Nella Napoli che si fa bella per i turisti, c’è un luogo che non scende a compromessi e resiste , almeno per il momento alla tentazione di trasformarsi in un quartiere preda di B&B , cuopperie e pizzerie .
Esso è il Borgo di Sant’Antonio Abate. ‘O Bùvero, ossia “Il budello” – così lo chiamano le persone del quartiere, a indicare il suo andamento lungo, tortuoso e buio, che si trova a due passi dalla Stazione di Piazza Garibaldi,dal centro antico di Napoli e da Piazza Carlo I.
Stiamo scrivendo di uno dei luoghi più antichi della nostra città che dal ‘400 ad oggi ha mantenuto inalterata la propria struttura anche se con evidente stato di degrado urbanistico.
Essa risale addirittura al periodo angioino , quando nella seconda metà del XIII secolo la citta di Napoli, passata al controllo angioino (dal 1266 al 1442), divenne la capitale del Regno di Sicilia e subì profondi cambiamenti dal punto di vista urbanistico.
Visto infatti il numero elevato di persone che si trasferirono in città , la Napoli angioina così come era costituita, non bastava più a contenere la richiesta impellente di nuovi alloggi, e di conseguenza i quartieri incominciarono ad espandersi spontaneamente all’esterno delle antiche mura difensive di età greco-romana.
Prima dell’avvento della dinastia angioina l’ intera area dove ora sorge il caratteristico borgo , era un luogo paludoso e insalubre chiamato ” il campo ” che solo dopo le bonifiche angioine e aragonesi , si arricchì di orti , giardini e ville , che comunque hanno lasciato la loro traccia solo nella toponomastica . Sappiamo con certezza che visto il luogo isolato esisteva in questo posto oltre ad una chiesa anche un ospizio religioso dove venivano curati i malati di lebbra , e tutti quelli che soffrivano di malattie della pelle, e che su quest preesistente edificio religioso la regina Giovanna I d’Angiò , fece edificare una nuova chiesa dedicata a Sant’Antonio Abate , ancora oggi esistente (la trovate i quasi di fronte all’ orto botanico ) , un convento ed un ospedale che all’epoca divenne molto famoso in città perchè capace di curare alcune malattie della pelle che ancora oggi vengono definite come il fuoco di San Antonio , cioè l’herpes zoster .
N.B O bbuvero ‘e Sant’Antuono, prende il nome dalla chiesa, ancora esistente, dedicata a Sant’ Antonio Abate.
La chiesa di Sant’Antonio Abate fu infatti fondata nel 1370 per volontà della regina Giovanna I d’Angiò anche se in verità alcune fonti sembrano suggerire che in realtà la chiesa dovrebbe risalire già ad inizio trecento poiche pare che in questo luogo già esistesse all’epoca oltre ad una chiesa anche un ospizio religioso dove venivano curati i malati di lebbra , e tutti quelli che soffrivano di malattie della pelle mediante un medicamento ricavato dal grasso di maiale . In particolare l’ospedale divenne famoso in città perchè capace di curare alcune malattie della pelle che ancora oggi vengono definite come il fuoco di San Antonio , cioè l’herpes zoster .
CURIOSITA’ : Il segreto di curare questa malattia in tempi antichi nota come il fuoco sacro con questo medicamento ricavato dal grasso del maiale , pare fosse stato rivelati ai frati che gestivano l’ospedale dai Templari di ritorno dall’oriente .Nel nosocomio annesso alla chiesa venivano infatti curati anche i pellegrini che rientravano dalla Terraferma , tra i quali appunto , secondo un’antica leggenda , vi erano pure anche alcuni cavalieri templari , che pare abbiano svelato ai monaci il segreto dell’unguento per curare il cosidetto fuoco di Sant’Antonio
.L’Interno della chiesa è a navata unica con soffitto a cassettoni . Ai lati ampi finestroni come vedrete si alternano a figure di eremiti .
Dell’epoca angioina sono visibili oltre che gli archi delle cappelle , due frammenti di affreschi raffiguranti la crocifissione di Sant’Antonio Abate e la Madonna delle grazie col bambino in cui il volto della vergine sarebbe secondo molti quello di Giovanna I .
