Dichiarato dall’Unesco nel 1995 Patrimonio dell’umanità, per la sua unicità nel possedere un impianto urbanistico storico fieramente difeso dalle omologazioni architetturali tanto di moda nel resto del mondo , la nostra città per secoli ha lasciato intatte le sue bellezze ,i suoi monumenti e sopratutto la sua architettura unica al mondo .
Le sue chiese , i suoi palazzi , i suoi stretti e misterioso vicoli , i suoi vasci , sono stati considerati dall’ Unesco delle vere e proprie opere d’arte

Napoli è una città talmente intrisa di storia, cultura e arte che qualche anno fa  è stata definita dalla BBC come la città italiana con troppa storia da gestire,

Storia arte,  cultura e tradizioni si  respirano in ogni vicolo del nostro centro storico ma  ciò che rende Napoli davvero indimenticabile è la sua cucina, capace di raccontare la città attraverso sapori unici e genuini. Per un turista che arriva qui, la vera esperienza parte proprio dal cibo,  Immergersi nella cucina napoletana significa di fatto entrare in contatto con la vera anima partenopea, fatta di passione, storia e prodotti d’eccellenza.

Se quindi volete vivere Napoli in modo autentico, non potete  perdervi  un tour di street food nei quartieri simbolo come Spaccanapoli, i quartieri spagnoli, la sanità , Forcella , il mercato di Porta Nolana , quello della Pignasecca o il Lungomare Caracciolo. Qui, tra bancarelle e piccole botteghe, potrete  assaggiare prelibatezze che vi raccontano della vera Napoli e delle sue vere tradizioni .Il cibo di strada a Napoli appresenta un  viaggio nel tempo, una scoperta continua di sapori e storie che si intrecciano tra vicoli antichi e scorci mozzafiato sul  golfo ,con la vita quotidiana di una città vibrante e accogliente.

Napoli ricordatevi, non è solo una città da visitare, ma un’esperienza da vivere con tutti i sensi. Dalle sue origini millenarie, attraversate da dominazioni e culture diverse, fino ai vicoli stretti e alle piazze piene di vita, Napoli racconta una storia fatta di arte, musica e soprattutto di cibo.

Napoli è la città dello street food per eccellenza.

La formula prediletta per mangiare aNapoli è il cibo da strada (oggi più comunemente chiamato street food), cioè quello servito direttamente da vetrine, negozietti, anfratti adibiti con pochissima cucina, calderone per fritture, un frigo con le bevande ed una minuscola cassa per battere scontrini davvero da pochi euro. Il costo dello street food a Napoli è irrisorio, similmente a quello delle altre città: si parte da 1 euro per una pizza a portafoglio o un dolce tipico, fino ad arrivare a massimo 6-7 euro per i cuoppi di fritture più pieni ed elaborati.

Esso si è diffuso nella nostra città a metà del ‘700 grazie alle prime friggitorie ambulanti. Da allora, pizze a portafoglio, cuoppi di terra e di mare, frittate di maccheroni e panini napoletani, sono diventati per ogni turista che viene a visitarci il piatto preferito con cui saziarsi .

Si tratta per definizione di un cibo povero e veloce, nutriente ed economicamente disponibile per chiunque e n on vi affannate a cercarlo…ogni angolo della nostra città nasconde un luogo simpatico e caratteristico in cui è possibile assaporare una di queste specialità culinarie.

Napoli con i suoi migliaia di ristoranti , pizzerie , bar , friggitorie e pasticcerie  è una città che oggi è  destinata a sconvolgere l’ecosistema turistico mondiale  dei tour operator.La città appare   mitizzata agli occhi dei turisti. nei suoi aspetti folkloristici  e le voci del passato sono state messe in ombra dalla valanga di immagini con il volto di Maradona ai Quartieri Spagnoli ma anche  dalle strade del centro storico stracolme di turisti e dalle recensioni entusiaste dei viaggiatori che in maniera estremamente entusiasta si fermano  su una narrazione storica di una città divertente e divertente  nella sua malamovida  notturna .Anche i social network, che non hanno mai lesinato su meme e cattiverie sui classici stereotipi del capoluogo campano, hanno improvvisamente  trovato un nuovo filone di visualizzazioni sfruttando il fenomeno scudetto e la conseguente ondata di turismo folcloristo sorta nel murales di Maradona e nei vicoli imbanditi a festa .

