Chi di voi conosce Francesco  Mastriani ?

Sapete che è stato uno degli autori di romanzo d’appendice di più grande successo della nostra città ?

Sapete che ha scritto e pubblicato oltre 900 lavori letterari ?

Guardatevi intorno quando entrate nelle librerie storiche della nostra città …. guardate bene e certamente troverete qualche ristampa di qualcuno dei suoi famosi best seller .

Egli con la sua narrativa  diede un grande contributo alla nascita del meridionalismo e gettò certamente le basi per la nascita del verismo , raccontando con la sua penna le piccole verità popolari che ogni giorno si svolgevano nei stretti e poco luminosi vicoli  .Nei suoi tanti racconti , spesso scritti con la sola fretta di chi ha voglia di divulgare quello che altri non avevano il coraggio di vedere e raccontare , perchè scomodo e poco redditizio , egli metteva a fuoco le piccole verità che il mondo esteriore letterario dell’epoca nella sua bonaria falsitò non raccontava. .

Egli con gran coraggio chiamava coi loro veri nomi i tetri frequentatori delle bettole dove si annidavano corruzione e piccole verità che tutti  non avevano all’epoca  la forza di denunciare

Mostrò infatti fin dagli esordi letterari grande attenzione nei confronti delle classi più povere   napoletane , narrandone abitudini , pregi e difetti in maniera semplice ,nuda , schietta ,  pittoresca e spesso anche  consolatoria, consegnando al lettore e al popolo stesso nei suoi racconti quello  spiraglio di luce, che attraverso le tenebre, anche se in maniera fioca , rappresentava la lampada capace di vedere nella notte  profonda e quindi condurli  fuori dalo strazio alla loro nuova strada  dove tutto non è perduto.

Attraverso il racconto popolare del ristretto concetto del bene e del male che  la retorica delle sue  idee e delle sue  narrazioni , Mastriani ha rappresentato certamente con le sue opere lo scrittore che per primo ha denunciato le problematiche sociali e la diffusa emarginazione delle classi più povere . Il primo , che con la sua verità popolare, ha rappresentato quel punto di partenza dove i vari sociologi e artisti  hanno poi tratto  il grande materiale del romanzo napoletano.

Tutti sorrisero,  quando Francesco Mastriani, nel solo momento di orgoglio della  sua umile esistenza di romanziere, scrisse di aver voluto, prima di Emilio Zola ,  fare il romanzo popolare, verista, come si diceva: tutti sorrisero alla spacconata del povero don Chisciotte della romanzeria napoletana, ma egli non aveva assolutamente torto. L’unico suo vero torto era quello di essere  estraneo ai circoli accademici ed artistici, e pertanto ignorato dalla critica ufficiale, e non certamente quello  di volersi misurare con Emilio Zola.

Il suo torto era quello di aver rivolto  l’interesse delle sue opere nel documentare esclusivamente  la Miseria di  Napoli , una città che a pochi interessava, ma sopratutto di non aver mai saputo intrecciare buoni rapporti con l’allora intelligenzia napoletana .

N.B. A tal proposito Il nostro amato Bnedetto Croce nel suo scritto “La vita letteraria a Napoli dal 1860 al 1900, in La letteratura della nuova Italia, nel descrivere quello che allora era il più popolare dei scrittori napoletani  lo definisce non a caso «letto un po’ da tutti all’infuori della gente letterata».

Francesco Mastriani nacque a Napoli il 6 gennaio del 1819, da una agiata famiglia borghese.I suoi genitori erano Filippo M. e Teresa Cava, che aveva avuto già due figli  da una precedente unione con Raffaele Giardullo; Francesco fu il terzo dei sette figli che la Cava diede a Filippo .

La sua formazione letteraria  avvenne presso l’Istituto  don Raffaele Farina, dove oltre che frequentare il corso dei regolari studi , pare che gli nella sua assetata voglia di sapere abbia anche letto per intero tutta la biblioteca dei classici ( circa 400 volumi ) delex cardinale e arcivescovo da lui donata all’istituto .

