Il culto di Priapo  e’ tra i piu’ antichi riti misterici napoletani e ancora oggi anche se in forma diversa appare nella cultura partenopea ; i famosi cornicelli portafortuna presenti in ogni angolo di strada presso numerosi venditori sono in effetti niente altro che un abile metamorfosiper velare agli occhi del perbenismo cattolico il fatto che in quegli innocenti cornetti rossi si nasconde il potere talismano fallico di Priapo. ( il nome deriva da pri(h)a’pos ” colui che ha sul davanti un hapos, cioe’ un pene.

I famosi corni non sono quindi altro che  la stilizzazione del fallo  di Priapo, un  simbolo  per eccellenza della scaramanzia napoletana che spesso  viene sostituito alle porte o ai balconi da cascate di peperoncini rossi , che con i loro semi piccanti  hanno la funzione simbolica di allontanare le malelingue.

N.B. Oggi si e’ perso molto  il senso della sua funzione : lo si accarezza infatti spesso senza sapere il perche’. Il corno e questo lo dovete sapere, non e’ altro che la stilizzazione del fallo del Dio greco-romano Priapo,e nelll’immaginario napoletano scolge soprattto  la funzione di essere il perfetto antidoto contro il malocchio; esso e’ infatti inteso come un ” portabene ” che esorcizza il male e la negativita’.

Priapo è un’antica divinità greca e romana. che veniva rappresentata come un piccolo uomo barbuto dotato di un fallo enorme. Secondo i Romani era nato dall’amore illegittimo tra Afrodite e Zeus (per i Greci il padre era invece Dioniso) e fu trasformato in un personaggio osceno da Era, moglie gelosa del re dell’Olimpo. Egli era il dimbolo dell’istinto sessuale e della fecondità e  rappresentava il custode dei campi, della natura e quindi degli orti e dei giardini

CURIOSITA’:  Nel mondo Romano il membro virile era considerato un potente amuleto capace di  proteggere dal male e ancora oggi , sopratutto dalle nostre parti non è raro osservare persone che contro il malocchio sono soliti toccarsi i genitali in senso scaramantico .

 

 

 

 

 

 

Prima di continuare il nostro racconto voglio solo ricorarvi a propositp del culto di Priapo  e della sua diffusione a Napoli,  che  alle spalle della Chiesa di Santa Maria di Piedigrotta , a circa venti metri prima dell’ ingresso della galleria Quattro Giornate, in quello che un tempo era la crypta Neapolitana  ( attualmente viene chiamato  Parco Vergiliano a Piedigrotta), secondo an si svolgevano  feste pagane dedicate a Priapo, dio della Fecondita’.

Petronio Arbitro, nel Satyricon, ci racconta  che ai piedi della grotta, di notte, al ritmo di canti a carattere licenzioso e satirico, i cosidetti “fescennini”, si celebravano baccanali, cioè riti propiziatori a carattere orgiastico, in onore del dio Priapo.

Sempre lo stesso Petronio, nel suo Satyricon, ci racconta di tre giovani: Gitone, Encolpio e Ascilto, venuti a Napoli perché attratti dalla notizia che nella grotta di Pozzuoli (Piedigrotta) si svolgeva un grande spettacolo dove si esibiva l’incantevole Quartilla con le seducenti sorelle. Esse danzavano coperte dal solo bagliore delle fiaccole, in onore di Priapo, il figlio di Dioniso (dio del vino e della gioia), e Afrodite (dea della bellezza e dell’amore). Le deliziose fanciulle dopo aver danzato si concedevano agli eccitatissimi spettatori. Tutto ciò accadeva tra canti e libagioni.

Le Feste pagane erano quindi fatte di riti orgiastici e propiziatori per la fertilità (alle quali partecipavano giovani vergini ) che avvenivano proprio all’ingresso della tomba di Virgilio .

Nello svolgersi di questi riti “segreti” della fecondita’ le vergini, designate da una sacerdotessa venivano accompagnate in grotte sotteranee e denudate nel corso di una cerimonia ritenuta di fondamentale importanza.. Distesa su una” pelle marina ” ottenuta con unione di diverse pelli di pesci del golfo , la vergine veniva posseduta da un giovane vestito a sua volta da pesce .

N.B. Questo  nudo iniziatico sara’ lentissimo a morire nei riti esoterici napoletani e si trasmettera’ nei secoli fino alle ” Tarantelle Cumplicate “che si tenevano nella grotta di Piedigrotta .

Il rito richiama la leggenda della sirena Partenope ,assimilandone  il corpo trovato morto su una spiaggia del golfo a un seme che, sepolto nella terra che lo accogliera’, fecondera’ i lidi partenopei.

CURIOSITA’ La tarantella è stato per secoli  il ballo più caratteristico di questa festa. Il nome della danza potrebbe derivare dalla tarantola, il ragno velenoso. Nelle campagne quando qualcuno ne veniva morso, lo si faceva ballare e agitarsi fino a farlo sudare per espellere gli umori del veleno. Una seconda interpretazione fa risalire il nome alle “tarantinula” e cioè le vesti trasparenti provenienti da Taranto che usavano i danzatori nei baccanali di epoca romana.

La chiesa cristiana che ovviamente  mal tollerava queste pratiche pagane nell’area della ”Crypta Neapolitana” e della Tomba di Virgilio, nel corso dei secoli si prodigo’ molto al fine di opporsi a questi antichi rituali nel tentativo di trasformare il il culto pagano di Virgilio ( il monte prendeva il nome da Virgilio ) con quello della Vergine ma sempre inutilmente poiche’ esso era forte e persistente.

Il forte eco dei riti orgiastici e dei suoi benefici sulla fertilità , continuava però   ancora ad influenzare per lungo tempo   giovani spose e donne infertili che si recavano  in pellegrinaggio nei secoli sul luogo  per chiedere la grazia della fertilita’. Il potente potere del talismno fallico di Priapo , portatore di buona sorte , continua nonostante tutto  fortemente a resistere.

