Il monumentale complesso ecclesiastico , costituito dalla chiesa , dal convento e da un bellissimo chiostro si trova nei pressi dell’orto botanico della nostra città  in Via Foria ed esattamente in una sua traversa denominata Via Veterinaria.

La chiesa , costruito insieme all’annesso convento nel 1581 per volontà dei Francescani Osservanti, si guadagnò l’appellativo “alle Croci” per via delle croci (poi tolte a metà Ottocento) che poste ai lati della strada , accompagnavano il percorso verso la chiesa dei fedeli  . Esse furono fatte collocare  lungo tutta la strada che  portava alla chiesa  ( oggi via Michele Tenore ) da padre Francesco Ignazio Savino  e incominciando dalla sua  parte bassa  di via Foria  continuavano per tutto il tragitto stradale in salita fino alla chiesa . La chiesa sta infatti ubicata all’apice di una strada che, sfruttando la pendenza del monte, vi giunge con forte dislivello da Via Foria, dalla quale, tra l’altro è possibile avere piena visione della facciata stessa .
Per il frate esse simbolicamente dovevano scandire  le stazioni della Via Crucis di Gesù e servire come messaggio per ricordare  a tutti i pellegrini quale enorme sofferenza dovette subire Gesù Cristo nel suo calvario verso la sommità del monte dove fu poi crocifisso .
Nella metà dell’ 800, in seguito al rifacimento e sistemazione del nuovo piano stradale le croci vennero rimosse ma la denominazione al complesso , nonostante questo continuò a rimanere .
La storia di questo edificio ruota principalmente intorno alla figura di un frate particolarmente potente e famoso all’epoca chiamato  Frà Giovanni da Napoli . Egli , nato a Sulmona, ma cresciuto a Napoli, divenne nell’ambito  francescano , ministro generale dell’allora Ordine degli Osservanti ( poi confluiti nei Minori di Santa Chiara di Spaccanapoli ) e per varie condizioni di sorta, si trovò spesso  al centro di quasi tutte le relazioni di potere  del viceregno e del papato di allora .
Il suo nome venne spesso accostato a nomi celebri  dell’epoca  e a prescindere dell ‘importanza che egli assunse all’interno dell’ordine attraverso incarichi e nomine , ebbe un ruolo decisivo nel matrimonio tra il vicerè ed Anna Carafa , nobildonna ricchissima appartenente alle famiglie più in vista del Regno, che diventerà così viceregina di Napoli dal 1637 al 1645 .
Il tutto incomincia quando il duca Medina De Las Torres sposa la figlia del Conte-Duca di Olivares; avendola disgraziatamente perduta, il suocero, gli consente di risposarsi con la principessa di Stigliano, Anna Carafa, e la sposa quando questa, avendo anche lei perso il padre e due fratelli, si ritrovò sola ad ereditare l’immensa fortuna immobiliare di famiglia da parte di padre in aggiunta a quanto già le spettasse di diritto, essendo Anna, figlia di Elena Aldobrandini, niente di meno che la nipote di Clemente VIII, ed essendo sua madre duchessa di Mondragone le spettava anche il diritto al titolo di duchessa di Sabbioneta contestualmente a tutti gli averi della nonna Isabella Gonzaga.
Con questo matrimonio, la Corona di Spagna otteneva l’importante scopo di maritare Anna Carafa col consenso del re, di dotare il Conte-Duca di un erede maschio ed infine, promettere per poi mantenere ad Isabella Gonzaga, che la nipote donn’Anna sarebbe divenuta viceregina di Napoli.
In tutta questa faccenda, fra Giovanni da Napoli si colloca come personaggio chiave nel matrimonio del Duca Medina con la nobildonna Anna Carafa e una volta acquisita la benevolenza del vicerè sfruttò benissimo la sua posizione intrecciando amichevoli rapporti con il banchiere  Bartolomeo d’Aquino, della dinastia dei principi di Caramanico , tessendo da intermeddiario una lunga e laboriosa serie di trattative economiche e finanziarie ( facilitate grazie al  rapporto amichevole del  vicerè Medina de Las Torres con il d’Aquino ) favorente nuovi interessanti buone trattative finanziarie per la  Spagna.
Tutto questo gli comportò la stima personale di Filippo IV  a tal punto da ottenere  nel 1638, per intercessione del cardinal Francesco Barberini, dalle mani di Urbano VIII, il generalato dell’Osservanza dei Francescani Riformati assegnato manco due settimane prima ad un altro sacerdote poi destituito dall’incarico . L’anno successivo, verrà eletto definitore generale dei Francescani e nel 1645, a Toledo, diverrà il Ministro Generale dei Minori. Morirà nel 1648 non prima di esser stato avanzato all’incarico di Arcivescovo di Valencia.
