Giuseppe Moscati nacque a Benevento il 25 luglio 1880.
Medico, ricercatore e docente universitario, mori’ a Napoli a soli 46 anni il 12 aprile 1927.
Settimo di nove figli nasce in una famiglia dove il padre Francesco è magistrato e la madre Rosa De Luca è una nobildonna, discendente della nobile famiglia dei Marchesi di Roseto.
Nel 1884, quando aveva 4 anni suo padre diventa Consigliere delle Corte d’Appello e trasferisce la famiglia a Napoli.

Il fratello Alberto era un giovanissimo ed esuberante tenente di artiglieria, dotato di fascino, ricchezza e successo. Poi un giorno, durante il servizio militare, una caduta da cavallo lo rese inabile e soggetto a continue crisi epilettiche.
Il giovane Giuseppe che all’epoca aveva solo 15 anni, scosso dall’episodio si dedicò molto al fratello che assistette amorevolmente fino alla fine.

Giuseppe amava molto il fratello e avrebbe fatto di tutto per ridargli la totale guarigione, ma dovette purtroppo limitarsi ad assisterlo, vedendolo soffrire, senza alcun miglioramento fino al giorno della sua morte. Questa esperienza lo fece soffrire molto, portandolo a meditare molto sulla fragilità e debolezza umana.

Il serio infortunio accorso al fratello fu probabilmente l’evento che lo portò una volta finito il liceo ad iscriversi alla Facoltà di Medicina.

L’incapacità di alleviare le sofferenze del fratello lo avevano portato a confrontarsi in modo diretto e personale, con il dramma della sofferenza umana constatando la relativa impotenza dei rimedi umani e contemporaneamente avvicinato alla fede religiosa, avvertendo l’efficacia dei conforti religiosi, che accompagnati da caritevole e premurose cure possono dare invece la vera pace e serenità.

Nel 1897, nello stesso anno in cui si iscrisse a Medicina, dovette assistere alla morte improvvisa del padre stroncato da una emorragia cerebrale. Il dolore fu grande, egli amava molto il padre e se per un figlio la morte della madre rappresenta una ferita insanabile, quella del padre significa la perdita di una parte essenziale della propria vita; si continua a vivere ma una sorta di vuoto incolmabile rimarrà per sempre.

L’episodio della morte paterna lo scosse molto e la consapevole maturata caducità dell’ essere umano lo portò in maniera quasi naturale ad avvicinarsi a Dio.
Egli, di conseguenza, dopo tanto dolore intravede nella professione di medico e con l’aiuto di Dio, la sola unica possibilità di alleviiare in modo concreto le sofferenze degli uomini.

Si laurea a pieni voti e poco dopo diviene assistente ordinario agli Ospedali Riuniti degli Incurabili, la grandiosa struttura voluta da una pia donna, la catalana Maria Laurenzia Longo.

A 23 anni, quindi, dopo una brillante laurea, inizia la sua faticosa carriera di medico e di apostolo della fede, unendo la scienza profonda ad una fede operosa.
Con umiltà e dedizione comincia il suo cammino di medico. La sua missione inizia con l’organizzare l’ospedalizzazione dei colpiti di rabbia. Durante l’eruzione del Vesuvio nel 1906 un suo intervento molto coraggioso salva i ricoverati nell’ospedale di Torre del Greco.

Nel 1911 riceve la libera docenza in Chimica Fisiologica su proposta del professor Antonio Cardarelli, il quale da sempre nutriva grande stima per la preparazione del giovane medico.
Diviene di seguito Socio della Reale Accademia Medico-chirurgica e direttore dell’Istituto di Anatomia Patologica.

Nel 1914 quando la madre muore per diabete, allo scoppiare della Prima Guerra Mondiale, Moscati presenta domanda di arruolamento volontario; la domanda viene respinta con la motivazione che il suo lavoro a Napoli risulta più importante; ed egli non manca di prestare soccorso e conforto spirituale ai soldati feriti di ritorno dal fronte.
La grande dedizione per gli ammalati non sottrae comunque il tempo di Giuseppe per lo studio e la ricerca medica. Egli alternava comunque la cura dei malati all’aggiornamento professionale: la curiosità di capire le origini del male, e l’instancabile voglia di indagare divennero in lui una esigenza imprescindibile.

Divenne celebre e ricercatissimo nell’ambiente partenopeo quando era ancora giovanissimo e ben presto conquistò una fama di portata nazionale ed internazionale per le sue ricerche originali, i risultati delle quali vengono da lui pubblicati in varie riviste scientifiche italiane ed estere.

