Il Castello di Baia edificato tra il 1490 e il 1493 dagli Aragonesi e ingrandito tra ‘500 e ‘700 durante il Viceregno spagnolo, venne eretto in un’area di notevole importanza strategica,in maniera tale da risultare inespugnabile .
Esso venne infatti costruito su di un promontorio (51 m s.l.m.) naturalmente difeso a est da un alto dirupo tufaceo a picco sul mare, e a ovest dalla profonda depressione data dalle caldere di due vulcani chiamati “Fondi di Baia” (facenti parte dei Campi Flegrei); con l’aggiunta di mura, fossati e ponti levatoi.
La costruzione del castello fu avviata da re Alfonso II d’Aragona che si servì della consulenza di Francesco di Giorgio Martini, architetto senese, rinomato per le nuove tecniche e le soluzioni da lui applicate a difese militari. Il re aragoneva necessitava in quel periodo di una fortezza che per la suo posizione fosse capace di tenere sotto controllo tutto il golfo di Pozzuoli fino a Procida, Ischia e Cuma, poiche temeva’in quel periodo invasione dei francesi di re Carlo VIII, ma anche le costantii ncursioni saracene che avvenivano periodicamente lungo la costa flegrea .
Quindi egli oltre ad avere una struttura che gli consentiva un controllo molto ampio della zona, necessitava anche della progettazione di un buon sistena di difesa capace non tanto di avvistare eventuali avvicinarsi di flotte nemiche, ma anche al contempo , essere capace di contrastare eventuali sbarchi di truppe che avessero voluto marciare su Napoli con un’azione di sorpresa alle sue spalle.
N.B. Del vecchio castello aragonese purtroppo oggi non vi è piu traccia . Esso appare oggi come l’insieme di sovrapposizioni architettoniche realizzate nel corso dei secoli,
Il castello infatti fu purtroppo gravemente danneggiato anche lui dalla terribile eruzione del 29/09/1538 , che nel corso di una sola notte diede origine al cratere di Monte Nuovo creando dei grossi danni all’intera area flegrea , . Essa infatti provocò lo sprofondamento della fascia costiera, in maniera più evidente da Lucrino a Baia.
Dopo l’eruzione, il viceré don Pedro Alvarez de Toledo decise di avviare del castello ( 1538-1550 ) una radicale ristrutturazione ed ampliamento , in seguito al quale esso assunse il suo attuale aspetto a forma di stella.
N.B. La fortezza baiana si sviluppa su una superficie di 45.000 mq. e raggiunge l’altezza di mt. 94 circa sul livello del mare, e secondo i piani del vicerè esso doveva diventare l’ultimo baluardo difensivo contro le invasioni corsare saracene e turche.
CURIOSITA’ :Le mura del Castello racchiudono però una realtà più antica, i resti di una grandiosa villa romana, un eccezionale esempio di impianto residenziale marittimo che dal mare risale per quasi cento metri sino alla cima del promontorio, ora occupato dal Padiglione Cavaliere ( il maschio del castello) , dove si conservano in ottimo stato i pavimenti romani in signino decorato e in mosaico bianconero.Tracce superstiti di opus reticolatum, ambienti termali e strutture di varia natura dell’antica villa ,sono ancora oggi visibili intorno al castello, lungo le sue scarpate al mare e lungo la costa e a terra presso il campo sportivo,
In epoca romana la collina era quindi occupata da una villa residenziale, appartenuta forse proprio a Cesare, (Tacito afferma che la villa di Cesare si trovava su di un’altura dominante il golfo di Baia), i cui resti furono distrutti e talora inglobati nell’attuale fortezza. Essa sorgeva già nel II sec. a.C. e viene poi ristrutturata in due fasi successive nel secondo quarto del I sec. a.C. e poi in età neroniana, quando la proprietà viene acquisita al demanio imperiale.
Nel 1734 fu conteso dai borbonici, che lo occuparono, e dalle truppe austriache, che riuscirono a riconquistarlo; gravemente danneggiato, fu poi restaurato e ulteriormente fortificato da Carlo di Borbone..
.L’edificio mantenne comunque la sua funzione di fortezza militare nel periodo del vicereame spagnolo (1503-1707), del dominio austriaco (1707-1734), e infine del regno borbonico (1734-1860).
