La nostra città era anticamente divisa in quattro quartieri che si distinguevano con i nomi di Termense , di Palatina , di Montana , e di Nilense .  Ciascuna di esse aveva le sue porte , le sue strade ed i suoi tempi ,ed  un certo numero di edifici pubblici e privati e moltissimi vicoli .

L’ area o quartiere dell’antica Neapolis chiamata Palatina o Campana , si trovava nell’attuale via Duomo .Essa fu così chiamata dal palazzo, o Basilica Augustale e dal foro , e comprendeva gli odierni quartieri di San Paolo, dell’Arcivescovaso , di San Giuseppe dei Ruffi e dei S.S. Apostoli .

La regione veniva talvolta anche denominata campana  per la presenza di una porta dal medesimo nome presente nelle adiacenze della Vicaria che era diretta verso la Campania .Nella regione erano però presenti anche altre due porte : una di cui si ignora il nome che si trovava presso la chiesa di Santa Sofia e l’altra , di cui pure si ignora il nome che invece si trovava alle spalle dell’odierno convento di Donna Regina .

Nella regione  si innalzavano gli importanti Tempi di Mercurio , di Apollo, di Nettuno , e dei  dei Dioscuri oltre che la Basilica Augustale ed  il Foro .

Il Tempio di Mercurio , messaggero degli dei e protettore dei viandanti e dei mercanti ,  si trovava dove adesso sui suoi resti hanno poi eretto la Chiesa de’ S.S. Apostoli ( Mercurio era stranamente anche il protettore di ladri ed imbroglioni , purchè dotati di vivace ingegno ) .
Il suo Tempio , non lontano dal Tempio di Apollo ,  sorgeva in via Tribunali , in Piazza Riario Sforza , dal lato del campanile del Vescovado che venne fondato su una parte delle sue rovine . Esso era sostenuto da grosse colonne di marmo cipollino ed era caratterizzato dalla presenza  dinanzi al pronao , o vestibolo del Tempio , nel luogo oggi detto guglia del Vescovado , dalla presenza di un colossale cavallo di bronzo che si trovava , eretto sopra una grande base .
Il  colossale cavallo di bronzo ,  considerato sacro al Dio del mare , era una  superba opera greca , il cui corpo nel 1322 , una volta fuso , fu poi impiegato nella costruzione delle grandi campane del Duomo privando Napoli di uno dei suoi più preziosi monumenti .
Intorno a questo cavallo posto su di un alto piedistallo  , nacquero numerose credenze popolari . Il popolo convinto che  fosse stato scolpita dal mago Virgilio con una stregoneria  credeva  che tale statua avesse il potere di guarire i cavalli malati. Vi  portava quindi  gli animali malati ornati di ghirlande di fiori e tarallini (simbolo del grano e della fertilità) che, per guarire, dovevano girare tre volte intorno alla statua .
Ovviamente questo rito pagano e le numerose credenze e  superstizioni nate  attorno alla scultura  che nonostante i secoli passati continuava a resistere nel tempo , diede poi a distanza di anni ,  molto fastidio alla chiesa cattolica . Il suo rito , in quanto pagano era molto inviso ed andava eliminato .
 Il colossale cavallo quindi spari’nel 1322 per decisione dell’arcivescovo . La grossa scultura venne fusa  ed Il suo corpo, si dice, servì per forgiare le campane del Duomo ( c’è chi racconta che quando suonano, tendendo l’orecchio si sente il nitrito del cavallo di Virgilio ) .
Il cavallo aveva per i napoletani un grosso significato in termini di orgoglio e liberta’ poiche sessantanove anni prima , in occasione della conquista della città da parte di Corrado IV; questi aveva fatto mettere al cavallo un freno che lo imbrigliava , in segno di dominio sul popolo napoletano.
In tal modo il cavallo divenne simbolo della città di liberta’ e orgoglio .

Non poco lontano dove ora si trova il sito dell’Arcivescovado era  invece presente un bellissimo Tempio del Dio solare  Apollo  nel cui interno  si trovava una stupenda  opera greca mostrante il nume (concetto astratto di divinità ) nel suo carro in procinto di percorrere i segni celesti  ( Il dio  Apollo ,  rappresentava uno dei culti principali dell’ epoca ) .

I due bellissimi Tempi di Mercurio e di Apollo , sono oggi purtroppo andati distrutti ma in qualche modo ancora sopravvivono . A  beneficiare infatti  del gran numero di colonne del Tempio di  Apollo e di quello contiguo di Nettuno è stata sopratutto la nostra Cattedrale  di Santa Maria Assunta ( Duomo  di San Gennaro ). L’edificio fu infatti fondato sulle rovine e sui materiali ritrovati di questi due tempi che furono  ritrovati nello scavare le sue fondamenta ( furono ritrovati grossi pezzi  di architravi , capitelli e sopratutto un gran numero di colonne ) . Tutti i materiali , sopratutto le colonne furono infatti poi riutilizzati per la costruzione del Duomo.

Esse dopo aver essere state sepolte per secoli sotto terra , ritornarono a svolgere l’antica funzione di sostegno ( stavolta però di un tempio cattolico e non pagano ) di un edicicio sacro. Le tre navate della Cattedrale sono ancora oggi sostenute da quelle altissime colonne di granito orientale e africano che purtroppo hanno perso il loro colore originale poichè qualche stolto ha poi deciso di ricoprirle interamente di stucco ( forse per rendere più luminosa la chiesa ) . Nell’ antichissima Basilica di Santa Restituta , oggi ridotta al ruolo di cappella laterale , possiamo ammirare ben 16 colonne di marmo greco d’ordine corintio atte a sostengono gli archi  che appartengo al distrutto Tempio di Apollo.

N.B. : L’attuale cappella di Santa Restituta è un vecchio luogo di culto di eta’ paleocristiana e rappresenta  quindi il luogo piu’ antico della cattedrale . Essa , inglobata nell’attuale Cattedrale riveste un particolare interesse storico, quale esempio di architettura paleocristiana : l’antica basilica voluta dall’imperatore Costantino  fu rimaneggiata con stucchi e affreschi nel Seicento a seguito di un terremoto. Oggi  si presenta con tre navate divise da colonne, ed ospita alcune  opere di Luca Giordano e diverse sculture trecentesche. A destra dell’abside c’è l’accesso al Battistero di San Giovanni in Fonte, considerato il più antico d’occidente.

Mercurio , figlio di Zeus e della ninfa Maia, ( Ermes  per i greci )  era il messaggero degi dei . Velocissimo grazie ai suoi  suoi calzari alati, aveva il potere di entrare nell’Ade a portare i messaggi ed uscirne senza alcuna conseguenza . Egli riceveva da Zeus e dagli altri dèi le missioni più delicate e aveva la libertà di trattarle a modo suo, poiché gli dèi avevano molta fiducia nella furberia e nell’abilità e prudenza con cui portava a termine l’incarico.

Era specialmente venerato  dai pastori in quanto impersonava il vento , ma fu specialmente adorato dai viandanti di cui era il protettore , dai commercianti e anche dai ladri . 

 

In quanto araldo, Hermes doveva parlare bene, saper convincere la gente a cui si rivolgeva, per questo era anche il dio dell’eloquenza abile, sottile, persuasiva. Era sempre in viaggio per il mondo, considerato il protettore dei viaggiatori e della sicurezza delle strade; nei punti più pericolosi e dove una via biforcava, veniva in suo onore innalzata un’Erma, come dal suo nome, una pietra quadrangolare sormontata dalla testa del dio. Fu venerato anche come dio dei commerci, dei traffici e dei guadagni. Per la prontezza dell’ingegno, si attribuiscono ad Hermes molte invenzioni: l’alfabeto, i numeri, la musica, l’astronomia, gli esercizi ginnici, i pesi e le misure.

 Sull’Olimpo per lui il lavoro non mancava mai, veniva anche impiegato nel disbrigo delle faccende domestiche come pulire la tavola degli Dei, dopo i banchetti, oppure fare il loro coppiere, insomma una sorta di Dio “factotum”.

ErmafroditoGli amori di Hermes furono diversi e tutti con conseguenze bizzarre per la sua discendenza, essendo il Messaggero degli Dei ambiguo nella sua natura stessa, chiaramente, anche la sua prole era alquanto stravagante.

L’amore per la Dea Afrodite portò a generare uno splendido fanciullo dal nome Ermafrodito*. Si dice che Ermafrodito avesse la bellezza di Afrodite e le vivacità di Hermes, nel suo nome sta la chiave degli illustri genitori, ma accadde che durante una scampagnata per i boschi il bel giovane si trovò nei pressi di una fonte e decise di prendersi un bagno, non sapendo però che la Ninfa Salmacide, protettrice di quella fonte, lo spiava interessata a tutta quella bellezza e non appena il ragazzo si tuffo nelle dolci acque della fonte Salmacide entro anch’essa in acqua e si unì a lui, il giovane Ermafrodito, che non voleva saperne di congiungersi con Salmacide, tento di divincolarsi ma la Ninfa presa da una furia cieca fece un giuramento solenne a gli Dei: non venga mai il giorno in cui i nostri due corpi si staccheranno… Pronunciato questo giuramento dall’acqua usci un essere che non era né uomo né donna ma entrambe le cose. Aveva fattezze da fanciulla ma attributi maschili.

dio-panUn altro figlio molto particolare  di Hermes, fu quello avuto avuto con la ninfa Driope ( ninfa della quercia ) che lui avrebbe sedotto  sulle montagne dell’Arcadia.

Secondo la leggenda , invaghitosi di lei il Messaggero degli Dei si trasformò in un caprone e si avvicinò furtivamente alla ninfa.  Una volta giunto nei suoi pressi con un balzo gli fu addosso e abusò di lei. Ecco perché da questa unione nacque una divinità tanto capricciosa e surreale, con il corpo di uomo e con gli arti inferiori di capra . Il suo aspetto era orribile avendo una coda ed un viso caratterizzato da una folta barba , un naso schiacciato e grandi corna .

Si racconta che egli quando nacque fosse talmente brutto che  la mamma Driope appena lo  vide  ne fu talmente spaventata che lo abbandonò nei boschi.

Visse quindi sempre da solo vagando per i campi, i prati e le foreste in compagnia di altri fauni e ninfe con le quali condivideva i piaceri sessuali.

 

Aveva un espressione terribile ed aspetto orribile (bestiale ) ed in considerazione del fatto che era fortemente dotato nei suoi genitali era visto come la forza generatrice della natura in senso maschile nonchè considerato il simbolo della supremazia da parte del maschio .

Il suo aspetto repellente ,e la sua voce spaventosa incutevano in chiunque lo vedeva o udiva una grande paura . Il termine panico deriva appunto dal Dio Pan .

Egli  amava i boschi, i pascoli e la campagna, grande amante del sesso e della danza, era solito inseguire le ninfe mentre suona il suo strumento, la siringa o flauto di Pan. Era anche un dio scherzoso e appariva d’improvviso terrorizzando  pastori e viandanti emettendo urla terrificanti  ( ancora oggi parliamo di “panico” per le paure improvvise e immotivate).

Il suo Tempio nella nostra città si trovava accanto al Tempio di Diana , dove ora sorge   la cappella Pontano ( un vero gioiello di architettura di epoca rinascimentale appartenente alla famiglia del poeta umanista Giovanni Pontano ).

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Dio Pan era considerato il protettore dei boschi e dei campi , dei greggi , dei pastori e degli animali selvatici . Protettori dei boschi e dei campi, conduceva una vita semplice e bucolica, suonava il flauti, allevava le api e dormiva all’ombra dei vecchi alberi, assaggiando con le ninfe tutti i piaceri del sesso. In epoca pre-cristiana, era considerato ovunque una divinità benevola e portatore di vita.

Ad esso ed ai suoi amici satiri sono state associate le ninfe , creature bellissime generate dalla natura e dotate di una forte carica sessuale (la parla ninfomane deriva da loro ). Le ninfe ed i satiri secondo leggenda si sono accoppiati tra loro in antichi rituali ( messe ) nei boschi sotto millenarie querce in un gioco sessuale antichissimo . I rituali orgiastici erano collegati alla fertilità dei campi e connessi con la luna ( Dea Selene, regina della notte e del culto dei morti ma anche Dea della fecondità ) simbolo in questo caso della seduzione che Pan operò con inganno nei confronti della Dea che lo rifiutava.

Nei riti orgiastici egli si accoppiava con tutte le sue sacerdotesse chiamate Menadi .

 

Pur essendo dotato di un carattere sempre allegro , gioviale e generoso ,disponibile con tutti , e sempre disposto ad aiutare quanti chiedevano il loro aiuto, con l’avvento del Cristianesimo il Dio Pan venne identificato col diavolo che nella cultura cristiana è avversario dell’uomo e delle creazione .

Una religione come quella cristiana che reprimeva il sesso non poteva certo accettare una mitologia che del sesso aveva fatto la propria stessa ragione di vita. L’unione di fanciulle apparentemente umane con esseri umani simili alle bestie era una cosa repellente da eliminare a tutti i costi .

Una unione selvaggia che non aveva nessun concetto di amore cristiano ma dominata solo da lussurie e piacere andava assolutamente eliminata e demonizzata perché fosse di monito agli uomini .

L’accoppiamento tra i satiri e le ninfe ( la donna con la bestia ) era vista all’epoca nell’immaginario collettivo come qualcosa di repulsivo da un lato ma anche attraente e conturbante dall’altro .Il fascino del proibito che poteva evocare un desiderio di puro atto sessuale nelle donne affascinate dall’altissima carica sessuale di questi esseri umanoidi, superdotati divenne peccato mortale da combattere per secoli con persecuzioni ed inquisizione .

Così le ninfe divennero streghe ed il Dio Pan Satana ed i loro piacevoli incontri nel cuore della foresta sabba infernali dove le streghe si accoppiavano con diavoli caprini e deformi
Nel ricordo di Pan e delle sue ninfe, migliaia e migliaia di donne hanno dovuto nel corso dei secoli affrontare il rogo, qualcuna colpevole di averlo incontrato solo nei propri sogni,altre di averlo amatoaccettandonei suoi doni, e altre colpevoli solo di averlo incontrato quale innocente vittima .

Alla chiesa non bastò demonizzarlo ma addirittura lo fece morire . Pan infatti è l’unico Dio immortale ad essere morto e quando la sua immagine muore lo fa per lasciare spazio all’ immagine del diavolo .

A Napoli il mito di Priapo si diffuse a macchia d’olio , ed il suo simbolo fallico finì per divenire un fantastico amuleto contro il male come testimoniano le numerose opere pittoriche e sculturee presenti negli scavi di Pompei giunte a noi per mezzo dell’eruzione del Vesuvio del 79,. Esse testimoniano ancora oggi quanto quotidiana fosse la presenza di Priapo nelle case dei cittadini campani. A portar fortuna in una casa ma sopratutto molto utile nello scacciare il malocchio era sopratutto un oggetto fallico posto nell’atrio della casa.

Nacque intorno al fallo di Priapo addirittura una caratteristica forma di artigianato che produceva oggetti  molto diffusi  nella vita quotidiana dei cittadini  come per esempio ” il fallo volante”  , una sorta di animale mitologico con zampe posteriori, ali, e pene in luogo del collo e della testa e della coda.