Tra le opere conservate all’interno di questa chiesa che assolutamente dovete vedere c’è un San Gennaro in gloria di Luca Giordano, collocato a sinistra del presbiterio e il busto reliquiario di Sant’Antonio, con al centro del petto uno scomparto che ospita pezzi di ossa del patrono. Secondo tradizione il volto della quattrocentesca statua in marmo della Madonna con Bambino è quello della Regina Giovanna.
Durante il successivo regno degli Aragonesi la zona dopo le dovute bonifiche, divenne addirittura un luogo molto suggestivo della città che venne sopratutto usato dai napoletani inizialmente come un luogo di caccia e successivamente come luogo di villeggiatura . Si trattava di una vera e propria macchia di verde presente tra alcuni piccoli immobili sacri edificati ai limiti della struttura acquitrinosa e su un terreno fortemente accidentato che lentamente si arricchì di ville e giardini, orti e taverne. Ma purtroppo il forte aumento demografico della città e la crisi degli alloggi comportò lentamente un profondo e radicale cambiamento di questo polmone di verde.
Nonostante i reiterati divieti di costruire al di fuori della cinta muraria , e sopratutto nella zona tra San Carlo all’Arena , via Foria e l’Arenaccia ,a forte densita della popolazione che raggiunge una forte pressione sopratutto nel periodo aragonese fu talmente potente da indurre la nascita di alcuni agglomerati abitativi extramoenia chiamati borghi e tra questi uno dei più famosi era proprio il Borgo di Sant’Antonio . Questi addensati come appunto quello del “buvero “si andarono formando in maniera del tutto caotica .
L’intero territorio all’epoca era di proprietà del re Alfonso d’Aragona , che lo regalò a suo figlio Ferrante. il quale lo cedette poi come debito di gioco al religioso Fabio Incarnato. Morto quest’ultimo, l’area finìta dapprima i in mano ad alcuni agricoltori , divenne poi lentamente uno dei quartiere più afollati i città e moralmente equivoco perchè preso d’assalto da gente di strada, menndicanti, guazzatori pubblici,venditori ambulanti,ladri , prostitute e numerosa gente di malaffare che frequentavano abitualmente le tante taverne che in quel periodo fiorirono a decine.
Nella zona tra le attuali piazza San Francesco , vico Casanova e via dei Martiri d’Otranto molte ragazze si davano alla prostituzione e poiche il fenomeno con il passare del tempo continuava ad aumentare, accadde che sopratutto nel periodo dei vicerè, nel 500, per volere di Don Pedro De Toledo, la maggior parte delle case di appuntamento della città di Napoli vennero concentrata nei vicoli del Bùvero. Il quartiere a luci rosse prese il nome di Imbrecciata
N.B. L’Imbrecciata è un nome che deriva dal peculiare manto stradale acciottolato che prima ricopriva i percorsi urbani di tutto il quartiere. Esso per buona parte del suo percorso era lastricato per le sue strade con dei ciottoli (sassi appiattiti e levigati ) che prendevano appunto il nome di breccia.
CURIOSITA ‘ : Ad esercitare il mestiere più antico del mondo in quest o tratto di strade vi finì anche Bernardina , la moglie di Masaniello dopo la morte del marito e la fine della rivolta.
L’imbrecciata era quindi un luogo in cui si ritrovavano tra il XV e il XIX secolo, molte taverne dove cibarsi bere e divertirsi ma anche un luogo molto famoso dai clienti dove trovare molti bordelli ,e tante prostitute
Successivamente in epoca borbonica poichè la prostituzione accennava ad aumentare , per combattere il fenomeno dovette intervenire drasticamente anche re Carlo I di Borbone, il quale emanò addirittura un editto nel quale dichiarava la zona dell’Imbrecciata, come unico lugo dove era ammesso il meretricio.