Quando nel 1863 sua madre morì , egli nello stesso anno per far contento il padre preoccupato per il suo futuro, si impiegò  presso la Società Industriale Partenopea diretta da Carlo Filangieri .

Non completamente appagato da tale impiego nel 1837  si iscrisse alla facoltà di medicina cheperò frequento solo per  qualche anno, interrompendo  gli studi alla morte del padre , per dedicarsi ad un’intensa collaborazione giornalistica con vari giornali

CURIOSITA’:  In seguito a questo lutto lasciò l’abitazione  paterna in via Concezione Montecalvario al numero 52, trasferendosi alla Salita Infrascata (oggi Via Salvator Rosa) 271.

Nel 1845 l, licenziatosi finalmente daIla Società Industriale Partenopea, dopo aver sposato la cugina  Concetta Mastriani,, trovato un modesto impiego alla dogana, decise pur di trovare il tempo necessario alla scrittura dei suoi romanzi di dedicarsi  all’insegnamento  privato di lingue straniere. Egli pur di dare vita al proprio smisurato mondo letterario, con smisurata energia nelle sue ore  libere arrotondava il magro stipendio   facendo anche da guida turistica  per gli stranieri di passaggio (oltre che uomo  erudito e instancabile scrittore egli era anche un gran conoscitore delle lingue straniere ) .

Comiciò cosi a scrivere dapprima una serie di piccoli articoli e prose di costume su un giornale dal titolo” Il Sibilo” (  giornale napoletano “di mode e di teatri” che cessò la sua pubblicazione nel 1846 ) e poi anche la sua prima opera narrativa “chiamata ” Il diavoletto”

Nel 1845 dopo essersi trasferito  in un casinetto allo Scudillo, dove avviene la nascita della sua ,  primogenita Sofia, si dedica alla stesura del primo romanzo,” Sotto altro cielo “.

Furono questi anni da un punto di vista  economicamico per il nostro letterato quelli più disagiati . Dopo aver infatti lasciato l’impiego in azienda , alle  prese con continui problemi economici , arrotondava spesso il suo magro stipendio con lezioni private di lingue straniere ed una serie di passeggiate dove era solito fare da  guida per turisti stranieri.

Una costante della vita del Mastriani furono anche i suoi numerosi traslochi avvenuti spesso perche incapace di far fronte alle spese per l’affitto della casa , Costretto ad accettare  l’ospitalità del suocero, nella cui casa nasce il figlio  Filippo,  nel1849 trova una sistemazione alla Salita Tarsia nº 18.

N.B. ; I ripetuti cambi di abitazione, almeno una trentina, non finiscono qui.

Una relativa ventata di benessere economico arriva finalmente nel 1851 con la nomina di compilatore  del Giornale delle Due Sicilie e de L’ordine, giornale ministeriale  . A giugno nasce il figlio Edmondo ed i successivi anni furono caratterizzati da una frenetica attività letteraria ache gli diede   un ‘ampia popolarità.

Nei suoi romanzi egli descrivendo gli umili posti dei più debli e mettendone in evidenza le criticità intendeva nel suo desiderio anche educare e guidare il popolo .  E il popolo si riconosceva in lui.

Nel 1852 stampa ” La cieca di Sorrento ” il suo romanzo più noto e ristampato più volte per tutto il secolo ed anche quello successivo . Il grande successo del romanzo  oscillante tra un  romanzo d’ambiente  borghese , mostra per la prima volta il  sensibile affiorare di tematiche sociali, affrontate con una forte empatia  per i deboli e i diseredati. Gli fa seguito  ” Federico Lennois ” e successivamente altri romanzi come : “Il conte di Castelmoresco ” , e  “Il mio cadavere,”   considerato da tutti il primo romanzo noir  scritto in Italia.