N.B. Ancora oggi Priapo è presente in ogni corniciello e in ogni peperoncino vengano utilizzati per scacciare il malocchio. Essi non sono altro infatti che la forma stilizzata del fallo di Priapo ed il colore rosso è lo stesso colore  con cui venivano sovente dipinte le statuette del dio greco.

Durante i Carnevali napoletani, non era insolito ritrovarsi , pur non volendo , al centro delle Falloforie, una sorte  di cortei organizzati in periferia, in cui la tematica sessuale di ispirazione priapesca era il fulcro della festa. In quei giorni veniva fatta girare per le strade una statua lignea di Priapo, dotata di un mostruoso fallo di spropositate dimensioni.

Addirittura la sua presenza venne ritrovata nelle catacombe di San Gennaro dove  fu rinvenuta una stele di marmo con un’evidente forma fallica,verticale  . Ovviamente l’oggetto venne conservato in una saletta per lunghi periodi dichiarata inagibile, ma in realtà essa era solo chiusa al pubblico per questioni di decenza (il luogo era sacro). Si tentò persino di occultare la notizia, per evitare ironiche allusioni. Ma le scritte sulla stele riportavano chiaramente il nome “Priapo”, il dio più odiato nel ventaglio del paganesimo greco dalla Chiesa Cattolica.

CURIOSITA’ : A spiegare la presenza di questo oggetto fallico in un luogo così sacro , ci viene in aiuto una  delle funzioni meno note di Priapo nell’antichità: quella di custode di sepolcri. Priapo e la sua potenza generatrice, Priapo e la sua prepotente fertilità, è anche alla base del sistema di creazione del Cosmo, e quindi al confine tra la morte e la vita. Era infatti frequentissimo in tempi antichi ritrovare statuette di priapo nelle tombe, perchè marcava i limiti dell’uno e dell’altro mondo.

Priapo nonostante la continua guerra mossagli dalla chiesa cattolica è riuscito per secoli ad avere il suo culto anche in occasioni e festività religiose :  le Sacre Rappresentazioni della Natività, si trasformavano sovente in un’occasione per lasciarsi andare a cori scherzi e lazzi nei quali la figura di Priapo era citata spesso e volentierie tutto questo spesso portava ad un incredibile connubio tra il sacro ed il profano . La resistenza di questo culto è stata non solo per secoli presenti nelle grotte del Chiatamone divenute  a lungo teatro di oscuri riti orgiastici propiziatori ma anche  sopratutto presente  in piccolo tempio dedicato a Priapo, nei pressi della Crypta Neapolitana.

Il tempietto era un  luogo di riti pagani sessuali che si svolgevano  in nome del Dio Priapo.Durante questi riti pagani alcune vergini scelte da una sacerdotessa venivano portate all’interno di grotte sotterranee e svestite dei loro abiti. Ultimato il rito iniziatico della nudità, imprescindibile per il significato e l’atmosfera, venivano vestite con uno strato di pelle di pesce, e da lì in poi consumavano un amplesso con un giovane vestito alla stessa maniera.

Quando la Chiesa, esasperata dalla persistenza di queste pratiche oscene, decise per la costruzione di un santuario mariano proprio in quei luoghi, le vecchie abitudini si fusero con le nuove istanze religiose. La cappella eretta in onore della Madonna dell’Idria divenne la meta preferita di quelle donne che intendevano chiedere a Maria un aiuto per poter rimanere incinte.

La stessa cosa avvenne anche per la statua dell’Arcangelo San Raffaele presente nella chiesa di Materdei dove  si recavano a chiedere la grazia soprattutto le donne che purtroppo non riuscivano ad avere figli.

La statua di San Raffaele in questa chiesa , mostra  un grosso pesce deposto ai suoi piedi che ricorda la storia di Tobia e dell’ arcangelo Raffaele .e tanto bastò per far esplodere la fantasia napoletana e la sua fedele credenza .

All’epoca il mare, era visto come fonte di fertilità e il pesce ( usato da sempre come simbolo cristiano ) era simbolo di abbondanza . Si giunse così nen presto  alla conclusione che venerare l’Arcangelo Raffaele potesse portare abbondanza e fecondità, soprattutto nelle donne che purtroppo non riuscivano ad avere figli.
Si mescolarono ben presto usanze pagane che accompagnavano dei riti campani della fecondita’ con la ritualita’ popolana cristiana e un bacio al pesce che la statua di San Raffaele, ospitata nella omonima chiesa del rione Materdei a Napoli divenne un rito che evocava sicura  futura fertilita’ .

La Chiesa ufficiale non ha potuto ostacolare questa tradizione, perchè nella storia cristiana il pesce era utilizzato come simbolo di riconoscimento dei cristiani perseguitati, oltre che un acrostico che stava per Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore. Conosciamo tutti anche fin troppo bene il significato che ogni napoletano attribuisce alla parola “pesce”. E probabilmente non c’è bisogno di fornire ulteriori spiegazioni al perchè di quel bacio al pesce di San Raffaele.

Priapo era considerato il Dio della fertilità degli uomini e della potenza virile maschile e secondo i racconti mitologici egli era stato cacciato via dall’Olimpo perchè  ubriaco aveva tentato  di abusare nel sonno di Estia . A salvare  la reputazione della tranquilla dea della casa e del focolare fu un asino, che ragliò a squarciagola tutto il suo disappunto per quanto stava accadendo.Egli pertanto odiava  tra le tante creature l’asino e gli adepti del suo culto   erano soliti sacrificare  in suo onore almeno un asino all’anno.

 

 Non lontano dal Tempio dedicato a Mercurio , si trovava l’importante e bellissimo Tempio di ordine corinzio del Dio Apollo , fondato nel sito dell’arcivescovado .  Il tempio del Dio protettore della città , Helios / Apollo era ben distinguibile dagli altri vicini Templi grazie alla sua  bella  facciata di otto bianche colonne corinzie e il frontone, sul quale era  dipinto, con il suo carro del sole, il Dio il cui culto era  caro ai Cumani, fondatori della città .

Tra i vari oggetti di ammirazione che esso conteneva , vi era il NUME esposto nel suo carro , in atto di percorrere i segni celesti . Quest’opera , era considerata all’epoca , la più perfetta nel suo genere e rappresentava il più bel monumento greco del Tempio .

 

 

Apollo, dio della musica, dei canti e della poesia , nacque anche lui da una ” scappatella ” di Zeus . Nacque infatti da  da Zues e Latona  che anch’essa come tutte le altre donne protagoniste  dei tradimento di Zeus , dovette subira la vendetta di Era.

Le ire gelose della moglie di Zeus  , questa volta consistettero nell’ordinare  alla Madre Gea ( la terra ) di non accogliere in nessun punto della terraferma , Latona quando in preda alle doglie doveva poi partorire i suoi due gemelli .

Quando giunse il famoso momento e per  Latona incominciò il travaglio di parto nessun luogo sulla terraferma volle quindi accoglierla . Ella in preda alle contrazioni del suo utero vagò  in ogni luogo del mondo ma nessuno volle accoglierla per non inimicarsi la potente Era .

Disperata si recò a Delfi , che una volta era stato il luogo sacro a sua madre Febe , sperando che almeno l’oracolo le avesse dato rifugio , ma presto scopiì che il luogo era occupato dal un serpente gigante , lungo trenta metri , di nome Pitone che mangiatosi tuuti i sacerdoti , indovini e pellegrini , ben presto si avventò anche su di lei .

Latona riusci per fortuna a fuggire in tempo ed una volta preso di nuovo il mare , ordinò a quel punto al suo capitano di dirigersi verso l’ isola galleggiante di Delo che non essendo attaccata a nessun lembo di terra vagava da sola nell’oceano . Non fu facile trovarla , ma aiutata dalla fortuna , alla fine sbarcò nell’unico posto senza radici nella terra . Qui finalmente potè partorire i suoi due gemelli che divennero subito i due nuovi dei dell’Olimpo .

Apollo , appena nato ebbe in regalo da Efesto un bellissimo arco d’oro ed una faretra piena di frecce magiche , e dagli altri dei un Keras , una sorte di trombetta . Cresciuta a velocità incredibile si procurò subito un tunica greca intessuta d’oro e annunciò al mondo che sarebbe stato non solo il  il dio del tiro dell’arco , ma sopratutto il dio della profezia in quanto avrebbe interpretato la volontà di Zeus e le parole dell’oracolo per i poveri mortali .

La sua prima impresa fu quella di vendicare la madre , uccidendo il gigantesco serpente Pitone e prendere possesso dell’oracolo di Delfi , accogliendo di nuovo sacerdoti e pellegrini .

Dal momento che una volta l’oracolo era appartenuto a sua nonna Febe , da allora fu chiamato Febo Apollo . La somma sacerdotessa che prediceva il futuro fu conosciuta come la Pizia , che vuol dire pitonessa , dal serpente Pitone . Ella riceveva  sue profezie direttamente da Apollo e i suoi versi erano sempre indovinelli  o poesie . Abitava nella stessa caverna dov ‘era morto il serpente e di solito sedeva su uno sgabello a tre gambe , vicino a una delle enormi spaccature che esalavano un putrido gas vulcanico . In cambio di una preziosa offerta essa prediceva il futuro o rispondeva in maniera enigmatica alle varie domande .

Le  Pizie ( o Sibille )  erano quindi sacerdotesse vergini con il dono della profezia che si trovavano ovunque esistesse il culto di Apollo.

Il culto di Apollo partito dall’Asia Minore , raggiunse le colonie italiche e successivamente anche Roma .I suoi principali luoghi di culto oracolare furono oltre quello più famoso di Delfo , anche quello dell’Africa e sopratutto di Cuma .

Il santuario di Apollo a Delfi era il principale Centro Sacro della civiltà ellenica , e vi era custodito l’Omphalos , la pietra sacra che gli antichi Greci definivano ” Ombelico del Mondo “e che rappresentava per loro , il simbolo del Centro della Terra , e in quanto tale , costituiva una sorta di proiezione del Polo celeste sulla terra .

CURIOSITA’: L’Omphalos veniva raffigurato come avvolto nella sua forma ovoidale da un serpente sacro ad Apollo .

Il serpente era collegato ad Apollo , sia perchè come abbiamo visto aveva ucciso il Pitone sotterrandolo poi nella stessa caverna divenuta poi il suo luogo di culto , ma anche per il suo simbolismo legato alla rinascita del Sole , in quanto egli , abbandonando ogni anno la vecchia pelle sembra periodicamente rigiovanire .

Delfi  infatti , possiamo considerarlo , da questo punto di vista ,  il centro dal quale la civiltà ellenica si è poi irradiata nel Mediterraneo e , da quanto viene tramandato , spesso fu proprio seguendo le indicazioni dell’oracolo e dei suoi sacerdoti , che gli eroi e i coloni greci scelsero la loro rotta e si recarono verso Oriente o verso Occidente per fondare nuove città .

Ogni luogo di culto di Apollo aveva la sua Pizia che si differenziava nel nome per tradizione
Tutti gli scrittori dell’antichita ‘ sono d’accordo nell’ammettere che le Sibille siano realmente esistite ma discordavano intorno al loro numero .
Platone nel Fedro accenna ad una sola , l’Eritrea .
Solino ed Ausonio ne citano invece tre : ‘Eritrea , la Sardica e la Cumea.
Eliano ne conta quattro : l’Eritrea, la Sardica , l’Egizia e la Samia.
Varone ne elenca invece dodici : l’Eritrea , la Delfica , la Caldea , la Frigia , la Persica , l’Ebraica , l’Egizia , la Libica , la Cumana , l’Ellespontica , la Tiburtina e la Sardica .
Feneci infine ne aggiunse altre due : l’Europea e la Tiburtina .
Tre di esse erano italiane : la Frigia , la Cumea e la Tiburtina .
La importante fu quella Cumana che inizialmente si chiamava Cumea .

 

Tanta fu la fama e la devozione per le Sibille che ogni anno i rappresentanti di tutti i popoli affrontavano lunghi e pericolosi viaggi per poterle consultare . I volti delle Sibille furono scolpiti sui marmi , incisi sui metalli , intarsiati sui legni , dipinti sulle tele e sulle pareti .

Oltre a questa sacerdotesse , anche altre donne reputate indovine e profetesse furono chiamate Sibille come : Cassandra ( figlia di Priamo ) , Campusia , Colofonia , Manto ( figlia del famoso indovino Tebano in Tessaglia ) , Elissa , Carmenta , Fauna o Fatua ( adorata sotto il nome di Dea Bona ) e la regina Saba ( ebbe fama di Sibilla presso gli ebrei )

 

Le profezie delle Sibille venivano operate in uno stato di trance mediatico e mentre erano in trance certamente non potevano trascrivere ” le loro profezie che venivano invece interpretate e trascritte per opera delle sacerdotesse presenti al rito .
I sacerdoti che assistevano ai riti sacri delle veggenti , raccoglievano i reconditi messaggi delle Pizie e abbellendoli e depurandoli li trascrivevano nei famosi libri sibillini . Sorsero cosi’ diversi libri di profezie che circolavano nei templi dedicati ad Apollo che servivano sopratutto a sostituire le sacerdotesse li’ dove non potevano essere presenti . I più ‘ famosi di questi libri furono certamente quelli della Sibilla Cumana giunti fino a Roma nel gravoso destino di governare i grandi eventi della potente citta’.
Le sacerdotesse , durante il rito preparatorio mettevano in bocca foglie di lauro , cioe’ una pianta che se masticata a lungo ha il potere di favorire una sorte di trance ipnotica .
Inoltre alcune condizioni locali , come ad esempio i fumi di anidride carbonica presenti presso il il lago di Averno , potevano indurre fenomeni di intossicazione tali da causare stati temporanei di euforia psicotica.
L’ alternativa al classico vaticinio consisteva nella ” scrittura su foglie “.
La scrittura su foglie era legato all’ dell’interpretazione dei segni ed in particolare all’interpretazione dei tagli presenti sulle foglie masticate , che venivano letti allo stesso modo dei visceri degli animali o dei segni nel cielo .
A Cuma , la Sibilla ricorreva ad entrambi i modi per proporre i propri vaticini , uno per mezzo del tradizionale responso su foglie , l’altro in uno stato di trance furioso mentre era invasa .
E’ per questo che Enea chiedera’ alla Sibilla di esternare il proprio responso a voce e non su foglie che facilmente il vento puo’ sconvolgere .

Di tutti i libri attribuite alle Sibille di Apollo nelle varie aree del mondo , i più’ importanti furono quelli della Sibilla Cumana custoditi all’interno del Campidoglio a Roma .

Questi libri , detti sibillini e tanto celebri nella storia di Roma contenevano i grandi destini dell ‘alma citta’( Fata Urbis Romae ).
La leggenda racconta che la Sibilla Cumana si reco’ personalmente da Tarquinio il Superbo e offri’ in cambio di trecento monete d’oro i nove libri che contenevano tutte le profezie .
Davanti al rifiuto del re , la vecchia sacerdotessa brucio’ tre dei nove libri e chiese ancora al re la stessa somma di denaro stavolta per i rimanenti sei libri .
All’ennesimo rifiuto di Tarquinio , la Sibilla diede nuovamente alle fiamme tre dei rimanenti libri e chiese lo stesso prezzo .
A quel punto il re , impressionato da questo gesto e timoroso di vedere distrutti per sempre gli ultimi manoscritti , diede alla Sibilla quanto richiesto e custodi’ gelosamente gli scritti.


