Con il termine Vascio , i napoletani sono soliti indicare dei piccolo locali di alcuni edifici con ingresso dalla strada  posti al piano terra spesso  per lo più situati nel centro storico di Napoli ; L’etimologia del nome è piuttosto banale: il locale terraneo degli edifici è detto cosi perché posizionato al piano “vascio” cioè “basso”.

Il “Vascio” ha chiaramente alcuni limiti caratteristici dei vani al piano terra non destinati naturalmente ad usi residenziali. Essi nacquero infatti inizialmente tutti come locali destinati a depositi che in successione si aprivano  nei numerosi vicoli della Napoli del centro storico e dell’area intorno al porto.

N.B. In senso lato, infatti il nome di” basso ” può essere proprio attribuito a quei gruppi di edifici a piano matto che si costruivano nel medioevo come magazzini per il commercio delle merci provenienti dal mare,

Secondo alcuni studiosi del settore i cosidetti “vasci”erano invece presenti sin dal tempo greco-romano  , Si trattava in origine di locali usati come stalle o depositi per il commercio delle merci provenienti dal mare, diffusisi negli anni dalla zona del porto a tutto quanto il centro storico della città. In questi angusti e bui locali i più indigenti, in mancanza d’altro e soprattutto in inverno, per non dormire all’addiaccio, si adattavano a viverci. Presenti in vicoli bui e stretti, dove in non rari casi in poco più di una dozzina di metri viveva una famiglia di almeno otto persone, la funzione di questo locale,  era in alcuni casi quella di casa e a un tempo di bottega. In altri casi invece, dati gli spazi ridotti, la funzione era praticamente quella di mero dormitorio, dato che l’attività lavorativa, spesso fatta di piccoli espedienti, era vissuta lungo i vicoli, sì da conferire a questi ultimi un carattere di intimità e suscitando nel visitatore la sensazione di trovarsi non in una strada, bensì in una pullulante e caotica grossa abitazione.

Nella nosta città essi però ben presto subirono ad opera del basso ceto del popolo un importante processo di differenziazione sociale e ambientale , Apparsi infatti per la prima volta sotto la dinastia aragonese, i nostri bassi  finirono per ospitare le popolazioni “migranti”, provenienti dalle campagne .  composta di una o due stanzette a pian terreno, ricavata da antichissimi locali destinati a depositi.

Nel XV, secolo , quando infatti tutta l’Europa incominciò a scontrarsi contro il fenomeno del primo grosso inurbamento europeo, gli aragonesi al contrario di quanto altri governi  di molte città dell’epoca erano soliti fare di fronte ai mutati tempi, loro decisero di non procedere  ad una nuova  trasformazione edilizia della città e delle periferie  per evitare lo spopolamento della campagne circostanti , ma si si limitarono  ad emettere solo una serie di ‘prammatiche’ (ordinanze) contro lo sviluppo edilizio.

Gli immigrati, composti per lo più di contadini, piccoli artigiani e trafficanti di diversa natura non trovando alloggi, perché quelli restanti venivano occupati dalle famiglie nobili del regno e dai funzionari e militari spagnoli, finirono quindi per adattarsi in vani unicellulari destinati inizialmente a depositi. Gli antichissimi locali composti di una o due stanzette a pian terreno, incominciarono così a trasformrsi  dapprima in  locali con la unica funzione di mero dormitorio , dato che la maggiore attività di chi vi risiedeva era fatta di piccoli espedienti  vissuta all’aperto lungo i  stessi vicoli, e successivamente in vere e proprie soluzioni abitative .

Da allora, i cosiddetti bassi si moltiplicarono a vista d’occhio senza che nessun Governo successivo se ne curasse, tanto che verso la metà del XVIII secolo, invece di diminuire a causa del perdurante divieto urbanistico, la popolazione superò il mezzo milione, portando Napoli al primo posto tra quelle d’Europa per densità demografica.

