Piedigrotta è uno dei luoghi della nostra città maggiormente permeato di storia, cultura, arte e leggende che divenne particolarmente celebre durante il periodo angioino , aragonese e sopratutto borbonico , per una festa che si teneva ogni anno in onore della Madonna dell’Idra .
Per parlarvi di questo luogo e di questa feste che per secoli è stata certamente quella più amata dai napoletani bisogna comunque necessariamente fare prima un passo indietro nel tempo.
La Festa di Piedigrotta ha infatti origini pagane antichissime che risalgono ai baccanali erotici romani destinati a propiziare la fecondità che si celebravano nella vicina Cripta Neapolitana intorno al simulacro del Dio Priapo .
N.B. La grotta di Posillipo, o Crypta Neapolitana era una rettilinea galleria romana scavata nel tufo unga circa 700 metri che univa l’attuale zona di Mergellina e Fuorigrotta . Essa fu realizzata dall’architetto Lucio Cocceio per permettere alle truppe di raggiungere Puteoli da Neapolis senza passare per la più lunga via ante – Agnanum (odierna Antignano al Vomero).
Il cunicolo fu chiamato ” cripta Neapolitana ” ed indicata come ” grotta di Cocceio ” appunto dal nome del costruttore .
La grotta , descritta da Seneca come angusta e buia, ha nel corso dei secoli subito diverse modifiche ed allargamenti ad opera sia degli aragonesi (che lasciarono diverse epigrafi ad indicare l’opera di profondo restauro) che da parte prima degli spagnoli e poi dei Borbone, fino ad arrivare alle ultime opere di consolidamento volute da Giuseppe Bonaparte a inizio XIX secolo, che dotò la galleria, storicamente buia, di un impianto di illuminazione con lampade a gas.
CURIOSITA’: Secondo una antica leggenda , la grotta pare invece sia stata costruita in una sola notte da Virgilio , il poeta latino a cui erano attribuiti grandi poteri magici , Egli vissuto in epoca medievale a Napoli , pare che operasse in città con erbe mediche di ogni tipo,grazie alle quali egli era artefice di vari incantesimi molti fatti a protezione della città, Molto amato dai napoletani egli veniva considerato da tutti come il patrono di Napoli. Probabilmente all’origine del suo mito vi fu proprio la crypta neapolitana, Si racconta infatti ancora oggi in città che secondo una diceria, il mago Virgilio , circa 40 anni prima della nascita di Cristo ,abbia evocato dal nulla un gruppo di demoni infuocati affinché potessero scavargli una grotta lunga un chilometro ai piedi di una collina. Un’apertura a mò di acquedotto che avrebbe rifornito le città e i paesi circostanti. Il lavoro si sarebbe completato in una sola notte, se non fosse passato di lì un cittadino che, gridando impaurito verso i lampi di luce e il frastuono del lavorìo, mise in fuga gli spiriti infernali che si volatilizzarono nel nulla. Questi lasciarono il lavoro quasi ultimato, poiché soltanto per altri 100 metri il tunnel sarebbe stato costruito.
Prima di continuare il nostro racconto voglio solo ricorarci per chi ne fosse interessato che alle spalle della Chiesa di Santa Maria di Piedigrotta , a circa venti metri prima dell’ ingresso della galleria Quattro Giornate, in quello che attualmente viene chiamato Parco Vergiliano a Piedigrotta, secondo antichi racconti pare che vi siano sepolte proprop le spoglie di Virgilio,
Originariamente come gia vi abbiamo accennato nella crypta Neapolitana, anticamente si svolgevano feste pagane dedicate a Priapo, dio della Fecondita’, e quelle legate al culto mariano della Madonna del serpente ( o Madonna dell’Hidria ) diffuso gia’ da tempo nelle colonie della Magna Grecia.
Petronio Arbitro, nel Satyricon, ci racconta che ai piedi della grotta, di notte, al ritmo di canti a carattere licenzioso e satirico, i cosidetti “fescennini”, si celebravano baccanali, cioè riti propiziatori a carattere orgiastico, in onore del dio Priapo. il nome dell’Idra o dell’Itra dato poi alla cappella e lla Madonna richiama invece il mitico serpente anfibio, la velenosissima Idra a 9 teste della mitologia greca, ma in realtà sarebbe una storpiatura del termine “odigitria” che significa “indicante la strada da seguire” ovvero Gesù.
Sempre lo stesso Petronio, nel suo Satyricon, ci racconta di tre giovani: Gitone, Encolpio e Ascilto, venuti a Napoli perché attratti dalla notizia che nella grotta di Pozzuoli (Piedigrotta) si svolgeva un grande spettacolo dove si esibiva l’incantevole Quartilla con le seducenti sorelle. Esse danzavano coperte dal solo bagliore delle fiaccole, in onore di Priapo, il figlio di Dioniso (dio del vino e della gioia), e Afrodite (dea della bellezza e dell’amore). Le deliziose fanciulle dopo aver danzato si concedevano agli eccitatissimi spettatori. Tutto ciò accadeva tra canti e libagioni.
Le Feste pagane erano quindi fatte di riti orgiastici e propiziatori per la fertilità (alle quali partecipavano giovani vergini ) che avvenivano proprio all’ingresso della tomba di Virgilio .
Nello svolgersi di questi riti “segreti” della fecondita’ le vergini ,designate da una sacerdotessa , venivano accompagnate in grotte sotteranee e denudate nel corso di una cerimonia ritenuta di fondamentale importanza..Distesa su una” pelle marina ” ottenuta con unione di diverse pelli di pesci del golfo , la vergine veniva posseduta da un giovane vestito a sua volta da pesce .
N.B. Questo nudo iniziatico sara’ lentissimo a morire nei riti esoterici napoletani e si trasmettera’ nei secoli fino alle ” Tarantelle Cumplicate “che si tenevano nella grotta di Piedigrotta .
Il rito richiama la leggenda della sirena Partenope ,assimilandone il corpo trovato morto su una spiaggia del golfo a un seme che, sepolto nella terra che lo accogliera’, fecondera’ i lidi partenopei.
CURIOSITA’ La tarantella è stato per secoli il ballo più caratteristico di questa festa. Il nome della danza potrebbe derivare dalla tarantola, il ragno velenoso. Nelle campagne quando qualcuno ne veniva morso, lo si faceva ballare e agitarsi fino a farlo sudare per espellere gli umori del veleno. Una seconda interpretazione fa risalire il nome alle “tarantinula” e cioè le vesti trasparenti provenienti da Taranto che usavano i danzatori nei baccanali di epoca romana.
N.B. Il culto di Priapo e’ tra i piu’ antichi riti misterici napoletani e ancora oggi anche se in forma diversa appare nella cultura partenopea ; i famosi cornicelli portafortuna presenti in ogni angolo di strada presso numerosi venditori sono in effetti niente altro che un abile metamorfosiper velare agli occhi del perbenismo cattolico il fatto che in quegli innocenti cornetti rossi si nasconde il potere talismano fallico di Priapo. ( il nome deriva da pri(h)a’pos ” colui che ha sul davanti un hapos, cioe’ un pene..
I famosi corni non sono quindi altro che la stilizzazione del fallo di Priapo, un simbolo per eccellenza della scaramanzia napoletana che spesso viene sostituito alle porte o ai balconi da cascate di peperoncini rossi , che con i loro semi piccanti hanno la funzione simbolica di allontanare le malelingue.Oggi si e’ perduto il senso della sua funzione : lo si accarezza senza sapere il perche’.Il corno , infatti, non e’ altro che la stilizzazione del fallo del Dio greco-romano Priapo, custode dei campi,protettore del malocchio e Dio della prosperita’ della casa e della pesca. Nell’immaginario napoletano e’ piu’ evidente la funzione del corno come antidoto contro il malocchio; esso e’ inteso come un ” portabene ” che esorcizza il male e la negativita’.
La chiesa cristiana che ovviamente mal tollerava queste pratiche pagane nell’area della ”Crypta Neapolitana” e della Tomba di Virgilio, nel corso dei secoli si prodigo’ molto al fine di opporsi a questi antichi rituali nel tentativo di trasformare il il culto pagano di Virgilio ( il monte prendeva il nome da Virgilio ) con quello della Vergine ma sempre inutilmente poiche’ esso era forte e persistente.
Il forte eco dei riti orgiastici e dei suoi benefici sulla fertilità , continuava e continuò ancora ad influenzare per lungo tempo giovani spose e donne infertili che si recavano in pellegrinaggio nei secoli sul luogo per chiedere la grazia della fertilita’. Il potente potere del talismno fallico di Priapo , portatore di buona sorte , continua nonostante tutto fortemente a resistere.
