Lo storico   Museo  Musicale del Conservatorio di San Pietro a Majella,  inaugurato da Francesco Cilea il 3 dicembre 1925, ospita una tra le più rilevanti collezioni di strumenti musicali d’Europa, una meravigliosa galleria di ritratti di musicisti, sculture, cimeli storici, insieme a fotografie, stampe, monete e medaglie, elementi di arredo ed arredi liturgici provenienti dalladiacente chiesa di San Pietro a Majella. In esso  si trovano strumenti antichi e preziosi come l’arpa  di Stradivari, il pianoforte-clavicembalo Vis à Vis di Johann Andreas Stein e i magnifici  pianoforti a tavolo, donati a Domenico Cimarosa e Giovanni Paisiello da Caterina II di Russia.

Sono  inoltre presenti raccolti in una collezione ineguagliabile, splendidi antichi archi molti dei quali costruiti nella prestigiosa scuola napoletana di liuteria e  preziosi  strumenti musicali a tastiera pianoforti come i pianoforti di Mercadante e di Thalberg ed un incredibile organo con sette registri, appartenuto all’antica famiglia degli organari Cimmino  giunto a noi a distanza di anni in perfetto stato di conservazione . 

Completano la ineguagliabile collezione anche degli inredibili plettri rilucenti di intarsi di madreperla, e dei magnifici strumenti a fiato tra cui spicca il cembalo di Caterina II di Russia,

Non mancano ovviamente altri importanti  cimeli storici, testimonianze spesso commoventi della presenza, negli antichi orfanotrofi, prima, nel Conservatorio di San Pietro a Majella, poi, di artisti eccezionali.

 

 Esposti nell’area museale al primo piano dell’Istituto, vero e proprio tripudio di luci e di colori sono i salteri di manifattura settecentesca, le arpe di pregio degli Erard e di Pleyel ed una selezione di strumenti a fiato, tra i quali spicca per valore simbolico un corno di invenzione appartenuto al padre di Rossini.

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La loro storia, così come quella degli strumenti della liuteria ad arco e a pizzico (la più imponente retrospettiva pubblica sulla liuteria napoletana del Sette-Ottocento), insieme ai fiati e ai pianoforti, principalmente dovuti alle innumerevoli manifatture attive a Napoli nel corso dell’Ottocento, si completa e si lega imprescindibilmente alla storia dei manoscritti della biblioteca e ai documenti custoditi nell’archivio storico dell’Istituto.

 Collezionati a partire dal 1868, nei diversi ambienti del complesso monumentale dei padri celestini di San Pietro a Majella, inteso come museo diffuso, è possibile ammirare una quadreria che si compone di più di duecento dipinti, opera di artisti come la Elisabeth Vigée Le Brun, Gennaro Maldarelli, Filippo Palizzi, Francesco Paolo Michetti, autori dei ritratti di Paisiello, Ferdinando Sebastiani, Ferdinando Pinto, Francesco Paolo Tosti. Con essi fanno bella mostra di sé i cimeli storici, testimonianza tangibile del legame che ebbero con il conservatorio napoletano musicisti come Bellini, Donizetti, Verdi, Martucci. 

 

CURIOSITA’: Nel museo musicale è stato ritrovato “nascosto” sotto pile di custodie di altri strumenti un prezioso pianoforte a cristalli  della fine dell’Ottocento che pare appartenesse alla nobile famiglia Del Balzo. Il rarissimo di pianoforte  che si riteneva perduto Il  è stato ritrovato durante i lavori di sistemazione della sala adibita a deposito,  chiamata sala “del tesoro nascosto” perché contiene cimeli, strumenti e quadri di notevole valore e in fase di scoperta.

 

L’affascinanante museo fa ovviamente parte del famoso Conservatorio S.Pietro a Majella, un istituto superiore di studi musicali fondato nel 1808, che si trova situato nell’ex Convento dei Celestini annesso alla chiesa di S. Pietro a Majella sorta sulle rovine di due chiesette duecentesche all’estremità del decumano maggiore

La chiesa fu fatta costruire da Roberto d’ Angiò nel 300 in onore di Celestino V ( Pietro, ritiratosi sulla maiella in Abruzzo, come eremita, rinunciò al trono papale ottenuto nel 1294: colui che fece, per viltade, il gran rifiuto ( Dante ).

