La  Villa di Poggioreale o Poggio Reale era una sontuosa magnifica villa Reale ricca di giardini che un tempo esisteva nella nostra città in un luogo  oggi tristemente conosciuto solo per la presenza di un carcere, e di un cimitero circondati da quartieri di edilizia popolare e  capannoni industriali ormai in disuso. Eppure un tempo , questo stesso luogo  affonda le sue radici nella goduria dell’ozio, nella bellezza architettonica e nell’amenità di un sito ricco di natura.

L’intera area faceva infatti parte di un grande opera di bonifica iniziata durante il periodo  dei  sovrani angioini e poi continuata con  i sovrani  aragonesi, che vide tra l’altro la  realizzazione del Fosso reale  e del Fosso del Graviolo nel 1485 voluta da re Ferrante I di Napoli  che rappresenta forse il primo dei canali di scolo delle acque, fatti nel tentativo di debellare le epidemie di malaria a Napoli. La zona inizialmente  infatti,  pur godendo di un’ottima vista sul golfo era occupata da un terreno in gran parte  paludoso e malarico con acque stagnanti dette ‘fusari’, utilizzate per la macerazione del lino e della canapa,( attività che per tale motivo era stata proibita nel 1306, da Carlo II d’Angiò )  che si estendeva fino alle pendici del Vesuvio con  terreni che erano attraversati dall’acquedotto della Bolla, la cui corrente, all’altezza di un tempietto in marmo detto ‘casa dell’acqua’, si divideva in due parti, di cui una coperta che riforniva la città e l’altra, scoperta, che azionava 11 mulini nella palude.

CURIOSITA’ :Nell’area dove sorgeva la villa, vi era l’acquedotto della Bolla (o Volla) che, con il serbatoio chiamato Dogliuolo, dal latino Doliolum o Dolium (vasca), portava le acque del Sarno in città con condutture sotterranee. La valle della zona del Dogliuolo era una vasta distesa di terre paludose,  compresa tra il pendio di Capodichino e le alture del Vesuvio e di Somma , precedentemente denominata “fusari” per la presenza di specchi d’acqua stagnante utilizzati per la macerazione del lino,  che  nonostante i vari tentativi di bonifica dei vari  sovrani angioini ed aragonesi continuava a rimanere tale.  Pertanto, nel  1845  il re Ferrante I di Napoli   provvedette con dispacci regi alla definitiva bonifica della zona: egli a tal proposito realizzò, infatti, dei canali di scolo come il Fosso reale e il Fosso del Graviolo che debellarono la  malaria nella capitale.

Il progressivo risanamento della vasta area permise l’impianto e l’affermazione di numerose colture e determinò la trasformazione della zona che con il passare del tempo divenne un ricercato luogo di soggiorno dove furono eretti alcuni edifici, ville e giardini. Già Carlo II d’Angiò aveva fatto costruire in quest’area un palazzo e il suo esempio fu successivamente seguito da Alfonso I d’Aragona. Quest’ultimo realizzò una dimora nelle vicinanze del “Dogliolo”, sito la cui denominazione derivava dal latino dolium, ossia vasca, in riferimento alla presenza del serbatoio in cui erano raccolte le acque del Sarno, conosciuto anche come Volla o Bolla, che venivano incanalate ed utilizzate per alimentare la rete idrica cittadina .

CURIOSITA’: È probabile che Alfonso I utilizzasse tale dimora principalmente come un casino di caccia in cui sostare nel corso delle frequenti battute venatorie che effettuava nella zona . Oltre a queste dimore fatte edificare da sovrani angioini e aragonesi, l’area era caratterizzata dalla presenza di altre ville, non di rado corredate da spazi verdi e fontane . Pertanto, possiamo dire ed affermare che  quando iniziarono i lavori per la realizzazione della Villa di Poggioreale, il sito prescelto era già abbastanza rinomato e contraddistinto dalla presenza di dimore signorili.