Fra Giovanni come avete capito fu quindi un uomo religioso potentissimo, a tal punto che si racconta che e spesso alla sua corte Filippo IV usava  affermare e dire riferendosi al frate , che non bisognava dire  “frà Giovanni da Napoli ” ma piuttosto ” Napoli di frà  Giovanni ” .
Egli fu assai legato alla chiesa di Santa Maria degli Angeli alle Croci, e, allorquando, il pontefice Urbano VIII nel 1639, emise la bolla Inuiuncti Nobis, con la quale, dichiarava Provincie le Custodie Riformate, e impose per decreto che fossero attivati noviziati e biblioteche per ognuna di esse, la preferenza nella città del viceregno cadde su Santa Maria degli Angeli alle Croci. I testi attendibili addirittura parlano di una determinata operazione studiata a tavolino dal frate per depredare , grazie alla sua influenza sul vicerè , diverse chiese francescane  della provincia di Napoli , di molte delle sue opere per trasferirle nella sua chiesa .
Inoltre , grazie alle sue amicizie , riuscì ad ottenere molti finanziamenti dai baroni del Regno ( in particolar modo dal ricco banchiere Bartolomeo d’Aquino ) con i quali , scegliendo il meglio , diede incarico a Cosimo Fanzago di rimodernare chiesa e convento in modo tale da cancellarne le primitive forme scarne ed essenziali per trasformarla in una  struttura più sontuosa .e consone al suo potente ruolo
Il risultato finale fu  l’unica chiesa napoletana in cui spicca l’assenza del colore, in segno di rispetto della Povertà dei Riformati, in cui però  emerge l’impronta barocca .
 Tra il 1639 ed il 1674 l’ intero complesso, venne quindi riammodernato da Cosimo Fanzago il cui intervento non fu  così invasivo da modificare completamente l’impianto cinquecentesco del convento , ma si concentrò  sopratutto sulla chiesa apportando un  ammodernamento in ogni punto dell’impianto, di cui quello  più vistoso, si limitava  all’atrio con doppia facciata che sorregge un coro.
Fanzago aveva un delicato compito . Egli infatti doveva mediare nelle sua ristrutturazione tra una struttura consona alle direttive dell’ordine francescano appena reduce da una riforma che non prevedeva più costruzioni di campanili per le sue chiese , oltre che un più consono arredo chiesastico e la necessità di frà Giovanni di rendere particolarmente sontuosa ed appariscente la sua abbazia .
Alla fine egli riuscì con formidale bravura a soddisfare tutti e due criteri giocando particolarmente su una  perfetta bicromia di marmi che adottò sia per gli ambienti interni che esterni . La modifica più vistosa alla fine infatti fu solo quella di aggiungere l’atrio con doppia facciata a sostegno del coro.
La ristrutturazione  della chiesa seguì infatti  pedissequamente i dettami dell’ordine francescano, come la quasi totale assenza del campanile, formato solo da un semplice “alloggio” per due campane, la divisione dell’interno in tre zone ben distinte (una per le celebrazioni, in cui spiccano l’altare maggiore e un maestoso pulpito, una per i fedeli e una per il coro dei frati), l’uso delle balaustre a separare le cappelle laterali dalla navata centrale (poi in gran parte rimosse negli anni Sessanta del Novecento) e, infine, l’assoluta mancanza di colore nella facciata in segno di rispetto per la Povertà dell’ordine.
Fanzago dovette infatti attenersi , all’indomani delle prescrizioni imposte dal Concilio di Trento, alle nuove esigenge ecclesiastiche architettoniche dove l’uso dei tramezzi fu abolito, e tutte le chiese , in particolare quella dei  Riformati Francescani vennero da quel momento in poi tripartite secondo un nuovo arredo ecclesiastico.
 La separazione degli ambienti portava all’obiettivo di concentrare l’attenzione dei fedeli piuttosto all’ufficio della Parola e non tanto a quello dell’Eucarestia, catalizzandosi tutto attorno alla Predica e non la messa nel suo insieme, motivo unico per cui, il pulpito di Santa Maria degli Angeli alle Croci, è magnificente.
Fanzago adottò anche lui  questo tipo di soluzione ottenendo  la tripartizione dell’edificio grazie a ingegnosi accorgimenti: gli spazi furono suddivisi tra loro attraverso sopraelevazioni, da uno o due scalini, non oltre, mentre le cappelle laterali comunicavano tra loro, ma non comunicano con la navata che invece serravano strettamente grazie all’uso massivo di balaustre usate come vere e proprie transenne.
