Napoli è una città, secondo molti racconti, ricca di apparizioni di fantasmi e case infestate da “monacielli“.

La città si è prestata per tipologia, nel tempo, a luogo ideale per il proliferare di streghe ( le «janare») a strani racconti.

I nostri genitori, ma sopratutto i nostri nonni ci hanno spesso raccontato di portoni che cigolano, lampadine che si spengono e si accendono da sole, usci che sbattono, bisbigli in una stanza vuota, rumori di passi in una stanza vuota, lampadari che oscillano senza scosse di terremoto, soffi di vento e tintinnio di catene in stanze chiuse da anni.

Una grande città esoterica dove il popolo nella sua grande filosofia di vita mostra una esuberante confidenza con la vita e una grande familiarità con la morte e con l’Aldila.

Le anime dei morti, infatti, vengono viste come entità spirituali a cui potersi rivolgere con familiarità ma anche con dovuto rispetto per chiedere grazie ed intercessioni, nonchè per ottenere guarigioni, vincite al lotto ed altri favori, per cui esse vanno venerate quasi allo stesso modo dei santi (la chiesa ad un certo punto preoccupata scese in campo e ne abolì il culto).

Questo culto è una porta rituale tra il mondo dei vivi e dei morti: i morti chiedono ai vivi una preghiera e i vivi, perlopiù donne, si rivolgono alle anime abbandonate che fanno da tramite tra la vita terrena e quella ultraterrena.

Nasce in questo modo l’usanza di adottare “un ‘anima pezzentella“, ossia di scegliere il teschio di un anonimo defunto (una capuzzella) e prendersene cura proteggendolo (talvolta in una piccola e rudimentale bacheca in legno e vetro) ed onorarlo con devozione continua e amorevole talvolta con la speranza di ottenere la … sospirata grazia.

In un paese dove tutto questo è possibile non ci si può meravigliare se compaiono tanti fantasmi; questo è il luogo ideale per loro. Qui essi vengono tollerati, rispettati, temuti e talora addirittura …coccolati e amati.

Storie di apparizioni appaiono un pò ovunque in tutta la città.
Port’Alba, Chiostro di Santa Chiara, Piazza San Domenico, palazzo Donn’Anna, Monte Echia, Posillipo, Gaiola, Vomero, Marechiaro, Castelli, piazza Mercato, ferrovia e centro antico.

Non mancano storie di apparizioni anche nel quartiere della Sanità, nei pressi del cimitero delle Fontanelle e nel cosiddetto «palazzo dello Spagnolo» ai Vergini .
Tutto questo e’ pura suggestione, oppure i fantasmi esistono davvero ?

Le storia sono veramente tante ed è veramente impossibile raccontarle tutte.
Noi pertanto ci limiteremo nel provare a raccontarvi la storia di quelli che sono i più famosi fantasmi presenti in città.

Partiamo da una bella donna dai capelli rossi: ovviamente una Strega.
La storia si svolge nei pressi dell’attuale Piazza Dante, all’epoca Largo Mercatello, in quel vicolo oggi ricco di librerie, chiamato Port’Alba.
Port’Alba, precedentemente era soprannominata Largo delle Sciuscelle per la notevole presenza di alberi di carrube che popolavano la zona; le mura della città all’epoca erano molto alte e spesso si era costretti a fare un lungo giro per accedere alla parte interna della città dalla porta reale o da quella di Costantinopoli. I residenti del posto per non fare il giro, avevano risolto a loro modo il problema praticando un grosso buco (pertuso) nel muraglione.

Nel 1625 il vicerè Antonio de Toledo, duca d’alba, su sollecitazione di Paolo di Sangro, principe di Sansevero, che accolse la petizione dei napoletani e la presentò al vicerè, acconsentì alla trasformazione del “pertigium” in porta, a condizioni che le spese fossero sopportate dalla popolazione locale.

La porta fù quindi realizzata e assunse il nome del vicerè (PORT’ALBA), ma i napoletani per lungo tempo (ed ancora oggi di tanto in tanto), hanno continuato a chiamarla “porta sciuscella ” dal nome dei frutti di carrubo, che sospinti dal vento, dal giardino del vicino convento di san Sebastiano piovevano in strada e venivano raccolti dalla gente del popolo. Le “sciuscelle” sono saporiti frutti, ricchi di zucchero, che normalmente erano il pasto di asini e cavalli, e in passato erano gustati dai napoletani poveri come “dolce di strada”.

La porta che ora si vede, non è quella originale, in quanto nel 1797 fu ristrutturata e fu posta sopra la statua bronzea di san Gaetano che prima sormontava la demolita Porta Reale.

Un tempo alla sommità di Port’Alba vi era un bellissimo affresco realizzato dal grande pittore Mattia Preti di origine calabrese, seguace dell’ancor più celebre Michelangelo Merisi detto il Caravaggio.
Poco lontano dal ‘pertuso‘ abitava la bella ventenne Maria la rossa.