Per portare a buon fine il progetto ecco quindi comparire inizialmente dove era presente   il piccolo  tempio pagano dedicato al Dio Priapo  ,una piccola cappella dedicata alla Madonna  dell’Idra, di cui e’ ancora possibile ammirare  un affresco della madonna odigitria ( cioe’ colei che indica la direzione ) all’ imboccatura del tunnel oramai chiuso.

Il piccolo Tempio dedicato al dio Priapo presente in quel luogo dal I sec. d.C. venne ovviamente demolito e come avvenuto per altri tempi pagani, in poco tempo, laddove vi era in passato un saccello  ora era  presente un effige sacra ,che  per ambivalenti significati divenne comunque un luogo di venerazione e di pellegrinaggio collegato alla fertilita’ .

Ma la  chiesa  nonostante avesse fatto sorgere una cappella al posto di un tempio pagano , non aveva ancora debellato il culto di Priapo fortemente presente in quel luogo, Esso era ancora molto  forte ,e radicato ,  Per  chiudere la bocca alla licenziosa grotta dove , un Dio pagano che assomigliava ad un diavolo nel suo aspetto era protagonista di riti orgiastici, molto praticati dal popolo  ci voleva qualcosa di speciale , La chiesa cattolica proprio non poteva accettare tutto  questo. Serviva assolutamete qualcosa che fosse capace di  cristianizzare il luogo.

N.B. La presenza della cappella dedicata alla Madonna non impedì i baccanali, che continuarono di nascosto nella grotta, originando la tradizione della festa propiziatoria. Tra gli altri ne parlano Boccaccio, da cui apprendiamo anche che la “Madonna de Pede rotto” in città era invocata dal popolo come testimone e garante dei giuramenti, e Petrarca venuto a Napoli per farsi esaminare dal re Roberto d’Angiò stimato come uno dei maggiori letterati dell’epoca.

Per  chiudere definitivamente la  licenziosa grotta serviva quindi edificare una vera e propria chiesa o meglio ancora un santuario,

La chiesa cristiana , era in quel periodo con il favore dei regnanti Angioini  tesa a debellare ogni pratica rituale in onore di paganesimo, nell’area della ”Crypta Neapolitana” e della Tomba di Virgilio, tanto esposta alla persistenza di antichi culti pagani . Il papato pensava che a tale scopo potessero essere utili  edifici  consacrati alla Madonna ,  e tale occasione fu propizia per la costruzione di una piccola chiesa nel tentativo di   tener testa al culto pagano della Crypta Neapolitana che tanto resisteva  ai numerosi tentativi di cristianizziazione .

Il momento fu propizio fu quando la Vergine apparve proprio in quel periodo a tre diverse persone pie e devote( una monaca, un eremita e un monaco benedettino ) a cui la Madonna chiese che venisse edificata in quel luogo una chiesa in suo nome Alla testimonianza di questi personaggi, garantita dal loro stato di religiosi, fece così seguito la fondazione del nuovo tempio teso ad  affermare il culto cristiano della Madonna del serpente (o Madonna  dell’ Idria)  diffuso gia’ da tempo nelle colonie della Magna Grecia.

N.B. il nome dell’Idra o dell’Itra dato poi alla cappella  in nome della  Madonna richiama  il mitico serpente anfibio, la velenosissima Idra a 9 teste della mitologia greca, ma in realtà sarebbe una storpiatura del termine “odigitria” che significa “indicante la strada da seguire” ovvero Gesù.

Sul luogo vi fu edificato un santuario dove pian piano si sostitui’ il culto di Virgilio con quello della Vergine ed il monte muto’ nome in monte Vergine.

CURIOSITA’ : Una antica leggenda narra che la chiesa , ancora oggi presente , venne innalzata al posto della modesta cappella , solo in seguito  alla richiesta della Vergine stessa che , apparve  l’8 settembre del 1353 a tre  diverse persone pie e devote: Maria di Durazzo, monaca in Castel dell’Ovo; il beato Pietro, eremita probabilmente in Santa Maria dell’Idria; e il monaco Benedetto, che stava attraversando la grotta per recarsi ai bagni di Pozzuoli. A tutti e tre, la Madonna chiese che venisse edificata in quel luogo una chiesa in suo nome. Durante quei lavori avvenuti  presso la Grotta. per la  costruzione del sacro edificio venne in quella circostanza  ritrovata useguendo le indicazioni precise che la Madonna aveva dato in sogno ai tre personaggi, una statua della Madonna con Bambino. La Vergine ritrovata aveva ha un piede rotto e per questo le venne  dato il nome di Madonna di piererotto.

La festa pagana dedicata al culto di Priapo , fu quindi finalmente  sostituita con quella cristiana dedicata alla Vergine di Piedigrotta.

Come avete ben capito si trattava di una grande manovra di marketing e pubblicità aziendale andata a buon fine che aveva il solo scopo di  cristianizzare il luogo.

Nel corso dei secoli quindi finalmente i il cristianesimo riuscì a sostituìre il paganesimo e i riti propiziatori in onore di Priapo lasciarono il posto a quelli in omaggio alla Madonna di Mergellina. Essa è ’ venerata nella notte tra il 7 e l’8 settembre, data corrispondente al compleanno della stessa.

Ovviamente questi riti orgiastici dedicati al Dio Priapo avvenivano anche altrove in città e sopratutto  nei pressi della chiesa denominata San Giovanni a mare che  fu eretto dai cavalieri dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, divenuto poi di Malta, per accogliere coloro che tornavano malati dalla Terrasanta.

N.B. La chiesa è  una delle poche chiese che presenta ancora testimonianze dell’architettura romanica a Napoli ; sconsacrata e poco conosciuta agli stessi napoletani, l’edificio affascina anche per il suo nome: fu cosi’ denominata perche’ quando fu costruita, nel dodicesimo secolo, il mare arrivava quasi a lambire le sue mura esterne .

I napoletani sopratutto durante il quattrocento aragonese,  avevano infatti l’abitudine di organizzare nel giorno dei festeggiamenti di San Giovanni Battista., una Festa a Mare notturna carica d’euforia ( fra il 23 sera e l’alba del 24 Giugno) , un gruppo di uomini e di donne, si riversavano nudi a mare in preda a canti, balli e danze, a ridosso della chiesa, invocando l’antico rituale paganolegato al culto della sirena Partenope (principio femminile della fecondità) associato al culto del Dio fallico Priapo (principio maschile della fertilità) attraverso il rito di propiziazione marino dai chiari rimandi sessuali.