CURIOSITA’:Il Castello di Baia però non fu solo una struttura militare, ma rappresentò anche luogo di incontri politici e mondani. Tra le sue mura furono ospitate moltissime personalità. Nel 1506 giungeva in visita re Ferdinando III detto “il Cattolico”; ancora nel 1576 era la volta di Giovanni d’Austria che incontrò l’ambasciatore veneto Girolamo Lippomano per trattare segretamente delicate questioni politiche; nel febbraio del 1582 veniva accolto il duca d’Ossuna. Il castello diventa anche centro di studi e ricerche. È per volontà del viceré don Pietro d’Aragona, coadiuvato dal segretario del regno Giulio Cesare Bonito e dai medici Vincenzo Crisconio e Sebastiano Bartoli che inizia una vasta opera di valorizzazione del termalismo flegreo e di quello baiano in particolare, riprendendo quella tradizione già nota in epoca romana. Il Castello però fu anche luogo di pena e di esecuzione delle più barbare sentenze di condanna. Si narra infatti che alcuni reclusi, incatenati nelle anguste celle, in pratica veri e propri sepolcri, venivano abbandonati alla loro sorte, tanto che la morte veniva invocata come un vero e proprio sollievo.
Gravemente danneggiato nella guerra che contrappose gli austriaci ai Borbone (1734), fu restaurato e ulteriormente fortificato dal re Carlo III di Borbone. Durante la Repubblica Partenopea (1799) una flotta inglese tentò, ma inutilmente, di strapparlo ai francesi e ai repubblicani napoletani che lo presidiavano.
Con l’avvenire dell’Unità d’Italia ,all’imbrunire del 6 ottobre del 1860 , per la prima volta, il tricolore d’Italia sventolava sul Castello di Baia. Qualche anno più tardi, proprio il generaleGaibaldi chiederà al Sindaco di Pozzuoli di trovargli una sistemazione per trascorrere le vacanze a Baia. Il 18. agosto del 1883 , giungevano nel porto di Baia , 14navi da guerra precedute da uno yacht: “il Savoia“, che ospitava il re d’Italia, Umberto I, il Principe di Prussia, il Principe di Napoli ed il Ministro della Marina..
Con l’unità d’Italia però cambiavano anche le esigenze difensive del paese, tanto è vero che dopo quattro secoli di ininterrotta opera di difesa, con Regio Decreto del 1887, il Castello di Baia non veniva più considerato opera di fortificazione dello Stato.
Dopo l’unità d’Italia (1861), quindi per il castello subentrò un periodo di lenta decadenza e d’inesorabile abbandono. Considerato, infatti, non più utile a scopi militari, il castello passò nel 1887 sotto l’amministrazione di vari ministeri: prima quello della Marina, poi degli Interni, e infine della Difesa. Nel 1927 lo Stato ne dispose la concessione – con diritto di godimento perpetuo – al Reale orfanotrofio militare che ospitava i figli dei caduti della “Grande Guerra”, sorte che purtroppo toccherà anche a molti di loro caduti, a loro volta, nel corso del secondo conflitto mondiale.Per questa nuova destinazione d’uso negli anni 1927-1930 vi furono eseguiti numerosi lavori di ristrutturazione che inevitabilmente comportarono aggiunte e alterazioni.
Durante la seconda guerra mondiale il castello fu utilizzato come carcere militare e come soggiorno per prigionieri di guerra. L’orfanotrofio militare rimase fino al 1975, anno in cui l’ente fu sciolto.
N.B. Intanto al riparo del Castello di Baia erano sorti prima i “Cantieri Navali” e poi il “Silurificio“, presso il quale si era recato in visita il Duce Benito Mussolini.
Passato quindi alla Regione Campania, in occasione del terremoto dell’Irpinia del 1980 il castello fu occupato parzialmente per alcuni anni da famiglie terremotate. Nel 1984 è stato definitivamente consegnato alla Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta perché diventasse sede del Museo archeologico dei Campi Flegrei.
IL MUSEO ARCHEOLOGICO DEI CAMPI FLEGREI
Il Museo Archeologico dei Campi Flegrei ha visto finalmente la luce ed è stato aperto al pubblico nel settembre del 1993. Essoè situato all’interno del Castello Aragonese di Baia, tra un locale ricavato nel bastione sud-occidentale della 1^ Batteria S. Antonio e la scenografica ed imponente Torre di nord-ovest risalente al primitivo nucleo aragonese.
Il Museo e raccoglie in gran parte il materiale recuperato negli scavi dei Campi Flegrei, sia in superficie, sia soprattutto dai fondali sottomarini, che rappresentano una delle aree archeologiche sommerse più importanti ed estese in Italia.