Maria con i suoi capelli rossi e la pelle d’Avorio era desiderata da tutti ma era fidanzata con Michele che di lei era pazzo innamorato. Michele la chiese subito in moglie e dopo sei mesi furono celebrate le nozze. Ma la favola si trasformò in inferno.
La leggenda narra che all’angolo di Largo delle sciuscelle mentre i due innamorati stavano facendo felicemente ritorno a casa sottobraccio accadde qualcosa di strano.

Era una notte di tuoni e di piogge dove accadde qualcosa che cambiò per sempre la vita dei due sposi. Improvvisamente sentirono un tuono più forte degli altri e contemporaneamente una forza misteriosa sbarrò il passo al ragazzo: lo immobilizzò del tutto, impedendogli anche solo di avvicinarsi alla porta.

La moglie sconvolta e fradicia tentò di trascinarlo a sè verso casa ma lui immobile, resto’ come pietrificato. Accorse anche la gente del quartiere ma a nulla valsero gli sforzi; quando Maria infine, stremata, decise di rientrare a casa Michele non pote’ seguirla.

La ragazza con i capelli rossi restò per giorni a dannarsi incredula e disperata fin quando dovette rendersi conto con la morte nel cuore che aveva perso per sempre il suo amore.

La leggenda racconta che a poco a poco quella bellissima ragazza si trasformò in un orribile megera, cupa e torva. I vecchi conoscenti e amici cominciavano ad evitarla, poi a toglierle il saluto e infine addirittura a segnarsi al suo sguardo.

Diventò magra, sdentata, vestita di stracci, con capelli bianchi e il volto pieno di rughe: si diede alla magia e praticava potenti elisir.
La gente ad un certo punto incominciò a pensare che Maria era diventata una strega e cominciò di conseguenza sempre di più a temerla.

Il tutto avveniva purtroppo proprio nel periodo degli anni tristi dell’Inquisizione spagnola; Maria fu presa e ingabbiata, e lasciata morire di fame e sete alla vista di tutti, sospesa sotto Port’Alba.
Fu lasciata penzolare sotto Port’Alba per giorni e giorni; Inizialmente chiese pietà poi cadde in un lungo silenzio. Solo un attimo prima di morire lancio’ il suo anatema alla folla venuta per assistere al supplizio <<La pagherete. Tutti! Voi, i vostri figli, i vostri nipoti, tutti. La pagherete>>.
Il suo cadavere rimase per settimane in quella gabbia e anzichè decomporsi incominciò a pietrificarsi. I giudici dell’inquisizione si affrettarono cosi’ a far scomparire la gabbia e l’unico segno di quella tragica esecuzione e’ stato per molti anni solo il gancio cui la gabbia era appesa.
Da allora per secoli si tramanda che Maria, come un’ombra scura, vaga in via Port’Alba fra le librerie e le pizzerie, senza pace e senza sosta.

Continuiamo nel centro storico e soffermiamoci dinanzi alla chiesa di Santa Chiara.

Nella chiesa di Santa Chiara nell’agosto del 1344, Giovanna d’Angio fu incoronata regina. In questo stesso luogo fu poi portato in una mattina di luglio del 1382, il suo corpo, perchè nessuno dubitasse della sua morte.

La regina morta era scomunicata e non poteva pertanto essere inumata in terra sacra.
Le sue spoglie furono prima tumulate nella sacrestia di Santa Chiara e poi buttate in una fossa comune coperta da una lastra di marmo vicino all’ingresso del chiostro.
Per la grande regina, assassinata nel sonno da quattro sicari, nessun funerale fu celebrato, nessuna benedizione e … nessuna tomba.

Secondo una leggenda ogni anno, nella ricorrenza della sua morte, (22 maggio 1382) avvenuto nel castello di Muro Lucano (per ordine del nipote Carlo di Durazzo) per soffocamento (con un cuscino di piume) ricompare la figura della regina Giovanna.
Nel chiostro della chiesa di Santa Chiara avanza lentamente lungo i viali la figura della regina in cerca di sollievo.
Avanza con il capo chino e solo raramente pare alzi lo sguardo che a dire di molti sia terrificante. Chiunque incontri questo sguardo pare incontri poi la morte.

In Piazza San Domenico si aggira invece il fantasma del celebre principe Raimondo de Sangro.
Raimondo de Sangro mori’ il 22 marzo del 1771 e intorno alla sua morte si sono accumulate e intrecciate varie leggende, la più nota delle quali lo vuole ucciso dal suo stesso tentativo di resurrezione. Racconta Benedetto Croce: Quando senti’ non lontana la morte, provvide a risorgere e da uno schiavo moro si lasciò tagliare a pezzi e ben adattare in una cassa, donde sarebbe balzato fuori vivo e sano , a tempo prefissato; senonchè la famiglia, che egli aveva procurato di tenere all’oscuro di tutto, cercò la cassa e la scoperchiò prima del tempo, mentre i pezzi del corpo erano ancora in processo di saldatura e il principe, come risvegliato nel sonno, fece per sollevarsi, ma ricadde subito gettando un urlo da dannato.