Successivamente sullo stesso argomento ritornò anche il figlio Ferdinando I di Borboneche con un nuovo editto , non solo consacrava e autorizzava la zona al meretricio ma minacciava dure sanzioni e punizioni a chi esecitava la prostituzione dell’intera città al di fuori di quella zona.
Ma nonostante il divieto fatto alle alle meretrici di frequentare altre zone della città, il fenomeno divenne talmente esteso e incontrollabile che il sovrano Ferdinando II nel 1885 fu costretto ad emanare nuove, rigide disposizioni negli anni seguenti, in particolare per combattere il moltiplicarsi di particolari «osterie» (dette «Casini«) che favorivano gli incontri e addirittura l’innalzamento di un alto muro di cinta per delimitare la zona alla quale si poteva accedere da un solo cancello d’accesso, presidiato dalla polizia, che faceva cessare ogni attività poco prima della mezzanotte. L’intento delle autorità borboniche era quello di impedire alle signorine di girovagare di notte per la città e che l’attività stessa trasbordasse in altri luoghi. Lungo i vicoli sulle porte delle case delle prostitute vennero appese delle lanterne ovviamente con la luce rossa. Nell’ambito di questo rione off limits , per evitare confusioni, vi era una strada frequentata solo dai travestiti, che si chiamava per l’appunto vico Femminelle, toponimo che tramutò prima in via Lorenzo Giustiniani ed oggi via Pietro Antonio Lettieri. Questa segregazione durò fino al 1876, quando fu consentita la prostituzione anche in altri quartieri.
CURIOSITA’: L’imbrecciata era paradossalmente in quei tempi un luogo molto noto in tutta Europa e rappresentava spesso una sorta di meta obbligatoria del peccato per i giovani rampolli nobili o borghesi che desiderassero godersi la vita e per completare la formazione culturale in Italia durante il famoso Grand Tour . Un importante momento per ognuno di loro, nel passaggio dalla giovinezza al mondo adulto. per migliorare il loro bagaglio culturale di base , imparare nuove lingue, studiare e conoscere l’arte , l’architettura e la storia di antiche gloriose città’ europee ma anche migliorare in assoluto il loro bagaglio di base sul sesso .

Napoli era insomma non solo un luogo ricco si storia e cultura dove scoprrire. le rovine di Pompei, di Ercolano e dei Campi Flegrei che in più offrivano la possibilità di studiare anche i fenomeni naturali legati alla sua attività vulcanica , ma anche un luogo considerato allora come la capitale mondiale del piacere sessuale.
La nostra città in quel periodo godeva purtroppo quindi come avete potuto capire anche del triste primato di essere in Europa una delle capitali europee della prostituzione. non solo femminile ma anche maschile.
Ma il colpo di grazia lo dette una serie di piccoli varchi lasciati aperti dall’azione del Risanamento lungo tutto il fronte del Corso Garibaldi, che di fatto tagliò in due il Borgo, sia a destra che a sinistra, in direzione di piazza Carlo III . Tutto questo comportò il formarsi di una serie di dedali ed oscuri vicoli finiti poi per essere luogo ideale di un certo tipo di malaffare.
N.B. I lavori del risanamento nell’allargare la strada comportarono anche l’abbattimento di un lato della chiesa di Sant’Antonio oggi infatti dotata rispetto a prima di una singola navata
Il citato Borgo di Sant’Antonio Abate (noto anche come Bùvero) che sorge intorno alla via Sant’Antonio Abate, oggi è solo una strada lunga circa 800 metri che unisce Porta Capuana a Piazza Carlo III , ed è sopratutto famosa per il suo storico mercato giornaliero dove potete trovare qualsiasi merce alimentare e non.