Si racconta che fossero scritti su foglie di palma , parte in versi e parte in geroglifici simbolici , ed erano custoditi dentro una cassa di pietra da due sacerdoti il cui numero fu successivamente portato a quindici.
Solo ai sacerdoti era concesso la facolta’ di prendere i libri dalla cassa e la loro consultazione avveniva in occasione di terremoti , pestilenze , inondazioni , guerre o prodigi strani che facevano intravedere i segni di un grosso cambiamento o di un imminente catastrofe per lo stato.
I sacerdoti , accompagnati da schiavi che conoscevano il greco , leggevano quindi le profezie e le interpretavano attraverso una serie di rituali rimasti sconosciuti .
La consultazione suggeriva gli atti da compiere per modificare il corso degli eventi e le cerimonie ed appare quindi ovvio come ” il potere dei libri ‘ fosse enorme .
Sapientemente manipolati e interpretati potevano dare addirittura indirizzi politici .
Al popolo non era dato vedere i libri , pena il supplizio destinato ai parricidi cioe’ cuciti vivi in un sacco di cuoio e gettati in mare .
Quando nell’83 un grande incendio distrusse i libri custoditi nel Campidoglio si apri’ una fase incerta della politica romana e poco tempo dopo venne dato incarico ad una apposita commissione( che giro’ attraverso tutti i templi della Grecia e dell’Asia Minore) , di ricostruire i libri perduti alla ricerca delle originarie profezie .


La commissione , di chiara matrice politica , provvide quindi a ricostruire i libri oracolari che sancirono da quel momento in poi il potere divino di Giulio Cesare , di Antonio e di Ottaviano .Da quel momento in poi infatti l’Impero trovera’ la propria conferma nelle antiche profezie .
( Ottaviano fece stralciare quasi duemila profezie non in linea con il suo nuovo corso politico )
Sotto il regno di Nerone i libri bruciarono nuovamente e furono nuovamente ricostruiti .
Sotto il regno di Giuliano bruciarono di nuovo e furono per la terza volta raccolti e stavolta rinchiusi in casse dorate e alloggiate sotto la base del tempio di Apollo Palatino dove stettero fino al 450 D. C. per poi essere raccolti e posti ancora una volta in Campidoglio dove vennero consultati fino al VI secolo

L’ antro della famosa  Sibilla di Cuma , ancora oggi presente e’ formato da un lungo corridoio rettilineo (dromos) lungo m. 13 1,50, largo m. 2,40 e alto circa m. 5, di forma trapezoidale scavato nel tufo con luce e aria che gli arriva da alcuni pozzi .


Il complesso si apre , alla fine , piegando verso destra ,su una sala rettangolare e su un ambiente diviso in tre celle, ( Oikos endodatos), la sala oracolare ovvero il luogo dove la Sibilla pronunciava le sue sentenze e diffondeva i suoi vaticini e ad alcune stanze sotterranee , identificabili , secondo tradizione con i lavacri della Sibilla , oggi sommersi dalle acque a causa del bradisismo .
Il monumento, tutto scavato nel tufo, affascina e incute paura, per l’atmosfera di mistero che lo circonda. Stando alla descrizione di Virgilio è proprio in questo luogo da ricercare la sede della leggendaria sacerdotessa di Apollo.
Il luogo , come cita Virgilio nell’Eneide ( libro VI) fu anche visitato da Enea nella speranza di conoscere il proprio destino per mano della Sibilla Cumana  .

CURIOSITA’: Una antica leggenda narra che la Sibilla di Cuma era una donna affascinante la cui bellezza fece invaghire il dio Apollo . Davanti ai suoi continui rifiuti egli decise di tentarla con l’offerta di un dono . Chiese percio’ alla fanciulla di chiedere qualunque cosa . Ella , a questo punto si chino’ a terra , prese nel proprio pugno una manciata di granelli e chiese al dio di poter vivere quanti anni erano i granelli di sabbia stretti nella sua mano , dimenticando di chiedergli pero’ che quegli anni fossero di gioventu’ e quindi far accompagnare a questo desiderio il dono della giovinezza eterna .

 


Il dio accontento’ la Sibilla che presto’ capi ‘ il suo errore . Apollo pur di possederla propose di porre rimedio alla sua richiesta facendo accompagnare al suo desiderio di vivere a lungo anche il dono della giovinezza eterna , ma la bella Sibilla purtroppo ‘ disprezzo’ l’ offerta pur di non cedere ai desideri del potente dio .
Ben presto pero’ la Sibilla comprese la condanna che il suo desiderio le aveva inflitto .
Da allora fu costretta alla lunga penosa vecchiaia che inesorabilmente la rendeva sempre piu’ brutta e piccola
La longevita’ accompagnata dai danni della vecchiaia , fece si che l’indovina si riducesse ad una sorte di larva umana che passava i suoi giorni con l’unico desiderio di poter porre fine alla propria esistenza , desiderosa solo di morire .

” … quanto alla Sibilla cumana , io l’ho veduta con questi occhi , sospesa in una bottiglia . I ragazzi le domandavano< ‘ Sibilla , che vuoi ?” e lei rispondeva < voglio morire >….
( Petronio , Satyricon ).

Apollo , fra le divinità greche è quella che forse più di tutte trasmette il senso totale della luminosità: egli infatti  rappresenta la personificazione del Sole e quindi della luce , intesa sia in senso materiale che spirituale donando agli uomini tanto l’ispirazione profetica che quella artistica.

Non a caso al suo seguito gli antichi avevano posto le nove Muse , figlie di Zeus e di Mnemosine ( la memoria ) che rappresentavano le personificazioni delle principali forme d’arte. Facendo corona intorno ad Apollo , esse formavano il disegno circolare della Decade , corrispondente al segno geroglifico del Sole , costituito da un cerchio il cui centro è rappresentato dal Dio.

CURIOSITA’: Le Muse , che in origine erano solo tre e si chiamavano Melete ( esercizio ) , Mneme ( memoria ) , e Aoide ( canto ) , vennero con il tempo collegate alle varie attiività artistiche  e per questo motivo aumentarono di numero  . Divennero quindi nove :  Clio ( la storiografia ) , Euterpe ( la lirica o la musica dei flauti ),Talia (la commedia ) , Melpomene ( la tragedia e i vanti funerari ) , Tersicore ( la danza o la musica della lira ) , Erato ( la danza o la poesia amorosa ) , Polimnia ( la narrativa o la poesia lirica ) , Urania ( l’astronomia ), e Calliope (la poesia epica ) .

Secondo la leggenda , fu proprio Apollo , attraverso il suo oracolo più famoso nel Tempio di  Delfo a consigliare ai naviganti greci di andare alla ricerca di nuove terre e fondare la città di Cuma dove  costruire un nuovo Tempio a lui dedicato.

Questo Tempio di Apollo di cui oggi sono rimaste poche tracce doveva essere bellissimo come ci viene ricordato da Virgilio . Egli infatti ,nella sua famosa Eneide ci raccontala sua bellezza attraverso gli occhi di Enea, che fermatosi a Cuma, raggiunse questo tempio, consacrato ad Apollo .

Egli ancora in lutto per la tragica sorte toccata a Palinuro trucidato brutalmente dagli indigeni sul lido di Velia , con la sua barca prese nuovamente terra nella poco distante Cuma dove, sulla Rocca piu’ alta , dominava , incontrastato , il magnifico tempio di Apollo .

Approdato al litorale di Cuma , Enea sali al tempio di Apollo e si soffermò  a guardare le gigantesche porte in oro , decorate con gli antichi miti cretesi.
Dedalo , dice Virgilio , era l’artefice di quelle porte . Lui sfuggito alle insidie di Minosse grazie alle ali di cera , aveva preso terra proprio sull’Acropoli , dove poi , dopo aver posto e consacrato al dio le ali prodigiose , aveva eretto il tempio dalle porte d’oro .
Enea rimase attonito ad ammirare le superbe sculture delle pareti del tempio raffiguranti la morte di Androgeo ( figlio di Minosse ) ,la storia del labirinto ,  le immagini del Minotauro , il tributo di sangue che gli ateniesi dovevano pagare ogni anno a Minosse , Pasife e  la storia di Arianna .

Questa immagine molto suggestiva che arriva  dal passo virgiliano , suggerisce a tutti noi l’idea di una tradizione misterica e culturale che dall’antica Creta monoica sia giunta fino a Capua , portanto con se il culto di una misteriosa divinità di nome Ebone , raffigurata come un toro dal volto umano barbuto. Il suo culto era  amministrata da un collegio sacerdotale che prevedendo dei riti segreti ed iniziatici che si svolgevano in un Tempio ubicato nei pressi della Piazza della Selleria , nel quale su di in un’area rotonda Ebone era raffigurato insieme alle sirene ed al fiume Sebeto .

Dedalo, era un uomo dall’ingegno straordinario tanto che si racconta che fosse stato allievo del dio Ermes o secondo altri della dea Atena. Egli godeva di una fama straordinaria in tutto il mondo conosciuto grazie alle sue abilità di architetto, scultore e inventore.
Abitava ad Atene, dove aveva un avviato laboratorio. Molti apprendisti lavoravano con lui e tra questi c’era anche suo nipote Talo figlio della sorella.
Questi era uno dei suoi piu’ giovani e geniali apprendisti ; un ragazzo di soli 12 anni divenuto presto famoso ad Atene per aver inventato la sega , la ruota mobile per costruire i vasi ed il compasso .
La sua fama ad Atene divenne tale da offuscare l’immagine dello stesso Dedalo ( il quale tra l’altro rivendicava per se il merito dell’invenzione ) e addirittura si incominciava a vociferare che lo avesse superato in abilita e creatività’.
Dedalo , un giorno , preso da un insano gesto di gelosia e preoccupato dal fatto che il nipote stesse oscurando la sua fama, decise di ucciderlo.
Una mattina si recò con Talo sull’Acropoli, sul tetto del Tempio di Atena e lo spinse giù dal cornicione .
Dopo aver spinto il ragazzo nel vuoto , Dedalo si precipito’ ai piedi dell’Acropoli e chiuse il corpo dello sciagurato in un grosso sacco , proponendosi di seppellirlo in un luogo deserto . Naturalmente , la visione dell’ uomo che a gran fatica trasportava il grosso sacco rendeva curiosi quanti lo incontravano lungo la strada ma egli , alle domande dei passanti , rispondeva di aver raccolto un serpente morto, come la legge prevedeva.
Ben presto pero’ sul sacco apparvero delle macchie di sangue ed il folle delitto venne scoperto .
La notizia fece scalpore. Dedalo tentò di far credere che Talo fosse caduto accidentalmente ma non fu creduto.
Dedalo era considerato un artista eccelso e l’idea che fosse condannato per omicidio faceva discutere l’intera popolazione .
Seguì un lungo processo e alla fine, considerata la sua fama, si decise di rendere piu’ mite la condanna condannandolo al solo esilio.
Rifugio’ a questo punto a Cnosso , presso l’isola di Creta , dove Minosse ,fu ben lieto di accogliere un cosi’ grande architetto gli conferendogli il titolo di ‘artista di corte ‘.
A lui ben presto affido’ diversi incarichi tra i quali la commissione del famoso labirinto di Cnosso, dove rinchiudere il Minotauro e successivamente la moglie Pasife.
Negli anni in cui fu “ospite” a Creta Dedalo diede prova di grandi doti anche in campo architettonico e si dimostrò più volte un “inventore” geniale.
Gli sono state attribuite l’invenzione della scultura Daidala, e delle Agalmata, le statue con occhi aperti e membra mobili rappresentanti divinità.
In seguito si sposò con una schiava del sovrano, Naucrate, innamorata perdutamente della sua bellezza e delle sue abilità artigianali, con la quale ebbe un figlio che cihamarono Icaro .
Negli anni in cui fu “ospite” a Creta lo scultore Dedalo diede prova di grandi doti anche in campo architettonico e si dimostrò più volte un “inventore” geniale.
La sua vita trascorse a Creta tra onori le lussi fino al giorno dell’episodio di Arianna e del Minotauro …….
Facciamo un piccolo passo indietro per capirne a questo punto qualcosa in più’:
Androgeo , figlio di Minosse e sua moglie Pasife , grande atleta dimostatosi presto forte e coraggioso , una volta andato ad Atene per i giochi, vi fu ucciso.
Si dice che fu ucciso dagli ateniesi perché’ avendo vinto troppi premi ai loro giochi , li aveva disonorati .
Minosse infuriato mosse guerra ad Atene sottoponendola e per vendicarsi impose agli Ateniesi il tributo annuo di sette fanciulli e sette fanciulle , ordinando che fossero estratte a sorte e venissero offerte in pasto al Minotauro che si cibava di carne umana . ( era particolarmente feroce perché’ la testa di toro gli conferiva un istinto animale ).
Ma chi era questo orrendo mostro per meta’ toro e meta’ uomo ? Sentite questa :
Pasife ebbe dal marito Minosse 4 figli : Androgeo , Arianna , Fedra e …….Minotauro .
La regina Pasifae (sorella della maga Circe ) moglie di Minosse, un giorno disse al marito che del sesso non le importava proprio niente. Senonché Venere, dea dell’amore, offesa, decise di vendicarsi e tramutò Pasifae in una ninfomane scatenata.
Il re Minosse non sapeva più cosa fare, così decise di confinare la moglie in una zona sperduta dell’isola di Creta e le mise accanto solo persone di sesso femminile.
Ma quell’isolamento risultò inutile: Pasifae s’innamorò di un bellissimo toro che pascolava in quei paraggi .


Nel frattempo Minosse ne combino ‘ una grossa ; era costume, a quei tempi, che il re Minosse sacrificasse, annualmente, a Poseidone il più bello fra i tori dei suoi armenti.
Un giorno, però, Poseidone dio del mare, fece emergere dalle acque un bellissimo toro bianco affinché Minosse, re di Creta, lo sacrificasse a lui per propiziare fecondità e prosperità.
Minosse, invece colpito da tanta bellezza, si rifiutò di sacrificarlo al dio, offrendone un altro al suo posto , pensando bene di tenere lo splendido esemplare taurino per sè e scatenando così le ire del dio
Poseidone arrabbiatosi, per vendicarsi fece uscire di senno la regina , la moglie del re, facendola innamorare del toro. La moglie di Minosse si struggeva dal desiderio di accoppiarsi con l’animale, ma la cosa presentava qualche piccolo problema pratico, oltre che morale.
La regina si rivolse a Dedalo affinche’ l’aiutasse a risolvere il problema ; al toro piacevano solo le vacche, Dedalo, allora, costruì una struttura a forma di vacca di legno , che rivesti’ con pelle bovina , internamente vuota e per completare l’opera, insegnò a Pasife come sistemarvisi all’interno affinché potesse unirsi al toro. Da tale unione nacque una creatura orribile, il famoso e mitico Minotauro, metà toro e metà uomo.


Lo scandalo fu enorme e i I cretesi per prendere in giro Minosse, e ricordargli che era stato tradito anche con un toro ogni volta che lo vedevano passare per le strade gli facevano il segno delle corna, che da quel giorno divenne il simbolo stesso del tradimento.
Una creatura tanto orrida e ferale doveva essere nascosta alla vista del popolo, così Minosse ordinò a Dedalo di progettare e costruire un intricatissimo complesso di stanze, corridoi e gallerie dove imprigionarla: l’atenese obbedì e legò il suo nome a quello del Labirinto di Creta che progettò, fece costruire e per il quale viene ricordato ancora oggi.