La leggenda racconta che in alcune notti di luna piena si senta, nel vicino vico De Sanctis, dove si trova la famosa Cappella Sansevero, l’eco dello scalpitio dei cavalli della sua carrozza. Mentre ogni notte, prima della mezzanotte, in prossimità della sua abitazione si odono i rumori dei suoi passi.

Sempre in Piazza San Domenico Maggiore nel palazzo Sansevero, si sentono riecheggiare i colpi di arma da fuoco che uccisero donna Maria d’Avalos e il suo amante, scoperti in flagrante e fatti ammazzare nel ‘500 dal marito di lei, il duca d’Andria.
La triste storia che narra dell’ uccisione della nobile Maria D’Avalos e del suo amante don Fabrizio Carafa duca d’Andria da parte di alcuni sicari ingaggiati dal vendicativo e geloso marito Carlo Gesualdo principe di Venosa il 18 ottobre 1590.

I due amanti si incontravano ogni volta che don Gesualdo si allontanava dalla città, in un sotterraneo di Palazzo Sansevero collegato direttamente all’appartamento della bella Maria D’Avalos (all’epoca descritta come la più bella donna di Napoli).
Carlo Gesualdo, insospettito che la bella moglie non gli fosse fedele, grazie alla soffiata di un amico decise di tendere una trappola alla sciagurata coppia.
Egli deciso a vendicarsi dell’oltraggio subito, preparò cosi, insieme ai suoi servitori la personale vendetta.
Finse di partire per una battuta di caccia e si nascose con alcuni suoi servi nelle segrete del palazzo, mentre altri suoi servi sorvegliavano l’appartamento nel quale la nobildonna s’incontrava con il Carafa,
Sospettando che la bella moglie non gli fosse fedele accecato dall’ira, preparò la vendetta d’accordo con i servitori che sorvegliavano l’appartamento nel quale la nobildonna s’incontrava con il Carafa. Al momento opportuno fece irruzione nella camera della principessa sorprendendo i due amanti in flagrante adulterio per poi ucciderli entrambi con ferocia. Furono ammazzati a colpi d’archibugio e di spada. I corpi furono straziati da decine di pugnalate e di colpi d’arma da fuoco. I loro corpi, privi di vita, furono poi gettati fuori dal palazzo.

Don Gesualdo completamente accecato di’ odio e gelosia, diede successivamente ordine di recuperare i corpi ed esporli nudi al balcone dell’appartamento in maniera tali che tutti potessero vedere l’offesa e la vendetta. Il suo disonore veniva cosi’ lavato.
La folla si accalcò rapidamente in piazza e la notizia dell’omicidio di vicolo in vicolo di sparse rapidamente in tutta la città.

L’episodio più raccapricciante di tutta la storia avvenne comunque più tardi, quando il cadavere della principessa, dopo essere stato portato nella vicina chiesa di San Domenico fù violentato da un domenicano, chiamato per benedire le salme e vegliarne il corpo, perchè colpito dalla bellezza della nobildonna.

La nobildonna venne poi sepolta sul lato destro della chiesa di San Domenico Maggiore.

Don Gesualdo subito dopo l’omicidio si rifugiò nel suo castello di Venosa dove pare ancora sconvolto dalla pazza gelosia, abbia fatto ammazzare pure il figlio avuto dalla fedifraga (forse per la dubbia paternità che lo stava rodendo).

Vedendo nel figlio di pochi anni una certa somiglianza con l’amante della moglie si era sempre più convinto col passare dei giorni, che anche quello fosse un altro inganno della sua consorte.
Il processo ai danni di Don Gesualdo tenutosi dai giudici della Gran Corte della Vicaria fu rapidamente archiviato, sia perché fu riconosciuta la giusta causa sia per le sue parentele eccellenti ( zio Cardinale Borromeo ) .

La madre del povero Fabrizio Carafa, Adriana Carafa era la seconda moglie di Giovan Francesco di Sangro, il primo principe di Sansevero. Essa si adoperò molto per salvare l’anima del figlio ed ottenere l’ indulgenza.
Si recò da suor Orsola Benincasa, che viveva come un eremita in cima alla collina ( dove ora sorge la sede universitaria ) e invocò pietà per il figlio ammazzato.

L’ indulgenza alla fine arrivò e in segno di ringraziamento sul luogo dove avvenne il delitto, venne edificata per grazia ricevuta la ” Pietatella “, cioe’ quella Cappella che poi Raimondo de Sangro più tardi trasformerà in uno scrigno bellissimo di arte e segreti.