Per concentrarsi sul lavoro in ospedale e restare accanto agli infermi ai quali erano molto legati, nel 1917 rinuncio’ all’insegnamento e alla cattedra universitaria lasciandola all’amico professore Gaetano Quagliariello.
Una sua tipica giornata in questo periodo consisteva nell’alzarsi presto tutte le mattine per recarsi a visitare gratuitamente gli indigenti dei quartieri spagnoli di Napoli, prima di prendere servizio in ospedale per il lavoro quotidiano; la sua intensa giornata proseguiva poi nel pomeriggio visitando i malati nel suo studio privato in via Cisterna dell’Olio al numero 10. Egli non chiedeva compenso a chi aveva veramente bisogno di assistenza e li aiuto’ addirittura, a spese sue, senza farsi accorgere, mettendo banconote tra i fogli delle ricette.

Ai poveri non chiese mai un compenso e spesso lasciava loro i soldi per le medicine che ordinava. Quando, con sofferenza, era costretto a pronunciare una prognosi infausta, qualunque, fosse il livello economico della casa, non accettava onorario.

Divenne presto famoso per sua umiltà e competenza e chiunque all’epoca desiderava averlo al capezzale di un proprio caro. Tutta Napoli chiedeva il suo parere e lui correva : saliva le scale dei gentilizi palazzi e scendeva nei più umili tuguri.

Terminata la guerra il consiglio d’amministrazione dell’ospedale Incurabili lo nomina primario e nel 1922 consegue la Libera Docenza in Clinica Medica generale.
A soli 46 anni, dopo un improvviso malore, spira sulla poltrona di casa sua. E’ il 12 aprile 1927. La notizia della sua morte si diffonde rapidamente, riassunta nelle parole della gente <<è morto il medico santo>>.

Sepolto dapprima nel Cimitero di Poggioreale il 16 novembre 1930 il corpo viene poi traslato presso la Chiesa del Gesù Nuovo, dove tutt’ora riposa sotto l’altare della cappella della Visitazione, così detta per la famosa pala dipinta da Massimo Stanzione.
Davanti alla cappella è presente una grande statua di bronzo del medico con un lungo camice ed uno stetoscopio al collo mentre più avanti, all’interno della bella chiesa e’ stato ricreato nell’ala destra una suggestiva rappresentazione degli ambienti dove lui teneva studio.
Giuseppe Moscati è stato proclamato Beato da papa Paolo VI il 16 novembre 1975, e Santo il 25 ottobre 1987 da Giovanni Paolo II. La sua festa liturgica ricorre il 16 novembre.

Giuseppe Moscati dimostrò come medico innanzitutto e come uomo poi, una sensibilità acuta per le sofferenze fisiche altrui.
Con lui si manifestò appieno quella umanizzazione della medicina che, proprio negli anni in cui egli si trovò a operare, sembrava risentire invece di un’eccessiva scientificità, che comportava un certo distacco della figura del medico dal paziente, quasi come se fosse più importante “risolvere la malattia” piuttosto che occuparsi del malato in sé.
Ancora oggi, una pubblicazione scientifica, purtroppo, ha il solo interesse di far crescere il proprio ego e la propria immagine al solo scopo di intraprendere una gloriosa carriera e un augurale posizione economica e sociale.

La sua umanizzazione anticipò quel rapporto auspicabile tra il medico competente ed il paziente sofferente. Un paziente che ignorante del proprio stato di malattie diviene dipendente assoluto dell’ onestà scientifica del medico a cui si e’ rivolto.

Il suo insegnamento e’ di monito nei confronti di colui capace di pretendere soldi ( a volte tanti ) di fronte ad un malato affetto da cancro o altra malattia terminale, magari perché provvisti di titolo accademico riconosciuto da universita’ sempre più politicizzate pronte ad appoggiare quello che porta più voti e sempre meno disposte alla meritocrazia.
Università già da memore tempo malate croniche dall’inguaribile ” Baronia ” che almeno una volta era affidata a professori competenti, mentre oggi invece…
Il danaro nel mondo medico domina sul famoso giuramento di Ippocrate e l’unica nostra vera speranza sono riposte nei nostri giovani, ma… temo purtroppo che frutti di un albero marcio possano non essere buoni.
Il sistema con cui e’ organizzato oggi il sistema selettivo dei medici (a numero chiuso) non porterà mai lo studioso e bravo figlio di un umile operaio alla laurea in medicina. Il numero chiuso e’ un limite fatto per portare alla laurea il figlio di un medico e basta… se qualcuno scappa poi ci pensano dopo a smantellarlo.
Ad un quinto anno di liceo scientifico non si studia biologia e chimica. Negli istituti superiori non si studia logica, eppure il rigido criterio di ammissione a numero chiuso si basa prevalentemente su queste materie.
E’ quasi obbligatorio quindi rivolgersi a professori privati o istituti di preparazione.
II business dei corsi a pagamento preparatori dei test di accesso, scaturito proprio da tale carenza della scuola, comporta una discriminazione in partenza privilegiando i pochi che possono permetterseli, e causa la violazione dell’art. 3 e dell’art. 34 della Costituzione. Inoltre, negli ultimi anni i test si sono (volutamente) tenuti nel periodo di giugno in contemporanea con gli esami di maturità dei poveri studenti che non sapevano proprio come dividersi tra due priorità vista l’eccessiva difficoltà dei test stessi e l’impegno normalmente dovuto per diplomarsi.
La preparazione ai test costa 3-4 mila euro, una spesa non sostenibile da uno stipendio operaio e la sede universitaria nazionale di eventuale vincita al concorso fuori dalla tua città residente è una spesa non sostenibile da uno stipendio da impiegato (alloggio, cibo, trasporti, tasse universitarie etc ).
L’introduzione del numero chiuso ha dato vita ad un vero e proprio business basato sulla creazione e lo sviluppo di numerose società private che hanno realizzato numerosi testi (Alphatest, Cepu), e corsi preparatori onerosi (Cepu, Scuole Private, professori privati ), che di fatto creano delle disparità tra studenti, poiché non tutti possono permettersi di pagare prezzi esorbitanti. Il sistema, dunque, non garantisce il dettato costituzionale per cui il diritto allo studio è inteso anche come diritto all’accesso. Non sono garantite a tutti le stesse possibilità a prescindere dalle condizioni socio economiche di partenza, infatti, chi potrà prepararsi ai test frequentando corsi ad hoc, sarà sicuramente avvantaggiato rispetto a chi non potrà farlo . Il numero chiuso difatti limita il diritto allo studio e protegge le lobby.
Il numero chiuso, infatti, altro non è che una legge illegale che vieta la conoscenza. Questo sistema, ogni anno, calpesta il diritto alla libera formazione e all’istruzione “gratuita” di migliaia di studenti che, per accedere ai corsi di laurea, sono “costretti” a dover frequentare corsi di preparazione onerosi al fine di immagazzinare quante più conoscenze nozionistiche possibili.

