La Chiesa di Santa Maria di Caravaggio  che possiamo ancora oggi ammirare  in Piazza Dante ,  fu costruita nel 1627 grazie alle donazioni di Felice Pignella , giudice della Regia Camera ,. Essa era  inzialmente  intitolata alla Natività della Vergine e  solo in un secondo momento venne  dedicata  alla Madonna di Caravaggio, ( un piccolo paesino in provincia di Bergamo nel quale vi era stata  un’apparizione della Vergine nel 1432) ed esattamente quando l’edificio venne poi affidato ai Padri Scolopi  che trasferirendosi  in questo luogo per aprire una loro scuola. , decisero di portare con loro anche un quadro raffigurante appunto Santa Maria di Caravaggio da cui poi la chiesa prese il nome.

 

CURIOSITA’: Nel 1627  i padri Scolopi abbandonarono la sede della Duchesca per occupare la piccola chiesa dedicata alla Natività di Maria, con l’intenzione di fondarvi un istituto per i poveri. Il nuovo nome della chiesa deriva da un’icona che i religiosi portarono con sé: il quadro rappresentava l’apparizione della Vergine ad una giovane fanciulla avvenuta nel 1472 nella cittadina lombarda (la patria di Michelangelo Merisi ).

 

Coni i primi Scolopi giunse anche padre Giuseppe Calasanzio , futuro santo, a cui si deve la prima scuola popolare gratuita e aperta a tutti, a Roma. Egli  era il vicario generale della diocesi di Urgel, in Spagna (dove era nato nel 1557). e a  Roma vi era approdato al seguito del cardinale Marc’Antonio Colonna in qualità di consulente teologo. Ma a Giuseppe quel ruolo di quasi cavalier servente, sia pure per motivi teologici, andava un po’ stretto, tanto più che l’eminentissimo cardinale era abbastanza cresciuto per badare da solo alla propria formazione culturale. E così Giuseppe trascorreva il suo tempo romano a visitare basiliche, assorto in lunghe e intense meditazioni, sfoghi di una voglia di vita eremitica che non aveva mai potuto soddisfare; e poi a visitare malati negli ospedali e prigionieri nelle carceri, alla ricerca di una precisa missione nella quale far convogliare tutto il suo impegno.

In quest’inquieto ricercare si imbatté spesso, soprattutto nel quartiere di Trastevere, in torme di bambini e ragazzetti senza istruzione, senza dignità, malconci e abbandonati a se stessi, che tiravano a campare ricorrendo a mille sotterfugi, primi passi verso le vie della delinquenza e del vizio. Quei ragazzetti riuscivano a scucire a qualche anima pia e generosa un tozzo di pane, una minestra, un vecchio vestito, ma non trovavano nessuno che offrisse loro, con la scuola e l’istruzione, la possibilità di togliersi definitivamente dalla brutta strada. Alle scuole romane, tutte private, poteva accedere solo chi aveva un genitore con la borsa stipata di baiocchi, così come solo i figli di benestanti potevano sostenere le spese di frequenza nelle scuole comunali, che molte libere città del nord avevano istituito.

 

Giuseppe, alla ricerca di un qualcosa di forte e importante da fare, quella dolente realtà apri spiragli luminosissimi: se voleva che le cose cambiassero doveva fare qualcosa. Cominciò interessando alla causa sacerdoti e laici disposti a condividere la sua passione; assieme a loro si mise poi a dare lezioni gratuite a quei poveri ragazzi. Alla fine riuscì a raggruppare un bel numero di signori che trovarono straordinario poter impegnare in quel versante nuovo della carità cristiana la propria vita. E così, insieme alla prima scuola popolare, ponevano la prima pietra di una nuova congregazione, i Fratelli delle scuole pie, detti anche scolopi, i quali ai tre classici voti di povertà, obbedienza e castità, ne aggiunsero un quarto che li impegnava all’istruzione dei ragazzi.

 

Quella del Calasanzio fu un’idea vincente e le sue scuole in brevissimo tempo si diffusero in tutta Italia e poi anche in Germania, in Boemia, in Polonia e altrove.

Ma il successo fu per lui fonte di innumerevoli gelosie ,guai e  dolori.  Alcuni discepoli e confratelli, intriganti e pieni di ambizioni e di malanimo, lo accusarono  infatti di incapacità, incominciando a  diffamarlo e calunniarlo  sperando di toglierselo di torno. E ci riuscirono.