CURIOSITA’ : Nel romanzo ” La cieca di Sorrento ” il Mastriani dedica un intero capitolo alla iettatura , che secondo lo scrittore nei ceti popolari ha sempre occupato un  ruolo molto importante . Il malocchio tra credenze e tradizione nera tutta partenopea  era infatti  un fenomeno a cui lo scrittore  con serietà e drammaticità seriamente credeva  dichiarando che “ci credo, anzi ci stracredo“. Egli contro quello  che considera un vero flagello suggerisce  nel capitolo dei veri e propri antidoti che  chiama “preservativi” come il  corno ed il ferro di cavallo  Agli “occhi avvelenatori” il romanziere napoletano attribuiva  buona parte delle sue disgrazie (dal colera da cui fu colpito , passando per i suoi innumerevoli tanti sfratii ed infine anche alla morte di tre dei suoi sette figli ) .

Il successo tuttavia non gli consentì mai di fare a meno delle lezioni private e di un modesto impiego alla dogana. Arrotondava inoltre come gia detto , il magro stipendio come guida per turisti stranieri.

Dopo la nascita di un altro figlio di nome Adolfo , Mastriani in questa fase della sua carriera scrive “Matteo l’idiota ” nel quale il tema sociale diventa preponderante, e succesivamente “Acaja ” , ” La poltrona del diavolo ” ed infine il «romanzo comico» Quattro figlie da maritare a cui fa seguito ” Le anime salvate ” .

Nel  1854 , in seguito ad una epidemia di colera che aveva colpito molte persone in città e lo stesso scrittore , dopo avermiracolosamnete scampato la morte , le sue finanze furono di nuovo essere costrette ad aver   bisogno dell’ospitalità del suocero. A dicembre, un nuovo trasloco in via Santa Teresa degli Spagnuoli) vide purtroppo anche  la dolorosa perdita di Adolfo, l’ultimo nato, che aveva la sola tenere età  di 3 anni e 7 mesi. In seguito a questo episodio , nel 1861 i Mastriani si trasferiscono in via Mandato 78.

Al termine della sua lunga evoluzione di scrittore , il Mastriani incomincia poi a dedicarsi ad una serie di romanzi-saggio , denominati “Trilogia socialista ” che costituiscono un imponente ed esaustivo affresco del popolo basso  napoletano. Essi non solo raccontano le miserie di un popolo costretto a vivere di stenti ma rlanciano anche molte ombre su lavoro e intreccio con il quale politica e camorre operano  rapprentano  una forte denuncia anche sullo sfruttamento femminile che andava dilagando .

Il romanzo “I vermi.” , quello intitolato ” Studi storici su le classi pericolose in Napoli ” , quello su ” Lavoro e miseria ” o il celeberrimo “I Misteri di Napoli , stidi storico -sociali ” sono innanzitutto una vera e propria denuncia alla camorra organizzata.

N.B.Mastriani nei suoi romanzi non esitava, quando li conosceva, a chiamare i suoi personaggi con i loro veri nomi e cognomi.

Parallelamente alla sua vita da letterario Mastriani coltivà sempre anche una grande passione per il teatro dove egli occasionalmente partecipò anche in veste d’attore . Egli a teatro ebbe  spesso modo di rielaborare  alcune delle sue opere narrative, come quella denominata  Vito Bergamaschi, una novella  rappresentata al Teatro Fiorentini o quella del dramma borghese  chiamata Un’ora di separazione , ” Scherzo comico ” o infine “Il guappo “.

Dal 1875 Mastriani (che nel frattempo, dal 1874, ha ottenuto l’ultimo impiego fisso della sua vita, come professore di lettere presso il ginnasio   “Cirillo” di Aversa ) comincia a collaborare con il quotidiano Roma di Napoli . con il quale per contratto doveva scriverne una media di cinque romanzi l’anno .