Probabilmente Cardarelli o Moscati oggi non riuscirebbero a superare il test di accesso e forse solo perché non hanno risposto bene alla domanda… chi ha vinto l’ultimo concorso di miss Italia ….(questa e’ stata una delle domande negli ultimi concorsi).
Il nostro auspicio è ovviamente quello di vedere un sistema che dia a tutti l’opportunità di fare il medico e che questi sviluppino di nuovo un sano amore per la scienza e per l’ammalato visto non solo come forma di guadagno ma come persona sofferente e bisognosa .
Bisogna che tutti i futuri medici studino e ricordino Giuseppe Moscati , che dovrebbe essere esempio di Scienza, di Fede e di Bontà.
Moscati, infatti , anticipò con il suo comportamento quello che è oggi considerata nell’esercizio della medicina la condizione necessaria ed essenziale per occuparsi del malato, inteso non più come semplice portatore di una malattia da guarire, ma come persona che soffre e a cui bisogna perciò riconoscere pari dignità nella sua sfera fisica e in quella emotiva spirituale, con una presa in carico totale dei suoi bisogni.
Moscati vede nei suoi pazienti il Cristo sofferente, lo ama e lo serve in essi. È questo slancio di amore generoso che lo spinge a prodigarsi senza sosta per chi soffre, a non attendere che i malati vadano a lui, ma a cercarli nei quartieri più poveri ed abbandonati della città, a curarli gratuitamente, anzi, a soccorrerli con i suoi propri guadagni.
Giuseppe Moscati è stato proclamato per questa sua purezza di spirito, Beato da papa Paolo VI il 16 novembre 1975.

Si dice, ma questo è un fatto reale e documentato, che un ragazzo affetto da un
male incurabile giacesse ormai in fin di vita sul lettino dell’Ospedale del Policlinico di Napoli, quand’ecco di sera, mentre tutti riposavano presentarsi dinanzi a lui un medico vestito con un camice lungo fino ai piedi, una vecchia campanella bianca, con occhialetti rotondi e baffetti, capelli in ordine e brizzolati, proprio come nella nostra immagine…il medico gli si avvicina, trascinando un vecchio carrello di legno per le terapie…. apre una fiala di un farmaco portentoso e gliela pratica in vena, accarezza il paziente e scompare… L’indomani il ragazzo, miracolosamente non presenta più lesioni; le lastre, la TAC, gli accertamenti di laboratorio sono come per incanto completamente nella norma…ma stavolta non sono stati scambiati gli accertamenti! I medici non riescono a capire, ma il giovanotto spiega che la notte precedente un medico di turno, di notte, gli ha praticato la terapia e che, probabilmente, questa è stata la ragione di una guarigione così repentina! Anzi, per meglio dire, descrive quel medico anziano e col sorriso bonario sulle labbra che gli aveva fatto pure una carezza!
Non è possibile! I medici non si danno pace: la descrizione corrisponde a quella del compianto e defunto prof. Giuseppe Moscati, morto per lo meno 30 anni prima!!
La notizia fa il giro del mondo ed arriva alle persone giuste: i fatti vengono confermati e così il collega il 25 Ottobre 1987 viene proclamato Santo da S.S. Giovanni Paolo II.
La sua festa liturgica ricorre il 16 novembre.

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