La visita delle sezioni del Museo, dislocate in parti diverse e distanti del Castello stesso, comporta un percorso dinamico e vivace tra rampe e scale suggestive e terrazze panoramiche sino alla spettacolare Piazza d’Armi, dalla quale il visitatore può godere di un amplissima e splendida veduta dell’intero Golfo di Napoli.
Inoltrandosi all’interno del percorso museale si percepisce come esso sia stato organizzato per rispecchiare il particolare e suggestivo assetto del territorio flegreo nel quale confluiscono in pochi lembi di terra una realtà storico-culturale centrale per la conoscenza del Mondo Classico e la bellezza di un paesaggio forgiato dai tanti vulcani sempre in attività.
L’esposizione museale si divide in tre distinti settori: il primo di questi, la Sala dei Gessi di Baia, situata in un locale attiguo il viale d’ingresso, è relativo alla mostra di circa 60 frammenti di calchi in gesso d’epoca romana, che hanno riprodotto alcuni fra i più celebrati capolavori del periodo classico ed ellenistico dell’arte greca.
Gli altri due, invece, sono ubicati all’interno della Torre di nord-ovest, detta Torre Tenaglia. In uno spazio ai piedi di quest’ultima e all’ombra della 2^ Torre Cavaliere, sono esposti 11 cippi marmorei rinvenuti tra il 1967 e il 1972 nel cosiddetto Sacello degli Augustali di Miseno. Essi recano dediche a divinità e ad Imperatori e aprono una finestra sulla vita condotta nella Miseno romana del II sec. d.C.
N.B. Nel complesso del “sacello degli Augustali”che si trova al primo piano, nella torre di nord est, con un suggestivo allestimento viene ricostruita la facciata a quattro colonne che sorreggevano il frontone dell’edificio principale, il sacello centrale, della sede degli Augustali di Miseno e l’esposizione delle sculture che arrivano da questo complesso, ubicato nel foro della città. La struttura fu rinvenuta nel 1968 nell’area del foro del Municipium di Miseno, di fronte al mare. La disposizione degli elementi propone teoricamente la composizione originaria del tempio nella forma risalente al rifacimento attuato negli ultimi anni dell’impero di Antonino Pio (160 d.C.).
N.B, Gli Augustali erano sacerdoti incaricati del culto imperiale).
Ma procediamo con ordine:
L’esposizione si apre con la città di Cuma, la prima e più avanzata colonia greca d’Occidente, e sede della celebre Sibilla a cui si ricorreva nell’estremo pericolo per interpellare il Fato. La prima sala (sala 1) espone alcuni frammenti dei calchi in gesso di epoca romana che testimoniano l’attività di un’officina scultorea di Baia che era impegnata nella riproduzione di copie di celebri capolavori greci.
Questo suggestivo spazio espositivo del Museo dei Campi Flegrei della raccolta dei cosiddetti “calchi di Baia”, è un gruppo formato da centinaia di frammenti di statue di gesso risalenti all’età ro-mana, che sono i resti di sagome tratte dalle più famose sculture greche dell’età classica. Appartenevano alle officine degli artigiani baiani che, tra il I secolo a.C. e il iI secolo d.C., eseguirono le “copie” in marmo che abbellirono le ville della esigente aristocrazia romana.
1430 calchi furono scoperti nel 1954 da Mario Napoli, in alcuni ambienti delle Terme di Sosandra; fu subito chiaro che essi appartenevano alle attrezzature di una officina di scultori, ma ancora di più se ne ebbe la certezza quando Gisela Richter e Walter-Herwig
Schuchhardt compirono i loro studi e identificarono il primo grande frammento (vetrina 1) come il calco della testa di Aristogitone (che nel 514 a.C. aveva tentato di uccidere i tiranni ateniesi Ippia e Ipparco), di cui esistono molte copie in vari musei.
Tra i 430 frammenti trovati nel deposito delle terme, 67 di sono stati con certezza ricondotti a 12 diverse sculture, delle quali si conosce l’aspetto e in qualche caso l’autore.
In questo modo, per esempio, oltre al gruppo dei Tirannicidi, di cui faceva parte il brano con la testa di Aristogitone, è stato possibile riconoscere i calchi per le immagini di Persefone e la madre Demetra, che presiedevano al culto di Eleusi e quelli che riproducevano le figure di Amazzoni.
Nella vetrina 7 sono in mostra i pezzi di una tigura di divinità (Afrodite), del tipo noto come “Hera Borghese” (una delle migliori copie è oggi a Copenaghen), mentre nella vetrina 8 sono sistemati i frammenti del modello di una statua di grandi dimensioni di Atena, del tipo “Velletri” (la sua copia migliore è al Louvre di Parigi).