Per portare a buon fine il progetto ecco quindi comparire inizialmente dove era presente il piccolo tempio pagano dedicato al Dio Priapo ,una piccola cappella dedicata alla Madonna dell’Idra, di cui e’ ancora possibile ammirare un affresco della madonna odigitria ( cioe’ colei che indica la direzione ) all’ imboccatura del tunnel oramai chiuso.
Il piccolo Tempio dedicato al dio Priapo presente in quel luogo dal I sec. d.C. venne ovviamente demolito e come avvenuto per altri tempi pagani, in poco tempo, laddove vi era in passato un saccello ora era presente un effige sacra ,che per ambivalenti significati divenne comunque un luogo di venerazione e di pellegrinaggio collegato alla fertilita’ .
Ma la chiesa nonostante avesse fatto sorgere una cappella al posto di un tempio pagano , non aveva ancora debellato il culto di Priapo fortemente presente in quel luogo, Esso era ancora molto forte ,e radicato , Per chiudere la bocca alla licenziosa grotta dove , un Dio pagano che assomigliava ad un diavolo nel suo aspetto era protagonista di riti orgiastici, molto praticati dal popolo ci voleva qualcosa di speciale , La chiesa cattolica proprio non poteva accettare tutto questo. Serviva assolutamete qualcosa che fosse capace di cristianizzare il luogo.
N.B. La presenza della cappella dedicata alla Madonna non impedì i baccanali, che continuarono di nascosto nella grotta, originando la tradizione della festa propiziatoria. Tra gli altri ne parlano Boccaccio, da cui apprendiamo anche che la “Madonna de Pede rotto” in città era invocata dal popolo come testimone e garante dei giuramenti, e Petrarca venuto a Napoli per farsi esaminare dal re Roberto d’Angiò stimato come uno dei maggiori letterati dell’epoca.
Per chiudere definitivamente la licenziosa grotta serviva quindi edificare una vera e propria chiesa o meglio ancora un santuario,
La chiesa cristiana , era in quel periodo con il favore dei regnanti Angioini tesa a debellare ogni pratica rituale in onore di paganesimo, nell’area della ”Crypta Neapolitana” e della Tomba di Virgilio, tanto esposta alla persistenza di antichi culti pagani .
Il papato pensava che a tale scopo potessero essere utili edifici consacrati alla Madonna , e tale occasione fu propizia per la costruzione di una piccola chiesa nel tentativo di tener testa al culto pagano della Crypta Neapolitana che tanto resisteva ai numerosi tentativi di cristianizziazione .
Il momento fu propizio fu quando la Vergine apparve proprio in quel periodo a tre diverse persone pie e devote( una monaca, un eremita e un monaco benedettino ) a cui la Madonna chiese che venisse edificata in quel luogo una chiesa in suo nome Alla testimonianza di questi personaggi, garantita dal loro stato di religiosi, fece così seguito la fondazione del nuovo tempio teso ad affermare il culto cristiano della Madonna dell’ Idria .
Sul luogo vi fu edificato un santuario dove pian piano si sostitui’ il culto di Virgilio con quello della Vergine ed il monte muto’ nome in monte Vergine.
CURIOSITA’ : Una antica leggenda narra che la chiesa , ancora oggi presente , venne innalzata al posto della modesta cappella , solo in seguito alla richiesta della Vergine stessa che , apparve l’8 settembre del 1353 a tre diverse persone pie e devote: Maria di Durazzo, monaca in Castel dell’Ovo; il beato Pietro, eremita probabilmente in Santa Maria dell’Idria; e il monaco Benedetto, che stava attraversando la grotta per recarsi ai bagni di Pozzuoli. A tutti e tre, la Madonna chiese che venisse edificata in quel luogo una chiesa in suo nome. Durante quei lavori avvenuti presso la Grotta. per la costruzione del sacro edificio venne in quella circostanza ritrovata useguendo le indicazioni precise che la Madonna aveva dato in sogno ai tre personaggi, una statua della Madonna con Bambino. La Vergine ritrovata aveva ha un piede rotto e per questo le venne dato il nome di Madonna di piererotto.
La festa pagana dedicata al culto di Priapo , fu quindi finalmente sostituita con quella cristiana dedicata alla Vergine di Piedigrotta.
Come avete ben capito si trattava di una grande manovra di marketing e pubblicità aziendale andata a buon fine che aveva il solo scopo di cristianizzare il luogo.
Con il cristianesimo la chiesa di Piedigrotta sorta al posto di una cappella pagana, doveva nelle intenzioni della chiesa cattolica, innanzitutto cercare di eliminare e demonizzare quanto più possibile quelle feste pagane che si svolgevano nella crypta Neapolitana dedicate a Priapo, dio della Fecondita’, e se possibile cercare di sostituirle con quelle legate al culto mariano della Madonna del serpente ( o Madonna dell’Hidria ) diffuso gia’ da tempo nelle colonie della Magna Grecia.
Le Feste pagane che si svolgevano in quei luoghi erano fatte di riti orgiastici e propiziatori per la fertilità (alle quali partecipavano giovani vergini ) che avvenivano proprio all’ingresso della tomba di Virgilio (ahimè … un mago )
Nel corso dei secoli quindi finalmente i il cristianesimo riuscì a sostituìre il paganesimo e i riti propiziatori in onore di Priapo lasciarono il posto a quelli in omaggio alla Madonna di Mergellina. Essa è ’ venerata nella notte tra il 7 e l’8 settembre, data corrispondente al compleanno della stessa.
CURIOSITÀ _ Nel 1339 Giovanni Boccaccio scriveva da Napoli al suo amico Franceschino de’ Bardi, narrandogli che, amoreggiando con una fanciulla “formosa e acconcia”, a furia di sollazzarla l’aveva resa incinta, e che per uscire da questo guaio in cui si era messo poteva aiutarlo soltanto “la Madonna de Pederotta”
La chiesa di Santa Maria di Piedigrotta fu costruita, grazie al lauto e prezioso contributo contributo dei pescatori di Mergellina : da allora il legame che unisce gli uomini di mare e la Regina del Cielo è inscindibile. Si racconta anche che, nel punto dove erano in corso i lavori di scavo venne rinvenuta una statua della Madonna, la stessa che tutt’ora è posizionata sul trono sovrastante l’altare del santuario.
Secondo altre dicerie storiche sembra invece che Iniziata la costruzione, la statua della Vergini fosse apparsa miracolosamente sull’altare maggiore così come oggi si vede.
Essa è ricordata anche dal Petrarca, che dopo aver parlato della grotta, racconta: «E di poi alle falde del monte nel lido vi è un tempio della Vergine Madre, dove corrono assiduamente in gran moltitudine i marinai». .
La chiesa fu costruita proprio sulle rovine dell’antico tempio pagano dedicato al dio Priapo , e nel corso del tempo divenne una sorta di santuario e centro di pellegrinaggio di donne in cerca di marito, mogli in attesa di un bambino, uomini affetti da impotenza e madri che invocavano la protezione per i propri figli marinai. Tutti per ottenere il miracolo si rivolgevano oramai ad una Madonna che la credenza popolare credeva si aggirasse nella vicina grotta presente nell’area della ”Crypta Neapolitana’ divenuta rifugio di naviganti e marinai
L’immagine della Madonna era molto venerata anche dalle novelle spose che, per loro scelta, non varcavano la soglia della casa maritale se non si fossero recate dalla Vergine in prima uscita.
Il luogo di culto di Maria Vergine dell’Idra, cioè di quella Madonna che col piede schiaccia la testa del serpente simboleggiante il demoni divenne con il tempo sempre più un centro spirituale e meta di pellegrinaggio,. E proprio intorno Intorno a questo pellegrinaggio per rendere omaggio alla Madonna iniziò lentamente a sorgere una festosa celebrazione del culto mariano , che inizialmente era solo una festa di popolo con marinai e naviganti che devotissimi facevano pellegrinaggio nella Chiesa a rendere grazie alla loro protettrice.
Il primo impianto della chiesa risale al 1207 quando viene citata da Giovanni Boccaccio nel 1339 in una lettera scritta ad un amico mentre Francesco Petrarca ricorda nei suoi scritti che anche i forestieri di passaggio a Napoli si recavano in visita alla chiesa , da quando nel 1353 , il giorno 8 settembre , la vergine fosse apparsa a tre diverse persone .
Da allora in poi e’ nata l’abitudine di venerare la Madonna in questo giorno .
Illustri personaggi si recavano in pellegrinaggio presso la chiesa : Alfoso d’Aragona , Ferrante d’Aragona ,Maria d’Austria , Carlo di Borbone , Ferdinando IV, Papa Pio IX , Giuseppe Garibaldi , e tanti altri .