Purtroppo, per motivi di salute ben presto, di li a qualche anno ,  dovette rinunciare all’incarico scolastico  costretto a rinunciarvi di lì a qualche anno.  Scrive comunqua in quel periodo  che si annuncia fecondissimo romanzi storici e opere quasi tutte sensazionalistiche come Lo zingaro, MessalinaLa Medea di porta Medina  e Il barcaiuolo di Amalfi  , mentre  scrive per il Teatro Nerone  di Napoli. Dramma storico in cinque atti e in versi  e Valentina. Dramma in un prologo e quattro atti .

I suoi ultimi anni sono purtroppo anche funestati da altre due dolorose perdite, quella del figlio Edmondo  e quella della primogenita Sofia (1878) , mentre i suoi continui sfratti continuano ; prima si trasferisce alla Strada Fonseca 80; poi  al Palazzo Sant’Agostino alla Sanità 97; in seguito passa di nuovo alla  Salita Scudillo alla via di Capodimonte, poi  alla Penninata San Gennaro dei Poveri 29; nel  novembre 1889 va in un quartino al Moiariello a Capodimonte, poi torna alla casetta in San Gennaro dei Poveri; in seguito va a Largo Amoretti; ed infine  torna di nuovo a San Gennaro dei Poveri dove  tre mesi e due giorni esattamente il  7 gennaio 1891, muore.

Matilde Serao  raggiunta dalla notizia e affranta dal dolore , due giorno dopo , il  9 gennaio pubblicava sul Corriere di Napoli un ricordo affettuoso e commosso del vecchio scrittore, che ella vede come un precursore un dell’attuale giornalismo e dell’attuale  narrativa di denuncia.

” Questo povero vecchio che si è spento oscuramente, carico di anni e di dolori, affranto da un duro e incessante lavoro che gli lesinava il pane, tormentato da un’invincibile miseria, non soccorso dalla fredda speculazione giornalistica che lo ha tanto sfruttato, soccorso dalla segreta pietà  di poche anime buone, questo martire della penna era, veramente, fra i più forti e più efficaci nostri romanzieri.  L’opera sua, formata da cento e più romanzi, appare grezza, disuguale, talvolta ingenua nella scarsezza delle risorse artistiche  ; e negli ultimi romanzi suoi è la fretta, lo stento, l’intima straziante pena di chi deve guadagnare, ogni giorno, quelle tre o quattro lire che gli davano: ma da tutta quanta l’opera sua, considerata insieme, emana una così fervida potenza d’invenzione che ha rari riscontri […].
La qualità simpatica nell’opera di Francesco Mastriani, specialmente nei romanzi scritti con calma, con  serenità , nel suo buon  tempo , la qualità che più lo fa amare dal  pubblico  popolare, la qualità che tanti artisti, di lui cento volte migliori, non possiedono, è  l’emozione .O voi che mi leggete, rammentate, rammentate nella Cieca di Sorrento, in quella istoria semplice e dolente, la scena  in cui il dottor Oliviero Blackmann fa la operazione della cateratta alla infelicissima fanciulla; rammentate il brivido  di sgomento e di ansietà , provato da chiunque ha cuore, innanzi al dubbio   della riescita e all’agitazione dell’operatore: rammentate il grande grido di salvazione, di ringraziamento, di tenerezza che sgorga dal petto della creatura a cui è stata ridata la vista, e dite se tutti voi, come me, come chiunque ha letto, non ha pianto di quella  emozione . E la malinconica  figura di Ugo Ferraretti nel Federico Lennois e nel Mio cadavere che languisce e agonizza, circondata da un’aureola  di mortale tristezza  […]; e la misera Blandina dei Vermi che emerge da quell’atmosfera di vergogna e di delitto, come una vittima rassegnata […]; tutte queste figure e tante altre hanno per sé l’attrazione del dolore, hanno per sé la profonda pietà di cui le circonda l’autore, hanno la pietà di chi legge: e non possono essere dimenticate e non può essere dimenticato il libro che le racchiude […].

