Fu uno dei più grandi pittori del ‘600, figlio del musicista Daniele. Nato a Bologna il 14 novembre del 1575 , seguì inizialmente le orme paterne che come musicista era un affermato maestro di cappella a S. Petronio, il Duomo di Bologna,
Ma attratto sin da giovanissimo dalla’aerte del disegno , lasciò presto gli studi musicali preferendo la pittura di cui imparò i primi rudimenti nella bottega del fiammingo Denijs Calvaert, con cui studiavano anche Albani e Domenichino. Fu tra i primi poi ad entrare già nel 1582, nell’Accademia degli Incamminati dei Carracci, quando era ancora la semplice Accademia del Naturale.
Dopo un periodo di lunghe esercitazioni riproducendo tra l’altro opere di Annibale Carracci, egli si staccò progressivamente dall’influsso manierista Guido Reni si distacca dall’influsso e dal gruppo di artisti che ruotavano intorno ai Carracci.
Nel 1598 è già un pittore affermato: in quell’anno realizzò l’Incoronazione della Vergine e santi per la chiesa di San Bernardo (Bologna, Pinacoteca Nazionale) e vinse la gara per gli affreschi allegorici in onore della venuta di Clemente VIII sulla facciata del Palazzo del Reggimento, l’odierno palazzo comunale, già perduti nell’800.
Nel 1601 si recò a Roma, per studiare nuove tecniche pittoriche e completare la propria preparazione artistica . Qui imparò a coniugare il classicismo emiliano con le nuove idee caravaggesche, dipingendo diversi capolavori come il Martirio di santa Cecilia (Basilica di Santa Cecilia in Trastevere), l’affresco dell’Aurora nel casino del Palazzo Rospigliosi Pallavicini, la Crocifissione di san Pietro per l’Abbazia delle Tre Fontane (Pinacoteca Vaticana), il Martirio di sant’Andrea e Eterno in gloria (San Gregorio al Celio), la decorazione della Sala delle Nozze Aldobrandine e della Sala delle Dame del Palazzo Apostolico Vaticano, quella per la Cappella Paolina in Santa Maria Maggiore.
Nella città capitolina Guido Reni diventa l’interpreta del gusto colto e aristocratico dei committenti romani, protetto da Paolo V e da Scipione Borghese, divide la sua attività tra Roma e Bologna, dove si ferma definitivamente verso 1l 1620.
CURIOSITA’: Durante gli anni trascorsi a Roma, nonostante il successo riscosso con le opere eseguite per la grande nobiltà e per il papa, il maestro non sopportava la fretta con la quale si doveva eseguire qualunque cosa e la mancanza di riguardo per la mente dell’artista che dirigeva la creazione e che veniva considerato poco più di un operaio prezzolato.
Per trattenerlo nella capitale gli venne offerto il titolo di Cavaliere che Guido Reni rifiutò.
Tornato a Bologna, il pittore gode dall’entusiasmo suscitato dalla Strage degli Innocenti e del Sansone vittorioso dipinti tra il 1611 e il 1612 e continua a lavorare a ritmo intenso per una clientela europea di altissimo rango, per la quale esegue dipinti, non solo religiosi, ma affronta anche tematiche mitologiche e letterarie, utilizzando un linguaggio teso in modo costante a teorizzare il bello nell’accezione di morale.
Mentre è a Bologna il pittore dipinge per il duca di Mantova la favola profana delle Fatiche di Ercole che oggi si trova al Museo del Louvre a Parigi, e il Cristo al Calvario oltre ad un ritratto di Lucrezia .
L’originale capolavoro della Pala della peste dipinta su seta, come ex-voto per la fine della peste del 1630-31 dà inizio all’ultimo decennio di attività del Reni, del quale si ricordanoil bel dipinto della Fanciulla con ghirlanda , l’Adorazione dei pastori , ora e Cleopatra visibile alla Pinacoteca Capitolina di Roma.
Nella nostra città Guido Reni giunse nel 1612 e si può senza dubbio affermare che egli svolse un ruolo importante nei confronti di taluni aspetti della cultura figurativa napoletana. Negli anni successivi infatti le sue opere certamente influenzarono un’ampia cerchia di pittori napoletani da Cavallino a Stanzione, da Vaccaro al Falcone, e tale influsso, così profondo, non è imputabile unicamente alle poche sue tele prodotte a Napoli, ma anche alla conoscenza che tutti gli artisti avevano della sua produzione presente a Roma ed altrove.
Il gruppo dei dipinti conservati nella chiesa e nella quadreria dei Girolamini (Incontro tra Gesù e San Giovanni Battista , San Girolamo , San Francesco in estasi , Fuga in Egitto e una Sacra famiglia con San Giovannino) ebbe infatti chiaramente una sua efficacia educativa sulla schiera di giovani pittori che poterono ammirarla ai Girolamini. La stessa cosa è successa con la celeberrima Atalanta ed Ippomene, oggi esposta al Museo di Capodimnte e che in passato era presente nella celebre raccolta dei Serra di Cassano, il cui l’influsso sugli artisti che ebbero la fortuna di ammirarla fu certamente considerevole.
Diverso discorso deve farsi per la bellissima l’Adorazione dei pastori della Certosa di San Martino, che giunse tardi in città dopo la morte dell’artista ed esercitò una sua particolare suggestione sul Giordano e su tutti i giordaneschi fino agli anni di attività del De Mura ed anche oltre. La tele di San Martino è tra le opere più importanti del Reni, nella piena maturità dei suoi mezzi espressivi, e ben rappresentativa di quella tendenza a raggiungere esiti di pittura astratta quasi smaterializzata.