Napoli è insomma non solo arte , monumento, museo e pinacoteche, ma anche  street food.  Passeggiare per il centro, da Porta Nolana a Spaccanapoli, Forcella , la Sanità, i  Quartieri Spagnoli, il vomero o lungo Spaccanapoli significa immergersi in un mondo di profumi, colori e sapori. Qui si può assaggiare un’ampia varietà di prelibatezze da strada, che raccontano la cultura partenopea.

E allora incominciamo il nostro viaggio culinario nello street food napoletano partendo proprio dalla regina indiscussa della tradizione culinaria partenopea. Quando si parla di Napoli, non si può infatti non pensare alla pizza e sopratutto alla  pizza margherita, simbolo di semplicità e bontà, e la pizza non è solo un piatto: è cultura, arte, e soprattutto passione.

La pizza napoletana si distingue per la sua pasta soffice, leggermente elastica, il cornicione alto e alveolato, e l’uso di ingredienti freschi come pomodoro San Marzano, mozzarella di bufala e basilico. La tradizione vuole che si mangi anche in formato “a portafoglio”: una pizza piegata in quattro, comoda da tenere in mano mentre si passeggia tra i vicoli.

La vera pizza napoletana da pizzeria, cotta nel forno a legna e servita appena sfornata, merita certamente un posto d’onore nel tuo tour. Se hai tempo per sederti, ecco le 20 pizzerie leggendarie imperdibili dove assaporare l’autenticità napoletana:

  1. Antica Pizzeria da Michele – via Cesare Sersale (famosa per la margherita e la marinara)

  2. Sorbillo – via dei Tribunali (tra le più iconiche, sempre affollata)

  3. Starita – via Materdei (storica e popolare anche per le montanare)

  4. Di Matteo – via dei Tribunali (nota anche per le frittatine di pasta)

  5. Concettina ai Tre Santi – Rione Sanità (una vera esperienza gastronomica)

  6. 50 Kalò – Piazza Sannazaro (moderna, elegante, perfetta per chi ama l’impasto idratato)

  7. La Notizia – via Caravaggio (innovazione e tradizione con Ciro Salvo)

  8. Trianon da Ciro – via Pietro Colletta (pizza gigante e atmosfera popolare)

  9. Pizzeria del Popolo – Piazza Mercato (ottimo rapporto qualità/prezzo)

  10. Pizzeria Lombardi 1892 – via Foria (una delle più antiche di Napoli)

11.Pizzeria Oliva -Via Tino Di Caimano 2/E, a pizza( una buona pizza nel cuore del Vomero)

12, Pizzeria Salvo-Via Riviera di Chiaia, 271

13.Pizzeria Vincenzo Capuano-Piazza Vittoria, 8

14.Pizzeria Diego Vitagliano-Via Nuova Agnano, 1.( una delle migliori pizzemigliori pizze di Napoli)

15. Pizzeria Da Attilio-Via Pignasecca 17. 

16. Pizzeria Errico Portio , Via Scarlatti 84 (Vomero)

17.Pizzeria Bro-Piazza Mercato 222 ( una buona pizza tradizionale in una piazza storica

18. Pizzeria Palazzo petrucci-Piazza San Domenico Maggiore, 5. ( si trova in pieno centro antico)

19.Pizzeria Gaetano Paolella

20.Pizzeria da Michele -Via Cesare Sersale, 1( antica  pizzeria che esiste da oltre 150 anni

Nessuna visita a Napoli può dirsi completa senza assaggiare la pizza, vera icona della città e patrimonio mondiale dell’umanità. La pizza napoletana non è solo un piatto, è una tradizione secolare, una ricetta semplice e perfetta che racconta storie di famiglia e dedizione.

In città, la pizza si gusta in tantissime forme, ma vi costinge a stare seduti nel gustarla,  ed ecco allora che i napoletani si sono inventati anche il modo per portarla a spasso.