Fabrizio Carafa e’ stato probabilmente sepolto nella stessa cappella, forse ai piedi dell ‘altare maggiore nel punto in cui due putti sembrano scoperchiare una tomba indicata da un angelo che sovrasta il ritratto di Adriana Carafa.

Lo spettro della bella D’Avalos, nella ricorrenza del brutale assassinio, pare vaghi sporca di sangue, inquieta tra l’obelisco della piazza ed il portale d’ingresso del palazzo in cerca dell’amato Fabrizio e del figlio ucciso senza colpa. Ogni anno nel giorno del suo assassinio risuona forte il suo grido agghiacciante e tutti nel quartiere non mancano di farsi il segno della croce.

Poco più avanti, nel palazzo Spinelli di via Tribunali, sembra udirsi ancor oggi una voce straziante: è il fantasma di Bianca, giovane servetta della nobile ma malvagia marchesa proprietaria dell’edificio, che la fece murare viva nell’androne solo perché aveva ricambiato lo sguardo del marchese suo marito.

Bianca era una giovane orfana, dama di compagnia della prepotente e insopportabile donna Lorenza Spinelli che non digeriva al suo fianco una damigella tanto dolce e attraente. La nobildonna aveva fama di essere perfida e prepotente al punto che il marito decise di andare via e partire per la guerra pur di starle lontano.

Divorata dalla gelosia e sempre sospettosa un giorno gli parve di vedere incrociare lo sguardo del marito con quello di Bianca. Era uno sguardo certamente innocente, ma la malvagia padrona lo vide carico di malizia e decise di punire l’incolpevole domestica.

Fece entrare la damigella in una stanza segreta e ordino’ ai servi di innalzare davanti alla sventurata una parete di mattoni.
La povera Bianca inerme non potè difendersi e mentre il muro si innalzava nascondendola alla vista gridò : ” Famme pure mura’ viva , ma in allerezza o in grannezza tu sempe me vidarraje “.
Da allora si racconta che lo spettro di Bianca comparisse agli Spinelli tre giorni prima il verificarsi, in famiglia, di un fatto lieto o di una sventura.

Spostamoci adesso in prossimita’ del mare nella zona di Posillipo .

Palazzo Donn’Anna e’ in assoluto il posto piu’ suggestivo della citta’ dove pensi possa trovare alloggio un fantasma .La storia tra misteri e leggende si intreccia con l’affascinante figura di Anna Carafa che lo abito’ e gli diede il nome.
Le origini del palazzo a picco sul mare , risalgono alla fine del 1600 quando venne costruito da donna Anna Carafa, consorte del viceré Ramiro Núñez de Guzmán, duca di Medina de las Torres. Il progetto fu commissionato al più importante architetto della città di quel periodo, Cosimo Fanzago, che nel 1642 lo pensò secondo i canoni classici dell’epoca.
I suoi sotterranei pare siano infestati dalle urla di in fantasma di un donna , tra l ‘altro supportato dai suoni inquietanti che si odono provocati dall’ingrangersi delle onde del mare sugli scogli delle segrete . Il fantasma che pare aleggi nell’affascinamte misterioso palazzo , e’ quello di Donna Mercede de las Torres , nipote spagnola di Donna Anna Carafa di Medina Coeli che spari’ senza lasciare tracce perche colpevole di aver scelto come amante Gaetano di Casapesenna e di aver scatenato cosi’ la gelosia dell’altra vera amante del giovane Casapenna , la bella potente duchessa Donn’Anna Carafa, moglie del duca di Medina .

Note e famigerate sono le leggende che interessano invece la villa della Gaiola: chiunque vi abbia abitato (Gianni Agnelli compreso) è stato perseguitato da sventure.
L’isolotto, secondo molti, appare dominato o infestato da una maledizione o jettatura e i napoletani già di per se un tantino superstiziosi temono questo posto che considerano quanto meno un luogo di sfortuna.