CURIOSITA’: Giovanni Battista è il santo che battezzò il Cristo sulle sponde del Giordano, e il popolo napoletano  lo festeggiava con un bagno collettivo nelle acque del mare. Lui qui si purificava dai suoi peccati ma lo faceva a modo suo… attraverso dei strani lavacri e discutibili pratiche divinatorie.

Anche a  Napoli, ovviamente si festeggia da sempre San Giovanni e poichè noi dobbiamo sempre esagerare , da semre la festa religiosa in favore del santo rappresenta  per i napoletani, una delle festività cattoliche  più solenni della nostra citta  ma ricca di rituali sospesi tra sacro e profano. L’immediata vicinanza al mare di una chiesa e di un ospedale dedicato a  San Giovanni  consolidò infatti un rito, ripetuto ogni anno nella notte di San Giovanni il 23 giugno, che prevedeva un battesimo collettivo nelle acque marine. Era questo però solo l’atto finale di una grande festa pagana che iniziava con la funzione in chiesa e la processione con la miracolosa statua del Santo ricca di argento oro e pietre preziose.

La  grande festa   di S. Giovanni a Mare,  originata da un motivo religioso ( si intendeva ricordare il battesimo di Gesu’ nel Giordano ) finiva quindi con un bagno notturno collettivo nelle acque del mare, dove una  volta inibita la comune morale ci si abbandonava a poco licenziosi atti amorosi .

Il popolo festeggiava la ricorrenza con un bagno collettivo nelle acque del mare, il quale pero’ spesso degenerava fino ad arrivare ad un punto tale che esso dovette essere soppresso, dal viceré Spagnolo per la piega pagana e misterica che stava prendendo .
 I  credentii  emulando un battesimo che li riportasse alla purezza, lasciando ogni pudore, sfiniti dalle danze e dalle tarantelle, s’immergevano nudi e in promiscuità nelle acque del mare. In spiaggia si accendevano grandi fuochi e tutta la notte  ci si danzava intorno per finire poi ebbri di feste   e di piacere, fino  a sfinirsi e  abbandonarsi  a veri e propri riti orgiastici. 

Le caratteristiche  della festa aveva quindi una dimensione ludico-erotica che doveva essere una delle componenti essenziali della festa stessa. La carica liberatoria era intesa come sovversiva; la notte in cui tutto poteva accadere e tutto era lecito. «Un’usanza più tollerata che favorita», racconta il Celano, a cui misero fine, nel 1632, le alte cariche della Chiesa.

La festa quindi  spesso degenerava di notte fino ad arrivare ad un punto tale che esso dovette essere soppresso, dal viceré Spagnolo per la piega pagana e misterica che stava prendendo  ( il bando di abolizione del periodo vicereale parla di promiscuita’ fra ” homini et femine”.)

N.B. Questi riti, se pur all’inizio ignorati dalla Chiesa (che non sapeva dell’origine pagana della festività) ebbero un rilancio nel Rinascimento napoletano e una forte presa sul popolo che continuava a praticarli per usanza, finché nel 1653 un emendamento del vicerè Garcia de Haro Sotomayor, conte di Castrillo, vietò sia l’uso dei balli considerati troppo licenziosi che l’usanza di fare il bagno nudi insieme, atti che oltraggiavano oltre misura, il luogo di culto religioso e la morale.

La festività raggiungeva sopratutto nella notte un aspetto tipicamente pagano dove erano frequenti  rituali e pratiche propiziatorie che utilizzavano semi d’orzo, erbe, rugiada,  acqua di mare o elementi come  il piombo liquefatto e versato nell’acqua bollente con effetti divinatori o la raccolta della rugiada in provette con effetti medicamentosi.

Le piantine d’orzo erano usate come metodo di divinazione  legata all’abbondanza e alla fortuna in amore.  L’usanza voleva infatti che che le giovani fanciulle piantassero nei loro orti e in prossimità della festa, dei semi d’orzo inseriti in piccoli vasi di terracotta. Cresciute le pianticelle si tentava di leggere fra i germogli, il responso divinatorio associandolo al destino matrimoniale. I vasi germogliati, venivano così esposti sui davanzali delle ragazze in cerca di marito, le quali chiedevano nel giorno della festa al proprio innamorato e agli eventuali  spasimanti, dei doni da ricevere in occasione della festività.

Una notte tra le notti speciali…una notte in cui si lasciava dell’alloro sotto il cuscino per sognare il viso dell’amore della propria vita…  quella in cui le donne più anziane e sopratutto quelle vecchie , si vestivano da sibille e sedute accanto al fuoco, tornavano protagoniste nel  predire amori cercando responsi “dd’ò chiummo”vaticinando il futuro sciogliendo piombo. Tra le gambe stringevano  la casseruola fino all’alba, mentre tizzoni infuocati attendevano  altre sorti e altri futuri. Basta una goccia, una lacrima di metallo puro lasciato a sfrigolare in due dita d’acqua. La forma che prende è il sigillo indurito fissato sull’avvenire.

Nella festa di San Giovanni , acqua e fuoco celebrati a Napoli, in una delle feste popolari e appassionanti, dove uomini e donne si concedevano al mare, nudi, di notte, sulla spiaggia accanto alla chiesa di San Giovanni a Mare, proprio dietro piazza Mercato, anche se quell’acqua oggi è solo un ricordo.

N.B.  Durante la festa di S. Giovanni a Mare, alcuni orafi imbrogliavano la gente vendendo loro ottone e pietre per oro e pietre preziose. Fu così che nel 1781 gli orafi furono obbligati a marcare gli oggetti preziosi

I festeggiamenti duravano un ottavario ed iniziavano con la funzione in chiesa e la processione con la miracolosa statua del Santo ricca di argento oro e pietre preziose. Il mattino del 24 giugno la festa si spostava in S. Giovanni a Teduccio, un quartiere presente lungo la costa.che aveva una spiaggia con una sabbia vulcanica considerata profetica ma solo  se veniva raccolta a mezzanotte di quel giorno dedicato a San Giovanni. 