Nel suo corsivo dedicato alla morte dello scrittore Matilde Serao attesta inoltre che il Mastriani attese alla compilazione degli ultimi romanzi sul letto di morte. Diversi  romanzi infatti uscirono postumi alla sua morte (La comare di borgo LoretoIl figlio del forzatoI delitti di NapoliLa sonnambula di Montecorvino , ecc. ecc

N.B. Ultimamente è stato pubblicato un romanzo inedito di Francesco Mastriani, chiamato «Il campanello dei Luizzi».

Matilde Serao come vedete nel suo ricordo affettuoso esalta il Mastriani come  uno dei letterati del giornalismo che ha saputo regalare emozioni presentando la realtà nuda e cruda . Le sue traversie personali , ” complice il malocchio “lo avevano reso estremamente sensibile alle condizioni dei diseredati della Napoli pre e post unitaria .  Di qui le tante opere, a metà tra il romanzo e il saggio, nelle quali  denunciava l’emarginazione dei poveri cristi suoi conterranei  dove ogni nota di costume o di cronaca era rigorosamente tratta dal vero. Egli nelle sue opere e specialmente nei suoi romanzi, racconta la Napoli di metà Ottocento. Una città sfiduciata e derelitta, con le sue miserie e il suo fatalismo. Una Napoli povera da difendere.

La cosidetta “trilogia sociale” costituita da I vermi (sulla camorra), Le ombre (sul lavoro femminile) e I misteri di Napoli, a tal proposito sono sicuramente le opere sue più ambiziose, oltreché una delle più vive ancora oggi.

Ma allo stesso tempo la Serao non manca di criticare lo stesso sistema giornalistico che di fatto ha sfruttato le condizioni di miseria in cui si è spesso venuto a trovare il Mastriani , costetto per sopravvivere ad anni di duro e e incessante lavoro  Egli  tormentato da un’invincibile miseria, è stato una delle maggiri vittime della fredda speculazione giornalistica che lo ha tanto sfruttato, . La sua opera , formata da più di cento e più romanzi che a trattitalvolta può apparire   grezza, disuguale,  ingenua  e scarsa nelle sue risorse artistiche è solo il frutto di  romanzi di chi con fretta deve ogni giorno consegnare alla frettolosa stampa qualcosa da dare in pasto ai suoi lettori per vendere qualche copia in piu  , Essa è solo il fruttotalvolta della fretta e  della  l’intima straziante pena di chi deve guadagnare, ogni giorno, quelle tre o quattro lire che gli davano,

Quel “martire della penna”, secondo la Serao, è stato spesso  costretto dalle ristrettezze economiche a sfornare romanzi dopo romanzi, ma da tutta quanta l’opera sua, considerata insieme,non si puo che ammirare una forte fervida potenza letteraria che ha rari riscontri ,Le ristrettezze economiche non hanno comunque alla fine inciso piu di tanto in una produzione  dove predominano le istanze sociali dei diseredati della Napoli ottocentesca

Nella nostra città al grande romanziere è dedicata soltanto una viuzza lunga appena una ventina di metri senza numeri civici , che va da  via Bernardo Tanucci a via Sant’Eframo Vecchio. Ben poca cosa per lo come vedete per loscrittore napoletano più famose del secolo ottocento , autore di “drammi umani” e giornalista di successo soprattutto a livello popolare, la cui opera complessiva ,  vera miniera di conoscenze sulla ex capitale dei Borbone, specie riguardo ai ceti inferiori – secondo molti critici contribuì alla nascita del meridionalismo e gettò le basi per quella del Verismo .

Come ricordiamo invece  noi di cose di Napoli Napoli Francesco Mastriani?

Con un piccolo  spazio a lui dedicato  in cui egli in una splendida prosa scritta nel 1856 , descrive a par suo il  momento in cui Garibaldi si recò al santuario di Piedigrotta tra balconi affittati a prezzzi elevati lungo le strade perorse dal corteo reale e dai soldati .