La chiesa fu distrutta dal maremoto del 1343 e sostituita così da un edificio più grande.
Nella seconda metà del 1300 l’architetto Albino ordinò la costruzione di questo edificio sacro che da allora mantiene il nome della Madonna di Piedigrotta, per benedire tutti coloro che attraversano la grotta per giungere ai Campi Flegrei o tornare da questi.
La chiesa ben presto divenne insufficiente per accogliere le folle di fedeli, al punto che le messe venivano celebrate in due altari di legno eretti al suo esterno .
Il santuario, il cui ingresso era (inizialmente) aperto verso la grotta, fulcro delle attività cultuali praticate nell’area, fu caro ai re angioini e aragonesi, che lo resero meta di cortei e parate, e, anche nei momenti di decadenza (nel 1862 venne chiuso il monastero per decreto dei Savoia), fu sempre luogo di un’intensa devozione popolare: a ciò contribuì la continua concessione di indulgenze papali, ma soprattutto la festa settembrina in nome della Madonna, che per vari secoli si celebrò annualmente il 7 e l’8 settembre con cerimonie ufficiali e un pellegrinaggio popolare. La festa iniziò con il tempo ad avere sempre di più un largo seguito popolare a tal punto da finire per diventare la festa cattolica che per secoli e’ stata la piu’ amata sia dal popolo che dalla nobiltà partenopea.
N.B. La Madonna di Piedigrotta è la stessa raffigurata nell’affresco appena fuori l’ingresso chiuso della Crypta Neapolitana, per allontanare i rimanenti demoni che scavarono la grotta per Virgilio, per distruggere ogni tipo di superstizione, per rendere cristiano un luogo pagano dove Priapo veniva festeggiato con riti orgiastici.
L’antica secolare festa divenne in città particolarmente famosa grazie ai sovrani angioini , aragonesi e borbonici che diedero alla festa un tono sfarzoso e rimponente. In questo periodo sia il re che la regina con tutta la sua corte al seguito ed i vari nobili del regno , si recavano in parata il giorno 8 settembre presso la chiesa di Piedigrotta , per rendere omaggio alla Madonna e celebrare la Natività della Vergine , Questo certamente contribuì non poco ad attirare una maggiore affluenza dei cittadini e di vari gruppi di devoti che per nove sabati di seguito arrivavano a Napoli in pellegrinaggio per chiudere miracoli o ringraziare la Madonna. In quel giorno a Fuorigrotta si pregava , si mangiava e si cantava.
Fu dalla fine del XIV sec., ad opera del regnante Carlo III di Durazzo, che la festa iniziò a rappresentare un importantissimo momento di devozione e religiosa partecipazione per le famiglie reali succedutesi a Napoli nei secoli fino all’Unità d’Italia, Essa secondo molti studiosi dell’epoca rappresentava anche un’occasione di legittimazione agli occhi dei sudditi. Roberto De Simone fa notare a tal proposito che proprio per l’intrinseco carattere baccantico e sfrenato della festa, fu buona politica da parte di tutti i governanti mostrarsi a Piedigrotta e neutralizzare con la propria presenza la violenta carica plebea che la manifestazione.comunque conservava.
La festa, con le parate militari, risale al tempo dei re angioini e seguì con gli Aragonesi, anche se le prime grandi memorabili parate reali, superbe e sfarzose, si registrano nel 1571 ad opera del vicere Giovanni d’Austria e nel 1616 ad opera della famiglia Vicereale, delle Dame e dei Cavalieri che, in pompa magna, con sontuose carrozze sfilarono, tra il giubilo del popolo ammirante, dalla Regia fino al Santuario marano.
Durante il vicereame la miracolosa immagine, dall’8 settembre (festa della natività) al 10, veniva festeggiata con numerosi canti, suoni e affluenza di truppe «fantaria e cavallaria squadrata in quella spiaggia di Chiaia» che, al passaggio del viceré, scaricavano le loro armi. I nobili giungevano tutti in carrozza e il popolo a piedi o in carri riccamente addobbati.
L’uso di impiegare le truppe militari, spettacolarmente schierate tra la folla proseguì per tutto il periodo del rviceegno spagnolo e austriaco ma fu con Carlo di Borbone che la festa di Piedigrotta raggiunse una magnificenza mai vista. Il re infatti pare che avesse promesso alla Madonna lin caso di vittoria contro l’armata di Maria Teresa d’Austria, a Velletri (1744) che la festa in suo onore sarebbe stata la più importante tra quelle che si celebravano a Napoli.
Carlo vinse, sciolse il voto e conferì alla manifestazione una grandiosità senza precedenti. Le cronache ci dicono che si recava a Piedigrotta con la migliore carrozza della sua scuderia, tirata da otto cavalli e circondata da dignitari di corte e alabardieri, tutti sulle loro superbe cavalcature.Lungo il percorso, da piazza Vittoria fino alla chiesa, erano schierati corpi di fanteria e cavalleria; folle di spettatori, dai balconi, lanciavano coriandoli e stelle filanti sul corteo reale, divertendosi nel-l’osservare il mare di popolo che premeva, ai lati delle strade, nel tentativo di raggiungere il sacro luogo.
La festa vide raggiungere il suo apice quindi sopratutto con l’avvento di Carlo di Borbone e la conseguente promozione di Napoli al rango di capitale. I reali Borbonici fecero della ‘parata di Piedigrotta ‘, un momento di festa ideale per far dimenticare ai napoletani tutti i guai e la poverta’. L’antica festa secolare divvenne di conseguenza la più amata dal popolo e per anni da quel periodo , venne caratterizzata da processioni , sfilate di carri allegorici addobbati con frasche e fiori., canzoni , luminarie e fuochi d’artificio a cui partecipava tutto il popolo.
CURIOSITA’: Durante tutto il Regno di Ferdinando I la festa conservò integra la sua magnificenza, ma con il figlio Francesco II la bella tradizione rischiò di morire. Il re aveva ben altro da pensare. Ci fu però un popolano, un certo Luigi Capuozzo, che un po’ a spese sue, un po’ con il contributo della camorra, tentò di rivitalizzare la festa con una cavalcata, detta “del Moro”, fatta da giornalai, la categoria alla quale apparteneva.
La festa di Piedigrotta raggiunto in questo periodo il suo acme di popolarità e magnificenza , acquisì da questo momento in poi una risonanza internazionale e ad essa incominciarono a partecipare illustri personalità straniere in visita alla città e semplici ed umili persone del popolo. In questo luogo la notte tra il 7 e l’8 settembre ( giorno della nascita della Madre di dio . Nessuno voleva più mancare all’appuntamento in segno di venerazione alla Madonna.
I balconi, le terrazze, straripavano e parevano collassare per la troppa confusione che pure li si produceva, spettatori entusiasti che dall’alto lanciavano stelle filanti e coriandoli. La rutilante gazzarra, i clamori e l’esuberanza si diffondevano in ogni angolo di città e finita la funzione religiosa e dopo che la Corte era rientrata a palazzo e le truppe ai loro quartieri, il popolo sciamava nelle locande e taverne a festeggiar fino al giorno dopo.
CURIOSITA’: Della festa era famosa la sfilata dei carri allegorici che salutavano i Reali a largo di Palazzo (attuale Piazza Plebiscito). Gli storici e la tradizione popolare ricordano ancora a tal proposito la sfilata con parate del 8 settembre del 1859 ,( l’ultima parata dei Borbone )con 47 battaglioni, 33 squadre d’assalto e 64 pezzi d’artiglieria alle quali seguirono le cannonate dai cinque castelli cittadini.
Una vivida descrizione della parata reale di Ferdinando II di Borbone ci viene fatta in un suo scritto da Salvatore Maturanzo .
