 

 

Come vi abbiamo accennato il gioco era molto diffuso e molto famoso nell’antica Roma tanto da meritare  addirittura una citazione nei Tristia di Ovidio.

Nel 400 d.C. troviamo anche  un accenno fatto dal Macrobio nei suoi «Saturnali».
Egli scrive: «Tanti romani hanno celebrato le feste in onore di Saturno giocando a «Latrunculorum» e ad «Abac» (gioco d’azzardo con i dadi)».

Il «ludus latrunculorum»  lo troviamo comunque  citato anche da altri  importanti scrittori come Varrone, Marziale,  e Seneca, che ci hanno tramandato anche curiosi aneddoti. .

Marco Valerio Marziolo (40-102 d.C.) lo descrive nel suo «Epigramma» questo modo per eliminare la pedina.

Publio Ovidio Nasone (40 a.C. – 18 d.C.) nei suoi «Ars Amandi» e «Tristezze» descrive addirittura  in versi non solo il modo per eliminare le pedine, ma anche le regole dei loro movimenti rettilinei e la non obbligatorietà nella presa.

Nella poesia anonima «Laus Pisonis» (circa 50 d.C.) si narra del romano Caio Calpurnio Pisone, un  artista e ottimo giocatore di «Latrunculorum», che forse corrrisponda a quel famosol Gaio Calpurnio Pisone coinvolto nella congiura del 65 d.C. contro Nerone.

Seneca, ci racconta che lo storico Giulio Cano, giocatore di grande livello, quando venne  imprigionato e condannato a morte da Caligola , per passare il tempo in cella giocava spesso ai latrunculi. E così stava facendo quando il centurione andò a prelevarlo per l’esecuzione della condanna. Il suo ultimo pensiero fu per la partita: fece promettere all’avversario di non mentire sull’esito della partita e, dopo aver contato le pedine rimaste, nominò il centurione  testimone di quella disputa che lui stava per vincere di una mossa!

Come avete avuto modo di capire , dal nome dei personaggi citati ,Il «Ludus Latrunculorum»  era un gioco puramente intellettuale, fatto senza dado e senza ombra di azzardo. e le persone che avevano giochi del genere appartenevanoin genere  all’aristocrazia locale o alla classe superiore. Il gioco era infatti possibile solo per chi aveva il tempo, i profitti e la capacità di pensare in modo strategico.

Anche a Napoli il gioco del «Ludus Latrunculorum»  era molto diffuso ovviamente, nel periodo greco-romano,

Una tangibile prova della sua presenza nella antica Neapolis , la possiamo notare recandoci presso il famoso campanile della Pietrasanta risalente al X o XI  secolo che si trova nel decumano maggiore del nostro centro storico.

Esso realizzato in mattoni rossi,  è caratterizzato nella costruzione dalla riutilizzazione di molti materiali di spoglio provenienti da monumenti di epoca precedente e rappresenta quindi in città una sorta di riassunto delle varie epoche storiche che hanno caratterizzato questi  antichi luoghi compreso quello greco e romano.

In esso sono  presenti  una grande quantità di frammenti architettonici ed iscrizioni di epoca romana in marmo bianco .Sono tutti pezzi utilizzati come blocchi di costruzione ed incastonati nella struttura insiema a colonne e capitelli .

Sotto di esso vi è un grande arco che dovette costituire un utile passaggio in tempi addietro accanto al quale vi è un piccolo arco dove alla base troviamo marmi di età imperiale mentre in alto vi sono delle finestre bifore.

Il Campanile della Pietrasanta che non tutti saano , è quello più antico d’Italia, come potete osservare appare impregnato di iscrizioni e simboli misteriosi fra cui la tavola del gioco romano «ludus latrunculorum»  e altri simboli  ancora  tutti da decifrare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Costruito in laterizio, classico rappresenta in citta, un esempio di architettura romana, databile tra il X e l’XI secolo.

Nella  parte inferiore del campanile, se osservate bene, potrete notare un marmo intarsiato  con su incisa la la tavola del gioco romano “ludus latrunculorum”,  la scacchiera dell’antico gioco in voga presso i legionari romane,  Esso è un reperto archeologico di straordinaria importanza perche rappresenta una preziosa testimonianza delle attività di svago che si svolgevano nelle antiche città tra il I e il IV secolo d.C. , all’ombra dei porticati prospicienti il foro.

La cosa incredibile è che il marmo  appare incastonato come occasionale reperto nella struttura insieme ad altri materiali di spogli oprovenienti  da altre strutture demolite come si era soliti fare all’epoca .

