I napoletani sono stati per antica tradizione “Mangiatori di foglie”, ovvero di verdure e di minestre a volte elaborate e articolate da fare (come nel caso della celebre minestra maritata), e non hanno smesso di esserlo anche quando sono diventati, nel 700 , “mangiatori di maccaroni”.
Come vi dicevo , da sempre i napoletani si sono cibati di verdure , tanto che alla corte di Lorenzo il Magnifico , dove eccedevano in carni e selvaggina , furono definiti con disprezzo ‘ mangiatori di foglia ‘.
I maccheroni si mangiavano come vi ho detto con le mani e con un abitudinario gesto : con la mano destra si sollevava la manciata di maccheroni sopra la testa e poi quindi li si faceva cadere nella bocca spalancata . Re Ferdinando I , che spesso amava mischiarsi con il popolo , adorava mangiare come loro i maccheroni con le mani tanto da essere chiamato dal popolo ” Tata Maccherone ” ed invece da coloro che criticavano tale suo comportamento ” Re Lazzarone “.
Assiduo frequentatore di ambienti popolari , egli cercò di introdurre anche a corte abitudini e pietanze che con tanto gusto assaggiava nelle taverne , in particolar modo la pasta e la passata di pomodoro . Gli effetti a corte non furono dei migliori e le polemiche fortissime ; vedere il re mangiare la pasta con le mani , ripetendo la tecnica buffa dei lazzari che portavano i maccheroni in alto e li facevano cadere in bocca , era motivo di scherno nei pranzi di corte e causa di continui litigi con la consorte .Il maggiordomo maggiore fu addirittura costretto per compiacere la regina , ad inventare una forchetta dotata di quattro corti rebbi ( sul genere di quella attuale ) per permettere al re di afferrare la pasta e portarla in bocca senza l’uso delle mani.
Per curiosità dovete anche sapere che inizialmente la lavorazione della pasta attraversava fasi non proprio … igieniche .
Almeno fino al 600 , la pasta si lavorava artigianalmente e la sue preparazione richiedeva molto tempo Essa veniva prima impastata con i piedi ….
Si , proprio così … avete capito bene …..la farina e la semola venivano mescolati in una grande madia con i piedi scalzi , da uomini chiamati impastatori grondanti di sudore con addosso luridi stracci . Altri uomini versavano nella badia continuamente dell’acqua bollente . Gli impastatori , malgrado le scottature , continuavano a pigiare l’impasto in quanto all’epoca c’era la convinzione comune che il contatto con il composto lenisse le piaghe .
Dopo aver superato questa ” delicata ” fase veniva poi indirizzata ad una rudimentale trafila che permetteva di produrre i primi maccheroni bucati ( vermicelli ) . Fortunatamente , ( grazie all’ingegnere Spadaccini ) , sotto Ferdinando II , vennero poi realizzati i primi stabilimenti industriali che tolsero definitivamente di mezzo l’indecente modo di pigiare la pasta con i piedi per garantire igiene ed accuratezza al prodotto.
Prima della nascita della produzione industriale , la pasta era prodotta in scarsa quantità e vista la sua lunga preparazione aveva un costo alto che la rendeva appannaggio quasi esclusivo delle sole classe aristocratiche dove veniva usata prevalentemente come dolce e mangiata con le mani .
Con il sorgere della produzione industriale e la maggiore fornitura , il costo della pasta subì una drastica diminuzione ed il suo consumo favorito anche dalla diffusione della salsa di pomodoro , divenne accessibile anche ai ceti meno abbienti .
Con il suo diffondersi la pasta ha poi conquistato lentamente lo scettro di piatto preferito dai napoletani passando con il tempo attraverso lo spaghetto al pomodoro fresco , allo spaghetto a vongole , agli ziti al ragù , ed infine a pizza.
La pasta, e in modo diverso la pizza, è da quel momento divenuta il respiro di Napoli e della sua arte: essa celebra le vongole anche quando se ne sono fujute, e fa della frittata di maccheroni una meravigliosa consolazione al momento che nulla è’ stato preparato per pranzo . Ma al contempo costruisce attorno alla pasta fastosi preparati in un atto d’amore e di grande pazienza come accade con i grandi sughi di lenta cottura (ragù, bolognese, e genovese).