Egli nel suo libro Tradizioni di Napoli così descrive la parata ;
Alle nove del mattino, le truppe venivano disposte in triplice cordone, lungo il percorso dalla reggia al Santuario. Tra l’ansiosa aspettazione ed il fermento generale del popolo, alle undici precise echeggiava, in città, il tradizionale colpo di cannone. Era l’annuncio dell’uscita del corteo dal Palazzo Reale. Ferdinando II, soprannominato dal popolo il Re bombardatore, prendeva posto insieme alla Regina in una berlina di gala tutta ornata di cristalli e decorazioni d’oro. Essa era bella e meravigliosa come il cocchio d’una fata; splendida e luccicante come la vetrina di un rinomato gioielliere. Nelle vetture del seguito, non meno sfarzose e splendenti, si trovavano i membri della famiglia Reale e i Dignitari di Corte in grande uniforme. (…) Mentre la parata procedeva tra l’ammirazione e l’esultanza del popolo, echeggiava il rimbombo delle artiglierie dei Castelli: i forti di Castelnuovo e di S. Elmo, e le salve dei cannoni delle navi regie sparse nella rada di S. Lucia. Nella piazza antr-stante il Santuario, la fantasmagoria dei colori delle divise militari, degli sgargianti picchetti dei cavalleggeri, e lo sfolgorio degli ori e delle armi, raggiungeva la sua apoteosi visiva”
Fu comunque in un momento non meglio precisato tra il 1554 e il 1744 che i reali presero l’abitudine di far accompagnare la festa da una parata militare: all’ultima, nel 1860, si racconta abbia partecipato anche Giuseppe Garibaldi, che sembra si adoperò molto per far rivivere i fasti della parata , ma una volta giunto davanti alla chiesa, rischiò di brutto perché non si era tolto il cappello davanti alla Madonna che usciva in processione.
Con il crescere del tono sfarzoso dei corei reali e della festa crebbe quindi l’affluenza dei cittadini, sempre più attirati dall’imponenza della sfilata. Con il tempo aumentò notevolmente anche l’attrattiva di un’altra sfilata : quella di semplici carri allegorici di cartapesta addobbati con frasche e fiori che sfilando tra la folla in tripudio , esprimevano in quei giorni di festa ironia e fantasia,
Su alcuni di questi carri taluni incominciarono lentamente anche a trasportare trasportare dei strumenti musicali con i quali improvvisavano spesso delle melodie . Preghiere e canti si incominciarono quindi a fondere in una particolare miscela che univa fede e arte, e rendeva con la loro unione la festa ancora più affascinante .
N.B. Con il passare del tempo la festa ha incominciato come vedete anche ad includere carri allegorici preceduti da bande musicali , arrivando a durare anche una intera settimana . Gli antichi “baccanali” (così venivano chiamate tali feste orgiastiche, molto in uso nell’antica Grecia’), col tempo, quindi si trasformarono da cerimonie pagane in feste cristiane.
La Piedigrotta conservò comunque anche se in maniera nascosta ancora i caratteri idolatri dei baccanali e i carri allegorici, che fino a non molto tempo fa vi arrivavano, altro non erano che i carri addobbati usati dal popolo per recarsi ad assistere alle feste dionisiache.Al sacro culto della Madonna di Piedigrotta si associò quindi nel tempo ed in maniera sempre più stretto anche un’omonima festa caratterizzata da processioni , carri allegorici , sagra di canzoni , luminarie e fuochi d’artificio a cui partecipava tutto il popolo.: nacque poche parole in questo modo in la Piedigrotta napoletana.
N.B. Imponenti erano le parate militari che portavano in corteo i regnanti e i potenti dell’epoca per un saluto ai piedi dell’effige sacra: da ricordare, per il loro notevole valore simbolico, le visite di Garibaldi, del Papa Pio IX e del futuro Pontefice Giovanni XXIII
La festa andò quindi modificando alcuni dei suoi connotati: i nobili vi partecipavano in misura minore, si accontentavano di vedere dai balconi e dalle ville di Chiaia lo spettacolo della marea di popolo al seguito dei carri, che si erano trasformati in piattaforme mobili sulle quali troneggiavano gigantesche figure allegoriche. I carri, giunti nei pressi della grotta, sostavano davanti a una giuria per farsi giudicare e su di essi i cantanti presentavano le più belle canzoni dell’anno.
Nell’anno 1835 venne addirittura prima pensato poi creato un vero festival canoro da rioetere ogni anno, durante il quale venivano presentati numerosi brani : le migliori 6 canzoni venivano poi premiate da un’apposita giuria. L’interesse della gente piu che per venerare la Madonna si spostò quasi del tutto verso quella gara canora svolta tra il 7 e 8 settembre. In quella notte. il popolo giudicava le canzoni cantate sui carri e replicate nella storica grotta. Il suo giudizio era sovrano giudizio. Il motivo vincente si aggiudicava il titolo di Figlia della Madonna.
La festa di Piedigrotta seguì questo canovaccio per tutta la prima metà dell’ottocento e sopravvisse anche all’Unità di Italia. Nel 1894 fu introdotta una variante significativa: la premiazione dei carri con musica . La qualità delle canzoni, dell’addobbo e dell’abbigliamento dei suonatori erano i parametri da valutare. La musica aveva preso definitivamente il sopravvento facendo di Piedigrotta la festa della canzone napoletana .
Nacque così il Festival della canzone napoletana. Le dolci melodie si diffusero subito tra la gente, che ritrovava in esse i loro intimi sentimenti, le loro autentiche passioni. Venivano imparate all’istante, cantate, ballate ed esportate; ancorché la radio e la televisione non vi fossero ancora, esse erano destinate a resistere nel tempo, conservando immutata la forza lirica delle parole e la struggente musicalità del motivo.
In una di quelle sere del 1835 una canzone scritta da Raffaeke Sacco e musicata da Donizetti in casa della pricipessa Trabia fu presentata su uno di quei carri. Si trattava della famosa canzone “Te voglio bene assai.”una dolce melodia destinata a rimanere una delle grandi gemme del repertorio napoletano che fu capace di commuovere anche Luigi Settembrini.Egli era allora rinchiuso, per crimini politici, nelle carceri di Santa Maria Apparente, la sentì cantare da una deliziosa voce di donna, si rivolse al secondino Luigi Liguoro, un brav’uomo, che s’intratteneva spesso con lui, e gli do-mandò: «Chi è che canta così bene?» «È mia figlia», rispose la guardia.
«E che canzone canta?» «È una nuova canzone: Te voglio bene assai. Se vi piace dirò di cantarla spesso». Quella canzone riuscì ad alleviare le pene dell’illustre carcerato.N.B. I discendenti di Raffaele Sacco ancora oggi hanno una negozio di ottica nei pressi di piazza del Gesù.
Grazie a questo festival della canzone di Piedigrotta, nel corso degli anni esplosero in questo luogo , grandi talenti e grandi canzoni, alcune di queste entrate poi “a gamba tesa” nella più profonda tradizione musicale partenopea. In particolare durante la Piedigrotta canora, nata nel 1835, ci fu un’esplosione di talenti che si espressero in dialetto e descrissero e cantarono in musica i sentimenti e i problemi della città. Proprio attraverso quelle canzoni, infatti i principali artisti di Napoli provavano a raccontare il malessere ed i disagi del popolo con ironia e sarcasmo.Nel 1835 Piedigrotta divento’una festa dedicata alla musica e da qui le canzoni napoletane incominciarono a farsi conoscere nel mondo.
La festa di Piedigrotta , a partire dal 1835 ,divento’quindi una festa dedicata alla musica e da qui le canzoni napoletane incominciarono a farsi conoscere nel mondo.
Essa divenne il simbolo per eccellenza della canzone napoletana , nonche’ l’evento deputato alla presentazione annuale delle nuove canzoni con una grande partecipazione massiva di cantanti , musicisti ed editori.
Ricordiamo che la Festa di Piedigrotta diede vita ad alcuni dei classici più conosciuti della musica napoletana quali “Io te voglio bbene assaje” di Raffaele Sacco; “E spingole francese”, “Nannì ” – “Marzo” – “Carulì”- ” Era di Maggio”- “Marechiaro”- “Luna nova”-” Lariuli” di Salvatore Di Giacomo, “Scètate”- “Fenesta vascia”- “michelamma” – “Mamma mia che vò sape'”di Ferdinando Russo, “funiculì funiculà” di Peppino Turco, ‘O marenariello” d iOttaviano e Salvatore Gambardella, Ndringhete ndrà” di Pasquale Cinquegrana e Giuseppe De Gregorio e ‘O sole mio” di Giovanni Capurro, che resterà la regina delle canzoni napoletane.
Tra i personaggi illustri residenti nel luogo e legati alla festa , anche per essere stato autore di celebri melodie , va ricordato Eduardo Nicolardi, ma anche il popolare Armando Gill, autore della notissima canzone. ” come pioveva” che fu cantata in quel periodo in tutta Italia.
Egli era capace d’intrattenere e divertire il pubblico per un’ora, e anche più, con le sue indimenticabili «improvvisate ” e per tale motivo nel 1943 fu il presentatore ufficilale della celebre festa di Piedigrotta e sempre interpretando un personaggio farina del suo sacco: un viveur borghese dai modi eleganti, vestito rigorosamente in frac o al massimo in marsina, riconoscibile dal papillon bianco,il ciuffo di capelli , ’immancabile gardenia appuntata all’occhiello ed un caratteristico monocolo .