I tanti vasci presenti senza luce ingrediente, (a parte l’entrata), dotati spessso di scarsa areazione ed invasione di odori, rumori, animali  randagi,, legati alla vicinanza con la strada, rappresentavano per la città un grosso  inconveniente igienico-sanitario,

Esso incominciò quindi nel tempo a rappresentare  il vergognoso emblema di un secolare disinteresse politico-amministrativo verso una città a considerata  anche se con toni minori ancora una delle  culle di una cultura umanistica di prim’ordine.

Nonostante i Borboni procedessero ad ampliare le mura cittadine, si dovette comunque  attendere il colera del 1884 per riconoscere che questi agglomerati prossimi al porto costituivano un terreno fertile per malattie a carattere epidemico. In essi e  spesso  in poco più di una dozzina di metri quadri viveva una famiglia di almeno 8 persone,

Quest’atmosfera, tipica dei vicoli napoletani, è stata raccontata da tantissimi scrittori e poeti e ritratta da altrettanti pittori: molti l’hanno decantata e sublimate, alcuni, soprattutto tra Otto e Novecento, si sono invece soffermati sulle misere condizioni di vita della popolazione. 

Una spietata descrizione dei bassi napoletani di quell’epoca a tal proposito , ci venne mirabilmente descritta  da Matilde Serao nel suo “Il ventre di Napoli”.

“Case in cui si cucina in uno stambugio, si mangia nella stanza da letto e si muore nella medesima stanza dove altri dormono e mangiano; case i cui sottoscala, pure abitati da gente umana, rassomigliano agli antichi, ora aboliti, carceri criminali della Vicaria.”

Stanze dove non batte mai la luce calda dei raggi del sole, anguste, dallo spazio ridottissimo, che assorbono la vita truculenta della strada; stanze che brancolano nel buio, agghindate da delle lenzuola che pendono dai balconi a mo’ di un carnevale dalla fine ignota, gremite di persone. 

Stanze  come potete notare ,che  nonostante descritte nella loro miserabile degrado ambientale e sociale rimbombano al nostro occhio cariche di pittoresca poesia grazie alla magica penna di Matilde Serao.

Ben presto gli abitanti di queste minuscole e disagevoli dimore si moltiplicarono a macchia d’olio fino a dar vita ad un vero e proprio fenomeno di sovrappopolamento, prolungatosi fino al 1880, quando, come riporta una testimonianza di Benedetto Croce, il ministro De Pretis, in visita a Napoli in compagnia del re Umberto, pronunciò queste intemperanti parole:

Bisogna sventrare Napoli”. La risposta altrettanto efferata e temeraria non si fece attendere. Matilde Serao, ancora una volta, subitaneamente affermò:

“Sventrare Napoli? Credete che basterà? Vi lusingate che basteranno tre, quattro strade, attraverso i quartieri popolari, per salvarli? […] Per distruggere la corruzione materiale e quella morale, per rifare la coscienza e la salute a quella povera gente, per insegnare loro come si vive […] – per dire loro che essi sono fratelli nostri, che noi li amiamo efficacemente, che vogliamo salvarli, non basta sventrare Napoli: bisogna quasi tutta rifarla.”

Come prima abbiamo accennato ci volle  comunque il  colera del 1884 per riconoscere che questi agglomerati prossimi al porto costituivano un terreno fertile per malattie a carattere epidemico. In tale occasione infatti il censimento denunciò 22.785 locali di quel tipo, occupati da 105.257 abitanti. L’intera Italia a quel punto ( e solo allora ) trasalì, richiamando l’attenzione dell’Europa.

“Bisogna sventrare Napoli”, rimase comunque  la frase alla moda di quei tempi ; sembrava che  il Governo centrale non desiderasse altro che far sparire da Napoli le abitazioni malsane.

Difatti qualche anno dopo si diede inizio ai lavori di “risanamento” limitandosi ad elevare una specie di paravento dinanzi alla Napoli dei vicoli. Furono abbattute anche vecchie case patrizie, ma il sudiciume dei bassi rimase.