Secondo molti il luogo è vittima di un maleficio di Virgilio, infatti poco lontano da qui altri ruderi romani che sono volgarmente chiamati ‘a casa del mago ‘ avvalorano l’ipotesi che qui il grande poeta dai poteri magici avesse avuto dimora ed una scuola. La tradizione popolare colloca infatti la scuola di Virgilio proprio nei pressi della Gaiola ( dal latino Caveola, piccola grotta) un rudere affondato oggi nel mare.
Sull’isola della Gaiola si trova una villa ( chiamata Villa Paratore) comunemente riconosciuta come jellata, a cui sono collegati numerosi eventi avversi che hanno negli anni ulteriormente alimentato questa leggenda.
Di notte, si dice, si ascolta il lamento di un gatto morto in mare con la sua padrona, fuggita anni fa dalla villa dopo aver scoperto il tradimento del marito
La villa abbandonata, di notte, quando il mare è in tempesta e la salsedine accompagna il fragore del mare assume un aspetto che rende alquanto inquieti.
La leggenda della maledizione della Gaiola nasce quando il primo proprietario e costruttore della villa, Luigi de Negri, mandò in rovina la sua Società della Pescicoltura del Regno d’Italia nel Mar di Posillipo, che aveva sede proprio alla Gaiola.
Nel 1911 il Capitano di Vascello marchese Gaspare Albenga, per far ammirare la costa alla marchesa Boccardi Doria, fece incagliare l’incrociatore corazzato San Giorgio sulla secca della Cavallara, proprio in prossimità della Gaiola.
In questa circostanza , secondo i pescatori , avvenne la morte di una donna il cui fantasma senza volto continua ad apparire quando il mare in tempesta sbatte contro gli scogli .
In breve tempo l’isola venne comunemente riconosciuta come jellata, e gli eventi che seguirono alimentarono ulteriormente questa leggenda.
Nel 1926 la villa era collegata alla terraferma da una rudimentale teleferica. In una notte di tempesta il cavo si spezzò mentre una signora tedesca, Elena Von Parish, stava rientrando sull’isola. La donna venne rapita dal mare e sparì. Hans Praun e Otto Grumbach, che ospitavano la donna alla Gaiola, furono talmente scossi dalla vicenda che si suicidarono: uno subito, e l’altro qualche tempo dopo aver fatto ritorno in Germania.
La villa degli spiriti vide protagonisti ( in senso negativo si intende ) il nobile inglese Brown e sua moglie. L’uomo si innamoro’ follemente della cognata e chiese la separazione dalla moglie. Questa disperata e amareggiata si oppose fermamente accusando la sorella di tradimento. Seguirono forti litigi e discussioni. Una notte di forte vento vi fu tra il marito e la moglie una ennessima forte lite; la donna in collera e fortemente arrabbiata ad un certo punto usci’ di casa per allontanarsi. Il suo corpo qualche giorno dopo fu restituito dal mare.
Suicidio o assassinio? Sappiamo solo che insieme a lei c’era anche il suo amatissimo gatto ed il suo miagolio, nelle notti ventose, echeggia in maniera forte tra le pareti di quella casa.

Una barca di scugnizzi marinaretti del collegio Ascarelli-Tropeano fu travolta nel 1931 dalle onde sullo stesso scoglio della Cavallara.
Maurice Sandoz, titolare della nota casa farmaceutica, abitò sull’isola negli anni 1950, ma finì in una clinica psichiatrica dove si suicidò convinto di essere finito in bancarotta.
Il barone tedesco Paul Karl Langheim negli anni a cavallo del 1960 fece brillare di vitalità quell’angolo di Posillipo, organizzando feste ed incontri mondani. Un periodo tanto splendente da mandarlo rapidamente sul lastrico.
Fu allora che Giovanni Agnelli acquistò la villa (Agnelli è famoso anche per aver subito numerosi lutti in famiglia) che la tenne pochi anni e la rivendette a Paul Getty, magnate del petrolio, nel 1968. A lui tutto filò liscio fino al 1973, quando la ‘ndrangheta rapì il figlio. Dopo l’amputazione di un orecchio del ragazzo, la famiglia Getty pagò un riscatto di 17 milioni di dollari.
Nel 1978 l’isola passò a Gianpasquale Grappone, detto Ninì, creatore del Loyd Centauro. Finì in galera travolto dai debiti, ed il giorno in cui la villa fu messa all’asta, la moglie Pasqualina Ortomeno morì in un incidente stradale.
La proprietà sull’isola infine andò nelle mani della Regione Campania, che la affittò a varie associazioni. Nessuna di queste però mantenne la promessa di restaurare l’edificio, e la cattiva fama della villa non fu mai cancellata.
Nel 1960 venne ritrovata nella villa un affresco quadrato raffigurante una grande testa con un viso terrificante, di più di un metro di larghezza, forse raffigurante una gorgoneion. Convinti che portasse sfortuna lo si fece nascondere dietro una parete ma Augusto Segre ( nipote del senatore Paratore, proprietario della villa ) riuscì in tempo a fotografarlo prima dell’occultamento.
Si tratterebbe di un affresco del II secolo d.C di cui poco si conosce e di cui nessuno si è mai interessato a saperne di più. I greci usavano raffigurare la Medusa decapitata per proteggersi dai nemici, e forse la storia della villa , il silenzio sulla sua esistenza , il suo spostamento o il suo occultamento ruota proprio in questo strano simbolo ; un affresco romano dal significato duale: porta-jella e protettivo.

Sullo scoglio di Posillipo , nella notte di San Pietro , appare l’ ombra di due fratelli in lotta tra di loro.