Riconosciuto dalla critica in maniera unamina come l’antesiniano dei cantautori italiani, egli fu autore di innumerevoli inconfondibili lavori, in napoletano e in lingua italiana , firmandosia le parole che la musica suoi brani, che lui personalmente cantava ed era solito presentare al pubblico con l’adagio «… versi di Armando, musica di Gill, canta Armando Gill».
Il festival della canzoni di Piedigrotta riscontrò un successo enorme e ben presto la festa di Piedigrotta divenne nota nel mondo come manifestazione canora più che religiosa.
CURIOSITA’: Circa la sua notorietà internazionale, vale la pena riportare il testo originale di un articolo del settimanale inglese The graphic. Esso fu pubblicato sul numero del 13 settembre 1902. E diceva già tanto della valenza delle canzoni di Piedigrotta.
“Ogni estate a Napoli, in località Piedigrotta, si svolge una gara di canzoni con accompagnamento di chitarra e mandolino. Vengono premiate quelle canzoni che il pubblico giudica migliori.
Queste canzoni rappresentano il vero gusto italiano e, superato questo esame, vengono accolte con favore nei migliori ambienti della società.
La “canzone (vincitrice) di Piedigrotta” diventa famosa anche all’estero. E pure a Londra riscuote l’interesse di diversi appassionati di musica.
La scena qui rappresentata mostra una gara tenuta in un cortile. Indossando i vestiti tipici della festa, la gente sorseggia vino e ascolta le canzoni.”
N.B. Possiamo oggi affermare con certezza che la Festa di Piedigrotta, consacrò l’Ottocento come il secolo d’oro della canzone napoletana, difatti proprio in quegli anni, grazie allo sviluppo sempre più marcato dell’editoria popolare, nacque l’industria musicale. Pare che i primi editori delle canzoni piedigrottesche furono modesti tipografi che stampavano le canzoni più famose e amate dal pubblico, su piccoli fogli di fortuna rivenduti poi a pochi spiccioli dai venditori girovaghi. Questi fogli volanti su cui venivano stampati i versi e le musiche delle canzoni erano denominati ” copielle”e si narra che i giornalai o i vari ambulanti che li vendevano, ne conoscessero a memoria gia tutte le canzoni sopra trascritte .Bastava fischiettarle che loro subito identificava il brano e consegnava alla gente la copiella corrispondente. All’autore dei brani invece venivano regalate qualche centinaio di copie e qualche carlino .
Nella Napoli di fine ottocento si viveva insomma sopratutto di canzoni e poesie: musicisti, letterati ed autori lavoravano febbrilmente mentre il popolo cantava e diffondeva i nuovi brani grazie proprio alle copielle. Tanti versi e musiche circolavano continuamente per la città spesso senza il consenso dell’ autore ed il popolo era l’unico giudice capace di decretare con il suo gradimento il successo o il fiasco di un nuovo motivo musicale.
In questo periodo e sopratutto negli ultimi due decenno dell’ottocento la canzone napoletana raggiunse così una incredibile diffusione grazie anche alla concomitanza di fattori sociali , culturali ed economici.
In quegli anni la città viveva ancora il trauma della perdita dello status di capitale, e dei privilegi collegati. La migrazione forzata delle sue principali industrie, orfane delle commesse borboniche, ne aveva depresso l’economia. Dal canto suo, il radicale cambiamento urbanistico seguito al colera del 1884 aveva alimentato un diffuso sentimento nostalgico.
Nello stesso periodo, però, iniziava a farsi sentire il processo di modernizzazione che aveva già investito l’intera Europa. Leggi speciali e flussi di capitali legati al cosiddetto Risanamento determinarono un certo fervore commerciale e intellettuale. Non mancavano innovativi progetti imprenditoriali. Né le suggestioni di chi sognava di sentirsi parte attiva di una città moderna.
Insomma, Napoli si ritrovava sospesa tra rimpianti del passato e voglia di futuro.
In questo contesto, autori ed editori musicali napoletani riuscirono in un’originale operazione. Da un lato, recuperarono materiali, strumenti e forme espressive della tradizione ricollegandosi abilmente a quel passato oggetto di tante nostalgie. Dall’altro, adottarono moderne tecniche industriali che allargarono l’audience ben oltre i salotti borghesi. Le vaste tirature a basso costo consentirono la distribuzione di massa delle canzoni,
Il risultato fu una straordinaria diffusione di brani basati su un mix di vecchio e nuovo. Canzoni che raccontavano Napoli come “gaia, ridanciana, pittoresca”. Una rappresentazione della città che rassicurava i nostalgici e piaceva alle classi emergenti. E che si rivelò, quindi, perfetta in termini commerciali. Detta in altri termini, la canzone napoletana era diventata un prodotto industriale, in cui si identificavano tutti e come abbiamoappena appurato l’influenza delle crescenti risorse a disposizione dell’editoria musicale partenopea fecero in modo che a beneficiarne innanzitutto fossero i concorsi di nuove canzoni, tradizionalmente programmati nella lunga serata tra il 6 e il 7 settembre.
Ancora nuovi grandi trionfi canori si ebbero infatti nell’epoca umbertina e nei primi anni del Regno di Vittorio Emanuele; in quel clima sereno della piccola Italia di quel tempo Napoli seppeinfatti esprimere canzoni che continuano a correre per il mondo, e che ancora oggi suonano gli organetti di Londra e di Parigi.
Vale la pena ricordare le più note: I te vurria vasà di Vincenzo Russo e di Edoardo Di Capua; Torna a Surriento di Giovan Battista ed Ernesto De Curtis; ‘A Vucchella di Gabriele D’Annunzio e F. Paolo Tosti; Uoc-chi c’arraggiunate di Angelo Falcone e Rodolfo Falvo; Pusilleco addiruso di Ernesto Murolo e Salvatore Gammardella; Comme facette mam-meta di Giuseppe Capaldo e Salvatore Gambardella; Core ‘ngrato di Riccardo Cordiferro e Salvatore Cardillo, Nini tirabusciò di Aniello Ca-lifano e Salvatore Gambardella; Maggio sì tu e Io,’ na chitarra e ‘ a luna, Santa Lucia luntana e Canzona appassiunata di E. A. Mario; Guappa-ria di Libero Bovio e Rodolfo Falvo; ‘O surdato ‘nnammurato di Aniel-Io Califano e Ernesto Cannio; Tiempe belle di Aniello Califano e Vincenzo Valente; O zampugnaro ‘nnammurato di Armando Gill; Reginel-la e Silenzio cantatore di Libero Bovio e Gaetano Lama; Mandulinata a Napule di Ernesto Murolo e Ernesto Tagliaferri; Lacreme napulitane di libero Bovio e Vincenzo d’Annibale; Dicitancello vuje di Enzo Fusco e Rodolfo Falvo; Torna di Pacifico Vento e Nicola Valente; ‘Na sera e maggio di Gigi Pisano e Giuseppe Cioffi.Inaugurarono gli anni ’50 Anema e core e Me so”mbriacato ‘e sole di Tito Manlio e Salve d’Esposito; Luna rossa di Vincenzo De Crescenzo e Antonio Vian; ‘Nu quarto ‘e luna di Tito Manlio e Nino Genovese;Scapricciatiello di Pacifico Vento e Giuseppe Fanciulli; Serenatella sciuè sciuè di Giuseppe Marotta e Carlo Concina; Tuppe tuppe marescia di Ettore De Mura, Aracri e Marcello Gigante.
N.B. La festa di Piedigrotta è stata per secoli una delle ricorrenze religiose più popolari di Napoli, e non solo: iancora oggi nfatti viene celebrata anche in America grazie alla nutrita comunità di immigrati partenopei lì presente.
I carri della tradizionale sfilata iniziarono ad essere addobbati per pubblicizzare le canzoni . Persero così edicole sacre e motivi religiosi. Il loro percorso si allontanò dalla chiesa della Madonna di Piedigrotta e iniziò a toccare i luoghi della “città nuova”. In primis, il Rettifilo ma anche via Toledo e piazza Plebiscito. Una sosta obbligatoria era il caffè Gambrinus dove si susseguivano le esibizioni. Le principali ditte napoletane cominciarono a sponsorizzare l’evento. Erano consapevoli che, attraverso le canzoni, potevano raggiungere nuovi clienti.
Insomma, la canzone napoletana si era fatta industria e aveva monopolizzato la festa di Piedigrotta. Andrà avanti così per diversi decenni. Poi arriveranno la prima e, soprattutto, la seconda guerra mondiale. E, poi, ancora i Festival di Napoli con le telecamere della Rai. Il destino della festa di Piedigrotta era, irrimediabilmente e musicalmente, segnato.