Si sono inventati la la pizza “a portafoglio”: una pizza piccola, morbida e profumata, piegata in quattro per essere mangiata camminando tra i vicoli di Napoli, senza rinunciare a nulla del gusto.

Di diametro ridotto, con meno condimento, anche il prezzo ovviamente  è popolano e popolare. Solitamente questa pizza ha poco o nullo fiordilatte, poco pomodoro e poco olio: una versione abbastanza “light”  di una margherita canonica. Il prezzo: raramente la troviamo ancora ad un euro, il prezzo più comune fino a qualche anno fa; oggi la pizza a portafoglio si attesta sull’euro e cinquanta, due euro.

Questa versione della pizza rappresenta certamente lo street food napoletano per eccellenza.

In città la si puo’  trovare un pò ovunque e vi assicuro che camminare per le vie di Napoli con una pizza a portafoglio tra le mani è un’esperienza davvero imperdibile.

Per i più golosi si può optare per la versione fritta ( anche con ricotta o con scarole )  . Badate bene però stiamo parlando di due tipi di pizze con preparazioni diametralmente opposte che fanno parte della stessa grande famiglia delle icone di Napoli nel mondo. In entrambe le scelte poche semplici regole, farsi guidare dagli occhi e dal profumo per la scelta e soprattutto ustionarsi assaggiandole.

La pizza fritta è molto diversa dalla tradizionale  margherita. Si tratta di semplice pasta cresciuta, ripiena di pomodoro e mozzarella, cotta  sempre in olio bollente.
Prendetela da 1947 Pizza Fritta, proprio di fronte alla famosa pizzeria” Da Michele”, oppure da “Esterina Sorbillo” che ha vari punti vendita in città, da via dei Tribunali 26( angolo Piazzetta Nilo ) che a Piazza Trieste e Trento, 53 .

Da provare quella anche da Gennaro Salvo in ViaToledo e quella da Fernanda che si trova in Via Speranzella 180, che come un tempo faceva la mitica  Sofia Loren ne L’oro di Napoli,  signora Fernanda  prepara le pizze fritte nel suo vascio come si faceva una volta, con vendita su strada. Due sole le pizze proposte (grande e piccola) ed una selezione di fritturine.

CURIOSITA’: La pizza venduta da Sofia era una pizza a credito, che veniva detta “‘a ogge a otto”; ossia la mangio oggi e la pago la settimana prossima. Alcuni bassi. napoletani dei quartieri spagnoli o di Montesanto o del borgo, proprio come nel film, aprivano la loro bottega solo di sabato e di domenica; la “bottega” consisteva in un pentolone di olio bollente e un piano per stendere le pizze. Queste pizzerie-basso, alcune delle quali sono ancora attive
oggi, aprono solo un giorno alla settimana; è naturale che se viene venduta a credito, la pizza si pagherà alla prossima apertura, tra sette giorni (più oggi fanno otto). Ecco la spiegazione dell’origine della pizza oggi a otto.

Un’altra buona pizza fritta di ottima qualità la poete trovare anche nella sanità al civico 27, da Isabell. De Cham , dove è  una brigata di donne a dirigere la nota  pizzeria,

 

 

 

 

 

 

Se comunque vi piace il cibo fritto sappiate che in città le friggitorie sono tante ed a Napoli esse sono il paradiso dei golosi. Le fritture sono l’anima della cucina di strada di questa  città  e ovunque se vi guardate intorno mentre passeggiate potete trovare  frittatine di pasta, crocché di patate, zeppoline (pasta cresciuta fritta),  arancini bianchi e  verdurine in pastella in porzioni  abbondanti a prezzi bassi .

Se certamente  la pizza a portafoglio è la regina del fast food , sicuramente il cuoppo ne è  il principe.

Esso rappresente l’icona dell’ingegno napoletano. Un foglio di carta paglia arrotolato su se stesso, che allo stesso tempo accoglie e asciuga l’oro di Napoli, la frittura.