Si tratterebbe, secondo la leggenda, di due pescatori del luogo chiamati Luigi e Carmine.
Sulla spiaggia un tempo viveva una bella popolana di nome Concetta, orfana e pare salvata da un naufragio dagli stessi fratelli. Nel tempo nacque una relazione tra Luigi e Concetta di cui però era innamorato anche Carmine.
Luigi e Concetta concordarono quindi di fuggire via insieme, approfittando della notte di Carnevale dove mascherati uscirono insieme confondendosi con la folla.
Concetta ebbe però un momento di ripensamento, presa dai rimorsi di tradire la famiglia che amorevolmente l’aveva accolta. Luigi, invece accecato dalla passione la costrinse con la forza a seguirlo attraendo l’attenzione di una bambina del vicinato che convinta di un rapimento di Concetta ( i due erano mascherati ) corse ad avvertire Carmine.
Carmine, senza togliersi la maschera ( anch’egli era mascherato per la festa del carnevale ) corse verso la spiaggia e nel buio scorse una barca che si allontanava.
Montò rapidamente su un’altra barca e si lanciò all’inseguimento.
La barca approdò proprio dove avevano nel passato fatto naufragio i genitori di Concetta e nel buio totale, mascherati, incominciò una furiosa lotta tra i due fratelli che non si erano riconosciuti.
Luigi accoltellò il suo assalitore mascherato, ma quando poi si accorse che l’ucciso era suo fratello, disperato, si suicidò.
Concetta, affranta andò a richiudersi in un convento.
Quel maledetto scoglio nei secoli si e’ spaccato in due e la leggenda vuole che nella notte di San Pietro le due pietre si scambino di posto mentre appaiono i fantasmi dei due fratelli in lotta.

A Marechiaro , in una villa nascosta tra gli alberi si racconta che un cameriere assassino’ a colpi di coltello il proprietario di casa perche lui aveva infastidito la moglie. Il proprietario fu ritrovato in un lago di sangue e le domestiche non riuscirono a pulire mai il pavimento dalle macchie di sangue perchè nonostante i vari ostinati tentativi, queste puntualmente ricomparivano.
Tutti capirono subito del maleficio e facendosi il segno della croce scapparono. La villa fu abbandonata ed ancora oggi i vicini lamentano di notte un gran chiasso provenire dal suo interno. Ovviamente nessuno ha il coraggio di andare a vedere cosa succede visto che la casa e’ disabitata e maledetta.
Si racconta che il proprietario di casa, il cameriere e sua moglie si ritrovino ogni sera in quel luogo e tutto l’accaduto si ripeta di nuovo.

In eta’ medievale nacque la leggenda di Niccolò Pesce, detto Colapesce (per le straordinarie capacità natatorie) che una lapide ricorda sulla facciata di un palazzo in Via Mezzocannone. Il bassorilievo raffigura un uomo barbuto e peloso con in mano un coltello. Non a caso, il popolo nel Seicento lo ricordava come un uomo selvaggio, che ogni tanto usciva dal mare per discorrere con i marinai e informarli delle sue scoperte.
Si narra che questo giovane fosse dotato di dita palmate, branchie e pelle squamosa; mezzo uomo e mezzo pesce, era in grado di vivere nel fondo del mare. La leggenda narra che per percorrere grandi distanze Niccolò Pesce si faceva ingoiare da un enorme pesce e, quando aveva raggiunto la sua meta, ne tagliava il ventre per uscire.
Colapesce frequentava i fondali tra Napoli e Messina; per questo motivo il re di Napoli un giorno lo incitò a scendere negli abissi per vedere cosa nascondessero. Colapesce raccontò al re di aver visto il fondo del mare coperto di tesori inestimabili; risalì portando grandi quantità di gemme trovate in grotte e cunicoli sotto all’isolotto di Megaride.
Un giorno, durante una delle sue nuotate, recuperò galantemente il bracciale di una nobile e bella signora che era scivolato in acqua. Il gesto cavalleresco non fu però gradito ad un sirena ( amante dell’eroe ) che presa da un insano gesto di gelosia lo fece annegare durante una delle sue esibizioni. Il suo spirito sembra si materializzi nelle zone adiacenti al Sedile di Porto ( di cui era il simbolo ) quando il mare e’ in tempesta.

Trasferiamoci in alto, sul Monte Echia.

Sul promontorio di Monte Echia si trova la splendida villa a cui il geniale architetto Lamont Young volle dare il nome della moglie, Ebe.
Il rivoluzionario architetto Lamont Young , era troppo avanti per l’epoca e come spesso accade in questi casi non venne compreso e solo oggi, dopo un secolo, si comincia a rivalutare le sue intuizioni e a comprendere l’importanza di alcuni suoi progetti.
L’estroso ecclettico e inconsueto architetto per l’epoca, scelse la sommità del Monte Echia per costruirsi la sua ultima dimora, Villa Ebe, oggi disabitata e secondo molti abitanti della zona abitata da oscure presenze, ombre, apparizioni misteriose e oscure presenze (Lamont Young si tolse la vita su una terrazza con un colpo di pistola).
Sulla terrazza dove il geniale ma incompreso architetto, si tolse la vita, secondo i racconti si vede un’ombra, una figura umana dal profilo ben definito che nelle notti d’inverno lentamente passeggia.