La sabbia da raccogliere a mezzanotte, veniva prima  abbrustolita  sul fuoco, mescolandola con un’asticella di legno, e  versata poi  calda su una superficie liscia. A quel punto si restava fermi   a guardare il suo potere. Quando essa si solidificava chi era esperto guardandola  rispondeva  alla domanda che qualcuno le ha posto.

Oggi tutto questo vi appare impossibile ma in quella  notte in cui il mondo naturale e il soprannaturale si compenetranoanche  le cose impossibili possono avverarsi. Shakespeare nel suo Sogno di una notte di mezza estate raccontò di amori e incantesimi nei boschi abitati da fauni e da fate, presenze che si divertono a prendere in giro gli uomini.

Per i napoletani , in quella notte tutto era possibile che potesse accadere… quella era uno notte  di prodigi e di meraviglie, di veglie e di riti, dove la magia può essere buona ma anche oscura e gli spirit imaligni si tenevano  lontani con le erbe e i fiori.

Le giovani donne napoletane leggevano il destino delle future nozze nella disposizione delle foglioline della piantina d’orzo pallido fatto crescere al buio o recitavano la novena per nove sere a mezzanotte, fuori a un balcone, a pregare con certe antifone speciali, sperando, nell’ultima sera, di vedere la trave di fuoco attraversare il cielo, per scorgere il passaggio delle maliarde condotte da Erodiade, Diana e Salomè, la ballerina maledetta, di sentire pronunciare per un attimo dalla loro voce il nome del futuro marito. Il fuoco dei falò e l’acqua della rugiada che consacrava  le erbe,  le rendeva  propizie agli usi terapeutici ma sopratutto  prodigiosi in quanto miracolosi. Nella farmacopea esoterica per esempio, era preziosissima  la ersula campana,considerato un  ingrediente fondamentale per i filtri, che si raccoglievano la notte della vigilia della festa. Essa mescolata con la  rugiada che quella  notte impregnava i petali di piante e di fiori che restavano a macerarsi nelle bacinelle sui balconi, erano elemnti preziosi con cui lavarsi il viso.  «I fiori così come i fuochi di mezza-estate erano ritenuti in grado di trasferire agli uomini  parte di quel  calore e di quella energia di cui erano dotati e trasmettere quindi a che ne usufruiva,  per un certo periodo di poteri straordinari che consentivano loro di curare le malattie e di smascherare ed evitare tutti i mali che minacciavano la vita dell’uomo.

Alla notte di San Giovanni è legato anche il famoso nocillo  un liquore dal sapore forte , preparato direttamente con le noci del Vesuvio , usato dai napoletani come amaro per digerire. Esso viene tradizionalmente confezionato con 24 noci fresche raccolte il 24 giugno , giorno dedicato a San Giovanni Battista ( ovvero sei mesi prima della nascita di Cristo ). .Le noci vanno assolutamente raccolte in questo giorno perchè una leggenda vuole che in questo giorno i prodotti della terra abbiano una particolare forza e potere, ma  vanno raccolte di notte prima che esse vedano la luce del sole , prima cioè che la rugiada li ricopra ed incominci la festa di San Giovanni .

L’effetto del nocillo , oltre a quello di essere un potente digestivo , sembra  mostri un’ azione attiva sull’emicrania e secondo molti  anche nei confronti delle malattie mentali e ferite alla testa.

Un’altro importante luogo dove si svolgevano riti orgiastici in onore del dio Priapo ma anche del dio Mithra era la zona del Chiatamone . Essa era piena di grotte scavate per estrarre il tufo dove nei loro antri si praticavano abitualmente oscuri riti orgiastici propiziatori che durarono fino a che il vicerè non vi pose fine con una ordinanza.

N.B. Il nome Chiatamone è l’adattamento della voce platamon che indica una roccia marina scavata dalle grotte. La strada anticamente sorgeva al confine tra la rupe del Monte Echia ed il mare che difatti con la sua azione aveva scavato nella roccia molte grotte.

In questa zona , come in tutti i luoghi dove proliferavano e persistevano riti pagani orgiastici , vi fu presto costruito un edificio ecclesiastico per meglio combattere i demoni locali .  Venne quindi edificata la chiesa dei frati Crociferi , volgarmente detta ‘ delle Crocelle dalla croce portata sulla tonaca dai frati Crociferi .

Come possiamo osservare il culto di Priapo è sempre stato molto presente in città . Esso è un culto molto antico che  affonda le sue origini  additittuta al  tempo del periodo greco-romano.

Quando infatti  cominciarono nel periodo borbonico gli  scavi archeologi nelle città vesuviane , gli addetti ai  lavori si ritrovarono con imbarazzo  di fronte al  rinvenimento sempre più copioso di affreschi , sculture ed oggetti “osceni”,  ad alto tasso erotico e pornografico  , che vennero immediatamente occultati alla vista tramite teloni o rinchiusi in magazzini senza alcuna possibilità di accedervi da parte del pubblico, ma aperti solo su esplicita richiesta degli studiosi

Ad imbarazzare I vari esploratori dei siti archeologici esplorati era sopratutto il grande simbolismo fallico che caratterizzava buona parte dei vasi , e molti oggetti di uso domestico comune come  campanelli, candelieri, flaconi per profumo, statue , affreschi ed altri numerosi reperti  scabrosi.

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Un  affresco murale raffigurante il Dio Priapo  , dio sessuale per eccellenza e  con il pene  eccezionalmente dotato sia per dimensioni che per lunghezza, venne ricoperto addirittura con l’intonaco ( quest’ultimo è venuto via soltanto nel 1998 a causa di una serie di abbondanti precipitazioni ).

Il rinvenimento sempre più copioso di oggetti “osceni”, portò alla decisione  di dedicare a questi particolari reperti  una loro sala  riservata  ( gabinetto  segreto ) nel famoso nascente Museo Ercolanense di Portici , per poi essere in fase successiva trasferiti al  Museo Archeologico di Napoli dove al momento continuano  a trovarsi e poter essere visualizzati.