Eppure  lungimirante Matilde Serao, ne suo  “Il ventre di Napoli” li aveva avvisati quando  sul quotidiano Il Mattino lanciò una furibonda invettiva al premier di allora, Agostino De Pretis: “Sventrare Napoli? Credete che basterà? Voi vi lusingate che basteranno tre, quattro strade, attraverso i quartieri popolari, per salvarli. Voi non potrete lasciare in piedi le case lesionate dall’umidità, dove al pianterreno vi è il fango e all’ultimo piano si brucia nell’estate e si gela nell’inverno; dove le strade sono ricettacoli d’immondizie, nei cui pozzi, da cui si attinge acqua così penosamente, vanno a cadere tutti i rifiuti umani e tutti gli animali morti […] il cui sistema di latrine, quando ci sono, resiste a qualunque disinfezione, bisogna ricostruire Napoli quasi daccapo…”.

Neanche quando il fascismo decretò l’evacuazione da quelle stesse abitazioni malandate, ma dal tocco grottesco e vagamente felliniano, durante il secondo conflitto mondiale i vasci furono del tutto abbandonati  . Neanche i bombardamenti dell’ultima guerra che distrussero oltre centomila appartamenti in tutta Napoli riuscirono ad  evitare che si ricostruissero nuovi bassi., ma questa volta meno  fatiscenti , meno squallidi e  molto più puliti  di come apparvero a Renato Fucini nel 1877 che descrisse in “Napoli a occhio nudo”. Essi furono infatti  illeggiadriti da tendaggi e vivacizzati da televisori, poster,  elettrodomestici, e zanzariere e al termine del conflitto  furono tutti  occupati di nuovo, rivangando il passato.

Il basso ceto popolare nella sua differenziazione sociale e ambientale ha didatto continuata da allora  ad abitare i suoi ” vasci “ed ha rappresentato a spregio della modernità , per altri tanti decenni, nonostante i suoi  detrattori, il folclore multiforme di una città contraddittoria  e pittoresca.

Dei  cosidetti ” vasci”  cominciò infatti a parlarne per primo addirittura Giovanni  Boccaccio, quando nel 1325 fu condotto dal padre in questa città ancora giovanissimo e vi rimase per studiare  Egli ne restò così  favorevolmente colpito, da poi descriverli nel suo Decamerone: “…guardo quelle che siedono presso la porta delle loro case in via Capuana; di ciò gli occhi porgendo grazioso diletto…”.

Anche se nel suo capolavoro non c’è traccia del termine “basso”, è indubitabile che negli atteggiamenti, nelle abitudini di alcuni personaggi di certe novelle, vi sia lo spirito e la mentalità degli abitanti d’e’ vasci , come dimostrano le righe che abbiamo citato.

E più di recente E.A.Mario nella canzonetta “O vascio”, il quale tessendo l’elogio di quel tipo di abitazione, declamava: “…Se ospita una bella ragazza, esso è migliore di una reggia”

Covo di poesia e brulicante folclore questi vasci , a cavallo tra gli anni 40 e gli anni 50, divennero anche gli incredibili protagonisti della nota commedia di Eduardo De Filippo chiamata “Napoli milionaria” . Il maestro del teatro napoletano  infatti ambientò proprio in quelle stanze il famoso testo teatrale descrivendo con supremo realismo come gli abitanti di quei luoghi vivessero la loro triste  quotidianetò nonostante “l’abbandono di dio e degli uomini”. 

I tipici vasci ed i suoi abitanti venivano presentati in questa commedia da Eduardo come simboli di un mondo fantastico e pittoresco che riuscivano a sopravvivere sorretti da una filosofia del tutto originale  una misera realtà storica e socio-economia.

Egli per l’estremo realismo con cui mise in evidenza il degrado urbanistico e sociale di quei luoghi , vebbe anche contestato fortemente dalla critica che si permise di  insinuare che egli avesse diffamato Napoli e i suoi abitanti. Eduardo, al contrario, “aveva ripulito i bassi”, denunciandone la miseria, come illustrò in un articolo dell’Unità, scritto nel 1950.