La lastra marmorea su cui fu incisa la scacchiera ( 8 x 8 caselle) , proveniente chissa da quale palazzo o luogo, finì infatti  per essere utilizzata, insieme ai resti del tempio di Diana, e quello del Dio Pan per edificare il basamento del  campanile romanico  della Basilica di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta.

Uno strano reperto  inserito  in un contesto religioso di epoca più recente; quasi un monito,… un invito ad abbandonare tali antichi giochi peccaminosi.

Una “damnatio memoriae” di un “luxuria ludi”.

Tra queste strane iscrizioni possiamo notare delle piccole sculture in marmo raffiguranti delle teste di maiale  rinvenute durante gli scavi sul tempio di Diana che  sicuramente fanno riferimento alla leggenda del Porco-Diavolo e alla Festa della Porcella  che si svolgeva ogni anno nel mese di Maggio (mese mariano) e ricordava a tutti, l’intervento prodigioso della Madonna che esorcizzò il male, scacciando per sempre la presenza del Diavolo da quel luogo  (vedi per approfondire l’argomento  il nostro articolo sul sito cose di Napoli.com intitolato IL DIAVOLO E LA PIETRASANTA .

 

 

 

 

 

 

La  scacchiera , che richiama tra l’altro anche la pianta “ippodomea” di Napoli, vi ricordo che  è anche uno dei simboli della Massoneria  ed è il pavimento rituale di ogni loggia massonica. Ritroviamo il quadrato infatti  in riferimento alla Tetractys pitagorica ed è considerato il numero della manifestazione Universale nel concetto del quadrato Perfetto.La simbologia dei numeri di Pitagora – Le curiosità di Sophia

Il  ludus latrunculorum,  stando alle fonti letterarie, fu quindi uno dei più diffusi ‘giochi da tavolo’ dell’antichità latina e adattandosi nel tempo ai vari luoghi conquistati dai romani , si eè trasformato ed evoluto cambiando i pezzi  fino a diventare la dama che conosciamo oggi.

CURIOSITA’: Il gioco era molto diffuso anche nelle legioni militari( ludus latrunculorum, che in latino significa “gioco dei soldati”)Per giocare infatti non servivano  dadi e dunque il gioco non era tra quelli ritenuti d’azzardo. Anzi, i giocatori più bravi erano tenuti in grande considerazione dai presenti. .

Nella citta di Roma e tra i romani erano  comunque molto   diffusi diversi giochi d’azzardo. Uno era chiamato par impar, “pari e dispari” : un giocatore nascondeva nel pugno noci, ossicini o sassolini  e l’avversario doveva indovinare se il numero fosse pari o dispari mentre gli spettatori potevano scommettere sulla quantità di oggetti che l’uno teneva nella mano.

Un altro gioco era il cosiddetto capita aut navia, letteralmente “teste o navi”, il nostro “testa o croce”, che consisteva nel lanciare in aria una moneta avente la testa di Giano bifronte sul diritto e una nave sul rovescio.

Altrettanto in voga era la micatio (dal verbo micare, “saltellare”, in riferimento a digitis, “dita”), In esso le due persone sporgevano simultaneamente il pugno destro distendendo un certo numero di dita e cercando di indovinare nel contempo la somma delle dita distese da entrambi.

In ogni caso, i giochi d’azzardo più popolari si svolgevano soprattutto con gli astragali e i dadi.

Gli astragali erano  degli ossicini di forma cuboide ricavti perlopiù dal tarso posteriore di pecore e capre  benché ne esistessero anche riproduzioni nei materiali più svariati, quali l’oro, l’avorio, il bronzo e la terracotta. Poiché i due lati estremi erano arrotondati, le facce utili al gioco, lunghe e strette, erano quattro, difformi l’una dall’altra (piane, convesse, concave e sinuose)  e dunque di diverso valore Il gioco consisteva nel gettare in aria quattro astragali e nello scommettere su come si sarebbero disposti, o, qualora vi fossero incisi dei numeri, nell’indovinare il totale.  Il peggior tiro che potesse capitare, detto colpo del cane o dell’avvoltoio, risultava dalla combinazione di quattro facce uguali ciascuna contenente un uno; il migliore, il cosiddetto colpo di Venere, era dato invece da quattro astragali caduti con quattro facce diverse (1, 3, 4, 6). Naturalmente non mancavano i bari, così per tirare gli astragali divenne obbligatorio utilizzare un fritilus, cioè un bussolotto semiconico che riduceva le possibilità di imbroglio.

CURIOSITA’: I’Fritilus’ o bussolotto, erano in genre  realizzati perlopiù in legno o in osso, ma ve n’erano anche d’oro riccamente decorati. British Museum

In un disegno trovato a Ercolano una fanciulla, dopo aver gettato in aria i cinque astragali, ha voltato la mano destra e ne ha raccolto la ricaduta di tre sul dorso, mentre due stanno cadendo a terra, accanto a quelli persi da un tiro precedente. La mano è ancora stesa in avanti con il palmo verso terra e le dita tese ad impedire la caduta degli astragali. La ragazza accovacciata davanti a lei controlla il risultato.