La chiesa fu dotata di un convento poi soppresso e nella prima metà dell’800 divenne la nuova sede del REGIO COLLEGIO DI MUSICA assorbendo i 4 istituti esistenti sino allora a Napoli e che avevano trovato una sistemazione provvisoria nel vicino monastero delle monache di San Sebastiano allora in disuso.

N.B.Il conservatorio nacque nel 1808 col nome di Real Collegio di Musica dall’unificazione di altre quattro preesistenti istituzioni musicali nate come orfanotrofi e nelle quali si era iniziato ad impartire insegnamenti di catechismo e di canto per i fanciulli abbandonati già a partire dal Cinquecento: i quattro istituti erano quello di  “Santa Maria di Loreto”, quello della “Pietà dei Turchini”, quello di “Sant’Onofrio a Capuana” e quello dei “Poveri di Gesù Cristo”.

La sede antica era come vi abbiamo accennato,  quella del vicino convento di San Sebastiano. e solo nel 1826, per ordine di Francesco I, il complesso venne  trasferito nella sede attuale, in via San Pietro a Majella 35, assumendo la denominazione di Reale Conservatorio di Musica di San Pietro a Majella.

CURIOSITA’ :  Una targa posta all’ingresso dell’edificio recita: «Questo antico edificio, già venerabile convento dei padri celestini di San Pietro a Majella nel 1826 per volontà di Francesco re delle Due Sicilie fu destinato ad accogliere la gloriosa scuola napoletana ed a conservare le preziose testimonianze degli antichi conservatori dei Poveri di Gesù Cristo, Santa Maria di Loreto, Sant’Onofrio a Capuana, Pietà dei Turchini.»

Tra questi il più antico conservatorio era quello di “Santa Maria di Loreto” (1535), di cui Ferdinando IV di Borbone decretò la chiusura nel 1797, trasformandolo in un ospedale militare ed inglobandolo al conservatorio di Sant’Onofrio a Porta Capuana. Il conservatorio sorgeva nei pressi di via Marina., ed esattamente nel luogo dove oggi  si trova attualmente l’Ospedale Loreto Mare e pare nacque dalla volontà di un artigiano di prendere sotto la sua ala protettiva alcuni orfani della città e insegnare loro un mestiere che desse la possibilità di poter vivere autonomamente. Questo era, in realtà, l’obiettivo fondamentale di tutti i conservatori dell’epoca, ovvero “conservare” la vita e proteggere l’infanzia e la dignità dei bambini abbandonati.

Il conservatorio della Pietà dei Turchini (1573) nacque con l’intento di ospitare i ragazzi orfani o abbandonati. La sua sede era nell’omonimo complesso religioso, il cui nome trae origine dal colore delle divise degli orfanelli ivi ospitati; fu l’ultima istituzione a sopravvivere e accolse gli allievi delle altre che col tempo furono chiuse. Il conservatorio fu poi trasferito e cambiò di denominazione.

Il conservatorio di Sant’Onofrio a Porta Capuana (1578) nacque per iniziativa di alcuni mercanti di stoffe nel voler aiutare i bambini più bisognosi, Continuò poi la sua pia opera ad opera di confraternite religiose seicentesche, e trovò sede all’interno di una preesistente fabbrica di stoffe . Divenuto conservatorio nella prima metà del Seicento, l’ingresso presso l’istituto, dietro pagamento di una retta, era consentito a tutti; nel 1797 vi confluì quello di santa Maria di Loreto. Esso era un importante  conservatorio in citta perchè,  anche se in epoche differenti, fu diretto da Alessandro Scarlatti e Francesco Durante.

Il conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo fu fondato nel 1589 da un terziario francescano e fu soppresso nel 1743 in seguito all’avvenuto  omicidio di uno studente, nei quali, si dice, fosse coinvolto anche il Rettore. Il complesso nacque nell’odierno largo dei Girolamini, a ridosso dell’omonima chiesa ed anche in questo caso, lo scopo dell’istituto era quello di accogliere bambini orfani e poveri. Alla sua chiusura, i bambini ospitati nella struttura furono divisi nei restanti tre conservatori della città.

CURIOSITA’ :Nel 1797 il conservatorio di Santa Maria di Loreto si unì a quello di Sant’Onofrio a Capuana; a cavallo tra il 1806 e il 1807 il conservatorio di Santa Maria di Loreto si unì poi a quello di Santa Maria della Pietà dei Turchini e la sede si trasferì nell’ex monastero di San Sebastiano. In seguito, con l’arrivo dei Padri Gesuiti, la sede di spostò nel convento dei Padri Celestini, ovvero la sede attuale, nel 1826, anno che decretò la nascita definitiva del Conservatorio di Musica di San Pietro a Majella , ancora oggi a distanza di anni,  considerata la più antica e prestigiosa scuola di musica in Italia. Essa è stato nel corso della sua storia un punto cardine nell’influenza della cultura musicale napoletana.