Il Reni tornò a Napoli per un secondo soggiorno dal dicembre del 1620 fino all’aprile dell’anno successivo, per l’impegnativa commissione della decorazione della Cappella del Tesoro nel Duomo. Tale lavoro fu, assieme alla decorazione di San Martino, la committenza più importante disponibile in città nella prima metà del secolo XVII. In entrambi i casi la parte del leone andò ad artisti stranieri, cioè agli emiliani Reni , Lanfranco e Domenichino.
Alla notizia che i committenti avessero scelto di non dare l’ incarico per la sua decorazione ad artisti napoletani ma ad allievi dell’ accademia bolognese , ci fu grande risentimento .
Fu il tutto preso come un grave affronto fatto al loro buon nome . Lavorare in quel luogo sacro era un privilegio e un onore oltre che un guadagno ed era per essi inconcepibile che l’ incarico non venisse affidato ad un napoletano ma ad uno che proveniva da un’ altra regione.
I ribelli artisti locali con a capo Belisario Corenzio a quel punto erano intenzionati a tutto pur di boicottare la committenza . Il primo ad avere l’ incarico fu proprio Guido Reni che venne a Napoli in compagnia dei suoi discepoli Gessi e Sementi, con un contratto record per quei tempi di 130 ducati per figura . Egli di natura gia’molto sospettoso , al solo sapere che in citta’ l’ atmosfera non era favorevole si mise in apprensione . Basto’ qualche lettera minacciosa di avvertimento e il veder tornare a casa il servo malconcio per le bastonate ricevute , per abbandonare di corsa Napoli senza salutare e lasciando sul tavolo una semplice lettera di scuse.
Al suo posto fu chiamato Francesco Gessi , l’altro bolognese che inizialmente ignoro’ i vari pedinamenti e le lettere anonime a lui pervenute , ma quando un giorno non vide piu’ tornare i suoi due giovani aiutanti ( che si dice fossero stati rapiti ) incomincio’ ad impaurirsi . Tutte le ricerche per ritrovare i suoi aiutanti furono vane ed egli cogliendo tutto questo come un avvertimento senza pensarci sopra piu’ di due volte fece i bagagli e parti’ lasciando il lavoro incompiuto.
CURIOSITA’ : Secondo alte fonti Francesco Gessi al quale il Reni aveva promesso un incarico indipendente nella Cappella del Tesoro del Duomo e la possibilità di assumere commissioni private, quando il Reni fuggì da Napoli, fu costretto a seguirlo, quindi fece ritorno di nascosto con la speranza di ottenere un incarico personale nell’esecuzione dei lavori che nel frattempo erano stati affidati a Fabrizio Santafede. Egli a tal proposito eseguì un affresco in un angolone della cupola che fu ritenuto insoddisfacente dalla Deputazione, «fusse d’assai più esquisita perfettione», per cui l’8 febbraio del 1625 venne liquidato senza aver conquistato la fama sperata.
Fu chiamato allora il Domenichino ( Domenico Zampieri ) ; egli fu avvertito dagli amici della critica situazione napoletana e supplicato dalla moglie di non accettare.
Egli era basso di statura e di carattere remissivo e a Napoli trovo’ un ambiente ancora piu’ ostile di quello dei suoi predecessori : i suoi colleghi napoletani misero in atto una vera e propria campagne denigratoria sulle sue capacita’ artistiche diffamandolo di mediocrita’ e mancanza di inventiva. Non mancarono ovviamente le lettere minacciose che crearono in lui uno stato di totale paura . All’ ennesima minaccia sconvolto e terrorizzato , lascio’ ogni cosa e senza neanche avvertire la famiglia fuggi’ a Roma.
Il viceré considero’ la fuga un’ offesa personale e per costringerlo a ritornare sui suoi passi fece imprigionare la moglie e la figlia. Solo dopo un anno , tormentato dal pensiero che le due povere donne fossero chiuse in carcere , decise di fare ritorno a Napoli.
Ottenne la scarcerazione delle due donne ma non la sua quiete . Si arrivo’ a manomettere di notte le sue opere, ad effettuare strani inseguimenti , lettere minatorie e continue minaccia di morte e avvelenamenti.
Il Domenichino comincio’a dare segni di stanchezza : rifiutava il cibo ( per paura di essere avvelenato ) , dormiva poco , e incomincio’ lentamente ad ammalarsi .
Così’ la notte del 1641 mori’ e non si può escludere a distanza di anni che la morte in quel caso non fosse avvenuta per avvelenamento.
CURIOSITA’ : Sulla fuga del Reni si vociferò a lungo e molto dovette pesare anche il carattere non facile dell’artista; ad ogni modo il Corenzio, ritenuto vox populi responsabile, fu condannato all’incarcerazione.
In seguito il Reni, al culmine della fama, contesissimo e di indiscusso prestigio internazionale, non tornò più in città, ma continuò ad influire sulla cultura figurativa locale attraverso la sua opera, la cui fama non aveva più confini.
L’artista mori , dopo due giorni di agonia, a Bologna il 18 agosto 1642, all’età di sessantasette anni ed il suo corpo è esposto al popolo per due giorni nella chiesa di San Domenico.