Negli anni 60 del 900 la festa di Piedifrotta comincio’ un lento ed inesorabile declino travolta dalla incuria delle autorita’.
L’atmosfera che regnava intorno alla festa era bellissima. Pare che fin dalle prime luci del mattino del 7 settembre l’intero quartiere venisse tutto addobbato a festa. Palazzi, cortili, strade e piazze adornati con fiori e festoni. Si narra che durante tutto il giorno sfilassero per le strade piccoli carri musicali dotati di vere e proprie orchestrine munite di mandolini e chitarre. A seguito di ogni carro, una folta schiera di scugnizzi erano addetti a suonare ‘a trummettella, tipico strumento simbolo della festa di piedigrotta, a forma di cono, interamente fatto di latta grossolanamente dipinto, in grado di emettere una sola stridula nota. Di queste trummettelle, che diventavano l’ornamento di prammatica d’ogni labbro partenopeo, se ne fabbricavano d’ogni dimensione: da quelle lunghe un palmo per i bimbi a quelle a bocca di cannone lunghe due metri (‘o trummettone) per il funzionamento delle quali occorrevano polmoni d’acciaio, e non meno di due serventi per reggerle. La rumorosa sfilata aveva lo scopo di annunciare alla popolazione l’arrivo del grande concerto notturno. Non mancavano strumenti tradizionali, come putipù, triccheballacche, castagnette e i cosiddetti scucciamienti, che servivano a festeggiare rumorosamente. A corollario di questo strumento, che faceva da primo assoluto, altri aggeggi rumoristici venivano coalizzati. Enormi tamburi napoletani, sui quali ragazze del popolo picchiavano con la destra alternativamente prima le dita poi il palmo con un largo gesto di voluttuosa carezza, le tammorre.
CURIOSITA’: Tra i vari strumenti musicali che all’epoca venivano usati alcuni erano davvero curiosi o quantomeno molto strani e inusuali . Tra questi troviamo interessante ricordarvi :
Il Zerri-zerre (specie di banderuole di latta che a farle girare sul manico emettevano un “zzzzzzz” di vespa inferocita). Vuoti di stagnola adoperati come grancasse. Concertini di cosiddetta “musica giapponese”, composti dei seguenti stravaganti strumenti inventati dalla fantasia popolare e che nessuna parentela, nemmeno la più remota, avevano con strumenti e musica dell’Asia Orientale: o triccaballacche ( composto di tre martelletti di legno, di cui quello al centro fissato alla base, gli altri due movibili per battergli contro); ‘a tofa (grossa conchiglia marina; a soffiarvi dentro emette un cupo e vellutato suono); ‘o scetavajasse: due striscioline di legno con su infisse rotelline da tamburelli, l’una fa da violino, l’altra da archetto, con il loro strofinamento producono un rumore pari a quello che fa una mano nel rovistare un cassetto di ferraglie); a caccavella (pignatta di terracotta ricoperta di pelle di tamburo, con una cannuccia conficcata al centro che, a lustrarla dall’alto in basso con una pezzuola umida, produce una rimbrottosa nota di basso grave); ‘o putipù (identico armeggio su pignatielli, pignatte più piccole, la nota è più acuta e meno robu-sta); o pettene (un normale pettine rado, rivestito di carta velina, a soffiarvi su facendolo slittare tra le labbra imita il suono della fisarmonica a fiato); ‘e sunagliere (autentiche sonagliere prese a prestito dai finimenti a festa dei cavalli); e infine l’imitazione vocale ritmata del ronzio del moscone: “SSSS-SSSS-SSSS”
Non mancavano naturalmente le vere e proprie orchestrine e i concertini di mandolini e chitarre. Ma la maggior parte di questi complessi prestava servizio sui carri stessi.
Con gli anni la manifestazione assunse toni sempre più scenografici e carnascialeschi. In città tutti si adoperavano per ’inizio dei festeggiamenti . Alacremente ognuno lavorava per addobbare tutta quanta la città e ognuno ci metteva il suo: la signora al primo piano abbelliva di fiori e festoni il suo balconcino e così le altre dei piani superiori, i negozianti esponevano la loro merce in speciali allestimenti, scenografiche luminarie si approntano nelle vie più grandi, ma ogni stradina e vicariello non mancava di vestire il suo abito di gala.
Arrivava la Festa delle feste!!!
L’inizio della festa era sancito dall’accensione delle luminarie per le strade. Balconi e atri di interi palazzi erano addobbati a festa. Nel dedalo di vicoli neri appena schiariti dal sole di fine estate, smorfiosi e ilari, gruppi di monelli correvano facendo risuonare assordanti trombette di stagnola. Sporchi e cenciosi, sbucano dai vasci a ricordare a tutti l’imminente arrivo della Piedigrotta, Nelle strade, le vetrine dei librai e i chioschi dei giornalai pubblicizzavano con enfasi le novità canore lanciate per quell’anno dalle case editrici. I cartelloni annunciano a grossi titolile soubrette e i divi della canzone che si esibiranno per le celebrazioni della Madonna. I teatri deputati ad ospitare la Piedigrotta canora e spettacolare lavorano tutti a strabilianti messe in scena.
Non si parlava altro che di Piererotta per la strada tra la gente, e l’euforia generale la vedevi nel febbrile fervore dei preparativi.
Nei paesi, nelle campagne circostanti, nelle provincie più lontane pure ci si organizzava, e le famiglie, messo già da parte l’abito buono da indossare alla festa e un po’ di danaro da spendere in gozzoviglie e divertimenti non vedevano l’ora che arrivasse il fatidico momento. Francesco Mastriani, noto scrittore partenopeo, da accorto osservatore del popolo e dei suoi costumi, a spiega che “vi sono giorni di feste per i quali il Napolitano dura con piacere un anno intero di fatiche: l’immagine dei sollazzi a quali si abbandonari in que giorni gli fa spesso dimenticare le asprezze di una vita poveri”. Ecco spiegato il proverbiale entusiasmo e allegria che in quei gioni si sprigionano da ogni poro della città, che somiglia a un vulcano in eruzione dopo una quiescenza durata troppi anni.
La festa, intendiamoci, era una festa religiosa. Il 6, 7 e 8 settembre erano i giorni che officiano la Madonna di Piedigrotta. Eppure più che alla celebrazione liturgica e all’aspetto squisitamente spirituale, i napoletani pensavano molto a rifornirsi di putipù e triccabballa per fare baldoria nelle vie, si preparava l’abito da indossare, rustico e certameni kitsch per il campagnolo, e alla moda del momento per le dame dell’alta borghesia .
CURIOSITA’: Una vecchia filastrocca ci fa capire quanto fosse importante la festa di Piedigrotta: “Portaménce marito mio, portamènce a Pederotta, e se ‘nce resta cchiù denaro, nce ne jammo pure a San Gennaro”.
Si organizzava con cura particolare anche per la “pappatoria”: c’era chi portava con se ruoti di “mulignane” e chi paste al forno da consumare all’aria aperta seduti sullerba della Villa Reale, per l’occasione offerta a tutti come luogo di bivacco e sollazzi. Oppure finiva per andare a mangiare la zuppa di cozze e ad ubriacarsi di vino nelle chiassose locande di Santa Lucia e Mergellina, straripanti di gente vogliosa di festa, dove già si intonano le canzoni più belle della stagione, quelle che sarebbero poi state suonate dai pianini ambulanti tra le stradine umide del centro antico e dalle orchestrine nei cafè chantant.
Elemento fondamentale erano comunque sempre più i carri allegorici che ritraevano personaggi della storia e della tradizione napoletana (come Masaniello, Pulcinella, San Gennaro). Sui carri solitamente c’erano delle vere e proprieorchestrine con mandolini e chitarre . Era inoltre diffusa la pratica dei maritaggi: in questa circostanza 20 delle fanciulle di umili origini, le zite, erano sorteggiate per sfilare sui carri fino al Palazzo Reale, dove ricevevano una dote dal sovrano per potersi “maritare”.
N.B.Momenti tipici della festa a cui partecipava tutto il popolo, erano la sfilata di vestiti di cartapesta e i fuochi d’artificio sul mare.
La festa di Piedigrotta era insomma la festa del popolo Il frastuono infernale di una città intera che si riversava nelle strade, in un’orgia di chiasso tumultuoso, marcato dal suono degli scetavaiasse, dei putipù, del tricchebballacche, della tofa, delle trombette, delle nacchere, tamburelli, mandolini e chitarre.
Era lo sfilare di carrozze, carrozzelle, e carrette di varia foggia ornate di frasche e rampicanti, sciaraballi che si muovevano tra balconi e finestre illuminati e decorati da giorni ,e vivacemente gremiti di popolo che dall’alto prendeva parte alla festa.