CURIOSITA’. Nel 1819, quando il re Francesco I delle Due Sicilie  visitò la mostra dedicata a Pompei presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli   in compagnia della moglie e della figlia, rimase talmente imbarazzato per le opere di contenuto così esplicitamente sessuale da decidere di far raccogliere tutto all’interno di stanze apposite ( appunto il gabinetto segreto ), e diede disposizione che al ” gabinetto segreto “potessero avere accesso all’ingresso solo unicamente  le persone di matura età e di conosciuta morale”,

La censura  inizialmente si rivelò tuttavia controproducente, attizzando la curiosità dei visitatori e alimentando veri e propri attacchi politici fatti ad arte contro il regno borbonico . I viaggiatori stranieri del Grand Tour facevano dell’argomento motivo di scherno del regno ed in maniera decisamente denigratoria accostavano in senso libertino  gli antichi  costumi, ed usi di Pompei ed Ercolano a quelli della moderna corte  del Regno di Napoli . Mentre infatti nel corso degli anni lentamente alla collezione si andava mutando il nome in “Gabinetto degli oggetti osceni” o “riservati” o “pornografici”, a queste piccole restrizioni andò sostituendosi un vero e proprio ostracismo, tanto più se si pensa che in epoca tardo-borbonica si radicò la convinzione che i costumi licenziosi di quelle antiche città fossero gli stessi della Casa Reale.

La famiglia borbonica fu accusata di essere “infami monumenti della gentilesca licenza” e -in particolare dopo i moti del 1848 a quegli oggetti si iniziò addirittura a dare una connotazione politica   ravvisando in essi il simbolo delle libertà civili e di espressione e di conseguenza censurabili, perchè pericolosi agli occhi del potere reazionario .

Per un certo periodo fu addirittura avanzata  la proposta di distruggere l’intera collezione  alla quale provvidenzialmente si oppose l’allora direttore del Real Museo Borbonico, riuscendo ad ottenere che continuasse ad esistere ma che fosse vietata la visita al pubblico, o per lo meno che ne fosse reso molto difficile l’accesso. Per questo motivo la stanza fu blindata con un portone che contava ben  tre serrature con altrettante chiavi diverse  in possesso rispettivamente del direttore del museo, del “controloro”, e del real maggiordomo maggiore.

La  scoperta della antica sessualità di Pompei  fu quindi presto sottoposta ad una più rigorosa  censura dalla corte borbonica, non tanto per mero bigottismo, quanto come reazione all’utilizzazione strumentale politica che i nemici del regno erano soliti fare .  Il Dio  “Pan e la capra” della villa dei Papiri di Ercolano, considerato “cosa lascivissima”, fu così chiuso tout court nell’armadio del restauratore Canart, nella sala XVIII del Museo Reale di Portici . Insieme ad altri ” Priapi ” con i loro grossi falli egli divenne parte  di una segreta  collezione  per la cui visita si richiedeva un permesso speciale.

N.B .Il culmine della censura del luogo si ebbe nel 1851 , quando agli oggetti della collezione furono aggiunte anche le immagini di Venere solo perchè nuda, e la camera fu definitivamente  sigillata e poi murata  affinché “se ne disperdesse per quanto era possibile la funesta memoria”.

Nonostante la segregazione, la fama della collezione continuò  comunque a crescere durante tutto l’Ottocento e i moduli per i permessi ufficiali che sempre più numerosi venivano rilasciati dal Ministro dell’Interno si dovettero riprodurre a stampa, il che non evitò, naturalmente, al Governo borbonico feroci critiche e salaci  commenti .che al contrario dei precedenti stavolta mettevano in evidenza il bigottismo e l’arretratezza del regno borbonico ( della serie come fai , fai  , sbagli lo stesso ).

Questa gestione della collezione diventò quindi quasi simbolo dell’arretratezza culturale del Regno, sicché tanto la rivoluzione del 1848 quanto la spedizione garibaldina del 1860 posero nei loro programmi la riapertura del Gabinetto riservato come simbolo libertario.

Il divieto alla visione di questa arte erotica fu infatti temporaneamente interrotto quando Garibaldi   arrivò a Napoli, nel settembre del 1860: egli ordinò di rompere i sigilli e che la sala fosse res “giornalmente accessibile al pubblico”, e al mancato ritrovamento di una delle chiavi delle serrature ordinò di scassinare la porta (un documento ufficiale esposto all’ingresso della sala ne attesta la verità storica). Il furbo Garibaldi , arrivato a Napoli come conquistatore , pensò infatti di usare questo accesso ad un luogo proibto per un suo particolare uso politico . Egli voleva dimostrare e sancire a tutti l’arrivo di una politica più liberale ed impose quindi l’esposizione di tutte le opere “per farle osservare giornalmente al pubblico”.

La collezione,da quel momento ha avuto una intrigata storia fatta di divieti e permessi, chiusure e aperture. legate spesso ai  momenti politici e conseguente senso del  comune pudore .

Dopo l’Unità d’Italia il Gabinetto si arricchì dell ’acquisto a Roma nel 1894 di un mosaico con pigmei ma la sua  accessibilità fu ben presto di nuovo limitata .

La  censura tornò di nuovo in vigore nell’epoca fascista  , quando per visitare il Gabinetto occorreva ilpermesso del Ministro dell’Educazione Nazionale a Roma: nel 1934 fu sancito che la sala poteva essere visitata soltanto da artisti che avessero certificato la propria professione, o dalle personalità in visita ufficiale che ne avessero fatta richiesta.

Solo dopo  la fine del regime e dopo le richieste del 1971,  per regolamentare le modalità di accesso alla sala, la censura andò lentamente restringendosi.

Nonostante tutto questo , è stato solo nel 2000 ,  che la sala è stata  resa accessibile al pubblico nel modo in cui lo è oggi.

Adesso il Gabinetto Segreto è visitabile su prenotazione, gratuita, che si può gestire il giorno stesso della visita. L’ingresso è aai minori di 14 anni non è consentita se sono soli, ma possono invece accedervi  se accompagnati da un adulto ( tutore ) e con autorizzazione scritta  che se ne assume quindi ogni responsabilità .