Un cuoppo fritto  di solito è composto da qualche zeppolina salata, cioè pastecresciute con sale; panzarotti (altrimenti detti crocché) fatti di patate e spesso arricchiti con formaggio e prosciutto, pizzelle ‘e sciurilli (pastecresciute con fiori di zucca), sciurilli fritti (sempre fiori di zucca pastellati e fritti), scagliuozz (triangolini di polenta fritti), palle di riso e  frittata di maccheroni (timballi di pasta )

Non può mancare naturalmente la versione di pesce, qui il “cuoppo” coccola le prelibatezze che il mare offre ai napoletani da sempre, che loro saggiamente friggono e servono con il limone. Alici, gamberi, calamari ed anelli di totani ,colorano i “cuoppi” e nei più tradizionali la frittura di paranza fa raggiungere vette quasi mistiche.

Voglia di fritto Il bello dei cuoppi misti è che non dovete scegliere perch ogni cuoppo contiene almeno tre tipologie di...

Per chi i vuole veramente  immergersi nell’anima del fritto napoletano deve solo recarsi nel caloroso chiosco denominato ” Passione di Sofì”che si trova  in  Via Toledo 206 -Via Toledo 324 e Via Benedetto Croce 42 .

Caratteristica divertente di questo locale è la cucina posta al primo piano: i fritti freschi arrivano dall’alto al piano vendita con il classico “paniere” direttamente alle commesse che velocemente li ripongono nel banco. Tra le sue specialità c’è il mitico “cuoppo napoletano” classico  a forma di cono, con arancini, crocchè, zeppole, montanare e calzoni) e di pesce (fritture di mare e di paranza con alici, calamari, gamberetti, triglie, bianchetti e, spesso, anche baccalà..Ovviamente non manca la pizza fritta e sopratutto una buona  frittatina. Questo posto è l’angolo di mondo dove prende vita la tradizione napoletana in tutta la sua fervente unicità. Una tappa imperdibile per gli amanti della cucina fritta!

CURIOSITA’ :Il re “Lazzarone” per i pescatori di Santa Lucia, era un re che amava il contatto con la gente semplice. Passeggiava per il borgo con un fare quasi volgare e di certo era di gusti popolari. Questo lo sapeva bene Sofia, giovane popolana, con il vizio dell’amore e la virtù della cucina. Sofia cucinava per lui, nel “vascio” di casa sua, ogni qual volta il re passava di lì. Per la sua arte culinaria, tradizionale, ma dal gusto regale, Sofia si guadagnò il benestare del re, e per le voci dei vicoli di Napoli addirittura il ruolo di amante.
Ma che ne poteva mai sapere la gente che lei non vendeva l’amore al re, ma la passione per il cibo, quello popolare, quello che ti inebria tutti i sensi, dal gusto all’olfatto, e di cui non ne puoi fare a meno.

Il mitico cono napoletano da passeggio si riempie di tante delizie fritte da scegliere secondo i propri gusti anche nel mitico locale il ” Cuoppo – Friggitori Napoletani  che si trova in  via San Biagio dei Librai, 23 .

In questo luogo troverete mozzarelline, alici, rotelle di calamari, patate, verdure in pastella, crocchè, arancini e frittatine di pasta che vengono fritte sul momento risultando croccanti e leggere, perfette per una sosta golosa e da gustare facendo una passeggiata.

Un’altra storica friggitoria in cui gustare il mitico cuoppo fritto è Fiorenzano, che si trova nel cuore del  pittoresco quartiere della Pignasecca. In questo locale vengono proposti tutti i tipi di frittura tipici dello street food partenopeo come paste cresciute, crocchè, arancini, frittatine di pasta, pizze fritte e tante altre specialità napoletane. Tutte le fritture sono cotte al momento e preparate con ingredienti di alta qualità. Per riempire il vostro cuoppo avrete l’imbarazzo della scelta.

Un’ altro mitico cuoppo fritto da gustare potete cercarlo all’angolo take-away della storica pizzeria e friggitoria  Di Matteo che si trova in Via Tribunali 94. Accanto al suo ingresso principale c’è, infatti, una vetrina stracolma di paste cresciute, crocchè, arancini, frittatine di pasta e verdure in pastella.