N.B .E’ stato Carlo I di Borbone a volere luminarie e addobbi sui balconi in occasione della festa.
Era una festa ilare e spensierata come poche, dove una marea di persone si muoveva disordinata tra via Toledo, Santa Lucia, la Riviera di Chiaia e Mergellina.
Era la festa dove gente di ogni età ed estrazione, alcuni scalzi, altri imbellettati, ma tutti pervasi dal buonumore, festeggiavano impazziti nel vortice di una sconfinata frenesia, con i volti caratterizzati dalle risa, dal gaudio e dall’esuberanza .
Era la festa dove fiumane di gente da tutti i quartieri si riversava su Mergellina, dove erano presenti bancarelle e venditori di torroni, fichi d’india, cocomeri, maruzze e coriandoli, trombette e castagnole, lingue di Menelik e mille altre cianfrusaglie .
Piedigrotta era la gioia degli scugnizzi che nel vascio dove abutavano e mai avrebbero lasciato, lavorano in quei giorni febbrilmente per preparare la parure per andare alla festa. Chi prepara gli scetavaiasse, chi pensa alla reboante caccavella, chi ai patipù chi ai triccaballacche, chi agli immancabili elmi di cartone e carta colorata, alla bandiera ai lumi, insomma a tutta quella congerie di oggetti e strumenti necessari per mettersi ‘a coppa di fronte agli altri ragazzi del quartiere.
La sera della festa si elegge un condottiero che, con aria austera comanda: Jammo neh, apparate ‘o passo Ma mettiteve a ffelara, Tiene bona sta bannera Sono forte te-te-te! E partono per ritornare all’alba stanchi, assonnati, ma carichi di uva, fichi d’India, castagne e immagini delle madonna
Piedigtotta era la festa dei spartiti , dei testi e delle canzoni,dell approfondimento sui cantanti, i poeti e parolieri, ed i compositori.
Era la festa dove erano presenti luminarie in ogni dove, e meravigliosi spettacolo di fuochi a mare,ma sopratutto delle straordinarie parate dei carri allegorici.
N,B, Questa, usanza derivava direttamente dai carri rurali del periodo pagano che pure venivano addobbati e poi sfilavano per la festa. Erano i comitati di quartiere ad occuparsi del loro allestimento e dell’organizzazione delle cavalcate ed erano previsti premi per i carri più belli e le migliori cavalcate a cui partecipavano persone in costume.
Il De Angelis ci fornisce con verace familiarità questa descrizione dei momenti più pittoreschi del godimento popolare:
Agli aspetti deliranti del gazzarroso e allucinante spettacolo, s’aggiungeva quello non meno dionisiaco della sviluppata tendenza dei partecipanti alla proverbiale gozzoviglia. Ristoranti, trattorie, pizzerie, bettole, rigurgitavano di folla in crapula. Tonnellate di pesce per le zuppe, i fritti, i lessi; cataste di ruoti di melanzane alla parmigiana; montagne di peperoni gialli e rossi imbottiti (cibi di rito, questi). Annaffiati da eserciti di bottiglie di Capri, Falerno, Posillipo, Gragnano, Aspretto bianco, birra, acque gassose
Il popolino che sostava all’aperto era allettato dalle voci dei venditori ambulanti. Quelli dei polipi:”Purpetielle verace!’; delle conchiglie: “*O maruzzaro, marozzelle, marozzelle!'”; delle cozze: “‘E cozzeche e Tarante”; dei lupini: “Salatielle e lupine!”; dei semi di zucca: “Semmente “o spasso!'”; dei piedi di porco: ” O pere e puorche, o pere e puorche!”; delle pizze: “‘E tenghe caure e chiene ‘alice “o pezzaro!’; delle castagne a forno: “‘E castagne d’ O prevete!”; dei fichi d’India:”>Magnate! ‘E chisti tiempe! Tengo e nanasse E pe’ chi fa’ ‘ammore, tengo ‘e cunfiette!
E da innumerevoli altri venditori di leccornie: dolci-mi, torrone, mandorle dolci, zucchero filato(* e franfellicche! ‘e franfellicche!”), gelati (“‘ a surbetta” ‘a surbetta!), acque sulfuree (“acqua zuffregna!) .
I festeggiamenti più vivaci erano riservati ai cantanti che dai carri, avvalendosi dell’accompagnamento di queste chiassose orchestrine e di coreografiche “reginette del mare” (le miss locali dell’epoca), eseguivano le nuove canzoni composte per l’occasione. La folla manifestava con entusiasmo le sue preferenze premiando le canzoni e i carri giudicati più belli.
Anche l’articolo di Roberto Cajafa che apre il supplemento allegato alla rivista “Napoli Eden” del settembre 1899 tratteggia, in tutta la sua popolare euforia, l’eccitante atmosfera dell’evento settembrino:
Vino, poesia, amore; i tre elementi bohémiens che offre Piedigrotta nella sua notte di oblio; i tre elementi che danno il diritto di gioire nella pazzia della vita. Che cosa importa se questa festa, tanto artistica ed originale, abbia avuto o no origine dalla leggenda e che, attraverso l’evoluzione di molti secoli, sia giunta a noi trasformata com’è? Essa niente ha perduto dell’antico fascino ed anzi ne va acquistando ogni anno di più (…). E la marea delle canzoni sale, sale e si dilaga; il chiasso aumenta ed il vino, l’orribile vino che in quella notte ha il massimo smercio, resta… tra i ricordi deliziosi della festa. (…) è il leitmotif dell’ebrezza di quella notte (…)
Il chiasso, nella sua forma ufficiale, libero e lieto, gavazza dall’estremo di Fuorigrotta alla piazza dei Martiri, diffondendosi per le arterie di Napoli in una follia meno acuta, ma non meno rumorosa. (…)
Piedigrotta diventa un saturnale dei tempi moderni (…). Fa parte delle cose irresistibili, tanto che in quella notte, anche ignorando il calendario, una certa forza, (…) spinge a scendere nella via, a mescolarsi nella folla, a contribuire al chiasso, non importa con qual mezzo, anche il più pigro dei napoletani. E tutti vogliono sentire le canzoni nuove; tutti si interessano di codesta produzione febbrile di canzonette; buone o cattive, che determina la nota saliente e caratteristica della festa.
Quello della Festa di Piedigrotta era insomma un grande evento spettacolare, tra antropologia, folklore e teatro. Era anche fucina per artisti, veicolo per la diffusione delle canzoni che di lì a poco avrebbero girato in tutta la nazione, nelle sale da caffè concerto, e in quelle di varietà.
N-B. Durante il Ventennio il governo fascista provò a consegnare all’opera Dopolavoro l’organizzazione della festa. Si provò a ostruire l’effervescenza della manifestazione popolare, arginando gli eccessi e ridimensionando l’avvenimento. Sono però gli stessi anni in cui numerose riviste non sanno resistere al richiamo dell’evento.
Nel1928 la rivista «Comoedia» decise di dedicare un intero numero (quello dell’agosto-settembre) alla festa di Piedigrotta: … Napoli, non sta solo difendendo una “tradizione”, ma piuttosto ha chiaro come nel vasto mondo del varietà e del caffè concerto sia proprio il magnetismo della canzone a decretare il successo. Ne è esempio la popolarità di Elvira Donnarumma e di Gennaro Pasquariello illustri interpreti della canzone napoletana che facevano impallidire quella di altri artisti,
La valorizzazione artistica della canzonetta, favorita dall’interesse che famosi letterati e musicisti mostrano in questo momento composizione melodica, l’intensa produzione di brani allegri o appassionati, la viva attenzione che i napoletani riservavano alle esibizioni canore come fonte popolare di evasione collettiva, alimentarono intorno a questo fenomeno innumerevoli iniziative di tipo commerciale.
Anche se nel corso dell’Ottocento venivano pubblicate diverse raccolte a fascicoli che contribuivano efficacemente alla diffusione internazionale della canzone napoletana, è pur vero che, alla fine del secolo scorso, la produzione e la circolazione della canzone a Napoli erano ancora prevalentemente affidate a forme di trasmissione orale. Il popolo ascoltava dalla voce dei “posteggiatori”, dalle interpretazioni degli attori dei “casotti”, dagli accordi dell’ambulante che andava in giro con il pianino, i motivi di nuova composizione, e li ripeteva, consacrando il successo di quelli che più lo colpivano. Ad alcuni gestori di “birrerie” e “caffè” venne allora l’idea di far esibire dei cantanti nelle ore di maggiore affluenza di clienti.