Tutto sta che in questo labirinto in cui era nascosto il Minotauro venivano ogni anno sacrificati i giovani ateniesi di cui vi abbiamo parlato.
Nel frattanto ad Atene certo non se la passavano meglio ed ogni anno erano obbligati per ordine del Minosse a sacrificare sette giovani fanciulli e sette giovani fanciulle .
Allora Teseo , figlio del re di Ateniese Egeo si offri’ di far parte dei giovani da sacrificare per cosi’ provare a sconfiggere e uccidere il Minotauro .
Prima di continuare dobbiamo ricordare che Teseo era nato dall’ unione di Egeo con la sua prima moglie ( Etra ) , anche se pare fosse figlio di Poseidone che con inganno giacque con Etra e pertanto in qualita’ di semidio ebbe caratteristiche sia divine che mortali . ( la seconda moglie di Minosse si chiamava ‘ Medea ‘.
Egeo , padre di Teseo era contrario alla sua partenza temendo per la sua vita e la riuscita dell’ impresa e una volta convinto raccomando’ al figlio di issare le vele bianche al suo ritorno , in modo tale che lui potesse vederle e capire subito il successo della spedizione e tranquillizzarsi che fosse vivo . ( non vi erano telefonini ).
Una volta giunto a Cnosso , Arianna ( figlia di Minosse e Pasife ) si innammoro’ perdutamente di lui .
Arianna voleva assolutamente salvare il suo amato e si rivolse a Dedalo affinche’ l’aiutasse
Dedalo , allora consigliò ad Arianna, di dare a questi il gomitolo che gli avrebbe permesso di uscire dal labirinto.
Teseo , sapeva che la pelle del Minotauro era invulnerabile e che invece il suo corno era capace di perforare ogni armatura .
Attese quindi che il Minotauro si addormentasse e uso’ la sua spada per staccare un corno con il quale poi trapasso’ la belva.


Uscito dal labirinto , Teseo salpo’ con Arianna , montando vele bianche in segno di vittoria .
Più avanti abbandono’ dormiente poi , Arianna , sull’isola deserta di Nasso.
Il motivo di tale abbandono e’ rimasto controverso ; si dice che l’eroe si fosse invaghito di un’altra o che si sentisse in imbarazzo a ritornare in patria con la figlia del nemico , oppure che venne semplicemente intimorito da Dionisio ( futuro marito di Arianna ) che in sogno gli intimo’ di lasciarla in quell’isola per poi raggiungerà e farla sua sposa.
Arianna , rimasta sola , inizio’ a piangere , finche’ apparve al suo cospetto il dio Dionisio che per consolarla le dono ‘ una meravigliosa corona d’oro , opera di Efesto che venne poi alla sua morte , mutata dal dio in una costellazione splendente . : la costellazione della corona .
Poseidone , adirato contro Teseo , invio’ una tempesta che squarcio’ le vele bianche , costringendo l’eroe a sostituirle con quelle nere.
Pur di continuare a viaggiare verso il ritorno , ansioso di mostrare la sua vittoria e annunciare la morte del Minotauro egli dimentica di ammainare le vele nere al suo ingresso nel porto .
Egeo , vedendo all’orizzonte le vele nere , credette che suo figlio fosse stato divorato dal Minotauro e si getto’ disperato in mare che dal suo nome fu chiamato Mar Egeo .
Alla morte del padre Teseo viene proclamato re di Atene.
Intanto quando Minosse venne a sapere che ad aiutare sua figlia e Teseo fu Dedalo, e non potendo prendersela con la figlia fuggita insieme all’eroe, pensò di punire Dedalo, rinchiudendolo insieme al figlio, Icaro, nel Labirinto, che egli stesso aveva progettato. L’unico modo per uscire dal Labirinto era evadere volando; ingegnoso come era, Dedalo costruì due paia di ali, uno per sè e l’altro per il figlio. Si raccomandò con Icaro di restargli sempre dietro durante il volo, di non strafare e soprattutto di stare attento a non avvicinarsi troppo ai raggi del sole perchè, le ali, attaccate alle spalle con della cera, potevano staccarsi in quanto il calore avrebbe sciolto la cera.

 

Come non detto, Icaro durante il volo, provando piacere si allontanò dal padre e raggiunse i raggi del sole che sciolsero la cera e lo fecero sotto gli occhi del padre che niente poteva precipitare nel mare dove affogando morì.


Recuperato il corpo del figlio, Dedalo lo portò in un’isola vicina che chiamò Icaria, in onore di Icaro e triste e desolato, volando radente al mare e bagnando spesso le ali, riuscì ad arrivare sano e salvo sino all’Acropoli di Cuma dove costruì un tempio al dio Apollo, consegnando le ali che aveva inventato per evadere dal Labirinto di Creta.
Dedalo, in seguito raggiunge la Sicilia (Agrigento), presso il territorio in cui regnava il re sicano Cocalo, che lo ricevette a corte e diventarono amici .
Al suo servizio Dedalo gli costruisce una diga, fortifica una cittadella per proteggere i tesori del re, edifica su una roccia a picco le fondamenta di un tempio ad Afrodite, installa uno stabilimento termale…
Dedalo visse a lungo con Cocalo e con i Siciliani, dando prova del suo ingegno e costruendo, in Sicilia, moltissime opere.
Tra le opere che gli sono attribuite è da ricordare la costruzione di una grotta artificiale presso Selinunte, dove i fumi che svaporavano dal fuoco erano tali che facevano sudare lentamente, portando alla guarigione i frequentatori della grotta che avevano qualche malanno
Ad Erice, su una rocca che si alzava a strapiombo dove si trovava il tempio di Afrodite, Dedalo costruì delle mura con cui allargò il ripiano sopraelevato sul burrone, che stava alla base del tempio e vi costruì, inoltre, un ariete d’oro di mirabile bellezza.
La zona in Sisilia di S. Angelo di Muxaro viene identificata da alcuni con l’antica Camico e legata alla leggenda di Cocalo e Minosse. Qui, oltre ad alcune tombe somiglianti alle ‘tholoi’ cretesi-micenee, furono rinvenute quattro coppe d’oro, di cui solo una conservata al British Museum.
Nel frattempo Minosse aveva allestito una grande flotta con la quale lo cercava ovunque portando con se una conchiglia di Tritone e un filo promettendo, in ogni luogo dove si fermava, una grossa ricompensa a colui che avesse saputo far passare il filo tra le spire della conchiglia. Minosse sapeva che nessuno sarebbe stato in grado di risolvere il problema, eccetto Dedalo.
Il re di Creta Minosse, venuto a conoscenza della fuga di Dedalo in Sicilia, organizzò una spedizione esbarcò con le sue navi in una località nel territorio di Agrigento, che fu poi chiamata in suo onore Minoa, e per trovare Dedalo si servì del suo particolare stratagemma: promise come sempre una grossa ricompensa a chi sarebbe riuscito a far passare un filo attraverso le spirali di una conchiglia di chiocciola.
Cocalo allettato dalla grossa somma di danaro , propose la soluzione a Dedalo che legò il filo ad una formica spingendola in quel nuovo labirinto. Quando Cocalo fece portare la conchiglia a Minosse, questi capì che Dedalo doveva essere nei paraggi e inviò degli ambasciatori affinché chiedessero a Cocalo di restituirgli il fuggitivo.
Cocalo, allora, invitò Minosse e, dopo aver promesso di assecondare le sue richieste, lo invitò a casa sua, dove aveva dei bagni stupendi lavorati da Dedalo e ne concesse l’uso a Minosse, ma mentre questi, per nulla insospettito, si lavava servito, secondo il costume di quei tempi, dalle figlie di Cocalo, le fanciulle, violando le sacre leggi dell’ospitalità, lo affogarono e lo tennero nell’acqua calda fino a quando non morì. Cocalo restituì il corpo ai Cretesi, dicendo loro che Minosse era morto scivolando accidentalmente nell’acqua calda.
I Cretesi chiesero ed ottennero di seppellire sontuosamente il loro re, costruirono una tomba a due piani dove, nella parte nascosta dalla terra posero le ossa ed in quella sopraelevata costruirono un tempio dedicato ad Afrodite.
La leggenda vuole che Minosse per la sua integrità morale e la sua rettitudine fu assunto da Zeus come giudice supremo dell’Ade.
Dedalo, finalmente libero, visse in Sicilia fino alla sua morte. Secondo un’altra versione Dedalo, dopo essere vissuto per molti anni con i Siciliani, si trasferì in Sardegna, dove costruì i nuraghi, chiamati anche dedalei.

Il Tempio di Apollo a Cuma può forse essere considerato il luogo di origine da cui noi tutti napoletani proveniamo . Il luogo dove tutto è iniziato . Secondo la leggenda , fu proprio Apollo , attraverso il suo oracolo più famoso nel Tempio di  Delfo a consigliare ai naviganti greci di andare alla ricerca di nuove terre e fondare la città di Cuma dove  costruire un nuovo Tempio a lui dedicato .

Questi cumani furono gli stessi  poi quelli che  successivamente neglli annia seguire decisero , spostandosi di  far sorgere il primo nucleo urbano  nell’area a valle di Pizzofalcone, sulle sponde del fiume Sebeto che chiamarono Parthenope, solo perchè trovarono tra le genti del luogo molto diffuso , un particolare culto legato ad una sirena, chiamata appunto  PARTHENOPE.

Essa si  chiamava Partenope , dal greco ” “vergine” e venne a morire sulle spiagge di Opicia ( cosi’ detta dagli antichi Opici , abitanti della Campania)solo perchè  affranta per non aver saputo ammaliare con il suo canto l’eroe Ulisse ( che aveva dato ascolto ai consigli di Circe ). Delusa , amareggiata e ferita nel suo orgoglio ,  si getto’ dall’isola ( i Galli o Capri ) ed il suo cadavere fini’ trasportato dalle onde sull’isolotto di Megaride dando luogo al culto di Partenope che fu vivo per secoli.
La citta’ le costrui’ un sepolcro e ogni anno con libagioni e sacrifici di buoi onoravano Partenope innalzata a prima vera protettrice della citta’.
Davanti alla sua tomba si celebravano giochi ginnici e attorno al sepolcro la citta’ con il tempo eresse le sue formidabili e maestose mura.

L’ubicazione del sepolcro di Partenope non è mai stata stabilità con certezza ,ed ancora oggi divide storici, antropologi ,archeologie letterati .

Il primo luogo che venne da tutti ipotizzato fu quello che  si ritiene sorgesse nella zona portuale , presso la foce del Sebeto, ai piedi del Castel dell’Ovo, sull’isolotto di Megaride ( quando questo era ancora unito alla terraferma ) e per la precisione nelle fondamenta dell’attuale chiesa di Santa Lucia a Mare che è stata innalzata  sulla struttura di una primitiva basilica Paleocristiana . In questo luogo , molto tempo prima che si arenasse la sirena , secondo antichi greci già esisteva un antico porto con una famosa torre  . Si tratta della mitica Torre di Falero ,  punto di osservazione di un antico porto greco che pare fosse il vero punto di approdo della povera Partenope sbattuta dal mare.

Eumelo Falero , fu il mitico eroe greco Ateniese ( arciere ) compagno di Giasone , che partecipò insieme ad altri protagonisi alla spedizione degli Argonauti alla volta della conquista del Vello d’Oro, cioè del Vello ( mantello ) magico dell’ariete Crisomallo , che secondo la leggenda aveva il potere di guarire le ferite . Esso, secondo leggenda  fu donato da Frisso , figlio de re Atamante al re Aiete che regnava in Colchidia quale ricompensa per averlo accolto dopo il lungo viaggio fatto in volo su un montone dal vello  d’oro che aveva salvato lui e la sorella da morte certa in un sacrificio agli Dei magistralmente architettato dalla loro crudele matrigna con la complicità di corrotti sacerdoti . Aiete lo appese ad una antichissima e gigantesca quercia , davanti alla quale pose a guardia un drago . Da quel momento non c’era eroe greco che non sognava di conquistarlo .Qualcuno tentò ma ben presto tutti capirono che era un’impresa impossibile .

Falero  , reduce dalla vittoriosa impresa , decise di continuare il suo viaggio nel Mediterraneo sbarcando , intorno al 1225 a.C. ai piedi dell’attuale collina di Pizzofalcone . In questo luogo con i suoi fedelissimi uomini , abituati a solcare i mari e a fondare città , costruirono , in quell’area poi denominata Megaride , un piccolo borgo fatto di semplici abitazioni che affacciavano su una piccola insenatura e costituirono forse il primo antico porto della nostra città che diede luogo più tardi alla importante Fratia degli Eumelidi che aveva la sua sede nell’attuale Largo Donnaregina ,  Essa venerava Eumelio Falero, dio patrio ritenuto da molti primo mitico leggendario fondatore della nostra città. Questa era una delle principali Fratie considerata all’epoca molto potente e prestigiosa che pare occupava , nella Regione Palatina , la zona fra Santa Patrizia , Santa Maria Donna Regina e l’Arcivescovado . Dedicate a questa Fratia , troviamo presenti in città alcune importanti iscrizioni che testimoniano la sua presenza . Molto importante tra queste sicuramente quella ritrovata su un massiccio piedistallo , sul quale probabilmente doveva ergersi una statua di Eumelo , scoperta presso la chiesa di Santa Maria Rotonda , all’angolo di Mezzocannone .

N.B. Quindi prima della Dea Sirena , arrivò sulle nostre coste  un eroe Argonauta e la città si chiamava Phaleros e non Partenope e la mitica Torre non era altro che un monumento dedicato al fondatore della città , eretta nel punto dove , possiamo presumere egli prese terra .

Il secondo luogo dove  invece si ipotizza si trovava un tempo , tanti secoli fa ,  il sepolcro di Pertenope pare  trovarsi nell’ altura di Pizzofalcone , in Via Nicotera dove in un’antica necropoli son state  rinvenute alcune strane tombe scavate nei banchi di  tufo .

Il terzo  luogo oggetto di studi ed ipotesi trova invece collocata la tomba di Partenope , nella Basilica di San Giovanni Maggiore come sembra dimostrare una lapide che si trova  nel suo interno su cui sono incise le parole : “Omnigenum Rex Aitor Scs Ihs Partenopem tege fauste” (o sole che passi nel segno del mese di gennaio, generatore di tutti i beni, proteggi felicemente Partenope).

Una quarta  ipotesi colloca invece il sepolcro nel sito più alto all’epoca della città e quindi a Sant’Aniello a Caponapoli , in cima alla via del Sole , presso l’antico Tempio della Fortuna . Questo è stato per lungo tempo il luogo in cui maggiormente si è sempre creduto che la tomba di Partenope sia effettivamente celata  e alcuni ritrovamenti archeologici venuti alla luce  a seguito dei bombardamenti della seconda guerra mondiale, fecero in qualche modo a tutti sperare che finalmente il sepolcro di Partenope con il suo Tempio fosse stato finalmente ritrovato . In seguito a questi bombardamenti  il pavimento della navata centrale della chiesa sprofondò e  vennero alla luce delle mura greche del quarto secolo e mura romane del secondo, ma dopo acurate ricerche della  tomba della famosa sirena non fu trovata alcuna traccia.  A seguito degli scavi, nessun sepolcro di tale portata venne scoperto ma solo cinta murarie.