Il ruolo iniziale dei conservatori era quindi come avete avuto modo di capire, quello di carità e beneficenza; solo successivamente si trasformarono in vere e proprie scuole musicali . I conservatori avevano in tutto trecento allievi, napoletani e non. Potevano farne parte i ragazzi dai dieci ai quattordici anni, a patto che sapessero leggere e scrivere e superare una prova che consisteva in piano, partizione, italiano, aritmetica, violino e violoncello. La retta era di nove ducati al mese; chi non poteva parmetterselo, aveva comunque alloggio e vitto gratuiti.

Lo stato  attuale  e l’aspetto dell’intera struttura, lo si deve grazie ai lavori di restauro iniziati nel 1890 e terminati solo nel 1927.

Da un punto di vista architettonico, il complesso è caratterizzato da un primo chiostro definito di ” rappresentanza”primo dove è collocata una statua, opera di Francesco Jerace, che rappresenta Ludwing Van Beethoven colto in un momento contemplativo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Da qui si accede alla grande  Sala Scarlatti , la  sede prestigiosa per tutti i concertiche vi ricordiamo fu  distrutta da un  terribile incendio nel 1973  per essere poi ricostruita nel 1996.

Sempre al piano terra troviamo poi  la sala Muti,  nella quale si può visitare una mostra interamente dedicata a Giovanni Paisiello, uno dei più importanti e influenti compositori d’opera del XVIII secolo.

Dal  secondo chiostro  invece, si entra nella Sala Martucci, ( probabilmente l’ex refettorio del convento), caratterizzata dal magnifico affresco sul soffitto di Giuseppe Aprea che raffigura l’Allegoria della Musica.

Al primo piano è invece collocato il “cuore” del conservatorio: l’Archivio Storico,  che contiene documenti autografi e varie testimonianze, nonché gli archivi personali dei vari musicisti che qui vi sono succeduti. Sempre al primo piano vi è il  Museo che come vi abbiamo detto custodisce quadri importanti e strumenti antichi, alcuni piuttosto rari come l’arpetta dello Stradivari, della quale esistono solo tre esemplari al mondo.. Esso è un pezzo unico al mondo,  uscito dai fumi alchemici dalla bottega di Mago Stradivari che misura appena ottantaquattro centimetri e  fu donato al Conservatorio da Francesco Florimo, il grande bibliotecario dell’Ottocento che di San Pietro a Majella fu archivista, poi reggente e infine direttore, dal 1851 al 1888.

CURIOSITA? : Prima di finire nelle mani del venerando Florimo, ovvero del musicista che più di ogni altro ha contribuito a trasformare il Conservatorio in un teatro della memoria viva, la mitica arpa di Stradivari era appartenuta al marchese genovese Massimiliano Spinola e poi alla celebre ballerina Amina Boschetti, cognata di Spinola. Narra la leggenda che il grande Stradivari costruì non una ma tre arpe: la prima andò distrutta, la seconda è gelosamente custodita a San Pietro a Majella e della terza si sono perse le tracce. Si trova anch’essa a Napoli? Il giallo dell’arpa perduta infiamma da sempre la fantasia degli storici della musica, dei collezionisti e degli appassionati di oggetti rari.

Al piano nobile è presente invece la Biblioteca che, grazie al decreto del 1795 di Ferdinando IV di Borbone, custodisce le copie di ogni spartito di opera o commedia che si rappresentavano a teatro. Tra i bibliotecari più famosi che si succedettero nel corso degli anni possiamo ricordare il calabrese Francesco Florimo, grande amico di Vincenzo Bellini, e Rocco Pagliara, che conferì alla biblioteca una sfumatura pubblica e storica.

N.B. La quadreria è ricca di circa 160 dipinti fra i quali alcuni di Palizzi, Vaccaro e  Mattia Preti.