Ma per raccontarvi il suo periodo di maggior splendore dell’intera zona bisogna tornare al XV secolo, e precisamente alla fine della seconda metà del Quattrocento, ossia quando nel periodo aragonese  sul trono di Napoli sedeva Ferrante d’Aragona  e suo figlio, Alfonso Duca di Calabria, futuro  re Alfonso II , promuoveva la costruzione di una villa reale al di fuori della cinta muraria cittadina e a pochi passi dalla Porta Capuana, a ridosso di una collina, di un poggio per l’appunto. Tutta la zona, infatti, era ed è ancora conosciuta conosciuta come Poggioreale. Il territorio scelto si trovava fuori le mura della città, a circa due chilometri e mezzo da Porta Capuana da dove partiva la strada che vi arrivava, costruita tre anni prima dallo stesso architetto per incarico del re Ferrante I, di cui Alfonso era l’erede.

CURIOSITA’:  Alfonso, figlio del sovrano e Duca di Calabria,  pur se spesso arrogante, dotato di spirito vendicativo e tendente a risolvere i problemi politici con le armi, rivelò in diverse occasioni il suo apprezzamento per le lettere e le arti, promuovendo gli studi e i fermenti umanistici dell’epoca e favorendo la realizzazione, sia a Napoli sia nelle vicinanze della città, di palazzi e giardini .  Già nel 1485, con l’acquisto di una masseria localizzata a “Dogliolo”, il Duca di Calabria rivelò il suo apprezzamento per tale luogo. È assai probabile che l’idea di realizzare in tale sito una sontuosa residenza risalga proprio a quel periodo, ma che la sua attuazione abbia subito un rinvio a causa dello scoppio della rivolta dei Baroni

N.B.Nel 1485 Ferrante I d’Aragona, che aveva un casino di caccia nella zona, creò il ‘Fosso reale,’ forse il primo dei canali di scolo delle acque, nel tentativo di debellare le epidemie di malaria a Napoli.

Il  Duca di Calabria e futuro re Alfonso II,  decise come facevano anche altri esponenti della nobiltà ,  di realizzare una sua residenza reale suburbana, e a tal fine intorno al 1487 acquistò una proprietà proprio nell’area alle falde della collina di Poggio Reale. Per ottenere però  lo spazio necessario alla realizzazione della nuova residenza e del vasto parco ad essa adiacente, Alfonso non esitò ad avvalersi della sua autorità, appropriandosi prepotentemente di numerosi appezzamenti di terreno e non sempre indennizzando i relativi proprietari. Egli   ricorse infatti   spesso senza neanche indennizzare i proprietari  all’esproprio di suolo  che gli interessava , giungendo addirittura  a togliere l’acqua alla terra che  attraversava l’area  destinata all’edificazione  incurante del fatto che essa azionava alcuni mulini a valle.

Il Duca di Calabria adottò un comportamento simile anche nel corso della costruzione della Villa della Duchesca, allorquando si impossessò del convento di S. Maria Maddalena per ampliare tale residenza, facendo traslocare le monache nel Chiostro di S. Caterina a Formello

N.B. I lavori per la costruzione della residenza Reale  che cominciarono nel 1487, riguardarono anche alcuni terreni appartenenti a Nicola e Giovan Battista Brancaccio espropriati con la forza, mentre ad altri venne tolto l’uso dell’acqua

La villa di Poggioreale in un'incisione di Sebastiano Serlio

La villa di Poggioreale in un’incisione di Sebastiano Serlio

Alfonso commissionò la costruzione della sua dimora suburbana a Giuliano da Maiano, artista toscano giunto dalla corte di Lorenzo de’ Medici nel 1487 con già in tasca il modello della villa, elaborato a Firenze.   Il  progetto prevedeva la costruzione di una villa che avrebbe trasformato quel luogo lussureggiante e prevalentemente vergine in uno dei principali siti reali appena al di fuori del perimetro urbano ,ed una serie  di vasti giardini che digradavano verso la città e il mare. Il tutto collegato da una strada, che partendo  da Porta Capuana, terminava  proprio in corrispondenza dell’ingresso alla villa . Sarà poi il Duca di Alcalà a prolungarla fino a renderla una gradevole e particolarmente amata passeggiata nel corso del ‘600.

Poggioreale
Dettaglio relativo alla Villa di Poggioreale tratto dalla Mappa del Duca di Noja, 1775

Giuliano da Maiano , Iniziò subito i lavori e continuò a dirigere il cantiere fino alla sua morte, avvenuta nel 1490, quando l’edificio era sostanzialmente completato ed in parte utilizzato. L’opera,alla sua morte  fu poi continuata da Francesco di Giorgio Martini e Fra’ Giocondo da Verona, diventando il luogo privileggiato per i ricevimenti della corte, venendo completato da annessi e da un complesso di giardini.