Ma nonostante tutto gli abitanti di quei tuguri come i classici di una cultura tutta partenopea  riuscivano a sopravvivere  e sorretti da una filosofia del tutto originale , addirittura non volevano lasciare quei vasci dove vi era racchiusa una parte della loro vita e della loro memoria , Nessuno di quei poveri abitanti di quelle umili dimore ha mai voluto lasciare quei luoghi . Essi sono senpre stati molto lagati alle  antropologiche antiche origini di quei quei luoghi brulicanti di  folclore tipicamente napoletano, tanto  è vero che negli anni sessanta quando vennero  creati numerosi appartamenti in altri rioni popolari in alcune zone periferiche, per  essere assegnati come alloggi popolari a molte di queste  famiglie che abitavano da decenni gli umidi e bui vasci ,si venne  a creare  qualcosa di surreale che niente  a che vedere con la ‘grande’ storia di questa città.

Molti di quei tanti inquilini degli antichi vasci del centro storico pur avendo avuto in concessione un alloggio popolare di nuova formazione ma alquanto distanti da quel centro da loro tanto amato, , diedero in affitto il loro nuovo alloggio buono, e rimasero invece  compiaciuti nelle loro vecchie ‘tane’ , che addirittua provvidero a ristrutturare in maniera illegale nonostante all’esterno di ognuno di quei tuguri vi fosse presente una targa di marmo con una scritta significativa: “Terraneo non destinabile ad abitazione”.

CURIOSITA’ :Dal punto di vista più prettamente architettonico, giova ricordare che originariamente il “vascio” è essenzialmente costituito da un unico ampio locale (originariamente un deposito, un garage…), al quale, nel momento della sua rifunzionalizzazione, vengono apportate delle modifiche.

I vari abitanti  fiancheggiati da un muratore complice, certo non si lasciarono intimidire da una semplice frase beffarda testimone di una volontà fatta solo da belle intenzioni e molti di loro provvidero  senza alcun controllo a traslare di quell’unico vanoil ” soggiorno fuori dalla porta di ingresso, ben protetto da piccoli bassi murettiche lo circondavano sui lati . Ovviamente nel nuovo “living “avvenne anche  lo spostamento delle sedie migliori sull’uscio ( a volte anche poltrone o il divano).

NB. Il soggiorno sul marciapiede del “vascio” è la risposta autentica dell’architettura contemporanea al problema dell’individualismo della società contemporane: il “vascio” come oggetto d’architettura è un formidabile esempio di spazio fluido, tramite un compiuto annullamento della separazione tra “interno” ed “esterno”, un ideale più volte inseguito, non sempre con successo, da Mies Van Der Rohe o da Philip Johnson.

Ma tutto questo è nulla se pensate al peggio . Infatti poichè gli alloggi popolari da assegnare erano insufficienti e  non vi erano quindi appartamenti per tutti, molti di loro non arrendendosi iniziarono  ad occupare i nuovi depositi e li trasformano ovviamente  in nuovi bassi, ricreato così l’antico circolo vizioso difficilissimo da stroncare.

Tutto questo quindi invece di strocare il fenomeno del ” vascio” portà purtroppo solo ad un incredibile aumento del numero dei vasci stessi .Pensate solo che nel 1965  un censimento relativo ad un’indagine della Doxa  contava 45.000 bassi con un numero di abitanti che superava le 300.000 anime (come dire uno ogni otto napoletani).

Dati come vedete allarmanti e figli di una cultura secolare, dove spesso la tragica realtà dei bassi esula da un semplice problema esistenziale locale per divenire un fatto di politica nazionale connesso ai fenomeni della malavita, dell’emarginazione e della endemica disoccupazione. In questi luoghi molti uomini di malaffare se non altro hanno per decenni potuto  continuare i loro commerci abusivi provenienti dal porto al riparo da occhi ‘indiscreti’. 

Oggi con le recenti normative, meno restrittive, sul recupero ad uso abitativo dei piani terra, si è aperto finalmente il grande dibattito sull’architettura del “Vascio”.