Le tarantelle e il suono dei putipù e degli scetavajasse respingono il malocchio: la “scampagnata” e il consumo di fichi…” 

Il nostro grande romanziere nell’occasione non perse occasione per descriverci quanto di popolare e superstizioso avvolgeva quel luogo dove un edificio sacro dedicato alla  Madonna nascondeva di fatto il culto del Dio Pan e vecchi  cerimonie di riti pagani legati  alla fecondità.

Ecco la sua sua splendida descrizione del luogo :

” Non ci dobbiamo meravigliare del fatto che a Napoli “la ricorrenza del Nascimento” della Beatissima Vergine si celebra in quella “grotta di Pozzuoli” in cui, secondo la tradizione, e forse anche secondo il “Satiricon” di Petronio,  si svolgevano i riti orgiastici in onore di Pan, nume della fertilità maschile. Fu decisione strategica del  Cristianesimo costruire chiese sui templi pagani e “cristianizzare” quelle feste degli dei antichi che erano diventate un radicato costume sociale, e dunque non solo non era facile, ma risultava anche controproducente cancellarle del tutto. Nel 1856 scrive Francesco Mastriani che il santuario nella “grotta di Pozzuoli” è frequentato per tutto l’anno solo da “pescatori, marinai ed altra gente di questa povertà”, ma l’8 settembre il luogo si trasforma: diventa “ricchissimo di pompa, di onori, di gente infinita” che accorre a visitarlo, e anche il re e i membri tutti della famiglia reale “si prostrano  riverenti e umili ai piedi di quella Donna che con occhio così benigno guarda a questa bella parte d’Italia e vi spande le grazie della sua efficace protezione”. Il caso volle che proprio  il 7 settembre di quattro anni dopo Garibaldi entrasse da conquistatore nella città di Napoli, da poco abbandonata dal suo ultimo re: e dopo la visita al Duomo e alle reliquie di San Gennaro, il generale si recò anche al Santuario di Piedigrotta: per non offendere i sentimenti religiosi dei Napoletani. Mastriani  definisce “unica al mondo” la festa di Piedigrotta, poiché “ in verità non sappiamo di altra festa che riunisca tutti gli elementi sociali in una così bella manifestazione di ossequio alla religione”: e infatti già molti giorni prima dell’8 settembre arrivano a Napoli folle di “ospiti di ogni ceto, e massime degli uomini di campagna” i quali abbandonano per poco tempo il loro lavoro per partecipare, con tutta la famiglia, a questa festa “civile, militare e religiosa”, “istituita dall’immortal Carlo III per il recupero del regno”.

“Gruppi innumerevoli di contadini dalle fogge più curiose e svariate” sfilano lungo Toledo, Santa Lucia, il Chiatamone e la Riviera di Chiaia fino al Santuario di Piedigrotta, e intanto raccontano ai loro figli le storie e le memorie della “più memorabile delle feste napoletane” e li esortano, come essi stessi erano stati esortati dai loro genitori, a trasmettere questi racconti ai loro figli. Dopo la visita al Santuario, inizia la parte “clamorosa” della festa. “Le moltitudini” incominciano  “a sperperarsi nelle adiacenti campagne”,  e i loro movimenti sono già passi di danza, accompagnati dagli scetavajasse, dai putipù, dai triccheballacche e dalle tammorre, e cioè da quegli strumenti al cui suono una lunga tradizione attribuisce il potere di mettere in fuga il demonio e i seminatori del malocchio.  Lo stesso potere  gli antichi lo attribuivano al dio Pan, al flauto e alla zampogna.. E per sottolineare certe corrispondenze, ricordiamo che durante questa festa i contadini erano soliti mangiare fichi, da sempre augurio simbolico di vita felice e prosperosa. Tornano anche altri piaceri: lungo le strade in cui sfilano il re, la sua guardia del corpo, e il corteo militare, tutti i  “balconi, terrazzini e terrazze sono coperti da ampie tende destinate  a schermire dai raggi del sole le più gentili damine, che hanno tanto sospirato il ritorno del dì otto settembre, per vedersi fatto segno agli sguardi di una sempre crescente calca di giovani.”  Su queste terrazze si fittavano anche le sedie, a un prezzo elevato: non c’era un varco da cui non spuntasse un “folto gruppo di teste umane”: tutti volevano vedere “l’amato Sovrano e i regali principi”. Anche il mare partecipava alla festa, perché le navi napoletane e quelle forestiere si “ornavano di graziose bandiere, quali abiti di gala”. Nel racconto di Mastriani i soldati diventano i protagonisti della festa, perché tutti, napoletani e forestieri, ammirano “l’irreprensibile aggiustatezza delle loro marce e fermate, del bel contegno marziale congiunto in esse ad un aspetto di compunzione e di umiltà religiosa”.