Con gli astragali si compiva comunque anche un altro gioco, quello di lanciarli in aria per poi riacchiapparli con le mani, oppure col solo dorso delle mani. Vinceva chi ne raccoglieva di più. Un gruppo di terracotta da Capua, databile 340-330 a.c., raffigura due fanciulle accovacciate, intente nel gioco con gli astragali che tengono in entrambe le mani: si usava lanciarli in aria per poi cercare di recuperarli al volo nel maggior numero possibile.

Il gioco più diffuso, era ovviamente il gioco dei dadi che però i  i romani chiamavano tesserae, Essi erano in avorio, osso, bronzo o ambra e avevano come oggi i sei lati segnati da numeri .

 

 In genere si lanciavano due o tre dadi, usando il fritilus; il gioco più comune prevedeva il conto dei punti usciti.

 

I dadi erano detti aleae, e si giocavano lanciandone due o tre per volta,. Se le giocate erano associate nei risultati a nomi di eroi o di divinità, vinceva in assoluto chi faceva il colpo di Venere , cioeèse riusciva a mettere a segno un tot di lanci con tutti risultati diversi.

Il bossolo per lanciare i dadi Veniva detto “turricola”

Ovidio  a tal proposito dice che il lancio più alto era chiamato “Venere” (1,3,4,6), mentre il più basso era chiamato “Cani” (quattro assi).

In oltre aggiunge :

“Odio dover penetrare in questi piccoli dettagli, ma voglio che il mio studente sappia lanciare i dadi con facilità e calcolare la quantità di spinta che dovrebbe dare loro nel gettarli sul tavolo, e che sappia come fare per ottenere il numero di tre o indovinare il lato che è da evitare, e che siano abili e prudenti nei gioco dei ladruncoli; e che una pedina non può combattere due nemici …. “

(Ovidio, arte di amare, III)

Il gioco dei dadi era ovviamnete molto diffuso sopratutto tra i legionari. Un paio di dadi in osso sono stati ritrovati nel forte di Birdoswald, in Britannia, su ciascun lato era segnato un numero diverso di cerchi e punti e, nel complesso, non sono così differenti dai dadi che utilizziamo ancor oggi. I Romani possedevano anche un altro tipo di dadi, con soltanto quattro lati segnati, i cosiddetti tali, esempi dei quali sono anch’essi riemersi a Birdoswald. Essi avevano quattro facce piatte contrassegnate dai numeri 1, 3, 4 e 6. Gli altri due lati erano arrotondati e privi di segni. In una partita di tali, venivano lanciati quattro dadi.

Tutti i dadi venivano agitati in una coppa e poi lanciati e lo si vede bene in un affresco di una locanda di Pompei ora al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Al gioco dei dadi erano collegati dei gettoni del gioco d’azzardo, in osso, con un lato inciso di marcature numeriche. Su alcuni di questi gettoni compariva la scritta “remittam libenter” (restituirò volentieri).!

Il gioco d’azzardo era comunque proibito a Roma e tra i romani, fin dall’età repubblicana l- Le  scommesse e il gioco d’azzardo eranofortemente  proibiti e permessi soltanto in occasione delle Saturnalia, delle solenni feste religiose che si celebravano verso la fine di dicembre in onore di Saturno e prevedevano oltre ai comuni scambi di doni anche  l’abolizione delle distanze sociali e la sospensione di alcune norme , come quella del gioco d’azzardo e manofestazioni orgiastiche.  

Invece le “sponsiones”, (scommesse) erano consentite durante i Ludi circensi, sulle corse dei cavalli e sui gladiatori, il che aumentava alle stelle il piacere dello spettacolo. Un po’ come si scommette oggi all’ippodromo. I romani erano fissati con le scommesse e scommettevano su tutto, spesso turlupinati da giocatori truffaldini che gironzolavano nelle terme per trovare il pollo da spennare.

A controllare dopo i Saturnali,  che nessuno si dedicasse a giochi illeciti dopo il termine delle festività vi erano gli edili, magistrati addetti a varie mansioni civili. che attraverso ivigilantes giracchiavano per le terme per arrestare il giocatore truffaldino e l’ingenuo truffato, che pagava una multa a sua volta.

Anche i privati cittadini potevano  comunque sporgere denuncia contro terzi, appellandosi alle leggi De Aleatoribus, che punivano i giocatori d’azzardo con ammende fino a quattro volte la posta in palio. I trasgressori, tuttavia, rischiavano talvolta una pena detentiva, come il carcere o il lavoro forzato nelle cave.