Grazie comunque a questo Gabinetto segreto oggi  Napoli è il custode di una delle più ricche collezioni al mondo di oggetti e immagini dipinte a tema esclusivamente erotico, provenienti proprio dalle antiche città della cinta vesuviana. ( Il Gabinetto si trova nel piano ammezzato del Museo, di cui occupa le sale 62 e 65).

Gabinetto Segreto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’incredibile scoperta di un’arte erotica , durante gli scavi archeologici di Pompei ed Ercolano così fortemente voluta da Carlo I di Borbone , portò presto tutti a ritenere Pompei in passato un luogo di sesso , libertinaggio e perdizione dedito alla più sordida e dissoluta impudicizia per cui da Dio meritò , come Sodoma , il castigo del fuoco , ma ben presto capirono che Pompei non era tanto diversa da altre città romane dove la  libertà sessuale era sicuramente maggiore rispetto ai nostri tabù moderni, e i luoghi del piacere non erano assolutamente ritenuti scabrosi, anzi, le prostitute, svolgevano un ruolo fondamentale nella società, consentendo agli uomini la loro libertà e alle donne di poter rimanere oneste e virtuose secondo il mos maiorum.

La prostituzione infatti per la società romana dell’epoca non era un crimine e le meretrici svolgevano abbastanza liberamente la loro professione, vendendosi nelle strade, trivia, oppure alle dipendenze di un lenone, uno sfruttatore di prostitute, in osterie o bordelli.  Addirittura   il calendario romano prevedeva una festa  dedicata alle prostitute che avveniva il 23 aprile ed una festa  per i prostituti maschi che avveniva invece il 25 aprile .

CURIOSITA’:  I luoghi dell’epoca dedicati al piacere sessuale , quelli che oggi noi chiameremmo bordelli o case chiuse , erano chiamati Lupanari (dal latino lupa = prostituta), e per  la maggior parte  erano degli ambienti composti da una singola camera situata nel retro di una locanda. . Generalmente questi luoghi non erano situati lungo le vie principali della città, ma in strade secondarie vicino a luoghi pubblici particolarmente affollati come le Terme ,

Oggetti a forma di fallo si trovavano comunque ovunque in citta; sui marciaoidi, sulle strade, alle porte d’ingresso di un’abitazione o di un negozio.

La presenza di tali reperti ed immagini indicava solo  che gli usi e costumi della civiltà Romana erano molto più liberali rispetto alla maggior parte delle culture dei nostri giorni , e  molti  di quegli oggetti  che a noi oggi sembrano  esclusivamente immaginario erotiche  erano invece anche simboli richiamanti alla fertilità, o scaramantici talismani portafortuna.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I falli eretti e sopratutto quelli di grandi dimensioni  avevano un valore propiziatorio della fertilità e rappresentavano dei potenti  talismani  portafortuna e beneauguranti. Ad esso si attribuiva il potere di allontanare il male  e veniva considerato un simbolo di fecondità ed augurio di prosperità . Per tale motivo ,  per proteggere dal male la  casa  e attirare verso di essa invece la buona sorte , venivano spesso venivano esposti o affissi sul muro nell’atrio dell’abitazione .

Gabinetto Segreto

 

 

 

 

 

 

Il fallo era quindi particolarmente presente nelle Domus romane . Un esempio su tutte è per esempio la  famosa casa dei Vetti . Essa di proprietà di  due mercanti arricchiti , meglio rappresenta il lusso degli ultimi decenni di vita della citta’, caratterizzata da fantastiche decorazioni perfettamente conservate delle mura che appaiono nobilitati da soggetti mitologici ed eroici con ricorrenti fregi di Amorini e Psichi .

All’ ingresso della bella abitazione , oltrepassato il vestibolo , si nota e incuriosisce un’oscena figura di Priapo che poggia il suo enorme fallo sul piatto  di una bilancia , mentre    sull’altro piatto , poggia una borsa di monete ,quasi a simboleggiare il prezzo da pagare per la protezione .Questa figura era stata messa all’ingresso della casa con lo scopo ben preciso di allontanare il malocchio degli invidiosi e dei gelosi della ricchezza dei Vetti .


I due proprietari Aulo Vettio Restiuto e Aulo Vettio Conviva , fecero di questa abitazione una vera e propria lussuosa abitazione privata che dopo due secoli di scavi continua a rimanere forse , nella sua ricca e completa decorazione parietale la piu’ bella casa romana che il tempo ci ha restituito .

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Il fallo per gli antichi romani , era  quindi , come avete potuto notare un  portatore di vita ed allontanava spiriti maligni e le cattiverie della gente. Nelle città enormi falli erano eretti o raffigurati sulle pareti delle vie o sulle strade lastricate, specie in punti di pericolo (ad esempio un incrocio), oppure erano posti all’ingresso delle case (tintinnabula) da far risuonare al momento dell’ingresso nell’abitazione.
Spesso, chi possedeva un’attività commerciale ne metteva uno ben in vista per allontanare le invidie della gente.

 

 

 

 

 

 

 

 

N.B.  Chiunque abbia visitato il MANN ( museo archeologico nazionale di Napoli ) nella sua  sezione dedicata all’arte erotica venuta fuori dai scavo archeologici di Pompei ed Ercolano avrà avuto modo  di imbattersi in oggetti a forma di fallo: essi se notati possono  essere amuleti, lucerne, o tintinnabula (una sorta di versione romana dello scacciapensieri che si appende alle porte d’ingresso di un’abitazione o di un negozio) o altri oggetti di uso comune,.

CURIOSITA’:  Il tintinnabulum era un sonaglio azionato dal vento e composto da più campanelle legate a un’unica struttura. Spesso questa struttura era di forma fallica e aveva il compito di allontanare il malocchio e portare fortuna e prosperità . Questo genere di amuleti venivano appesi alle porte delle case o davanti ai negozi.

 

 

 

 

 

 

 

 

tintinnabulum (campanelli eolici), sculture in bronzo rappresentanti animali o divinità erano elementi alquanto comuni nella decorazione delle case. Ovunque, sono stati ritrovate sculture di grandi peni in erezione, con tutta probabilità da intendere quindi come simboli di fertilità e fortuna.