Ma dopo aver reso omaggio a Ferdinando II e alla truppa, Mastriani ci ricorda che Piedigrotta è, soprattutto nella “vigilia”, la festa di “canti, suoni e balli”: le “forosette”, e cioè le ragazze vivaci e audaci, intrecciano le danze “al suono di nacchere e tamburelli, e la tarantella classica e tradizionale spiega in questa congiuntura la grazia dei suoi passi, che sono tutta una storia d’amori.”. E’ la festa dei “torronari”, che mettono i loro banchi nei pressi delle chiese e vendono “giocherelli di pasta di miele e mandorlati “ che hanno la forma di “cerchi, cavalli, castelletti e figure di uomini e donne”. Mastriani conferma che “presso il popolo minuto” nei contratti matrimoniali le donne pretendevano che i mariti si impegnassero a condurle alla festa di Piedigrotta almeno una  volta.

Che bello …..potrei rilleggere questa scrittura decine di volte senza mai stancarmi ….

Quel migliori parole possono mai esprimere  l’autenticità e la filosofia di un popolo unico ?

Aentite il calore della sua scrittura ?Qui è descritta tutta la magia di una città  nelle sue tradizioni … nel suo folklore.

Non c’e nulla da fare … chi vuole apprezzare veramente Mastriani deve prima vedere Napoli,e poi leggere i suoi romanzi come sosteneva la scrittrice inglese Jessie White Mario nel suo libro La miseria in Napoli, scritto nel 1877. Dai suoi  lavori sgorga, violenta, la cruda realtà di una Napoli allora sofferente dalle mille piaghe e brutalmente abbandonata a se stessa , ma anche quella Napoli che nel suo modo di vivere , pur avendo poco , riusciva ad essere felice perche ingabbiata dal pensiero ellenico di Epicuro che nelle  sue due scuole tenute  in passato a Neapolis , insegnava alla gente del luogo come praticare il culto della felicità.

Un culto poi tramandato in maniera ereditaria da padre in figlio , in quanto considerato un bene primario.

La forza del popolo napoletano che gli ha permesso per secoli di superare tante avversità , è stata proprio  quella dettata da Epicuro , cioè quella di concepire  l’esistenza come tesa alla ricerca del piacere sia del corpo che dello spirito. Un piacere che ci ha portato ha mantebre ancora oggi  immutati valori importanti come amore ,amicizia e solidarietà.

Mastriani con questo racconto riesce come pochi a darci uno squarcio di questa semplice e genuina felicità … riesce come pochi a farci intravedere come con poco si era un tempo ugualmente felici .

Ma Mastriani era anche il cantore di un  altra Napoli che egli raccontava talvolta con la vana speranza di attrarre l’attenzione delle istituzioni .