Una quinta ipotesi la colloca invece sotto la fontana di Spina Corona ,  una fontana del 500 in marmo bianco , ubicata nel centro antico di Napoli addossata alla  Chiesa di Santa Caterina  in Via Giuseppina Guacci Nobile . La fontana , totalmente in stile barocco, e soprannominata in modo pittoresco dai napoletani ” la fontana delle zizze ” , mostra una sirena alata e nuda, ritta tra due monti che versa, in una vasca rettangolare e sottostante, l’acqua che le scaturisce dalle mammelle (zizze in napoletano) sul Vesuvio lambito da rivoli  di lava ed un violino. Al di sopra di esse  si trovava una epigrafe in marmo , ormai perduta , su cui era incisa la frase” Dum Vesevi Syerena Incendia Mulcet ”  (mentre la sirena mitiga l’ardore del Vesuvio ). Una esortazione  alla protezione divina della città contro la furia del fuoco vulcanico .  Sembra, infatti, che i napoletani invocassero spesso la dea Sirena per placare l’ira funesta del Vesuvio, particolarmente attivo in quegli anni.

Una sesta  affascinante ipotesi parla del sottosuolo del Teatro San Carlo che si trova su di un tratto di terra all’epoca  molto più vicino al  mare. L’affascinante ipotesi che vede costruire un Teatro sopra il sepolcro di Partenope sembra avvalorata sia per la vicinanza al mare , che per la vicinanza del posto al mondo del canto e rafforzata dalla presenza di una statua che la raffigura proprio sul tetto nell’atto di incoronare due entità alate quali la musica e la poesia . 

 

 

Parthenope divenne lentamente un’ importante citta’ della Magna Grecia , totalmente impregnata della relativa civilta’, cultura, etnia, pur essendo del tutto autonoma sia amministrativamente che politicamente. La citta’ risenti’ infatti fortemente dell’influenza ateniese. Ci furono grandi traffici commerciali tra le due citta’ e questi continui contatti favorirono e portarono grandi vantaggi sia in crescita culturale che civile.

Nei due secoli successivi ,Parthenope , pesantemente minacciata dagli Etruschi e dai Sanniti non ebbe grande sviluppo urbanistico. Ricordiamo infatti che mentre i greci occuparono tutta la costa , gli etruschi occuparono tutta l’entroterra campana avendo in Capua la loro capitale ed estendendosi dietro al Vesuvio fino a Fratte e Pontecagnano ( Salerno ).
Nel 524 a.c., gli Etruschi assalirono Cuma , non riuscendo ad espugnarla ma la loro pressione fu comunque un forte vincolo allo sviluppo di Cuma che comunque perse la roccaforte di Partenope .

CURIOSITA’; Pare , secondo alcuni studiosi  , che la perdita di Partenope  divenuta da piccolo e tranquillo borgo ,una prospera e popolosa città , fece un tantino ingelosire la stessa Cuma , che spaventata dal suo enorme sviluppo non si prodigò più di tanto nel difenderla , preferendo quindi perderla e vederla distrutta .

I Cumani e gli Etruschi ,animati dalle stesse ambizioni di dominio e di crescita per anni furono in guerra e dopo tante battaglie gli Etruschi furono definitivamente battuti in un epico scontro a mare che sancì la definitiva supremazia greca sul territorio campano .Fu una data storica ed importante ( 474 a.C.) poichè i cumani  , alleati con il tiranno di Siracusa Serone , vincendo questa  battaglia contro gli etruschi  ripresero il tranquillo dominio della zona.

Dopo quattro anni dalla vittoria sui rivali i Cumani decisero di espandersi e quindi  edificare una nuova più grande città per avere il pieno controllo di tutto il golfo e dei suoi traffici.

CURIOSITA’: Un’altra leggenda vuole che sia stato il Dio Apollo in persona a consigliare ai Cumani di cercare il sepolcro di Partenope e di erigere una nuova città in suo nome, a seguito di una grande pestilenza che minacciò Cuma e decimò la popolazione.

Fondarono quindi  a poca distanza da quel vecchio  primo impianto a suo tempo perso ,in appena dieci anni , un’altra citta’, nella zona pianeggiante , che fu chiamata Neapolis , ” la città nuova . La piccola Partenope divenne così di conseguenza la città vecchia cioè  Palepolis  ( si ergeva sulla collina di Pizzofalcone ).
Si tratto’ in effetti di una nuova zona urbana , a poca distanza dalla prima costituendo con questa una sola polis ( il cui confine era il fiume Sebeto ).

Neapolis , cioe’ la citta’ nuova fu la sede definitiva di quella colonia greca che quindi partita da Eubea si fermo’ prima a Pithecusa ( Ischia , isola delle scimmie ) e poi a Cuma . Parthenope fu invece poi chiamata Palepoli cioe’ citta’ vecchia .

L’antica Neapolis venne  eretta  come tutte le città greche in base a precise osservazioni astronomiche , definendo un particolare rapporto fra la situazione terrestre e quella cosmica , e riproducendo sul terreno la configurazione del cielo al momento della sua fondazione  ( a dir la verità questa concezione era anche nota anche agli Etruschi che  affermavano di averlo appreso dagli Dei  , i quali a sua volta  lo  trasmisero poi  ai romani ).

Nella volontà  dei  Cumani , quando costruirono  la nuova città  in  essi vi era  il desiderio di costruire una città all’insegna del Sole e quindi al dio Apollo che già veneravano a Cuma dove come abbiamo visto si trovava un Tempio a lui dedicato sull’Agropoli .

I coloni greci di Cuma, intorno al 470 a.C., progettarono l’antica Neapolis con una griglia stradale rigorosamente ortogonale anticipando le regole di Ippodamo. Le tre strade principali sono chiamate decumani e le ventuno strade minori ortogonali sono chiamate cardini. Il decumano superiore è ora via Sapienza, via Pisanelli e via Anticaglia; il decumano principale è via dei Tribunali; il decumano inferiore è Spaccanapoli che punta direttamente sulla collina di Sant’Elmo. Tra i principali cardini ricordiamo via San Gregorio Armeno (noto come la via dei presepi), via del Sole e via Duomo.

Un recente  studio archeoastronomico dimostra che l’orientamento e le proporzioni della griglia stradale dell’antica Neapolis greca,cioè  l’attuale centro storico di Napoli, furono scelte in modo che la città potesse essere riconosciuta come la città di Helios/Apollo (il dio del sole dei greci) e di Partenope.  Lo stesso studio dimostra che la griglia stradale di Neapolis , e quindi lo scorrere delle strade e della vita della città , fu progettata come un microcosmo ispirato dalla cosmologia di Pitagora basato sull’armonia della sezione aurea che metteva il sole divino al centro di un universo armonico di dieci sfere concentriche.  Neapolis fu quindi concepita volutamente nella sua costruzione come la città del sole ed il dio Apollo era una delle divinità il cui culto era maggiormente praticato insieme a quello dei Dioscuri e di Demetra.

CURIOSITA’: Napoli è l’unica città che nel solstizio d’estate e nel solstizio d’inverno raggiunge l’angolatura di 36 gradi: l’angolo aureo, segno del benestare di Apollo, simbolo sacro pitagorico.

L’organizzazione urbana della città e quindi il modo di vivere dei cittadini venne stabilita con una precisa organizzazione religiosa attribuendo ad ognuna delle tre Platee napoletane le tre maggiori divinità corrispondenti appunto al Dio solare Apollo , Demetra ed i Dioscuri . Una tripartizione culturale che come vedremo , intendeva sottolineare l’idea della polarità tra un principio celeste , luminoso e maschile ed un principio femminile , terrestre e notturno .

Ad Apollo fu attribuito la Platea superiore e a Demetra quello inferiore e tutto questo aveva un suo preciso significato e fu il vero motivo per cui  la  costruzione della città , inizialmente essa  venne volutamete costruita secondo una diversa angolatura rispetto a quella consetua . Gli antichi greci cumani ,invece di seguire il corso naturale della costa orientata a 40 gradi , costruirono Neapolis secondo  un’angolatura diversa posizionata fra i 23 ed i 24 gradi .  La città venne costruita orentando il suo polo  superiore verso il dio Sole ed il suo ciclo vitale , mentre la zona più bassa , in prossimità del mare venne dedicata alla dea della terra Demetra che come madre di Persefone si collega anche alle sirene e agli inferi .

Non lontano dal Tempio di Apollo ,  separato dalla solo piccolo vico chiamato Radius , si trovava anche un Tempio dedicato al Dio Nettuno . Esso era sostenuto da alte e grosse colonne di marmo cipollino senza basi e capitello ed occupava con la sua bella facciata parte dell’attuale via tribunali , sorgendo sul  sito dove oggi si trova  il campanile del Vescovado che venne poi fondato sopra una parte delle sue rovine . Dinanzi al pronao , o vestibolo del Tempio , nel luogo dove ora c’è la guglia di San Gennaro, in Piazza Riario Sforza ( un luogo un tempo denominato  appunto ” guglia del vescovado ” ) , si ergeva posto sopra un alto piedistallo  marmoreo , un colossale meraviglioso cavallo imbizzarrito di bronzo considerato come sacro al Dio del mare.

Esso è rimasto in quel luogo , fino al Medioevo, periodo in cui intorno alla sua figura aleggiava una strana leggenda . Si diceva infatti che  fosse stato scolpito dal mago Virgilio ,con una stregoneria e che tale statua avesse il potere di guarire i cavalli malati. . Lì si portavano gli animali malati ornati di ghirlande di fiori e tarallini (simbolo del grano e della fertilità) che, per guarire, dovevano girare tre volte intorno alla statua .
Il colossale cavallo spari’nel 1322 per decisione dell’arcivescovo, il quale mal sopportava tali riti pagani , le credenze e le superstizioni attorno a quella scultura .
La statua poi fu fusa perché tali riti pagani erano invisi alla chiesa. Il corpo, si dice, servì per forgiare le campane del Duomo (  c’è chi racconta che quando suonano, tendendo l’orecchio si sente il nitrito del cavallo di Virgilio ) mentre la testa salvatasi dalle barbarie dei tempi è oggi  esposta nelle sale del Museo Archeologico Nazionale (una copia è nella stazione Museo della Metropolitana di Napoli e un calco di terracotta , si trova nell’ atrio del palazzo di Diomede Carafa, Duca di Maddaloni, ai Decumani .

CURIOSITA’: Il cavallo aveva per i napoletani un grosso significato in termini di orgoglio e liberta’ poiche sessantanove anni prima , in occasione della conquista della città da parte di Corrado IV; questi aveva fatto mettere al cavallo un freno che lo imbrigliava , in segno di dominio sul popolo napoletano.
In tal modo il cavallo divenne simbolo della città di liberta’ e orgoglio .

Il colossale cavallo sfrenato fu come gia detto fuso integralmente, ma una certa corrente, nel corso dei secoli, ha condotto una mistificazione dei fatti, narrando che fosse stata risparmiata la testa, e che essa fosse quella presente nel palazzo Carafa in via San Biagio dei Librai . Ma in verità , Del Corsiero del Sole ( il cavallo di bronzo ) non esiste più alcun pezzo e la testa di proprietà di Diomede Carafa è tutt’altra scultura . Essa è  una testa di cavallo realizzata a Firenze da Donatello .
La Testa di cavallo è  infatto solo la  parte di un monumento equestre che Donatello avrebbe iniziato per Alfonso V d’Aragona, re di Napoli dal 1442 al 1458. Il monarca ambiva ad ottenere un monumento equestre a lui dedicato, simile a quello che Donatello stava concludendo a Padova per il Gattamelata, per collocarlo al centro dell’arco superiore dell’immane portale di ingresso a Castel Nuovo a Napoli, una delle opere più imponenti e ambiziose del primo Rinascimento italiano.
Desideroso da tempo di avere Donatello a Napoli per impegnarlo nella realizzazione del portale di Castel Nuovo, iniziato nel 1453, Alfonso riuscì a raggiungere l’artista grazie all’appoggio del mercante fiorentino Bartolomeo Serragli, agente di tante commissioni ad artisti fiorentini per committenti napoletani e di acquisti sul mercato antiquario per collezionisti di Firenze.
Nel febbraio del 1453 il Serragli inviò un proprio intermediario a Padova per stipulare un accordo con Donatello e pagargli un anticipo per “un cavallo di bronzo ancora da fare”.Nell’autunno del 1456 il Serragli effettuò altri pagamenti all’artista, che doveva aver portato a buon punto la parte superiore del monumento. Motivo ispiratore dell’opera fu probabilmente la Testa di cavallo antica che Donatello aveva visto a Firenze nel giardino di Palazzo Medici.
Di lì a poco però lo scultore dovette abbandonare l’opera bronzea non riuscendo a far fronte alle troppe commissioni, e nel 1457 andò a Siena, per poi tornare a Firenze solo nel 1461. Nel frattempo nel 1458 morirono sia re Alfonso che il Serragli. Il monumento di Donatello per Castel Nuovo rimase incompiuto, anche perchè il successore sul trono di Napoli, Ferrante I, non aveva l’interesse e il denaro per portare avanti i lavori dell’immane portale, ripresi solo nel 1465 e conclusi nel 1471.
Nel 1466 morì anche Donatello e l’opera a quel punto , seppure incompleta , fu inviata a Napoli da Lorenzo de’ Medici nel 1471, proprio nell ’anno in cui fu compiuta la conclusione del portale.
Ferrante d’Aragona, successore di Alfonso, decise di donare la testa , oramai inutilizzabile per l’Arco, a Diomede Carafa, illustre rappresentante della corte aragonese in città.
Quando il palazzo passò dai Carafa al marchese Santangelo, la testa di cavallo del cortile fu trasferita al Museo Nazionale al quale fu donata dai principi di Colubrano che erano sul punto di vendere lo storico Palazzo . Il Santagelo ne fece eseguire una copia in terracotta dipinta, collocandola sul piedistallo originale
Da quel momento la sostituita copia in terracotta ha continuato ad essere per due secoli l’attrazione di quel cortile. Impossibile non affacciarsi almeno una volta a contemplarla. Ma anche la copia col tempo , esposta alle ingiurie del tempo e delle intemperie si è deteriorata e ad evitare il peggio è intervenuto un provvidenziale restauro .

Il grande bellissimo cavallo era condiderato un vero capolavoro capolavoro di arte bronzea e rappresentava il massimo grado di perfezione in cui era giunta l’arte in quei tempi lontanissimi . Esso come vi abbiama accennato era dedicato a Poseidone , il  Dio del mare, dei cavalli e dei terremoti.(  Scuotitore della terra )

A Neapolis , quindi  già come detto , il  Tempio di Nettuno ( in romano ) o Poseidone ( in greco )  si trovava pressapoco dove ora sorge piazzetta Riario Sforza , alle spalle della nostro Duomo  , ma il suo più grande Tempio in Campania  oggi  a noi rimasto con un’architettura straordinariamente integra, è però il Tempio di Nettuno di Paestum che fu costruito intorno alla metà del V secolo . Esso conservatosi magnificamente grazie al  secolare stato di abbandono del sito, verificatosi attorno al IX sec. d.C. ed il suo successivamente all’impaludamento ,  viene considerato come l’esempio più perfetto dell’architettura dorica templare in Italia e in Grecia..