La facciata della chiesa ,  caratterizzata da pregevoli marmi intagliati, bianchi e grigi , presenta un arco centrale e  due elementi laterali architravati, con il portale d’ingresso sormontato dalla statua di San Francesco d’Assisi, attribuita a Cosimo Fanzago che l’avrebbe realizzata per la Chiesa di Santa Maria La Nova ai Banchi Nuovi ( altre fonti, invece, vogliono che la scultura venne scolpita da padre Grisanto Gagliucci da Cilento, e fatta portare nella posizione attuale per volere di fra’ Giovanni da Napoli).
Sempre del Fanzago sarebbe anche il puttino di sinistra (quello di destra è una copia dell’originale rubato), mentre i varchi laterali, originariamente aperti per garantire un effetto prospettico di profondità, vennero murati sempre a meta Ottocento, periodo di grandi trasformazioni per la chiesa e per l’intero complesso. A questi anni, infatti, risale l’aggiunta della scalinata che anticipa l’ingresso della chiesa.
All’interno , l’impianto della chiesa è tipicamente controriformistico, con una navata centrale , cappelle laterali , cupola sul prebisterio, ed un altare maggiore, alle cui spalle, si erge un magnifico tabernacolo del XVI secolo con angeli in bassorilievo , per la custodia dell’Olio Santo, realizzato da Cosimo Fanzago. Sono da ammirare inoltre  le pregevoli colonne in granito nell’atrio (provenienti dalla vicina basilica di San Giorgio Maggiore) e le varie opere scultoree del Fanzago nonchè una nteressante  la Statua di San Francesco d’Assisi con le ali ( terza cappella a sinistra ), di fra’ Diego da Careri .
Possiamo , guardandoci intorno , che la sola unica nota di colore dell’interno di questa chiesa sono le statue di legno  fatte scolpire da fra’ Giovanni da Napoli a fra’ Diego da Careri .  Molte di queste purtroppo sono andate irrimediabilmente perdute; per quelle che restano vanno segnalate gli Angeli alla Madonna che adornano l’altar maggiore, che mostra incassonato nel suo paliotto uno splendido bassorilievo realizzato da  Carlo Fanzago, figlio di Cosimo, raffigurante il Cristo Morto.
Alla sinistra della chiesa si trova l’accesso al bellissimo chiostro che è decorato con affreschi di Belisario Corenzio con storie evangeliche disposte lungo le trentasei arcate .In ognuna delle campate appare dipinto uno stemma dove viene indicato il nome del personaggio a cui si riferisce mentre nella campata centrale di ogni lato si ripresentano sempre gli stessi stemmi : sono quelli del cicerè , della moglieAnna Carafa, del loro figlio Nicole e di Elena Aldobrandini , madre di donn’Anna .
La straordinaria raccolta di stemmi dell’aristocrazia cittadina dell’epoca nelle volte del trentasei arcate , mostra oltre che una eccellente nota storica , ancora una volta in modo inequivocabile le strette relazioni che frà Giovanni aveva con tutti gli uomini più potenti del Regno che affascinati dall’essere eternati nel chiostro non mancarono di sostenere con ingenti somme la sua edificazione .
N.B. : Il chiostro oggi  è uno spazio inglobato all’interno della Facoltà di Medicina Veterinaria dell’università degli Studi, Federico II.
La rosa di nomi celebri che ad essa si sono legati negli anni  è sicuramente uno degli aspetti che maggiormente suscita il fascino di questo luogo che ci racconta sopratutto di una Napoli vicereale in  cui il vicerè Medina de Las Torres e di tutti gli uomini di quella corte, insiema ad un alto prelato come frà Giovanni , in barba  alle più recenti riforme ecclesiastiche e incuranti della somma missione francescana rivolta sopratutto all’attenzione dei più poveri ,trasformarono quella che inizialmente doveva essere solo una chiesetta extramoenia , in una splendida architettura sacra dove in maniera narcisistica
mostarono invece  interesse  al solo  manifestare la propria posizione di potere sociale raggiunta primo tra i tanti,.
Persino lo stesso Cosimo Fanzago, che per fama accresciuta, ne fu coinvolto , Egli infatti nel mentre dei lavori a Santa Maria degli Angeli alle Croci, offrì il proprio ingegno anche per la certosa di San Martino sul colle più alto del Vomero, al Cappellone di San Giacomo della Marca, alle due chiese del Gesù Vecchio e Nuovo, a San Lorenzo Maggiore ai Tribunali, a San Giorgio dei Mannesi a Forcella, e fino anche al Palazzo Donn’Anna a Posillipo.
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