I Romani erano convinti che il pene eretto, portatore di vita e fertilità, non solo funzionasse come protezione, ma anche come talismano per la prosperità: molti (non solo uomini, ma anche bambini e donne, e poteva essere posto anche sui cavalli) portavano amuleti a forma di piccoli peni eretti – generalmente di bronzo, ma anche d’oro, argento, corallo, osso  appesi a dei braccialetti, o più di rado al collo.
Questi amuleti prendevano il nome di fascinum. Quando ci si trovava in situazioni di pericolo o di sventura, li si toccava per scaramanzia.

N.B. I Romani chiamavano l’organo sessuale maschile fas (da cui la parole “fascino”) o, in maniera molto più volgare, mentula.

A differenza dei Greci, per i Romani le dimensioni del pene contavano molto, dato che l’organo sessuale maschile era sinonimo di potenza, forza, e fortuna.
Alle terme, dove solitamente si faceva sfoggio della propria nudità, i più dotati non avevano alcun timore a farsi vedere in pubblico. Spesso, venivano anche elogiati in epigrammi per le loro “doti”, come per esempio quelli del poeta Marziale.

Anche una efficace prestazione sessuale, unita alle dimensioni, era sinonimo di potenza virile. Marcello Empirico, scrittore vissuto tra il IV ed il V secolo d.C., scrisse un trattato di medicina recuperando testi più antichi, da Plinio a Galeno. Nel suo trattato descrisse la ricetta per realizzare delle pastiglie (globulos) per accendere il desiderio sessuale, con semi di rucola, pinoli, lampascioni rossi, cime di nardo, tritati assieme e mescolati.
La posologia prevedeva di prenderle a stomaco vuoto e disciolte in latte caprino

La fertilità maschile, quindi, era vista come la miglior arma contro gli spiriti maligni e contro il malocchio. Gli antichi romani erano infatti molto superstiziosi ed in maniera costante di fronte   anche alle e più piccole disavventure della vita di tutti i giorni erano soliti effetuare  gesti o rituali per scongiurare eventuali peggioramenti, mentre situazioni più gravi (come malattie o incidenti di ogni tipo  ) prevedevano l’intervento di veri maghi , specialisti nel formulare incantesimi (che, secondo le credenze del tempo, dovevano essere condotti con precisione, altrimenti sarebbero stati inefficaci), chiamati per ottenere il favore delle divinità.

Uno  dei grandi spauracchi della Roma antica era ritenuto essere il fascinus,cioè il malocchio ,un influsso malefico  che si riteneva venisse trasmesso a parole, con dei gesti particolari oppure semplicemente con uno sguardo . Era il cosiddetto oculus malignus, “occhio maligno”, esatta corrispondenza antica del termine “malocchio”: si pensava che esistessero persone, dotate di occhi deformi o incantatori, capaci di lanciare malefici solo guardando una persona.

CURIOSITA’:  Non sappiamo con sicurezza da dove derivi il termine fascinus: c’è chi lo ha messo in relazione con il greco báskanos (“calunniatore”, “iettatore”, “ammaliatore”) e ancora chi, invece, ritiene che abbia a che fare con il sostantivo latino fascia (“fascia”, come a dire che il fascinus è un sortilegio che avvinghia e intrappola chi lo riceve). Ed è peraltro dal termine fascinus che deriva l’italiano “fascino” (si pensi all’accezione negativa che può avere il termine, se inteso come malia in grado di soggiogare chi la subisce).

Se improvvisamente qualcuno si ammalava per  i romani, quindi spesso poteva trattarsi dei risultati di un maleficio o di un’influenza negativa  e ad essere chiamato in causa era spesso il  chiamata in causa era spesso proprio il fascinus che poteva essere protagonista anche di morti improvvise o magari un’ottima causa per motivare raccolti poco abbondanti, morie di bestiame, incidenti alla propria abitazione.

Il malocchio  poteva colpire tutti, ma una categoria particolarmente soggetta agli influssi negativi era ritenuta quella dei bambini (com’era naturale che fosse, dal momento che i più piccoli sono più predisposti ad ammalarsi rispetto agli adulti)e  a loro per proteggerli veniva fatta indossare lae a oro bulla, un amuleto che portavano per tutta l’infanzia e che si riteneva potesse scacciare il malocchio (“al collo dei bambini”, scriveva Varrone nel De lingua latina, “si appende contro il malocchio un amuleto rappresentante una figura oscena”).

A dare ai bambini una protaezione divina era sopratutto il fallo alato che con le sue abilità di volo rendeva  più efficace la protezione contro l’invidia o il malocchio.

 

 

N.B. Il termine “uccello” per indicare l’organo maschile deriverebbe dalla tradizione iconografica greca, che accumunava i volatili ai peni. In epoca ellenistica, inoltre, sono numerose le raffigurazioni di falli alati.Più in generale, erano molti i modi per scampare al fascinus o per allontanarlo. Dai già citati rituali si passava a pratiche più semplici, come i  gesti apotropaici scaramantici, di scongiuro (alcuni gesti antichissimi sopravvivono ancora oggi: si pensi al  gesto delle corna ), ma particolarmente diffusa era la distrazione dello sguardo maligno mediante amuleti: il più diffuso di questi era l’amuleto a forma fallica  , ritenuto un mezzo molto potente per allontanare il fascinus (tanto che gli amuleti a forma di falli erano noti con lo stesso termine: anche l’amuleto, cioè, si chiamava fascinus).

N.B. La rappresentazione visiva forse più potente del simbolismo  associato al fallo è un bassorilievo del secondo secolo dopo Cristo rinvenuto a  Leptis Magna (nell’odierna Libia) che rappresenta un organo maschile dotato di gambe colto mentre eiacula sopra un oculus malignus per neutralizzare i suoi effetti malefici.