Nel corso dell’Ottocento e dei primi anni del Novecento il complesso si arricchì di numerose  opere. Busti, ritratti di musicisti e strumenti di illustri personggi i che transitavano  nel conservatorio e  di volta in volta donavano qualcosa  allo scopo di lasciar custodire al regio collegio le proprie opere o la propria storia. Non dimentichiamo che il  conservatorio nel corso dei secoli è stato un luogo frequentato da personaggi come Saverio Mercadante, Vincenzo Bellini, Ruggero Leoncavallo e Riccardo Muti

Quando nel  1826 esso divenne il Conservatorio di musica a Napoli,  la sua direzione fu affidata a Nicola Zingarelli.

N.B. A Nicola Zingarelli si sono poi succeduti con gran successo altri noti personaggi come Gaetano Donizetti – Francesco Saverio Mercadante – Francesco Cilea- e tanti altri.

 

L’annessa  chiesa fu fatta costruire da Roberto d’ Angiò nel 300 in onore di Celestino V ( Pietro, ritiratosi sulla maiella in Abruzzo, come eremita, rinunciò al trono papale ottenuto nel 1294: colui che fece, per viltade, il gran rifiuto ( Dante ).

Da notare  in essa i bellissimi archi a sesto acuto e le volte a crociera delle navate laterali tipici dell’ arte gotica e le preziose e bellissime opere nel transetto e nel soffitto di Mattia Preti. Splendido anche l’altare maggiore del ‘600 con la bella balaustra in marmi policromi.

Nel suo interno la chiesa si  presenta con 3 navate e un transetto terminale.

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Inizialmente questa chiesa fu costruita con un  impianto gotico ma successivamente nel XVI secolo fu rimaneggiata in stile barocco (come avvenne per molte chiese di Napoli) con una ricca decorazione  in marmo e stucco colorato che coprì interamente la preesistente struttura gotica. Successivamente con grandi lavori di restauro molte delle decorazioni seicentesche furono eliminate come si può notare negli gli archi a sesto acuto e le volte a crociera delle navate laterali tipici dell’arte gotica.

Oggi le navate sono separate  da pilastri sorreggenti archi gotici con dieci cappelle laterali.

Nella cappella Leonessa e nella cappella Pipino sono presenti due cicli di affreschi risalenti alla metà del trecento.
Nella prima cappella a destra, è presente la statua di San Sebastiano di Giovanni Merliano da Nola, il maggiore esponente della scultura rinascimentale a Napoli.
Nella quarta cappella a destra si può ammirare una bella tela della Madonna che appare a San Celestino di Massimo Stanzione. A sinistra nella quinta cappella sono presenti anche tre tele di Francesco De Mura.

Nella prima cappella a sinistra possiamo invece ammirare un pavimento in mattonelle maiolicate, del periodo aragonese.  Nel soffitto e nel transetto possiano notare le bellissime opere di Mattia Preti che mostra episodi della vita di San Celestino e di Santa Caterina d’Alessandria.

La balaustra e il bellissimo altare maggiore del 600 in marmi commessi, sono stati realizzati rispettivamente da Cosimo Fanzago e da Bartolomeo e Pietro Ghetti.

Alla sinistra dell’altare notiamo un affresco che rappresenta “la Madonna del Soccorso“, un pò consumata dal tempo che nasconde una bella storia.

  Si racconta che Giovanni d’Austria, figlio di Carlo V, prima della famosa battaglia di Lepanto, comandante della flotta della Lega, si recò da solo a pregare e chiedere protezione alla Madonna del Soccorso, inginocchiandosi proprio dinanzi a questo affresco.

Secondo le cronache del tempo fu proprio grazie alla protezione della santa madre che lo scontro andò a buon fine e Giovanni d’Austria sconfisse gli Ottomani dopo una furiosa battaglia nei pressi di Lepanto.
In seguito al conflitto, nella chiesa di San Pietro a Maiella, l’intero esercito armato depose le proprie armi di fronte all’ immagine sacra per ringraziarla del dono ricevuto.

Nel lato opposto della chiesa colpisce un dipinto che raffigura Cristo vestito con una tunica Si tratta di un dipinto del crocifisso del Duomo di Lucca di epoca medievale.

La chiesa risulta dotata anche di un bel campanile che si può meglio ammirare dalla piazzetta Miraglia.
Lasciando da parte la storia di Celestino V ( la sua storia la trovate qui) vorrei soffermarmi un momento su gli antichi istituti musicali poichè questi sorsero allo scopo di dare una casa ai bambini abbandonati per miseria.
Questi poveri bambini non era infatti raro ritrovarli per strada, abbandonati a se stessi al freddo e alla fame, sopratutto dopo grandi carestie come quella del 1589.

ARTICOLO DI ANTONIO CIVETTA

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