Si tratta di un vero e proprio modello sociale, molto più efficace dell’unitè d’habitation di Le Corbusier e del Falansterio di Fourier. Essi insieme a tuuto l’intero centro storico di Napoli sono stati dichiarati dall’UNESCO  nel 1995 Patrimonio dellUmanità e con il propagandarsi del fenomeno turismo  non esistono piu’ come tali poiché al loro posto crescono a vista d’occhio friggitorie , pizzerie ma sopratutto bar che in maniera irregolare si espandono oltre ogni limite con i loro tavolini .

Alcuni di loro  particolarmente pregiati, e migliorati sia nello spazio igienico ma sopratutto nel problema dell’areazione con delle ventole motorizzate che funzionano anche da deumidificatori, si sono trasformati in accoglienti piccole case vacanze da affittare a turisti per far vivere loro delle autentiche “esperienze sensoriali da poveri ”Internamente, in base al numero degli occupanti, vengono create una o più stanze, tramite delle tramezzature (a volte in cartongesso) nelle quali vengolo  ammassati dei posti letto. Spesso le pareti divisorie del “vascio”, per garantire un minimo di ricambio d’aria, non raggiungono il soffitto, causando come  avviene nei “sassi” di Matera una   lesione della privacy. 

N.B. In “vasci” di piccole dimensioni,, posizionati su vicoli o cortili interni, si ritiene quasi inevitabile posizionare una fontanella esterna per sbrigare alcune operazioni sanitarie direttamente sul marciapiede.

Spesso in zone di mare, i “vasci” vengono destinati a case vacanze. Se il cambio di destinazione d’uso non è stato ancora assentito, l’operazione viene fatta “a nero”. In questo caso il numero degli occupanti sono avvertiti: se si presenta la guardia di finanza, devono dire che sono amici del proprietario e che si sono solo eccezionalmente, per una notte sola, “appoggiati” in questo piano terra, per una qualche causa imprevista, che può essere uno sfratto come un terremoto.

Il fitto del vascio  specie se “in nero”, realizza il sogno di tutti i vacanzieri italiani: farsi le ferie al mare spendendo poco. Praticamente un ossimoro. Per questo il “vascio” rientra di diritto nella categoria delle case ideali.

Le problematiche legate a questa turistificazione di massa sono oggi accantonate, sia dal Comune che dai napoletani stessi in favore della trasformazione di intere aree cittadine, ripensate a beneficio di un turismo mordi e fuggi.  Oggi nel nostro centro storico e nei quarteri spagnoli , al posto di molti di questi vasci , sopratutto nell’ultimo anno sono  invece nate in maniera esponenziale patatinerie, friggitorie, pizzerie, gelaterie, paninoteche , centri scommesse , bar , barretti , negozi di souvenir made in China  e  varie attività di dubbio gusto come kebabbari o friggitorie di zeppole e panzarotti .Per meglio valutare l’involuzione di un luogo e  assistere a una vera e propria fiera dell’orrore, oggi basta guardarsi intorno e assistere inermi alla nascita istantanea di bugigattoli che esalano nuvole di vapori e puzza di fritto, allo spuntare da un giorno all’altro di locali commerciali che spacciano un cuoppo o una zeppola per “la vera qualità” di Napoli,
Oggi come avete potuto seguire da quanto scrtto , la facciata della nostra citta ,sta sgretolandosi sotto il peso di enormi contraddizioni e, come tutte le megalopoli mostra le sue disfunzioni più visibili dovute ad un’inammissibile incuria amministrativa, al sottosviluppo, alla malavita e alla diffusa sottocultura, da cui sorge una insanabile frattura sociale tra il popolino e un’èlite di grande spessore culturale ma eccessivamente dottrinale, che stoicamente, e diciamo pure, eroicamente, ancora vi risiede: fattori che hanno impedito il consolidarsi di una vera democrazia, come in tutto il nostro mezzogiorno.

 

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