I suoi romanzi (Il mio cadavere, La cieca di Sorrento, la cosiddetta trilogia socialista I Vermi, Le Ombre ed I Misteri di Napoli, e La Medea di Porta Medina i più famosi) sono cupi e intriganti e riportano una città violenta, la cui miseria e prostrazione morale è figlia di un supremo atto di ingiustizia ancestrale. Storie di camorra (quella del tempo) e di degrado, di sangue e di un malinteso senso di giustizia legato ad odiosi codici d’onore, albergano come ineluttabili, quasi una necessità. Se non si adombra una volontà di riscatto trapela nell’opera di Mastriani un grido di dolore, base ideologica per i suoi epigoni, la Serao in testa, nell’affermazione di un sentimento di violenta denuncia politica.

Noi ,  dopo aver letto questa splendida pagina, ci chiediamo perché  mai su Mastriani nella nostra città sia sceso l’oblio.

Come maI  una voce della Napoli dell’800, che  è stato il narratore più amato dagli scrittori napoletani,considerato addirittura dalla critica nientedimeno che l’inventore del romanzo giallo italiano con il suo romanzo “Il mio cadavere ” pubblicato nel 1852 anticipando  di ben 35 anni Sherlock Holmes (e Watson), oggi sia da tutti i napoletani dimenticato.

Lo stesso Gramsci , certamente non il maggior tifoso di romanzi del genere vi “racconto Napoli , non ebbe allora difficoltà nel riconoscerlo come  uno dei primi autori italiani di quel romanzo d’appendice che egli ricosceva essere  come il più efficace veicolo di una letteratura nazionalpopolare. Quando si parla di romanzo d’appendice si parla di Basso Romanticismo, e Mastriani possiamo con certezza affermare che egli ne fu massimo e prolifico interprete.

A metà ‘800 molte testate giornalistiche pubblicavano racconti a puntate, le notizie “tiravano” la lettura di appassionanti e ammiccanti racconti e non di rado accadeva il contrario: pur di non perdere una puntata di disperate storie d’amore o di intrighi mozzafiato il lettore acquistava il giornale e si affezionava alle sue notizie. Storie popolari e di facile consumo si alternavano a veri e propri ritratti di una società complessa e in trasformazione desiderosa di essere rappresentata e raccontata a un pubblico più vasto .

In Europa questo sottogenere letterario espresse autori del calibro di Victor Hugo, Eugenie Sue e Alexander Dumas, e in Italia oltre a Mastriani, Emilio De Marchi, Matilde Serao, e Carolina Invernizio

.Francesco Mastriani,  è stato nell’800  il narratore più amato dei vari scrittori napoletani, ma certamente anche il meno fortunato nella fiera del marketing letterario.

Napoli è stata sempre materia di racconto. Molti scrittori napoletani  da sempre hanno ambientato le loro storie all’ombra del Vesuvio. dando luogo ad una miriade di sottogeneri: Napoli e la miseria, Napoli e il dolore, Napoli e la furbizia, Napoli e la bontà d’animo: infiniti  clichè talvolta geniali ma tante volte stucchevoli, drammatici e poetici o retorici e consolatori.

Questo ambiente ricco di storie drammatiche ma al contempo ricca di una insolita filosofia del vivere  ci ha consegnato nel tempo geniali artisti da avanspettacolo come Scarpetta e antropologi della plebe cittadina come Viviani o la scrittura appassionata di una signora dalle buone maniere che con la sua penna  ricercatrice del vero nel ventre di una città ci ha lasciato scritto bellisime storie  di un popolo che tra  impeti illuministici e sanfedisti, nella sua acume filosofia è superstizione,è comunque riuscito a sopravvivere

 

 

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Mastriani come vi abbiamo già detto , morì il 7 gennaio del 1891 compianto da tutta la sua città. Egli è stato un artigiano della scrittura, un innovatore,  ma principalmente un sensibile testimone delle radici di un periodo decisivo per comprendere le contraddizioni ancora presenti in una città dai troppi volti.

Gli stessi troppi volti che i nostri politici che negli anni hanno gestirto la nostra città hanno fatto sprofondare nell’oblio il nostro grande narratore.

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