Man mano che i lavori proseguirono con la realizzazione di nuove pertinenze architettoniche nelle vicinanze del palazzo e nei giardini e con l’ampliamento e l’arricchimento di questi ultimi, il nuovo sito reale fu frequentato con sempre maggiore assiduità dal Duca di Calabria, così come dal Sovrano e nel tempo  la nuova residenza divenne ben presto la sede privilegiata per i ricevimenti di corte.

N.B.  All’artista Francesco di Giorgio Martini, e al suo  genio si deve il progetto dello splendido Castello di Baia, oggi sede del Museo Archeologico dei Campi Flegrei. All’architetto toscano Giuliano da Maiano,  si deve invece , nello stesso periodo , anche la realizzazione della Villa della Duchesca, ( altra importante residenza aragonese che sorse a Napoli nelle vicinanze di Castel Capuano )  e alcuni importanti progetti relativi alle mura della città e a Porta Capuana, dalla quale il sito prescelto per edificare la Villa di Poggioreale distava circa un miglio.

Di quella che fu la villa e della sua trasformazione nel tempo sappiamo ben poco . Oggi, salvo alcuni testi che ne perpetuano la memoria, non esistono purtroppo tracce architettoniche di questa villa sontuosa e ricca di giardini. Tuttavia ne possiamo certamente immaginare l’aspetto grazie alle carte planimetriche, alle incisioni antiche, ma soprattutto grazie ad una tela, oggi ospitata al Musée des Beaux-Arts et d’Archéologie di Besançon in Francia, opera eseguita a quattro mani: le virtuose mani del bergamasco Viviano Codazzi e del napoletano Domenico Gargiulo, detto Micco Spadaro.

Dall’esame della pianta redatta da Sebastiano Serlio e della sua descrizione, risulta che l’edificio  era quadrato, ed aveva ingressi in via del Campo, via Santa Maia del Pianto, via nuova e via vecchia Poggioreale. .L’edificio principale affacciava su un giardino quadrato antistante e su un grande cortile laterale con edifici di servizio. Il complesso continuava con una loggia su due piani, una peschiera ed aree a giardino, sempre lateralmente rispetto all’edificio principale. Nel suo interno aveva un  cortile dal tetto di legno, al quale si accedeva scendendo cinque gradini, sullo stile delle case antiche con peristilio. Non era lastricato con la pietra ma con mattonelle di ceramica invetriata. Ai quattro angoli del palazzo vi erano delle torri, che non sporgevano oltre il tetto del corpo centrale e si collegavano  al corpo di fabbrica con loggiato . Al loro interno vi erano tre stanze per piano, comunicanti attraverso una scala a chiocciola. Da qui si poteva raggiungere all’atrio dove la nobiltà del tempo si dava appuntamento per ricevimenti e feste, nel quale erano inserite anche delle fontane. Le pareti interne dell’edificio  erano ricche di dipinti realizzati dai più importanti artisti ; tra questi spiccavano quelli di Pietro e Ippolito del Donzello che rappresentavano episodi della guerra di Alfonso contro i Baroni di pochi anni prima. Notevole era pure la presenza di busti ,  bassorilievi  e sculture anche antiche, che erano sparse sia nell’edificio per le varie stanze che nelle varie parti del giardino., , tutti rappresentanti le imprese o la figura di Alfonso II. Sia all’esterno che dalla parte del cortile interno, vi erano ampi porticati. In un cortile laterale vi erano i locali di servizio ed una loggia di due piani. Sempre da quel lato si trovava una vasca con sei fontane, dove era possibile bagnarsi.

.All’esterno, vi era un’ampia zona verde , con giardini ricchi di fontane zampillanti  per l’abbondanza dell’acqua prelevata dall’acquedotto della Bolla,  ed  un’ampia zona boschiva adibita alla caccia, che oltre a numerosi  uliveti aveva anche un giardino molto curato, il cui pendio arrivava sino al mare.