Inoltre i debiti di gioco non erano riconosciuti e se il giocatore debitore aveva già pagato poteva richiedere giudizialmente quanto aveva dato al giocatore creditore, il che frenava in parte i giocatori. Come si vede all’epoca si era sotto questo profilo più civili ed assennati di oggi, poichè comprendevano benissimo la malattia del gioco e cercavano di proteggere i giocatori nonchè le loro famiglie. In tutti questi giochi si scommettevano infatti, spesso parecchi soldi, che a volte dilapidavano i beni del giocatore, ed ecco la ragione delle proibizioni.

Il gioco d’azzardo veniva insomma associato ad altri vizi, quali l’alcol e le prostitute; al contrario dei lupanari, però, che dovevano restare chiusi fino all’ora nona (le tre del pomeriggio),

I romani benpensanti consideravano i giocatori d’azzardo (aleatores) alla stregua di individui loschi e pericolosi. A tal proposito l’oratore e filosofo Cicerone li poneva sullo stesso livello di commedianti,ruffiani o debitori,  tutte categorie  appartenenti alle infime classi del popolo.

Il poeta satirico Giovenale considerava il gioco d’azzerdo con sdegno: «Quando mai fascino uguale vi fu nel gioco? / Nelle bische non si va più con una borsa, / come posta ci si gioca la cassaforte. / Che scontri memorabili vedrai / alla distribuzione delle armi! / Semplice pazzia o che altro mai / è perdere centomila sesterzi / e negare una tunica / al servo che trema di freddo?».

Eppure, le scommesse e il gioco d’azzardo avevano luogo comunque, benché al riparo da sguardi indiscreti: proprietari di locande e taverne nascondevano infatti nspesso nel retrobottega delle vere e proprie bische clandestine.  

N.B.  Le taverne e le locande avevano il vantaggio di essere aperte dalla mattina alla sere e potevano offrire dunque ospitalità ai giocatori a ogni ora del giorno.

 Insomma,la legge lo perseguiva, i moralisti lo condannavano, per molti altro non era che un sintomo della decadenza dell’impero ; eppure, il gioco d’azzardo era una vera e propria passione che animava i romani di ogni classe e condizione ,Patrizi e plebei finivano per sperperare ai dadi autentiche fortune

.Gli stessi imperatorii furono vittime della frenesia del gioco d’azzardo.

Narra a tal proposito Svetonio che Augusto «non si preoccupò affatto della sua reputazione di giocatore,e continuò a giocare senza farne mistero,  perchè si divertiva, fino alla vecchiaia e non soltanto in dicembre ma anche in tutti gli altri mesi, nei giorni lavorativi e in quelli festivi».

Lo storico prosegue citando una lettera che il primo imperatore romano avrebbe scritto al figlio adottivo e futuro imperatore Tiberio, in cui raccontava: «Mio caro Tiberio, abbiamo passato molto piacevolmente le Quinquatrie [feste in onore di Minerva], perché abbiamo giocato durante tutti questi giorni e abbiamo riscaldato il tavolo da gioco.  Personalmente ho perduto 20.000 sesterzi  ma perché, secondo mia abitudine, sono stato un giocatore eccessivamente generoso. Se avessi preteso le poste che ho condonato a ciascuno, ne avrei vinti almeno 50.000».

Sempre Svetonio cj rileva che  Nerone scommetteva somme di denaro elevatissime fino a 4000. sesterzi a ogni lancio di dadi, e che anche  l’imperatore Claudio «giocava accanitamente ai dadi e scrisse anche un libro su quest’arte; egli se ne dilettava anche durante i viaggi avendo fatto fissare alla lettiga il tavoliere in modo che il movimento non disturbasse il gioco.

 

Prima di concluedere l’articolo, tengo molto a dirvi che negli ultimi anni c’è stata una fiammata di interesse verso il ludus latrunculorum.  In fondo . giocare come un antico romano è un modo divertente e solo apparentemente leggero per entare in contatto con la sua cultura.

Ci sono ultimamente presenti sul mercato, anche  delle edizioni su carta, con regole adattate, del gioco dei latruncoli nonché vari appassionati che si sono costruiti la propria tabula lusoria, mettendo alla prova le proprie abilità manuali e testando le regole. Vivendo, con queste attività, un’autentica scintilla di vita romana. .

Non mancano delle app per consentire ai possessori di smartphone di cimentarsi nel ludus latrunculorum sullo schermo del loro dispositivo. Magari per passare il tempo mentre si attende il proprio turno, o mentre si è seduti su un gradino a godere del sole… proprio come duemila anni fa.

Ludus latrunculorum ricostruito

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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