Ancora, nella vetrina 11 sono i frammenti della statua di Apollo arciere, scolpita da Leocare verso il 330 a.C. e posta nel Tempio di Apollo Patroos nell’agorà di Atene: l’unica replica che si conosce (considerata per secoli un modello di bellezza insuperabile) è nel cortile del Belvedere in Vaticano. Frammenti del piccolo Plutos, invece, sono nella vetrina 12; al contrario, nella vetrina 13 sono i frammenti che ad oggi non è stato possibile ricondurre a nessuna scultura.
Le sale 2-4 ospitano invece la ricostruzione del portico del foro della città, con il monumentale fregio con armi e le singolari lastre a rilievo con mascheroni.
Dopo il foro inizia un percorso che accompagna il visitatore, come in una linea del tempo, di sala in sala, attraverso i diversimomenti della vita del sito antico: e allora si comincia con la sala 6, dedicata alle tombe dell’insediamento indigeno precedente all’arrivo dei greci, mentre la sala 7 racconta l’arrivo dei Greci e la fondazione della colonia attraverso le tombe di Pithekoussai, che testimoniano i rapporti che precedettero l’impianto dell’emporio commerciale sull’isola di Ischia, e attraverso alcune testimonianze epigrafiche dell’alfabeto greco-euboico.
La sala 8 spiega le mura che perimetrano la città, una volta strutturata, con i reperti riferibili alle diverse fasi costruttive e quelli provenienti da un santuario indagato in un’area prossima alle mura settentrionali. Dal santuario periurbano, restando nella sfera del sacro, si passano in rassegna numerosi rinvenimenti da santuari o stipi votive del sito (sala 9) che illustrano l’architettura e gli oggetti del culto in età greca.
Le sale 10-11 sono dedicate alle storiche collezioni ottocentesche di reperti cumani: la Collezione Cumana, frutto degli scavi delConte di Siracusa, e la Collezione Stevens, che prende il nome dall’omonimo Colonnello, che raccolgono i più preziosi corredi tombali della necropoli di Cuma situata a nord nella piana di Licola.
Si prosegue dunque con la fase sannitica della città (sale 12-14): tra i reperti imperdibili vi sono le bellissime metope dipinte con centauromachia del tempio sannitico della città bassa, su cui in età romana sarà edificato il Capitolium, e la tomba dipinta, che è stata interamente trasferita dal luogo di rinvenimento al Museo.testimoniano i rapporti che precedettero l’impianto dell’emporio commerciale sull’isola di Ischia, e attraverso alcune testimonianze epigrafiche dell’alfabeto greco-euboico. La sala 8 spiega le mura che perimetrano la città, una volta strutturata, con i reperti riferibili alle diverse fasi costruttive e quelli provenienti da un santuario indagato in un’area prossima alle mura settentrionali. Dal santuario periurbano, restando nella sfera del sacro, si passano in rassegna numerosi rinvenimenti da santuari o stipi votive del sito (sala 9) che illustrano l’architettura e gli oggetti del culto in età greca.
Dalla sala 16 comincia l’esposizione della città romana, che a cominciare dall’età di Augusto viene notevolmente arricchita: è uno splendore fatto di marmo che richiama da vicino i modelli di Roma. Fino alla sala 22 si possono ammirare le sculture e gli arredi marmorei che in tutta l’età imperiale ornano la città. Chiudono la sezione cumana la sala 23 con la necropoli romana e la sala 24 con i reperti di età bizantina.
Al primo livello viene la città di Puteoli, grandioso emporio e porto principale dell’Urbe, con il suo Rione Terra interamente ricopertodi marmo da Augusto.
Qui troviamo la famosa facciata del Sacello degli Augustali di Miseno, con diverse statue pertinenti alla Gens Flavia. Si notano, nella nudità eroica, divinizzate, le sculture imponenti degli imperatori Vespasiano e Tito: la famosa statua equestre di Domiziano, che diventerà, con una sfrontata e coraggiosa rielaborazione plastica, Nerva; una piccola scultura della dea dell’Abbondanza; una grossa lastra marmorea, sulla quale è visibile la quadriga di Apollo Helios e la personificazione di Miseno, più una statua acefala riccamente ammantata.
Le sale 26-27 affrontano quindi il tema della colonia augustea e del culto del Genius coloniae, raffigurato in diversi rilievi e statue e menzionato da iscrizioni. La sala 28 accoglie il tema degli edifici di spettacolo e dei collegia degli Augustali e dei Tibicini: qui è possibile ammirare il calco della famosa base degli Augustali con dedica a Tiberio, il cui originale è esposto al MANN.