Il Tempio sorge su di un basamento a tre gradini su cui si imposta un colonnato di 6×14 colonne doricche   , la cui pianta  composta  di tre ambienti, mostra al suo centro la sede della statua di culto ( la cella di m. 3,30) .

Diviso in tre navate da due file di due ordini sovrapposti di sette colonne doriche ( caratterizzati da un assotigliamento che va dal basso vero l’alto ) ,su cui venivano a poggiare le capriate del tetto.

Il cosidetto Tempio di Nettuno di Pozzuoli è in realtà sinvece solo cio che resta di un grande edificio termale disposto su tre livelli digradanti verso il porto utilizzati fino al IV secolo d.C. e poi abbandonato presumibilmente a causa delle difficolta di mantenere operativo il complesso sistema di approvigionamento idrico e quindi il suo  funzionamento

A far comunque parte dell’area chiama” Palatina ” vi era anche a Neapolis ,  un Tempio di ordine corinzio dedicato ai  Dioscuri , due eroi nati da un uovo considerato nella mitologia greca classica come un simbolo ” cosmico “. Due eroici miti greci costretti , pur di stare  insieme a vivere e a morire ciascuno di loro a giorni alterni .

Il Tempio  fu  fatto erigere da Tiberio Giulio Tarso in onore di Castore e Polluce e  fu  poi perfezionato e  consacrato da Pelagone ,un  liberto e procuratore di Augusto .Esso  sorgeva nella Piazza Augustale , ossia nell’odierna Piazza San Gaetano , in quel luogo  cioè dell’antica città greco-romana Neapoli in cui il  vecchio decumano maggiore si allargava a formare l’ agora’ , il foro del tempo romano, centro della vita cittadina politica , religiosa e commerciale di quei tempi .

Il Tempio  con la sua superba mole ,era considerato in quei tempi uno dei più sontuosi edifici della Napoli antica  innalzandosi  in zona maestoso ed elegante . La sua alta facciata era composta da  sei colonne di fronte e due sui lati che sostenevano un grosso architrave ed un maestoso cornicione con fregio in cui erano scolpite varie iscrizioni in greco , che sorreggevano un frontespizio trilaterale nel cui timpano si trovavano le effigie di Apollo col tripode , Mercurio col caduceo , il Sebeto in figura umana che versava acqua , Cerere ( Demetra ) coronata di spighe e di papaveri con la  cornucopia in mano ( forse per far notare l’abbondanza ) ed infine vari animali tipici della Campania . Del genere chiamato anfiprostilo esastilo era sostenuto da alte colonne accanalate ,coronate da leggiadricapitelli corinzi , conteneva nella sua pianta ,una vasta scalinata ,un vestibolo ,una cella e un doppio portico , ad esso si accedeva da una vasta scala che portava ad un doppio portico .

Due delle antiche colonne che sostenevano il Tempio secondo molti studiosi sono ancora oggi incastrate nel frontespizio del Tempio dei Dioscuri ( oggi Basilica di SanPaolo Maggiore ) nella  porzione dell’architrave dove si ritrovano in basso i dorsi di Castore e Polluce.
Questi mitici gemelli   , sono stati venerati per secoli nella nostra città nell’attuale Piazza , un tempo chiamata Piazza Augustale  ed il loro tempio rimase intatto fino al terremoto del 1688 quando crollò del tutto  lasciando intatte solo due colonne ed il dorso dei Dioscuri .
CURIOSITA’ : Per lungo tempo la piazza dove sorgeva il Tempio dedicato ai due gemelli ,  ebbe il nome di Piazza Augustale o di Mercato vecchio , poiche’ sotto il porticato della piazza vi si trovavano botteghe di commercianti e cittadini provenienti da ogni parte in preda a frenetiche contrattazioni . Il luogo era il vero cuore della vecchia Neapolis , animato e frequentato da greci, romani ,siriani , alessandrini ,egiziani tutti misti tra loro con l’ unico intento di realizzare un buon affare.

 

 

Zeus , secondo la mitologia greca sedusse Leda , moglie di Tindaro , re di Sparta , sotto le sembianze e la forma  di un cigno : una bella rappresentazione di questo congiungimento carnale è presente nel sensuale affresco presente nella camera da letto della famosa Domus di Leda ed il cigno , una antica abitazione  rinvenuta, nella meravigliosa Pompei ,  lungo via del Vesuvio .  Una scena  ‘ad alto tasso di sensualità’  che vuole ricordare come dal doppio amplesso, prima con Giove e poi con Tindaro, nasceranno, fuoriuscendo da uova, i gemelli Castore e Polluce , cioè i Dioscuri.

Castore e Polluce,  detti anche Dioscuri erano infatti ufficialmente due gemelli figli di Leda e del re spartano Tindaro , ma  si narra  secondo pettegolezzi dei miti greci che Leda, la loro madre, li avesse concepiti separatamente, unendosi nella stessa notte prima con Zeus e poi con suo marito : dall’unione con il dio sarebbe nato Polluce, dotato di natura immortale; da quella con Tindaro il mortale Castore ( Zeus da buon seduttore e dongiovanni  si era trasformato in cigno perer sedurre Leda )

 

Leda ritratta in un amplesso con Giove trasformato in cigno nella Domus intitolata 'Leda e il cigno'

I due gemelli erano inseparabili e sempre uniti nel compiere le loro imprese.: Castore era un grande domatore di cavalli, Polluce era invece un grande pugile  ed entrambi nelle loro discipline risultarano essere i vincitori nelle prime Olimpiadi  greche.

I due eroici miti greci fratelli parteciparono a numerose imprese: aiutarono gli Dei dell’Olimpo contro i Giganti, parteciparono alla spedizione degli Argonauti con la  spedizione per la ricerca del Vello d’oro ed alla caccia contro il cinghiale Calidonio. Durante il viaggio verso la Colchide Polluce inoltre mostrò tutto  il suo valore, sconfiggendo e uccidendo in una sfida di pugilato il violento e tracotante Amico, re dei Bebrici.

 

Il fratello del  re spartano Tindaro, di nome Afareo  era anche lui  padre di due gemelli:  Idas e Linceo . Il destino volle che questi cugini  oltre ad avere in comune il fatto di essere gemelli avevano in comune anche l’amore per  due giovani sacerdotesse di Apollo  figlie di Leucippo, re di Messenia, già promesse in matrimonio a Ida e Linceo. .Castore  e Polluce le rapirono allo scopo di  sposarle ma purtroppo  ignoravano che le ragazze erano già state promesse spose ai cugini gemelli  .Questi ultimi, vistosi sottratte le fanciulle, si misero  all’inseguimento dei Dioscuri e finalmente riuscirono a  raggiungerli  presso la tomba di Afareo. Castore e Polluce, preparandosi alla lotta  si posero in agguato  nascondendosi  nel tronco cavo di una vecchia quercia. Linceo, che aveva il dono di penetrare tutto con gli occhi, li scoprì, e Idas, scagliando la sua lancia attraverso l’albero, uccise Castore. Furente Polluce in un un violentissimo scontro uccise con la sua lancia  Linceo.  A  questo punto il gigantesco Ida divelle la stele tombale di Afareo e la scagliò contro Polluce, stordendolo . Egli era pronto a scagliare la sua lancia  contro Polluce, quando venne folgorato da un fulmine lanciato  da  Zeus, che intervenne per proteggere suo figlio.  Rimasto privo del fratello, Polluce non si rassegna alla solitudine e chiede a Zeus di rinunciare al privilegio dell’immortalità. Zeus accoglie la sua richiesta e concede ai due fratelli di abitare, a turno, un giorno sull’Olimpo e un giorno nella loro tomba a Terapne, nel territorio dell’amata Sparta.

Polluce, afflitto da un incommensurabile dolore per la morte del fratello , rimasto solo ,  chiese al padre  Zeus di non separarlo da Castore e di accettare in cambio anche la rinuncia al privilegio dell’immortalità. Zeus accoglie la sua richiesta e concede ai due fratelli di abitare, a turno, un giorno sull’Olimpo e un giorno negli inferi ,nella loro tomba a Terapne, nel territorio dell’amata Sparta.  Zeus, visto il loro profondo legame , gli concede inoltre di vivere per sempre nel cielo, sotto forma della costellazione dei gemelli .

Sorella di Castore e Polluce , figlia di Leda e Re Tindaro era anche la famosa Elena rapita da Paride , con la quale i due gemelli avevano  , in qualità di fratelli maggiori , un particolare rapporto di protezione  : quando la fanciulla, ancora giovanissima, viene rapita da Teseo, essi infatti subito accorsero  a liberarla con un intervento fulmineo ma nulla poterono quando venne invece rapita da Paride per i precedenti problemi accaduti con Idas e Linceo  ed in questo caso poterono solo proteggere la nave che portava la sorella verso Troia, cavalcandole a fianco  a difesa delle onde furiose. Il mito racconta infatti che Poseidone avesse loro affidato il potere di dominare il vento dei mari e per questo motivo erano venerati come protettori  dai marinai  e divinità  sempre pronti a soccorrere coloro che si trovavano in difficoltà in mare . Venivano identificati  con i cosiddetti fuochi di sant’Elmo  come vennero chiamate dai naviganti le manifestazioni di elettricità atmosferica che talvolta di notte apparivano sugli alberi delle navi  o con stelle la cui apparizione annunciava la calma sul mare. Rappresentati come dei   dotati di ali si pensava attraversassero in volo il cielo per accorrere in aiuto delle navi durante le tempeste.

Il loro culto, nacque a Sparta ma   si diffuse rapidamente in tutta la Magna Grecia specialmente perché li si venerava come protettori dei navigatori,  (  la Magna Grecia era appunto una nazione di grandi navigatori )

Vennero venerati anche a Roma dove venivano celebrati nel tempio che si trovava nel Foro Romano, per effetto di una antica leggenda . Questa  narra che i due fratelli comparvero durante la battaglia del Lago Regillo, e aiutarono la vittoria dei romani, mettendo in fuga l’esercito dei Latini. Il risultato della battaglia, inizialmente sfavorevole ai romani ,secondo la leggenda pare sia stato deciso proprio  dall’apparizione dei mitologici Dioscuri, che, sotto forma di due giovani cavalieri di splendore divino, si posero  alla testa delle truppe romane trascinandole alla vittoria. Finita la battaglia, scomparvero per ricomparire sul Foro romano, dove abbeverarono i loro cavalli ed annunciarono la vittoria alla popolazione.

 

Per celebrare questa vittoria Il 15 luglio si svolgeva una  processione verso il tempio, a cavallo, dato che i Dioscuri erano cavalieri ed a Roma erano ricordati e rappresentati  come aurighi o cavalieri in nudità eroica  su di un cavallo con in testa un copricapo ( pileo ) a forma di guscio ( per ricordare che erano nati da un uovo fecondato da un Dio ) e recante con se una lancia .La loro immagine venne  rappresentata per lungo tempo  sul rovescio della principale moneta romana il  denario .

Vengono oggi talvolta considerati anche patroni dell’arte poetica, della danza e della musica.

Nell’antica Napoli il loro tempio si trovava proprio dove ora sorge sulle sue rovine la seicentesca Basilica di S.PAOLO MAGGIORE edificata tra l’VIII ed il IX secolo . Al posto delle statue di Castore e Polluce spiccano oggi le grandi sculture di Pietro e Paolo , propulsori del Cristianesimo nel mondo rappresentando così un altro fantastico luogo in città , sede dei grandi  contrasti    dove l’antico culto pagano , dialoga con la religione di Cristo in una elaborata strana teoria di opposti che coincidono nello stesso posto .

L’ antico Tempio dei Dioscuri è rimasto  intatto fino al terremoto del 1688  che lasciò dopo il suo arrivo intatte  solo due  colonne del tempio pagano e i dorsi dei Dioscuri. Nell’odierna facciata della Basilica , le 2 colonne  scanalate di stile corinzio che oggi vediamo sono infatti  le sole  rimaste delle 8 che  precedentemente sorreggevano il tempio . Pensate che bello doveva essere l’intero colonnato con il timpano sovrastante prima del terribile terremoto . Questo purtroppo oltre a danneggiare seriamente la chiesa  fece crollare le 6 colonne di marmo i cui resti comunque  furono reimpiegati da Domenico Antonio Vaccaro e Francesco Solimena per la decorazione del pavimento e per le paraste della navata centrale dell’attuale  Basilica di San Paolo Maggiore.

 

La Basilica di San Paolo Maggiore fu eretta per celebrare la vittoria sui saraceni , avvenuta nel giorno di S. Paolo . Da Tempio pagano divenne inizialmente Basilica paleocristiana, finche’ nel 1538 fu affidata ai Padri Teatini , ordine fondato da San Gaetano Thiene. (da cui prende appunto il nome la piazza ) . Alle 2 estremità dell’ attuale facciata sotto le statue di San Pietro e di San Paolo , si vedono i dorsi dei Dioscuri che furono trovati , a loro tempo , tra le rovine del tempio pagano.

 

CURIOSITA’ : Per lungo tempo il luogo ebbe il nome di Piazza Augustale o di Mercato vecchio , poiche’ sotto il porticato della piazza vi si trovavano botteghe di commercianti e cittadini provenienti da ogni parte in preda a frenetiche contrattazioni . Il luogo era il vero cuore della vecchia Neapolis , animato e frequentato da greci, romani ,siriani , alessandrini ,egiziani tutti misti tra loro con l’ unico intento di realizzare un buon affare.

Tra la seconda metà del XVI secolo e gli inizi del XVII secolo la chiesa venne restaurata ed ampliata più volte: priva di cupola, oggi, l’ interno vasto e sontuoso ,tipicamente barocco , presenta rivestimenti in marmi policromi e pavimentazione a intarsi marmorei . La pianta è a croce latina suddivisa da tre navate con cappelle laterali .
Qui l’architettura barocca si manifesta in tutto il suo splendore, con i più potenti effetti scenografici delle strutture , dei marmi e delle innumerevoli opere pittoriche di autori del 600 e del 700 napoletano.

 

 

 

La Basilica , risalente alla fine dell’ottavo secolo , si eleva , in posizione scenografica, alla sommità di una seicentesca scalinata a doppia rampa che domina  l’intera piazza San Gaetano , dove forse più che in ogni altro luogo della nostra città si respira il passato di una volta . Tra antiche rovine e storici edifici si raccoglie ogni giorno come anticamente accadeva una enorme folla di persone che con il suo vociare si aggira tra caratteristici  locali  caratterizzati da vecchi sapori . Un luogo  dove confluiscono riti arcaici e memorie di un trascorso ancora presente accerchiato da odori di babà e di sfogliatelle appena sfornate con l’ eco di qualche tamburello e folkloristiche canzoni cantate da un bravo poco conosciuto nuovo artista di strada .

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L’antica Neapolis si sviluppava  intorno ad un quadrato che misurava 2×2 stadi greci (1 stadio è circa 190 m) limitato dai decumani superiore e inferiore e dai cardini di via Atri e via Duomo. Questo quadrato centrale è ruotato rispetto agli assi cardinali di circa un sedicesimo di cerchio e la stella a sedici raggi rappresentava tra i Greci il sole e il dio Apollo. Questo fu anche il disegno della “città ideale” di Vitruvio.