Calasanzio , infatti dopo che la Santa Sede per dirimere la questione aveva inviato un loro rappresentante certamente molto prevenuto  e poco intelligente: Calasanzio finì per essere arrestato e sottoposto a sfibranti interrogatori. Alla conclusione dell’inchiesta Innocenzo X degradava l’Ordine delle scuole pie a semplice e ininfluente confraternita.  Ma lui nonostante l’assurda  persecuzione  anziché arrendersi all’apparente fallimento, si rimboccò le maniche e ricostruì l’intera opera sotto forma di congregazione religiosa e con le medesime finalità della precedente e cioè l’istruzione dei ragazzi. L’unico suo rammarico fu quello di non riuscire a fare in tempo nel  vedere la sua opera affermata e consolidata, moriva infatti nel 1648, a novantuno anni, con il cuore ancora ferito dalle tristi vicende che lo avevano coinvolto, ma mormorando parole di perdono e di fiducia. La sua santità venne ufficialmente riconosciuta nel 1767.

Ritornando alla nostra bella chiesa va ricordato che quando nel 1820 terminarono in città i moti rivoluzionari , i Borbone , sospettarono che nell’Istituto di Caravaggio i Carbonari tenessero riunioni segrete e tolsero quindi agli Scolopi il collegio e la chiesa e al loro posto affidarono il complesso ai Padri Barnabiti

N.B. I  confratelli Scolopi , dopo la loro ”  cacciata ”   si insediarono nella Chiesa di San Carlo all’Arena.

Oltre al convitto i Barnabiti istituirono diversi corsi di lingua italiana e latina , di grammatica, di retorica, di lingua greca , di filosofie e di matematica . Il convento fu quindi definitivamente trasformato in una scuola mentre la chiesa  a partire dal 1724 venne ricostruita da Giovan Battista Nauclerio ed i suoi   lavori si conclusero intorno alla metà del XVIII secolo .

CURIOSITA’: I padri Barnabiti decisero di lasciare l’istituto nel 1867  quando l’ autorità municipale annunciò la nomina a rettore della scuola di un professore laico  .

La chiesa , dalla bella facciata , è composta da un’unica navata a forma ellittica , rifatta da Giovan Battista Nauclerio .  Appena oltrepassata la soglia della chiesa, il visitatore si troverà immediatamente coinvolto dalla scenografia dell’interno, di rara e spettacolare bellezza! Infatti la pianta centrale della hiesa   ricorda  molto quella del celebre Pantheon   di Roma ed anticipa le soluzioni della borbonica  Basillica di San Francesco di Paola che si trova in piazza del Plebiscito.  Sull’altare maggiore vi è il bel  dipinto di Gaetano Gigante raffigurante la Nascita di Maria menre  nelle tre cappelle di destra troviamo tre meravigliose opere d’arte . Uno splendido dipinto raffigurante la morte di   San Giuseppe  di Francesco Solimena , una commovente   Madonna della Provvidenza del XVIII secolo ed  infine la  bella   Deposizione della Croce di Domenico Antonio  Vaccaro.

Ma la chiesa offre anche due attrattive di “carattere prettamente spirituale”: il corpo di San Francesco Saverio Bianchi, l’Apostolo di Napoli, traslato dalla chiesa di San Giuseppe a Pontecorvo e conservato sotto l’altare della prima cappella a sinistra; e la caratteristica seconda cappella a destra, “la cappella St. Mary’s”, che durante la seconda guerra mondiale fu meta dei “pellegrinaggi” delle soldatesche anglo-americane.

Dopo la soppressione degli ordini religiosi in epoca napoleonica, la struttura fu nuovamente affidata ai Padri Barnabiti che tuttora la gestiscono. Il convento ha avuto l’onore di ospitare due benemerite istituzioni nel XIX secolo: la Società Napoletana di Storia Patria edal 1873 l’Istituto Principe di Napoli ,  un ente dedito all’accoglienza e all’educazione dei giovani non vedenti provenienti da tutta Italia, fondato da Domenico Martuscelli (di cui esiste un monumento commemorativo nello spazio antistante la chiesa), ente dedito dell’accoglienza e dell’educazione dei non vedenti provenienti da tutta Italia. Dal 1971, invece, la struttura venne utilizzata dalla Circoscrizione Avvocata-Montecalvario-San Giuseppe-Porto, periodo in cui la chiesa veniva utilizzata come succursale dal Conservatorio di San Pietro a Majella.

 

 

 

 

 

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