La sala 29 è dedicata all’acquedotto e al sistema di irreggimentazione delle acque, mentre le sale 30-31 illustrano la straordinaria importanza del porto commerciale di Pozzuoli, il principale porto di Roma prima della costruzione di quello di Ostia e tale da potersi definire cosmopolita: ne sono testimonianza le numerose statue e dediche riferibili a culti orientali rinvenute nella città.
Le sale 32-37 raccontano i cambiamenti della città nella piena età imperiale e l’edificazione delle nuove grandi opere pubbliche, tra le quali l’Anfiteatro flavio, attraverso le statue e gli arredi marmorei risalenti a quel periodo, con un particolare accento sul tema delle arti e dei mestieri nella sala 36 e nella sala 37 la ricostruzione dell’eccezionale contesto della grotta del Wadi Minayh nel deserto orientale egiziano dove sono state rinvenute iscrizioni con i nomi dei mercanti puteolani che vi si fermarono. Poi si passa al periodo tardo-antico (IV sec. d.C.) durante il quale ancora Puteoli prospera mantenendo vivo il porto commerciale (sala 38) e ai contesti delle ville del territorio puteolano (sale 39-40), che restituiscono pregevoli materiali e arredi scultorei.
Le sale 41-44 ospitano reperti dalle necropoli di svariate tipologie, da sarcofagi a rilievi funerari, a statue iconiche. Infine nella sala 45 sono stati allestiti i reperti dell’Antiquarium flegreo, un piccolo museo allestito negli anni ’50 da Maiuri e De Franciscis nella piazza del cosiddetto Tempio di Serapide per accogliere i reperti provenienti dai siti flegrei.
Al secondo livello nella Sala Polveriera è possibile apprezzare l’allestimento della mostra dal titolo “Il visibile, l’invisibile e il mare”, inaugurata lo scorso 27 ottobre. La mostra è dedicata al ritorno nei Campi Flegrei della pregevole statua di Zeus in trono dal Getty Museum di Los Angeles, che trova la sua nuova esposizione insieme ad altre 11 statue provenienti dai depositi del Parco Archeologico dei Campi Flegrei, che richiamano la perpetua relazione dell’archeologia flegrea col mare nella dualistica dimensione di emersione e sommersione dovuta al bradisismo.
Chiude la sezione di Pozzuoli al terzo livello , la splendida sala del Rione Terra (sala 47) che in un allestimento fortemente evocativo ricostruisce eracconta lo straordinario fermento edilizio che Augusto portò alla città di Puteoli, colonia iulia augusta, trasformandola secondo schemi architettonici che rimandano direttamente a quelli di Roma.
La visita si chiude nel cortile d’ingressso con la sala dedicata a Liternum, la piccola città legata al ritiro di Scipione Africano, che restituisce statue provenienti dal foro e reperti dall’Anfiteatro, dal santuario a nord del foro e dalla necropoli.
L’allestimento come vedete segue quindi il doppio filo dello sviluppo cronologico e del recupero dei contesti. Il visitatore può così vedere organicamente quanto proviene dai tanti siti e monumenti del Parco che avrà già visto o potrà vedere, anche nel medesimo giorno
Se tutto questo vi puo sembrare lungo il mio personale consiglio è quello di non perdervi almeno la visione della statua equestre di Domiziano in bronzo con intarsi in rame e argento, che fu recuperata in cattive condizioni a ovest del sacello. Pur se raffigurava in origine Domiziano, fu trasformata in una statua raffigurante Nerva: vestito di corazza e con il braccio destro sollevato a levare una lancia, mentre si trova sopra un cavallo impennato di grande forza plastica. Fu scolpita, si pensa, dopo la costruzione della via Domiziana, completata nel 95 d.C., e “restaurata” poco dopo (si sostituì soltanto la faccia) durante il regno di Nerva.
Più antiche e quindi certamente da vedere anche le statue di Vespasiano e Tito, in marmo di Luni, che mostrano i due imperatori nudi, con la clamide appoggiata sul braccio sinistro e un puntello a forma di corazza anatomica sul laessi un bel frammento di fiaschetta vitrea, del II-III secolo, forse realizzata nelle rinomate officine di vetro puteolane, un balsamario orien-taleggiante,
Vi consiglio pure del i secolo, una coppa di argilla di produzione africana (I secolo d.C.), un frammento di tegame ad argilla rossa di produzione cumana, compreso tra il i e il mI secolo d.C.