Passiamo ai nostri due principali castelli.

Nelle segrete del Maschio Angioino , in una fossa buia e umida, posta sotto il livello del mare, venivano solitamente gettati i prigionieri che si voleva piu’ rigidamente punire.
Ad un tratto, per un certo periodo si cominciò a notare con stupore che i prigionieri misteriosamente sparivano. Fuggivano? Disposta una più stretta vigilanza, allorchè vi fu cacciato dentro un nuovo ospite, un giorno si vide, inatteso e terrifico spettacolo, da un buco celato della fossa, introdursi dal mare un mostro, un coccodrillo che con le fauci afferrava per le gambe il prigioniero e se lo trascinava in mare per trangugiarlo …
Da quel momento, l’ animale presumibilmente venuto dall’Egitto, attaccato ad una nave, fu utilizzato per eliminare i prigionieri condannati a morte. Un specie di ghigliottina naturale che non lasciava tracce.
Nei sotterranei del castello sono ancora visibili quattro casse scoperte, nelle quali sono visibili quattro cadaveri. Si tratta di alcuni dei protagonisti della famosa “congiura dei Baroni ” i cui spiriti, ancora senza pace, pare vaghino per le segrete del maniero reclamando giustizia.
Il re Ferrante nell’agosto del 1486, usando come stratagemma il falso matrimonio di una sua nipote, invitò a corte i più importanti Baroni del Regno per invitarli ad un sontuoso banchetto che si teneva nella sala Aragonese del castello.
Con inganno, ad un certo punto del banchetto, chiuse le porte e fece arrestare ed imprigionare tutti i baroni ribelli, ritenuti i principali responsabili della congiura tramata contro di lui ed appoggiata da papa Innocenzo VIII.
L’arresto avvenne nella gran sala che da allora e’ indicata come ” la sala dei baroni ” .
Il 13 novembre 1486 , alla presenza della nobilta’ e del popolo fu pronunciata la dura sentenza di morte per Antonello Petrucci, il conte di Sarno, il conte di Carinola ed il conte di Policastro. Furono tutti e quattro uccisi nelle carceri ed imbalsamati in alcune casse.
Ancora oggi, nelle ore notturne si possono ascoltare i loro lamenti provenire dai misteriosi sotterranei .

Da Castel Capuano qualcuno e’ pronto a giurare di aver sentito più’ volte un forte urlo.
Sembra che si tratti di Ser Gianni Caracciolo, Gran Siniscalco nonché amante della regina Giovanna II, assassinato durante i festeggiamenti per le nozze di suo figlio all’interno dell’allora castello.
Il Caracciolo venne poi scaraventato giu’ dalla finestra del castello dalla finestra che affacciava verso San Giovanni a Carbonara.
L’ urlo di terrore che taluni hanno sentito sembra che sia proprio quello del malcapitato Caracciolo mentre precipitava dal finestrone.
Sempre a Castel Capuano vaga l’anima in pena di Giuditta Guastamacchia, una donna pare bellissima ma affamata di sesso e danaro. In accordo con il suo giovane amante ( un chirurgo ) ella commissionò la morte del marito che venne ucciso per strangolamento.
Dagli atti del processo si evince che indusse l’amante con la complicità del padre, a sopprimere il marito in circostanze orride, coinvolgendo un giovane chirurgo vittima del suo fascino ammaliatore.
Scoperta, fu arrestata e impiccata, quindi decapitata e la sua testa mozza esposta, quale monito al popolo, ad una delle finestre della Vicaria insieme a quelli del padre e del chirurgo.
La sua anima da allora non trova pace e una vecchia leggenda narra che ogni anno , nell’anniversario della sua morte , nelle sale buie del Tribunale della Vicaria ricompaia il suo spettro .

Dalle parti della ferrovia , nei dintorni di Porta Nolana, fiancheggiata dalle sue belle torri ( Cara Fe’ e Torre Speranza ) esiste un edificio che gode del sinistro nome di ” Palazzo dell’impiccato “.
Sulla scalinata del condominio talvolta in alcuni momenti, improvvisamente compare una testa senza corpo che va su giù per i gradini con gran terrore di quegli inquilini che specialmente la sera tardi se la sono trovata di fronte.
Lo stabile in origine era un alloggiamento di stanza di militari spagnoli a Napoli.
Secondo alcuni si tratterebbe di uno dei tanti militari spagnoli finiti impiccati alle travi delle loro stanze in occasione delle frequenti rivolte della popolazioni .
Sara’ vero o meno ma il cosiddetto «palazzo dell’impiccato», e’ oramai sfitto da anni a causa dell’inquietante apparizione notturna di un uomo senza testa.