Bassorilievo con fallo che eiacula sull'oculus malignus (II secolo d.C.; Leptis Magna)

 

CURIOSITA’ : Per la loro grande superstizione che mostravano i romani, va comunque detto  a loro difesa va sottolineato che nell’antica Roma, il confine tra superstizione e religione era molto  ma molto labile : dèi e semidèi della religione ufficiale, avevano infatti caratteristiche e attributi specifici, formule rigide richieste per le invocazioni e le preghiere, animali preferiti da offrire e da sacrificare; il rispetto preciso del rituale portava  alla sicurezza del risultato, sia quando l’ambito era  quello della religione superiore, dei rapporti con gli dèi celesti ed inferi, sia quando si trattava di qualcosa di molto più basso, ma importantissimo nella vita di tutti i giorni, come guarire, ad esempio, da un raffreddore o da un mal di stomaco; la religione familiare romana conosceva infinite divinità, la cui funzione era  quella di proteggere ogni momento della vita. Per   avere il loro appoggio bastava fare una piccola offerta, come un pizzico di farina, o fare un preciso gesto rituale o scaramantico, senza il quale però tutto sarebbe andato male, una religione di tutti i giorni, spesso sconosciuta o appena citata dalle fonti, ma che riempiva tutti i momenti, fra superstizione pratica e magia spicciola”.

Il maggior modo per difendersi comunque da malattie o sventure restava sempre  il fallo che era visto come simbolo di buon auspicio e di fertilità, ed in suo onore erano  spesso  indette delle processioni (  falloforie ) in cui si portavano peni eretti enormi di legno( un’usanza derivata al mondo ellenico).

I falli eretti e sopratutto quelli di grandi dimensioni  avevano un valore propiziatorio della fertilità e rappresentavano dei potenti  talismani  portafortuna e beneauguranti. Ad esso si attribuiva il potere di allontanare il male  e veniva considerato un simbolo di fecondità ed augurio di prosperità . Per tale motivo ,  per proteggere dal male la  casa  e attirare verso di essa invece la buona sorte , venivano spesso venivano esposti o affissi sul muro nell’atrio dell’abitazione .

 

Questo simbolo portafortuna ha resistito molto oltre l’epoca romana: si trovano ancora nel Medioevo falli incisi o raffigurati sugli stipiti delle porte, anche se dopo l’XI secolo la Chiesa ha deciso di combattere queste superstizioni, trasformando questi simboli osceni in corni.

Infine, per rendersi conto della sopravvivenza di questa eredità romana, basti pensare anche a certi gesti scaramantici che si fanno ancora oggi.

Anche i  famosi Moriones (schiavi giullari)che provengono da  Ercolano e sono custoditi nel Gabinetto Segreto del Museo Archeologico di Napoli erano utilizzati a fini ludici e per allontanare la malasorte.

É probabile, che, almeno uno dei due (quello a sinistra) fosse utilizzato per versare bevande se non addirittura in guisa di di rhyton
Il rhytón era un contenitore cerimoniale forato, in basso, dal quale i liquidi, che vi venivano versati, potevano fuoriuscire per essere bevuti a garganella…

Il fallo era comunque direttamente collegato al culto del dio Priapo , nume tutelare della fertilità, rappresentato come un uomo dal pene enorme.

 

 

 

 

 

 

La  rappresentazione dei suoi genitali , proprio in virtù dei loro richiami alla fertilità e all’abbondanza (e quindi alla forza generatrice della natura e alla capacita di donare la vita), era attribuito un grande potere scaramantico  e indossare un fascinus era ritenuto un modo efficace per allontanare il malocchio.

Ma non occorreva soltanto indossarlo, era necessario anche portarlo in bella vista  dal momento che esibirlo, come detto, avrebbe distratto lo sguardo degli ammaliatori e quindi allontanato i loro influssi malefici. I fascini più semplici erano quelli che semplicemente riproducevano genitali maschili: se ne trovano di diversi in molti musei archeologici, e sono modellati naturalisticamente, spesso provvisti di testicoli e, ovviamente, di un anello di sospensione per far passare la collana (si trattava, infatti, di oggetti che venivano portati al collo). Spesso l’anello era posizionato in orizzontale rispetto al fusto del pene, in modo tale che, indossandolo, la punta dell’organo in erezione venisse minacciosamente rivolta nei confronti di chi osservava l’arnese. Occorre specificare che l’esibizione di questi oggetti nella maggior parte dei casi non aveva niente di sconveniente (e, vale la pena sottolinearlo, si vedevano rappresentazioni di falli nelle abitazioni, nei negozi, lungo le strade): semplicemente per il fatto che Priapo era ritenuto un dio positivo, capace di appagare, dispensare piacere e abbondanza.

La fantasia degli artigiani romani era spesso incline a spiccare il volo: nella produzione di amuleti spiccano oggetti che hanno per protagonista il fallo alato o il fallo con le gambe, e il fatto che gli organi sessuali maschili venissero rappresentati con ali o gambe alludeva simbolicamente alla potenza del fallo, alla sua forza, alla sua grande vitalità. Inoltre,  nel caso in cui fosse stato raffigurato alato, il fallo “poteva anche assumere connotati magici più evidenti”: in casi come questi, “si concretizzava la similitudine iconografica con la figura del cavallo alato, munendo il fallo delle zampe posteriori e della coda”.

Altro amuleto molto tipico e frequente era un ciondolo  molto diffuso tra i legionari con un doppio simbolo: un pene eretto unito alla base ad un braccio, che terminava col cosiddetto manus fica, cioè un pugno chiuso col pollice che s’infilava tra l’indice ed il medio, a simboleggiare la penetrazione.

Questo ciondolo che vedeva il  pene in erzione da una parte  e dall’altra una mano con il pugno chiuso a fare il cosiddetto “gesto delle fiche” noto anche come “manus fica (si faceva inserendo il pollice tra l’indice e il medio della mano chiusa a pugno.) alludeva ovviamente  ai genitali femminili  e aveva la funzione di unire la doppia forza generatrice dell’organo dell’uomo e di quello della donna.

Il nome del gesto, traducibile come “il segno o il potere del fico”, ha dato origine a uno dei modi popolari odierni per indicare l’organo riproduttivo femminile: i Romani infatti ritenevano che assomigliasse ad un fico dischiuso.

.ARTICOLO SCRITTO DA ANTONIO CIVETTA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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