Questo quadrato centrale è diviso in dieci settori dai cardini e definisce un cerchio con raggio uguale a √5 stadi che limita lo spazio della città interna alle mura. Questo cerchio definisce anche un altro cerchio concentrico con raggio uguale a 1+√5 stadi, cioè due volte la sezione aurea, che inscrive un decagono o una stella a dieci punte che, a sua volta, definisce simultaneamente sia lo spazio esterno della città che lo stesso quadrato centrale e la distanza tra i decumani.

Neapolis fu quindi , come vediamo , progettata come un microcosmo ispirato dalla cosmologia di Pitagora basato sull’armonia della sezione aurea che metteva il sole divino al centro di un universo armonico di dieci sfere concentriche.

Immagine relativa al contenuto La Neapolis greca è stata progettata per essere la Città del Sole e di Partenope

 

L’ antica Neapolis greco-romana nella sua architettura urbanistica era quindi  simile ad un grande quadrato ruotato però di rispetto agli assi cardinali di circa un sedicesimo di cerchio  in modo da poter essere contenuto in una stella a dieci punte come il Sole . Essa come vedete è perfettamente contenuta in un’immagine che rappresenta  il Sole e per questo motivo è sempre stata celebrata nei secoli come la ” città del Sole “.

Lo studio archeoastronomico della città ha infatti oggi dimostrato  che l’orientamento e le proporzioni della griglia stradale dell’antica Neapolis greca, cioè l’attuale centro storico , furono scelte in modo che la città potesse essere riconosciuta come la città di Helios/Apollo (il dio del sole dei greci) e di Partenope, l’antenata reale divinizzata e/o la sirena che diede il nome alla città.

CURIOSITA’: Antiche monete  di Neapolis mostrano Partenope, un toro ed una dea alata in posizioni che richiamano il sorgere del sole sopra il Vesuvio durante gli equinozi di autunno quando il sole era nel segno della Vergine che in greco è detto Parthenos da cui deriva il nome Partenope.

La città  era compreso tra le attuali via Foria e Corso Umberto e veniva attraversato da tre grandi strade principali tutte con la medesima precisa larghezza ( 5 mt. e 92 cm.) disposte in maniera parallela da est verso ovest e  tutte rigorosamente  distanti 200 metri una dall’ altra .queste tre strade erano  chiamate decumani ( i decumanus dei romani e plateai dei  greci ) : il maggiore , il superiore e l’inferiore .Essi erano poi  erano intersecati ad angolo retto (disposte da Nord a Sud ) da diverse stradine secondarie e minori dette Cardini ( cardines dei romani e stenopoi dei greci ) che corrispondono ai tanti vicoli del centro storico di oggi.

L’incrocio tra questi assi dava come risultato le insulae, larghe trentacinque metri e lunghe centottantacinque metri  ( antenate degli odierni isolati ).

Il centro nevralgico dei vari incroci era  il “forum”, ossia la piazza principale della città, che oggi corrisponde a piazza San Gaetano.In questo posto si riuniva l’assemblea dei cittadini per discutere le sorti della città ; qui si eleggevano i magistrati , tra i quali alcuni formavano il collegio sacerdotale della Laucerlachia che si occupava di celebrare riti e misteri.

I decumani erano in numero di tre ( forse quattro ) mentre i cardini erano diciotto ed erano tutti uguali nelle loro dimensioni : circa 6 metri per i decumani e 3 per i cardini ( forse anche meno ). Ai lati opposti dei tre decumani vi erano delle porte , in quanto tutta la città era circondata da mura altissime impenetrabili che resistettero persino agli attacchi di Annibale

Il decumano maggiore  ,si trova al centro dei tre decumani  e si estende lungo tutta via tribunali portandosi  da Porta Capuana all’attuale Piazza Bellini dove si trovava la Porta Domini Ursitate che poi si chiamò Porta Donnorso.

Il decumano inferiore iniziava invece da via Forcella dove si trovava la Porta Ercolanese ( chiamata poi Furcillensis ) e proseguiva per via San Biagio dei librai fino  all’angolo di Piazza San Domenico Maggiore deve allora era presente Porta Puteolana ( poi chiamata Cumana ) chiamata poi Porta Reale e successivamente Porta dello Spirito Santo . Possiamo quindi dire che è in realtà  parte dell’attuale Spaccanapoli .

Il decumano superiore (così chiamato solo perchè si trovava più in alto degli altri due) si estende  da Porta Carbonara  chiamata poi S. Sofia che si trovava presso la chiesa dei S.S, Apostoli  fino a Porta Romana nei pressi di Costantinopoli e corrispondeva all’attuale percorso fatto da via S.S. Apostoli , via Anticaglia , via Pisanelli , via Sapienza e Largo Donnaregina .  Attualmente esso prende il nome “Anticaglia” grazie alla presenza di numerosi resti di  costruzioni romane che caratterizzano la zona .In particolare caratterizzano il luogo due archi poco distanti uno dall’altro che cavalcano la stretta via poco dopo il Vico Cinquesanti che rappresentano i resti delle mura  delimitanti l’antico Teatro Romano che qui si trovava.

L’ipotesi di un quarto decumano prevede il susseguirsi di via San Marcellino , via Bartolomeo Capasso , e via arte delle Lana a distanza esattamente uguale a quella degli altri decumani ( 200 metri ). 

Il modo con il quale fu costruita l’ antica Neapolis era lo stesso con cui venivano costruite le varie città romane dove le strade  principali erano ugualmente chiamate ” decumanus “Esse erano costruite ad imitazione degli accampamenti romani ed avevano sempre una porta ad ognuna delle due estremità. Le vie trasversali ai decumani erano chiamate ” cardini “e corrispondono nel nostro centro storico ai nostri stretti vicoli .

CURIOSITA’: Negli accampamenti romani la via principale che attraversava il campo militare da una porta all’altra era chiamata decumanus . La porta principale era chiamata decumana mentre la porta sul lato opposto dove si trovava l’uscita contro il nemico era chiamata porta Pretoria per la vicinanza della tenda del pretore.

Tra i principali cardini via del Sole era uno dei più importanti e non era certo rappresentato da quel piccolo tratto di strada che oggi vediamo mortificato senza alberi tra l’antica caserma dei pompieri , (oggi  un grande edificio vuoto e un enorme portone chiuso, dal quale una volta entravano e uscivano gli automezzi a sirene spiegate ) e l’obrobrio edile  del vecchio Policlinico . Della grande e maestosa , ariosa e alberata grande Via del Sole , oggi è rimasta solo una stretta stradina assolata e senza alberi, che sale dritta verso il decumano superiore . Del famoso l “vicus radii Solis”,( cioè strada del raggio di sole) in onore di Apollo ,  è rimasto purtroppo solo il nome.

L’antica strada, ombreggiata da grandi pini marittimi ,inerpicandosi attraverso campi e orti saliva e conduceva nella parte più alta della città ,dove tra edifici civili , amministrativi e religiosi sorgeva l’ Agropolisi e si trovava  secondo alcuni studiosi , non solo  l’antico Tempio della Fortuna ,  ma dove oggi sorge l’antica chiesa di Sant’ Aniello a Caponapoli , anche l’antico  sepolcro della sirena Partenope .

Da questo luogo , in cima alla Via del Sole , si poteva vedere il mare e il porto con le loro navi panciute da carico all’ancora , la cinta muraria della città e l’immancabile vulcano che incombeva sul golfo .

 

Un ‘altro importante cardine è quello oggi certamente  più famoso di tutti : lo stretto cardine di San Gregorio Armeno , nota come la via dei Pastori ed un tempo luogo dove sorgeva , nello spazio oggi occupato dalla bella chiesa di Santa Patrizia , l’antico Tempio dedicato a Demetra e la casa dove probabilmente venivano formate le sacerdotesse al culto di Cerere.

 

A svelare l’antico culto e tracce dell’importante Tempio sono stati ritrovati in questa zona due incredibili  bassorilievi,  di cui uno posto proprio nela stretta via di San Gregorio , accanto ad una bottega presepiale e l’altro presente invece nell’androne di un vecchio palazzo poco distante da Piazza San Gaetano .

Nella famosa via  San Gregorio Armeno, il bassorilievo , risalente all’incirca al VII secolo a.C. , raffigura una giovane  sacerdotessa  ( canafora ) di Demetra abbigliata con una veste leggerissima  drappeggiata e con un in testa un copricapo a forma di corona : nella mano destra regge una fiaccola ardente mentre nella sinistra cinge una cesta ricolma di oggetti sacri, che porta in processione a Demetra-Cecere . Si tratta , come vedremo di una scena tipica dei famosi Misteri Eleusini legati alla dea ,ovvero riti religiosi misterici di origine greca, praticati nella città di Eleusi e celebrati annualmente nel tempio di Demetra che  ricordavano principalmente il mito di Demetra o Cerere nella ricerca dell’amata figlia Persefone sottratta dal Dio degli Inferi, Ade.

L’altra epigrafe ,  in lingua greca , e risalente stavolta al II secolo D.C. è invece presente poco distante, in un palazzo presente alle spalle di piazza San Gaetano, e racconta la storia di Cominia Plutogenia, sacerdotessa di Cerere appartenente alla magistratura . La lastra , rappresenta una straordinaria testimonianza dell’importanza di cui godeva la donna nella Neapolis greco-romana e dimostra quanto Napoli fosse all’avanguardia per quel che riguarda l’emancipazione della donna già tanti e tanti secoli fa.

Entrambe le raffigurazioni, ci riporta alle Lampadoforie, quelle famose  corse di cui vi abbiamo parlato precedentemente che venivano organizzate in onore di Demetra e Partenope proprio attraverso queste strade.

DEMETRA - bassorilievo

 

Anticamente quindi come possiamo vedere , già nell’antenata Neapolis , dalle nostre parti si dava si dava un’ enorme importanza alla Donna e alla figura femminile in generale, come dimostrano i reperti storici e archeologici rinvenuti nel sottosuolo di Napoli, con templi e riti dedicati alle divinità della fecondità tra cui le maggiori Partenope, Cerere, Diana, custodi di profonde conoscenze legate al concetto di terra-madre.
Così, la chiesa di San Gregorio, si dice sarebbe stata voluta per volere di Sant’Elena mentre il convento fu fondato nel VIII secolo da un gruppo di monache armene fuggite dalla persecuzione con le reliquie del Santo.  Ed è questo luogo che fa da proscenio alle vicende di Santa Patrizia , patrona di Napoli assieme a San Gennaro , fuggita anch’ella dall’Oriente  e che trovo’ ospitalita’ presso l’isolotto di Megaride. Qui sono custodite le spoglie della santa e ogni anno nel giorno di Santa Patrizia (25 agosto ) avviene la liquefazione del suo sangue.

CURIOSITA’: Secondo il folklore popolare, Santa Patrizia è  venerata da tutte le ragazze in cerca di marito.

 

Le feste in onore di Demetra a Neapolis , venivano i celebrate  di notte dalle sacerdotesse napolitane , al chiarore di fiaccole di pino accese e le donne maritate , per tutto il periodo della festa che durava ben nove giorni , erano obbligate di stare lontano dai loro mariti.

Il suo compagno Attis è un misterioso personaggio che la mitologia si è sbizzarita nel conferirgli molteplici origini . Egli secondo numerose antiche  narrazioni era il consorte giovanile di Demetra e come una divinità frigia. suo culto come divinità veniva spesso associato a quello di Cibele ( quando è visualizzata con Cibele, è sempre il, dio minore minore, o forse il suo sacerdotale addetto ). In epoca  imperiale , il ruolo di Attis ,  la cui morte e resurrezione simboleggiava il ciclo vegetativo della primavera, si accentuò gradualmente, dando al culto una connotazione misterica ed esoterica . ( il suo culto venne proclamato ufficiale dell’Impero Romano nel  160 d.C.)

CURIOSITA : In Frigia, “Attis” era sia un nome comune e sacerdotale.

 

Una leggenda narra che Zeus   fosse innamorato di Cibele e cercasse  invano di unirsi alla dea. In una notte di incubi angosciosi, mentre Zeus la sognava ardentemente, ebbe una eiaculazione notturna ed il suo seme schizzò su una pietra generando l’ermafrodite Agdistis . Questi era malvagio e violento e con continue prepotenze oltraggiò tutti gli dei.  Dionisio , perciò, giunto all’esasperazione, volle vendicarsi e architettò ai suoi danni uno scherzo atroce: gli portò in dono del vino e lo accompagnò a bere in cima a un grande albero di  melograno, finché Agdistis si addormentò ubriaco in bilico su un ramo. Con una cordicella Dioniso gli legò i genitali al ramo e, sceso in terra, scosse l’albero con tutta la sua forza. Nel brusco risveglio il malcapitato precipitò, strappandosi di netto i genitali: così Agdistis morì dissanguato, mentre il suo sangue bagnava il melograno e lo faceva rifiorire rigoglioso e carico di succosi frutti.

La ninfa  del Sangario  , il fiume che scorreva nelle vicinanze, sfiorò con la sua pelle uno di quei frutti e rimase incinta di un dio: fu così generato Attis il bello, il grande amore di Cibele. Costei suonava la lira  in onore di Attis e lo teneva perennemente occupato in voluttuosi amplessi.  Cibele innamoratasi di questo pastore frigio ,  lo mise a custodia del suo tempio, a patto che egli si conservasse puro, ma egli mancò la promessa e ingrato e irriconoscente, volle abbandonare quelle gioie e fuggì per vagare sulla terra alla ricerca di un’altra donna. Cibele sapeva bene che nessuna infedeltà di Attis sarebbe potuta sfuggire alla sua vista onnipotente e lo sorvegliava dall’alto sul suo carro trainato da leoni. Colse così Attis mentre giaceva spensieratamente con una donna terrena, convinto che le fronde di un alto pino fossero sufficienti a nascondere il suo tradimento. Vistosi scoperto, Attis fu assalito da un rimorso tormentoso e implacabile, e per punirsi si mutilò con un sasso tagliente. La dea lo tramutò in pino, che è l’albero sacro a Cibele. Nei misteri Eleusini si celebravano la vita e i dolori di questo giovane pastore. I Sacerdoti di Cibele trovano Attis alla base di un albero di pino; muore e lo seppelliscono, evirando se stessi , e lo celebrano nei loro riti alla dea.

CURIOSITA’: Atiis viene considerato il fondatore di Galli sacerdozio di Cibele,   ed i sacerdoti eunuchi di Cibele che si mutilavano , non erano altri che i successori quindi di Attis .

Le due divinità sono sovente raffigurate insieme sul carro divino trainato da leoni in un corteo trionfale . Nelle  cerimonie funebri che si tenevano in suo  onore insieme a Demetra ,  nell’eqinozio di primavera , i sacerdoti della dea, i  Coribanti , suonando  tamburi e cantando  in una sorta di estasi orgiastica, sotto l’effetto dell’ oppio derivato dal papavero  ( fiore sacro a Demetra ) , nel corso della cerimonia  alcuni di loro arrivavano addirittura ad evirarsi con pietre appuntite. Catullo descrive i coribanti come eunuchi  che vestivano da donna.

CURIOSITA’: Virgilio riferisce che nei pressi di Avellino  , nei luoghi in cui oggi sorge il  santuario di Montevergine  si trovava un tempio dedicato alla dea. A tal proposito è interessante notare che ancora oggi Montevergine è un luogo di culto per persone omosessuali e transessuali, che ogni anno, in occasione della  Candelora , si recano al santuario per accendere una candela in omaggio all’icona bizantina della Madonna che vi è conservata.