Un mercato che esiste dal tempo dei vicerè spagnoli , quando la zona visse un vero e proprio boom a causa dell’acquartieramento delle truppe spagnole in città. I “parulani” (i contadini) ricevettero in quel periodo il permesso di occupare il viale centrale del borgo, l’attuale vico Lungo a Sant’Antonio Abate, per crearne un vivece mercato che allora ed ancora oggi è sempre stracolmo di gente alla ricerca di una buona qualità dei prodotti con i prezzi più bassi della città.
l mercato del Bùvero era il luogo dove un tempo venivano dalla campagna i cosiddetti cafoni a comprare le merci in città. Sul perché i campagnoli venissero chiamati i cafoni, vi sono molte leggende. Secondo l’Accademia delle Crusca l’etimologia più probabile è quella del glottologo Carlo Salvioni, che “riconobbe nel tipo italiano meridionale cafone un derivato del latino cavare ‘scavare; rivoltare la terra’, con aggiunta del suffisso –one, che indica abitudine o eccesso nel fare l’azione espressa dal verbo, come in chiacchierone, imbroglione, mangione, sgobbone, quindi cafone come ‘colui che scava, che zappa la terra’, vale a dire contadino”.
Un tempo qui i venditori di frutta e verdura venivano chiamati i “parolai” perché richiamavano l’attenzione del popolo sui loro prodotti con la propria voce.
Oggi il mercato rimane un luogo vivo, si trova un po’ di tutto ed è frequentato per lo più da locali. Si viene qui per comprare frutta e verdura, carne, pane, gli alimentari in generale. Vi si trovano anche molte bancarelle di vestiti a buon mercato e tanti negozi di articoli per i battesimi e per le prime comunione.
Ma il borgo di Sant’Antonio è anche un luogo dove esiste un ex convento cinquecentesco dei frati dedicato a San Francesco di Paola che ha come cappella annessa la famosa chiesa di Sant’Anna a Capuana celebre per il suo scalone a doppia rampa.
Inutile dirvi che come tutte le antiche chiese anche lei possiede dei veri capolavori d’arte Notevole per esempio è quella bellisime tavola cinquecentesca posta all’interno della cupola che raffigura la Sacra Famiglia con sant’Anna di Marco Cardisco. Da citare anche i due grandi organi del 1753, realizzati, secondo alcuni documenti, da Nicola e Carlo Mancini. Le cappelle che racchiudono dipinti del XVIII secolo, di Francesco Narici e Giovanni Cosenza (un allievo di Francesco DeMura ) e quellaltare posto su un livello più alto rispetto alla norma.
Ma la sua bellezza non finisce qui .
L’ex monastero oggi rappresenta infatti le sede di un progetto di rigenerazione urbana e di offerta culturale e formativa indirizzata ai tutti i cittadini, ma sopratutto a quelli residenti nel borgo .
Esso rappresenta quindi una nuova e grande opportunità per ridare dignità agli spazi e alle persone del borgo ospitando eventi artistici, mostre e iniziative culturali concepiti per incoraggiare la comunità verso la participazione attiva.
Il progetto nasce grazie all la Fondazione Terzoluogo,che in sinergia con il Comune, vuole attivare un processo di rigenerazione urbana, in cui la cultura diventa la leva principale per la trasformazione del luogo.
Successivamente, quando nella primavera 2027, riprenderà vita anche il secondo piano la struttura diventerà una residenza per studenti e artisti, con terrazze panoramiche, spazi verdi e un bar, per un totale di ulteriori 1.000 metri quadrati dedicati alla socialità e alla cultura. Il percorso di recupero e riattivazione si concluderà a settembre 2027, con la restituzione alla città dell’intero complesso: 1.900 metri quadrati di spazi coperti e altri 1.800 all’aperto, che diventeranno un punto di riferimento per Napoli e il suo tessuto culturale.
Ovunque possibile ci sarà posto per il verde, per le piante con le loro storie in dialogo con farfalle, coccinelle e insetti vari, casette per uccelli, magari un piccolo orto, una fungaia… Il tutto sarà, insomma, un insieme di spazi flessibili, porosi, pieni di esistenze e voci diverse, vissuti creativamente da persone di ogni età.
Per concludere possiamo affermare senza ombra di dubbio che o’ bbuvero», il nome dialettale con cui è conosciuto a Napoli il borgo Sant’Antonio Abate è un luogo storico della nostra città che ad oggi ha mantenuto quasi inalterata la sua pianta originaria risalente al Quattrocento.