La festa dal 1952 , come abbiamo potuto notare fu abbinata al Festival della Canzone Napoletana che si svolse fino agli anni settanta ed ebbe grande visibilità in tutto il mondo.
Essa fu soppressaa tra contrasti e polemiche nella seconda metà del secolo scorso. La canzone napoletana era ormai preda dei festival e degli editori, e incominciava purtroppo a produrre p roba che non aveva nulla a che fare con l’antica tradizione. Sotto la spinta di forti interessi economici si era modificato non solo il gusto, ma la biologia di un intero popolo, che qui ha fatto nascere e qui ha fatto morire la sua festa, come preannunciava Raffaele Viviani:
Sta festa, ‘o ssa’ nasce e more ccà!
Chi a vỏ’ rifà nun ‘a pơ’ imità! E’o stesso popolo che ‘ a fa; e chistu popolo sta ccà; e a nisciun’atu pizzo ‘e munno ‘o può truvà.La festa riemersa dalle ceneri di un passato glorioso , fastoso e indimenticabile è poi stata stata restituita alla città nel 2007.
La Piedigrotta del nuovo secolo, rifattasi il maquillage (ma non troppo,) è infatti tornata da qualche anno a questa parte ad allietare le serate settembrine dei napoletani e non solo. Invocata da tempo dagli amanti delle tradizioni, rimpianta dai tanti che ne hanno vissuto gli anni migliori, eccola di nuovo comparire sulla scena, ovviamente radicalmente mutata dei nostri giorni, attirando le gioie, ma anche le delusioni di molti. Sì perché, come ogni festa che venga traghettata dal passato verso il presente, anche la festa di Piedigrotta ha inevitabilmente perso qualcosa di sé, di quella grandeur che l’ha da sempre connotata e di cui sopra si è voluto dare un’idea.
Lasciando da parte gli immancabili scontenti e considerando ovvia la presenza dei detrattori di ogni iniziativa, bisogna tuttavia dar merito a chi, istituzioni e cittadini, ha lavorato perché questa bellissima festa tornasse un appuntamento per la città. Molti sforzi sono stati fatti, tra l’altro, perché il carattere originale dell’antica festa rimanesse fedele a se stesso, ma ci pare lapalissiano osservare che non si può resuscitare un morto, né pretendere che tutto, come per magia, riacquisti l’atmosfera che aleggiava un tempo nell’aria. La Napoli degli anni Duemila è una città diversa, vive un momento storico differente rispetto agli anni d’oro della Piedigrotta ed è normale che le operazioni di restauro presentino dei limiti. La festa religiosa viene oggi inserita nei programmi estivi di cultura e intrattenimento che il Comune cittadino appronta ogni stagione. Si è voluto, come si diceva, lasciare intatti molti aspetti della vecchia festa e cosi, proprio come accadeva un tempo, la mattina dell’8 settembre sono gli spari dei mortaretti ad annunziare le imminenti celebrazioni in onore della Madonna di Piedigrotta.Della scenografica festa di un tempo è rimasta oggi sopratutto una importante festa religiosa ed una festa civile che prevede concerti gratuiti sul lungomare Caracciolo.
Alla messa solenne, momento squisitamente religioso, seguono tutta una serie di iniziative dal carattere molto “pagano” , così,come nella storia di questa festa: le luminarie che addobbano le strade della zona, il lungomare attraversato dai grandi carri allegorici, il concorso dei vestitini di carta realizzati per i bimbi, i grandi concerti in piazza del Plebiscito e alla rotonda Diaz, l’immancabile spettacolo pirotecnico dei fuochi a mare.
Il programma religioso va dal 1 al 12 settembre ed è organizzata nel Santuario di S. Maria di Piedigrotta con la tipica Messa degli artisti, la Festa solenne della Natività della Beata Vergine Maria, la Serenata alla Madonna e la Festa del Santo Nome di Maria.
N.B. .In particolare le due giornate dedicate alla Madonna sono il giorno 8, festa della natività di Maria, ed il giorno 12, festa del Nome di Maria.
I festeggiamenti prevedono numerosi eventi nell’arco di una settimana che si concentrano principalmente nella Chiesa di Piedigrotta e nel quartiere. In realtà essi prendono il via già nel mese di luglio: infatti, nei nove sabati che precedono l’8 settembre, molti fedeli si ritrovano all’alba innanzi alla Chiesa di Sant’Anna alla Torretta e insieme, dopo aver percorso alcune centinaia di metri, raggiungono la Basilica, intonando antichi inni e litanie in dialetto.
La mattina dell’ultimo dei 9 sabati c’è il tradizionale volo degli uccellini, una pratica che richiama la statua della Madonna raffigurata con un bambino in braccio: non a caso, su un dito di Gesù Bambino è appoggiato proprio uno di questi animali. All’imbrunire dello stesso giorno si celebra la Messa sull’arenile di Mergellina: decisamente emozionante è il momento in cui dal mare arriva, seguito da un corteo di barche, un quadro raffigurante Maria il quale, una volta a terra, viene portato a spalle lungo le vie, tra ali di una folla trepidante, fino a Piedigrotta.
In suffragio agli artisti napoletani, il giorno seguente si officia la “Messa degli artisti”, oggi animata dagli uomini di spettacolo e dai pescatori. Il 7 sera i fedeli si radunano per gli auguri alla Vergine in occasione della sua natività; tra canti, preghiere e momenti di riflessione, una processione nelle strade conduce i devoti fino alla Basilica dove si aspetta la mezzanotte recitando un antico rosario in napoletano.
Altro appuntamento da non perdere è la “Serenata alla Madonna” che si svolge il 10 settembre; esso scritta da Benedetto Casillo nel 1983, vede la partecipazione di grandi artisti, dei pescatori e di sbandieratori. Questa è una rappresentazione teatrale e musicale nel corso della quale si ricordano storie, leggende e personaggi che hanno reso popolare la festa.
Nel pomeriggio del 12, il lungomare fa da sfondo alla sfilata dei vestitini di carta, un’allegra e vivace manifestazione animata da bambini e intere famiglie che termina in Chiesa ai piedi dell’altare. Qui l’atmosfera giocosa e informale lascia il posto alle solenni liturgie per il nome di Maria alla presenza del Cardinale di Napoli . Come atto finale vi è lo straordinario ed emozionante spettacolo dei fuochi pirotecnici che illuminano il golfo.
Questi ed altri eventi caratterizzano e animano le strade in questo periodo. Ma va ricordato anche un evento straordinario che si ripete una sola volta ogni 50 anni: l’antica processione a mare proprio della statua della Vergine in occasione dei centenari della fondazione del luogo di culto, dell’incoronazione della stessa statua o in ricorrenza di avvenimenti particolari come, ad esempio, è capito per la fine della II guerra mondiale e del Giubileo del 2000.
Suggestiva è la Messa dei Pescatori sull’Arenile a Mergellina e il corteo di barche in mare che porta a riva il quadro raffigurante la Madonna
Direttori artistici di sicura fama e talento, quali Nino D’Angelo, Daniele Pitteri e Enzo Avitabile, nelle ultime edizioni hanno lavorato perché la grande tradizione della Piedigrotta, soprattutto quella musicale, tenesse alto il proprio nome, invitando star della musica nazionale e internazionale.
Nelle ultime edizioni ci ha pensato anche Carlo Faiello ad associare apertamente la festa alle più autentiche tradizioni popolari, con la sua “Notte della Tammorra”Il noto cantautorenapoletano e storico membro della Nuova Compagnia di Canto Popolare, ha voluto celebrare la XIV e la XV edizione di questo bellissimo festival musicale che riunisce i maggiori esponenti della musica popolare, rendendo onore a una delle feste più importanti della città e a una delle Madonne più amate dai fedeli napoletani.
Ma siccome l’intento è quello di far incontrare le tradizioni con le sfide e le novità del presente, accanto agli ingredienti classici della festa, tante altre piccole iniziative ed eventi vengono legati a questi giorni di inizio settembre, come mostre fotografiche antologiche, performance sonore itineranti, laboratori musicali.
Concludendo, una nuova visione ma anche un’ antica sensibilità animano la Piedigrotta del Duemila: l’amore per la storia e le tradizioni della città che oggi vengono riproposte con maggior forza rispetto a qualche decennio fa in cui dominava la all’oblio. Tuttavia non deve essere sottaciuto, nelle attuali edizioni della festa, un forte limite: la cultura in una nuova chiave, d cultura come merce, prodotto da vendere sul mercato turistico. E questo è un dato di fatto che, certamente criticabile, rappresena un rischio comune a tutte le antiche feste che ancora oggi soprarvivono e che quasi trovano solo nella loro spendibilità turistica e commerciale la loro ragione d’esistere.
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