Nel calendario romano le celebrazioni di Cibele avvenivano nel mese di marzo , fra le Idi, l’Equinozio di primavera ed i giorni immediatamente successivi ed appare subito evidente leggere in essi un’ allusione simbolica alla vicenda delle stagioni, al fiorire della primavera, alla fecondità della terra e tutta la  concezione che l’uomo antico aveva della natura.

Demetra era una Divinità che possiamo considerare triforme  nei suoi aspetti : il primo aspetto era quello di madre  furiosa per la perdita della figlia, il secondo era quello benevola  e amorevole per la figlia ritrovata ed infine il  terzo era quello sotterraneo di Dea lunare dei morti ,considerato indispensabile nell’iniziazione ai Sacri Misteri.

Con il dono dell’agricoltura, fondamento di civiltà, Demetra dette agli uomini il vivere civile e le leggi . Ella donò  infatti  al genere umano la conoscenza delle tecniche agricole: la semina, l’aratura, e la mietitura e per questo motivo era particolarmente venerata dagli abitanti delle zone rurali, in parte perché beneficavano direttamente della sua assistenza, in parte perché nelle campagne c’è una maggiore tendenza a mantenere in vita le antiche tradizioni, e Demetra aveva un ruolo centrale nella religiosità Greca delle epoche pre-classiche. Esclusivamente in relazione al suo culto sono state trovate offerte votive, come porcellini di creta .   Il suo nome era noto anche come Ceres, Cereris, o anche Kerria, in lingua osco. “Ker”, radice indoeuropea, significherebbe ‘colei che fa crescere’.

Per i greci era anche la Dea dei papaveri ( nelle mani reggeva fasci di grano e papaveri ) che portò con se da Creta nei misteri Eleusini dove pare si facesse uso di oppio con questo fiore.

Le notizie sul suo culto  riguardano pratiche orgiastiche (processioni e danze al suono di strumenti a fiato e a percussione) eseguite, pare, a scopi guaritori da operatori sacrali detti anch’essi coribanti e da sacerdoti eunuchi (galli), che diventavano tali autoevirandosi durante la festa della dea a Pessinunte.

Il collegamento tra Cerere e un buon raccolto.era dovuto al fatto che lei era la dea che aveva  insegnato agli uomini la coltivazione dei campi e per questo veniva solitamente rappresentata come una matrona severa e maestosa, tuttavia bella e affabile, con una corona di spighe sul capo, una fiaccola in una mano e un canestro ricolmo di grano e di frutta nell’altra.

Il Tempio di Demetra si trovava nella nostra città al posto dell’antico monastero di San Gregorio ed il suo culto , almeni inizialmente prevedeva comunque sacerdoti eunuchi , strani rapporti sessuali di consacrazione , incalzanti ritmi musicali  e misteriosi finali in cui si abusava di bira ed oppio derivato dal sacro papavero .

 

Le feste in onore di Demetra , denominate  Thesmoforia , in cui si svolgevano sacrifici ed anche un banchetto , erano feste a cui partecipavano solo  donne e le riunioni notturne avvenivano in un sacro recinto (temenos) vicino a un boschetto. Le partecipanti erano sia donne maritate che nubili , spose e madri, mentre le fanciulle erano escluse dagli “orgia”che questa volta non significava  un’ammucchiata sessuale.  L’orgia  in questo caso infatti , era solo  un abbandono e un’estasi, un rito di invasamento, simile ai riti vodoo, facilitati forse da allucinogeni o bevande alcoliche .La vittima ordinaria sacrificata a Demetra era una scrofa gravida . Al sacruario di Demetra le persone di sesso maschile  non potevano accedere.

Gli antichi greci nella fondazione di Partenope prima e Neapolis dopo , portarono con loro l’antico e amato  culto di Demetra e sua figlia Proserpina (chiamata anche  Core o Persefone )  insieme ai suoi misteri  in cui come vedremo sono coinvolte anche le sirene . Pare infatti che le Sirene siano  state un tempo ancelle e compagne della bella Persefone, scelte da Demetra con il compito   di proteggere la figlia poi rapita da Plutone.
Demetra  disperata per la scomparsa della figlia, e furibonda per il fallimento delle sue compagne,  le punì dapprima trasformando in esseri dal corpo di uccello e dalla testa di donna e successivamente in esseri umani  con la coda di pesce affinchè potessero cercare l’adorata figlia anche negli abissi più profondi del golfo .

 

Pare infatti che le Sirene siano  state un tempo ancelle e compagne della bella Persefone, scelte da Demetra con il compito   di proteggere la figlia poi rapita da Plutone.
Demetra  disperata per la scomparsa della figlia, e furibonda per il fallimento delle sue compagne,  le punì trasformando in esseri dal corpo di uccello e dalla testa di donna.
( le Sirene della mitologia greca,  con la coda di pesce giunsero nell’iconografia popolare in un secondo momento ).

 

 

 

 

Proserpina figlia di Demetra ( Cerere) , apportatrice di vita e di Zeus era una dolce e bellissima fanciula ( Core significa fanciulla ).  Un giorno mentre si intratteneva  felice sulle sponde del lago di Pergusa ( Sicilia )  a giocare  con le Ninfe e cogliere papaveri con i quali ornava i suoi lunghi capelli ,  fu notata da Ade che di tanto in tanto girovagava nel regno dei vivi. Egli si innamorò subito della bella fanciulla e approfittando della momentanea assenza delle ninfe che dovevano sorvegliare su di lei, decise di rapirla per sposarla.
Improvvisamente quindi la terra si apri’ sotto i piedi  di Persefone ed Ade, venuto fuori dalla terra su un cocchio tirato da 4 cavalli , la rapì e la condusse  con se nel suo mondo deglii abissi.

Cerere la aspettava nel suo palazzo d’oro e non vedendola tornare cominciò a cercarla nei boschi, nei campi, in ogni foresta, chiamandola sempre più disperatamente. Per quanto la chiamasse, Proserpina, dal profondo degli Inferi, non la sentiva e piangeva. Pianse finchè il Sole, che aveva assistito al rapimento, decise di rivelarle l’accaduto: “Invano cerchi tua figlia, Cerere, perchè è stata rapita dal dio Plutone, che ha deciso di farne la regina degli Inferi.” Cerere corse da Giove, per supplicare lui e gli altri dei di aiutarla a liberare Proserpina. Ma nessuno era disposto a darle aiuto. Disperata, lasciò l’Olimpo e prese a peregrinare tra i campi, poiché non si rassegnava. Le sue lacrime non cessavano di scendere e appena toccavano il terreno, seccavano gli alberi e tutta la vegetazione. Gli uomini, privati dei frutti della terra, cominciarono a soffrire la fame.

Niente più germogliava, e gli animali morivano perché non c’era più vegetazione. Alla fine Giove ebbe pietà degli uomini e inviò Mercurio, il messaggero degli Dei, all’inferno, con l’ordine di lasciare libera Proserpina e restituirla a sua madre. Mercurio, indossati i calzari magici che gli permettevano di volare, si recò da Plutone e gli comunicò il messaggio di Giove. “La volontà di Giove verrà rispettata”, gli rispose Plutone.” Lascerò libera Proserpina perché ritorni da sua madre.” Chiamata la fanciulla, le disse che era libera di andarsene, ma le diede da mangiare alcuni chicchi di una melagrana magica: chi la assaggiava era preso dalla nostalgia di tornare. Proserpina lasciò l’oscurità degli Inferi per risalire alla luce del sole. Cerere le corse incontro per riabbracciarla e improvvisamente la terra ridivenne verde, fiori e gemme spuntarono dappertutto e animali e uomini poterono di nuovo sfamarsi e vivere felici. Passarono alcuni mesi. Un giorno Proserpina, colta da nostalgia disse alla madre: ” Sto bene qui con te, ma qualcosa mi spinge a ritornare agli Inferi, dove mio marito mi aspetta.”

Cerere capì che Plutone le aveva fatto assaggiare la melagrana magica. Per quanto tentasse di convincerla a rimanere non potette trattenerla. Proserpina tornò da Plutone e rimase con lui alcuni mesi. Durante questo periodo, gli alberi persero le loro foglie e i loro frutti, la neve ricoprì la terra e i venti del Nord presero a soffiare, portando il gelo e le tempeste. Quando, dopo alcuni mesi, Proserpina tornò dalla madre, la terra ridivenne verde, e si coprì di fiori e foglie. “Proserpina”, stabilì Giove, “passerà parte dell’anno con Cerere, sua madre, e parte con suo marito, Plutone. Così tutti saranno soddisfatti”. Ecco spiegata l’origine delle stagioni: quando Proserpina scende agli Inferi, la terra è in lutto; e questo alternarsi, nella tradizione antica, non avrebbe mai dovuto avere fine.

 

 

 

Demetra e Ade furono d’accordo e quando la madre e la figlia furono di nuovo insieme , in breve tempo i campi si riempirono di grano ,  le piante rifiorirono e gli alberi si riempirono di frutti .    Felice di aver ritrovato sua figlia, in primavera Demetra faceva nascere dalla terra fiori, frutti e grano in abbondanza, ma in autunno, quando Persefone era costretta a ritornare nel mondo sotterraneo, il suo dolore provocava la morte della vegetazione e l’arrivo dell’inverno.

Da quel giorno tutto e’ verde e fertile per otto mesi l’anno mentre per i restanti quattro mesi durante i quali Demetra perde sua figlia per tornare nel mondo delle ombre da suo marito ,  la terra ridiventa spoglia e infeconda  .. Questi quattro mesi  mesi sono chiaramente quelli invernali durante i quali la maggior parte della vegetazione ingiallisce e muore .

Alla fine quindi tutti trovarono un accordo , Demetra , Ade , Proeserpina e Zeus . Ebbero inizio le stagione e sopratutto la terra ricominciò ad essere fertile .
Le uniche creature che invece rimasero danneggiate e ci rimisero le penne ( o meglio guadagnarono le penne e invece persero le gambe ) furono le belle ancelle deputate alla guardia di Persefone che rimasero trasformate in sirene .

Esse inviate da Demetra in mare alla ricerca della figlia ,da giovani ancelle vennero trasformate trasformarle in sirene, cioè delle  bellissime misteriose creature acquatiche dotate di una voce incantevole capace di ammaliare chiunque ascoltasse il loro canto.Esse vennero descritte dai vari marinai come creature bellissime e affini alle fate.

I racconti e le avventure intorno alla loro rale presenza con il tempo si ingigantirono e le belle fanciulle  ben presto finirono per trasformarsi in leggendarie muse divine

Le storie  raccontate dai marinai nelle locande dei vari porti consegno’ ai vari ascoltatori delle figure misteriose capaci di attirare gli uomini fino a farli annegare. Molti marinai infatti attratti dalle belle ragazze presenti in riva spesso non facevano ritorno perchè vittime di agguati predeterminati e ben organizzati che usavano le belle ragazze solo come esca.

CURIOSITA’ : Probabilmente, inizialmente si trattava solo di bellissime fanciulle che si mostravano  nude presso le rive o gli scogli  al solo scopo di attirare per desiderio sessuale i marinai di passaggio.

 

 

 

 

 

 

 

 

Vennero raccontate, spesso anche a seconda della quantità di vino ingurgitato nelle varie locande portuali, a volte come innocue donne bellissime capaci di arti amatorie fantastiche che con la loro bellezza spesso distraevano  i pescatori dai loro compiti  facendoli naufragare  ( ipotesi più credibile), altre volte come divinità marine dalle sembianze di donne bellissime fino al busto e con la coda di pesce capaci con il loro canto di ammaliare i pescatori  oppure come esseri   maligni ( arpie) con tratti di uccello capaci di scatenare terribili burrasche marine e pronte a divorare  marinai di passaggio nei loro mari o nel peggiore dei casi a rubarne l’anima.

 

 

 

Erano dunque creature misteriose che frequentavano i mari e talvolta i percorsi fluviali protagoniste dei principali racconti di vecchi marinai. Essi tenevano banco , sotto lo sguardo meravigliato dei tanti presenti , che a bocca aperta seguivano con passione i loro racconti  e …. spesso il racconto si arricchiva di particolari spettacolari non sempre veritieri  ……. ed ecco che cosi’ di porto in porto la leggenda aumentava.
Secondo molti queste misteriose creature non avevano un’anima e quindi non potevano accedere al paradiso dopo la loro morte. Potevano però guadagnarselo sposando un comune mortale
Secondo altri invece erano ninfe acquatiche e come tutte le ninfe erano quindi immortali. Se pero’ si innamoravano di un mortale con il quale facevano un figlio esse perdevano l’immortalità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il culto di Demetra  prevedeva anche e sopratutto comunque anche il sacerdozio femminile; le donne avevano il compito di preparare i candidati ai Misteri, candidati che esse nutrivano col miele della pura dottrina, sì da ricevere il titolo di Api (Melissae). Esse disponevano i i seggi per l’introduzione dei mysti (i nuovi adepti), preparavano il letto funebre di Attis ed il talamo delle nozze sacre dopo la resurrezione del dio, predisponevano le immagini sacre e curavano la manutenzione degli arredi sacri.

N.B. : La prima sacerdotessa del tempio di Cibele in Roma era  la prima delle ancelle della Grande Madre, ma non aveva mai però  parità di rango con l’Arcigallo.

Il rituale della Dea prevedeva un largo uso della musica rituale, al fine di propiziare particolari stati emotivi nel fedele come   la frenesia, il delirio e  l’estasi, . Essa fcon il suo ritmo incalzante finiva sempre con il suscitare uno stato di trance al fine di orientare tutte le energie verso la scompostezza emotiva . Attraverso  l’estasi si cercava di unire l’uomo col divino, e  tutto era supporto per avvicinarsi al Sacro, al “più che umano”.

 

 

Tra i vari grandi Templi dedicati a Demetra  va certamente ricordato  il bellissimo Tempio di Cerere presente a Paestum

Esso risale al 500 a.c., con frontone molto alto e fregio dorico composto di larghi blocchi di calcare. La pianta interna era composta dal pronaos e dalla cella nella quale non ci sono tracce della camera del tesoro.
Il pronaos aveva otto colonne con capitelli ionici, quattro sul fronte e due su ciascun lato. Delle colonne ioniche si vedono solamente le basi e due capitelli, i più antichi in stile ionico rinvenuti in Italia, custoditi ora nel vicino Museo Archeologico. La costruzione amalgama due stili differenti: il dorico arcaico e lo ionico.

A Neapolis invece la sede del Tempio , come vi abbiamo accennato sembra che sorgesse proprio dove ora si trova la chiesa di San Gregorio Armeno . Tratto significativo a testimonianza dell’esistenza di questo Tempio e del culto di Demetra in Napoli e’ la presenza sotto l’arco della torre di San Gregorio Armeno ,di un bassorilievo murato che raffigura una fanciulla che reca sul capo un cesto e reggente una fiaccola in una mano . Si tratta di una significativa e antichissima testimonianza dell’esistenza del culto di Demetra in Napoli , opera di un ignoto artista dell’epoca  .

 

Rappresenta la figura tipica delle sacerdotesse di Demetra (canefora ) : vergini fanciulle appartenenti alle piu’ altolocate famiglie patrizie del tempo che solitamente in occasione di alcune solennità portavano sul capo in un cestello sacro tutti gli arredi sacri occorrenti alla sacra cerimonia

 

 

 

 

 

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