Di notevole bellezza erano i giardini all’italiana ornati da esuberanti fontane che costituivano per l’epoca  senza  alcun dubbio uno degli esempi più significativi dell’arte dei giardini italiani nel corso del XV secolo.  Il progetto della loro realizzazione  forse fu dovuto, almeno in parte, a Fra’ Giocondo ed a Pacello da Mercogliano. I due seguirono Carlo VIII in Francia per occuparsi, soprattutto il secondo, della manutenzione dei giardini delle residenze reali. e delle varie specie vegetali da introdurre nei tanti  settori del parco .Di questo ultimo artista giardiniere, presumibilmente originario di Mercogliano, centro dell’Avellinese non molto distante da Napoli, non si hanno in realtà molte informazioni. Ad ogni modo, è certo che dopo aver operato nei giardini di Poggioreale fu anch’egli condotto da Carlo VIII in Francia, ove acquisì notevole fama grazie alla realizzazione di opere quali ad esempio i giardini del castello di Blois e quelli di Gaillon, che determinarono l’inizio della rapida evoluzione del giardino francese

Poggio Reale

 

 

 

 

 

 

 

CURIOSITA’ :Secondo il Celano, all’interno dell’edificio, sulle porte e sugli archi, vi erano tondi di terracotta invetriata con i ritratti degli eroi d’Aragona e vari affreschi che celebravano la vittoria di Alfonso contro i Baroni.


La decadenza della villa iniziò dal 1494, con l’arrivo di Carlo VIII e la fuga di Alfonso in Sicilia.

Quando infatti  nel 1494,  Alfonso , a causa dell’invasione francese condotta da Carlo VIII , fu costretto a scappare in Sicilia, cominciò la prima fase di degrado del palazzo, anche a causa delle razzie dei francesi. In seguito, una volta rientrati gli spagnoli, Ferdinando II, che aveva bisogno di denaro per far fronte ad alcuni debiti di famiglia, visto che l’immobile era oramai caduto in disuso , decise di vendere alcune parti della villa, decretandone ancora di più l’abbandono da parte della casa reale ( cedette  anche numerose parti dei  grandi giardini che vennero poi adibiti a coltivazione).  In seguito, nel 1528, i Francesi promossero un’ulteriore offensiva nei confronti della città e l’esercito transalpino riuscì ad intrufolarsi nella vicina proprietà del duca di Montalto e, nel tentativo di danneggiare gli spagnoli, distrusse l’acquedotto della bolla che riforniva anche la villa. La sua azione, però, fu deleteria e gli stessi soldati francesi  come certamente sapete   si ammalarono di peste.
CURIOSITA’: La struttura, che ormai era decaduta, si ritrovò al centro della battaglia di  Odeot de Foix  per la conquista della città di  Napoli . A causa della distruzione dell’acquedotto si scatenò una epidemia di malaria che distrusse l’esercito francese; fu così che i francesi  dovettero ritirarsi e, contemporaneamente, l’area di Poggioreale divenne nuovamente malsana e si dovette aspettare qualche anno per la bonifica dei terreni circostanti.
Nonostante queste vicissitudini storiche, e il degrado che tutta la zona andava assumendo a causa dell’impaludimento ed il ritorno della malaria,  la residenza continuò ad essere frequentata fino al XVI secolo, finchè nel 1582, anche a causa dei danni di alcuni terremoti, si dovette procedere a realizzare alcuni lavori di restauro e consolidamento. In seguito, nel 1604, il vicerè Juan Alonso Pimentel de Herrera decise di abbellire la strada che portava alla villa, ponendovi molte  fontane e piantando numerosi alberi ai lati della via allo scopo di  realizzare un lungo viale alberato.  Ma la rinascita non durò a lungo.Nel 1656 scoppiò la peste  e per il palazzo  cominciò una nuova era di abbandono e rovina, visto che le grotte circostanti furono tutte  utilizzate per seppellire i morti  seguiti all’epidemia.    La collinetta di Poggioreale , insieme al Palazzo conobbero quindi un nuovo periodo di decadenza  che vide il suo epilogo nel settecento quando la  villa di Alfonso  fu venduta alla famiglia Miroballo . L’edificio  purtroppo , nonostante questo, si trascinò in un lento ma completo degrado fino al 1762, quando re Carlo di Borbone in un suo ultimo  tentativo di ripristino della Villa e del parco, fece predisporre a Poggioreale un sito dedicato all’ arte venatoria  attraverso la realizzazione di uno stagno popolato da uccelli acquatici. L’opera, al di là dello specifico valore ludico-ricreativo, avrebbe restituito secondo le idee dell’illuminatto re , una connessione di grande impatto paesaggistico tra la Villa ed il parco circostante.  Ma l’antico  complesso aragonese vedrà decadere definitivamente il proprio statuto sotto la spinta sempre più insistente di fattori che hanno sovvertito irrimediabilmente l’assetto ambientale dell’area. L’abbandono dei mulini, la graduale bonifica delle aree paludose, la costruzione dei primi impianti industriali proprio nell’area orientale della città, gli interventi sui corsi d’acqua, il loro parziale internamento e l’ampliamento delle zone destinate a  cimiteri hanno concorso a stravolgere l’aspetto e il notevole valore paesaggistico della collina di Poggioreale a tal punto da cancellare quasi del tutto le tracce del suo passato glorioso.   Il definitivo colpo di grazia avenne quando il regnante borbonico  affidò all’architetto Ferdinando Fuga l’incarico di costruire in quel luogo, a breve distanza dalla villa  il cimitero delle 366 fosse., mentre successivamente , al principio del XIX secolo , sulle rovine di quella che un tempo era stata una grande villa Reale sorse direttamente l’attuale  Cimitero di Poggioreale., determinandone la completa cancellazione, tanto che la stessa localizzazione del luogo esatto dove prima sorgeva l’edificio  risulta  oggi difficile.
N.B,  Il progetto per la costruzione dell’area cimitoriale non fu di facile realizzazione  e andò molto per le lunghe .  Solo nel tra il 1814 e il 1837, Giuseppe Maresca, Luigi Malusci e Ciro Cuciniello edificarono la Chiesa Madre e organizzarono i nuovi viali. Nel 1832, invece, Stefano Gasse, realizzò l’ingresso al campo santo.