In Piazza Mercato si e’ invece svolta la triste sorte di Luisa Sanfelice

Colpevole di aver tradito la fiducia e l’amicizia di re Ferdinando IV di Borbone, la sventurata Luisa Sanfelice, eroina della rivoluzione partenopea, fu giustiziata in piazza Mercato, nella notte tra il 10 e l’11 settembre del 1799.
Luisa, circondata e sorretta dai fratelli dei Bianchi, salì sul palco.
Si facevano gli estremi preparativi, e le infami mani del carnefice l’acconciavano sotto il taglio della scure, quando un soldato, di quelli che assistevano all’esecuzione, lasciò sfuggire accidentalmente un colpo di fucile. Il carnefice, spaurito e già sospettoso di qualche tumulto, a questo si turbò e lasciò cadere in fretta la scure sulle spalle della vittima: sicché poi, tra le grida d’indignazione e di commiserazione del popolo, fu costretto a troncarle la testa con un coltello. Quelle povere membra, che avevano finito di soffrire, furono sepolte nella chiesa di Santa Maria del Carmelo.”dove giacciono tutt’oggi .
La sua ombra agghiacciante, con ancora la corda al collo, apparirebbe puntualmente nell’anniversario della sua morte, di preciso nello stesso luogo nel quale fu giustiziata.

Andiamo su per le colline del Vomero

A via Tasso si trova una incantevole costruzione chiamata ” La corte dei leoni ” molto simile architettonicamente alla dimora di Giulietta e Romeo a Verona.
Oggi, dopo un lungo periodo di abbandono e’ ritornata a vivere diventando un rinomato luogo di ricevimenti per matrimoni e comunioni.
L’abbandono della costruzione avvenne per volontà dei proprietari che volevano abbatterla, pare perché infestata da fantasmi.
La leggenda narra del ritrovamento dello scheletro di un uomo murato all’interno di una parete come vendetta, effettuata da un marito tradito che così uccise l’amante della moglie traditrice.

Al Vomero, pare invece che si aggiri, sopratutto nei pressi della Floridiana, lo spettro di Re Nasone: quando egli incontra una bella donna sorride e si inchina.
Non abbiate paura se lo incontrate. Vi bacerà la mano galantemente facendovi gli occhi dolci e scomparirà in un battibaleno.
Lo spettro di sua moglie, Maria Carolina invece, pare si aggiri nel palazzo Reale nel Parco di Capodimonte. Talvolta a notte fonde si illuminano improvvisamente i suoi salone e da dietro i finestroni si intrave una figura femminile in abiti sfarzosi .
Sempre a Capodimonte , lungo le gradinate della Basilica dell’incoronata al Buon Consglio, appare in primavera, lo spettro di una giovane donna in abito nunziale.
Il fantasma appare solo alle ragazze nubili e le fortunate che l’anno incontrato sono destinate di li a poco a trovare l’anima gemella.
Si tratta del fantasma di una ragazza che avrebbe dovuto coronare il suo sogno d’amore proprio percorrendo quei gradini per andare a sposarsi in quella chiesa.
Ma proprio nel giorno fissato per il matrimonio ella mori, pare per un attacco di Tisi.
Il suo spettro si aggira in concomitanza del giorno del suo mancato matrimonio su quei gradini , alla ricerca della felicita’ perduta.
Poco piu’ avanti giunti sul Ponte della Sanita’, specie di notte non vi sara’ difficile, se prestate orecchio, sentire strani lamenti . Si tratta degli spiriti infelici di tutti quelli che da questo ponte si sono suicidati.

Castel Sant’Elmo

Misteriose presenze si possono sentire anche a Castel Sant’Elmo, al Vomero .
Nei sotterranei, di notte, si udirebbero sibili agghiaccianti e urla acute . Si e’ pensato potesse trattardi di rumori prodotti dal vento nelle grotte sottostanti o qualcosa di simile ma ancora oggi lo strano fenomeno è avvolto nell’ombra e nel mistero.
Lungo la Pedamentina, una piccola scalinata che fiancheggia tutta la collina sulla quale si erge il castello, vagherebbe invece un fantasma vestito di bianco piuttosto allegro e giocherellone. Il suo passatempo principale pare infatti sia spaventare gli altri mentre, ( gridando e ridendo ) , entra ed esce dal muro vicino alla scalinata.
Alla fine della prima rampa della Pedamentina, esiste inoltre un vecchio cancello in cui le guardie reali uccidevano tutti quelli che volevano assalire il castello. I corpi dei nemici venivano poi lasciati nei sotterranei per essere divorati dai topi. Secondo alcune testimonianze, i lamenti e i pianti di tali vittime sarebbero ancora udibili passando dinnanzi al cancello.

Tutto questo e’ pura suggestione, oppure i fantasmi esistono davvero?

Mi piace chiudere con un …..
.. NON E’ VERO, MA CI CREDO..

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