Da allora Poggioreale, nonostante la presenza del Centro Direzionale e del Tribunale che avrebbero dovuto rivalutare la zona, è un quartiere in completo disfacimento in cui esistono ancora molte costruzioni fatiscienti ed esistono varie zone di archeologia industriale in cui ci sono aree a forte pericolo di inquinamento.

Della grandiosa Villa di Poggioreale invece purtroppo oggi non esiste più nulla . Essa è  totalmente  scomparsa e  pertanto, attualmente non esiste più alcun elemento architettonico o vegetale che testimoni dell’esistenza di questo capolavoro dell’arte dei giardini del XV secolo.
Le caratteristiche del palazzo e dei giardini possono essere oggi  solo apprezzate grazie all’opera di numerosi studiosii quali, in tempi relativamente recenti, hanno realizzato schemi grafici ed elaborati, volti a riprodurre la Villa di Poggioreale sia ispirandosi alle numerose citazioni e descrizioni, non sempre precise o esaurienti, che si susseguirono a partire dalla fine del XV secolo, sia basandosi su fonti iconografiche di vario tipo, risalenti a diversi periodi storici e riproducenti parzialmente o totalmente il complesso.
La precisa localizzazione della Villa ha costituito a lungo argomento di discussione da parte degli studiosi ed è stata determinata solo grazie ad un’analisi di alcune delle fonti iconografiche su menzionate. Dall’esame della mappa Baratta  si desume che il complesso di Poggioreale era sito in una posizione assai prossima alla collina su cui attualmente sorge il Cimitero di Poggioreale. In tale immagine, la  Villa appare infatti separata dalla collina suddetta dall’ampia e diritta via per Capua, che fu fatta realizzare agli inizi del XVII secolo dal viceré Pimentel conte di Benavente e che, partendo da Porta Capuana, assicurava il collegamento tra la città di Napoli e il sito di Poggioreale, sostituendo in tale funzione una via preesistente all’inizio dei lavori di costruzione della Villa .
Localizzata in posizione adiacente rispetto al serbatoio che raccoglieva le acque del Sarno, la Villa di Poggioreale fu quindi realizzata a mezza costa, in un luogo ameno ed in posizione più elevata rispetto al piano di terreno in maniera tale da poter ammirare  , vista la sua posizione  le bellezze di Napoli e del golfo attraverso molteplici visuali .

 

 

 

 

 

 

 

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