Come però  dimenticare parlando di frittura la Friggitoria Vomero che si trova in Via Cimarosa 44. ( nei pressi di Piazza Fuga ).

Questa è una tappa obbligatoria per gli amanti del fritto napoletano. Tutti devono provare almeno una volta le paste cresciute, gli scagliozzi di polenta e ciurilli. ed i fritti classici napoletani di questo tradizionale posto che spaziano tra  zeppole, panzarotti,  arancini,  fiori di zucca e  melanzane fritte. Insomma , un vero e proprio tempio del fritto.

Un altro emblema del fritto in città è quello di FIORENZANO che si trova  nel famoso mercato della  Pignasecca, un  luogo popolare e popoloso della città, dove si trova il più noto mercato alimentare della città. Qui è impossibile non essere rapiti dalla loro enorme vetrina che sfoggia orgogliosa un’ampia varietà di preparazioni; dalla classica pizzetta, alla montanara fritta, alla frittatina di pasta, al delizioso panino con le melanzane a funghetto, i crocchè, gli arancini di riso, paste cresciute, fiori di zucca ripieni,  il classico cuoppo misto .

Caotico e colorato, questo mercato, possiede  delle chicche incredibili di “cucina di mercato” Qui il cibo regna sovrano ed è teatro di fenomeni che poi hanno conquistato mezza Italia, come il caso di Con Mollica o senza,I due hanno aperto una nuova salumeria a Napoli, che ha preso il nome “Con mollica o senza “, una salumeria che  oggi sforna all’incirca mille panini al giorno.Un luogo ideale per fare merenda con un panino.

In un angolo della strada, in via Pignasecca n1, si trova un’altra salumeria il cui profumo avvolge l’intera via, catturando l’attenzione di chiunque vi passi accanto. Si tratta del negozio di ALIMENTARI RUSSO  dove potrete consumare le classiche “marenne” ai formaggi, ai salumi, al pane fresco.

Ma parlare di “marenna”, il pranzo degli operai che, con un panino riempito di ogni bontà immaginabile pranzava nella pausa del suo faticoso lavoro) non possiamo accenare al famoso “cuztiello”. Risulterebba infatti addirittura assurdo  non accennarvi a quel panino, preferibilmente casereccio, svuotato della mollica e riempito con polpette al  sugo di pomodoro.

N.B.Un cuzzetiello è la parte finale di un filone di pane, quindi la parte conica, sovente svuotata della mollica e riempita con i condimenti e le grandi preparazioni della cucina partenopea.

Il luogo divenuto famoso in città per la vendita dei cuzzitielli take away, con i condimenti più disparati. è quello che si trova in Via Mezzocannone 75, chiamato TANDEM . Qui si parte dal cuzzitielli al ragù , si continua ,co quello salsiccie fiarielli e si  si finisce con la peperonata.

In  molte salumerie (o anche nelle tavole calde) , questa prelibatezza la si fa col cuzzetiello di pane cafone che si può imbottire al sugo (per esempio una bella cotena al ragù) oppure in bianco con una bella coppia di salsicce e friarielli.

L’ultima frontiera del panino si chima però “PUOK” e si trova in Spaccanapoli (Piazzetta Nilo 9, Napoli)o al Vomero (Via Cilea 104, Napoli). Si tratta di un burger store take away che serve iconici panini preparati con ingredienti freschi e ricette uniche.

Ma inserire in una frase panino e napoletano, senza parlare del “pagnottiello” è quasi un sacrilegio. Un panino non farcito, perché cotto già farcito s con salumi e formaggi  e tanto strutto.

Qualcosa di gustosissimo.  !Tutte le rosticcerie li fanno, e anche tanti bar li tengono. Avete solo  l’imbarazzo della scelta!

La leggenda vorrebbe che nei forni napoletani, dove si preparava il pane cafone, a volte avanzava un po’ di impasto. Con i piccoli ritagli di pasta spesso si realizzavano i taralli rustici, intrecciando due striscette di impasto e guarnendoli con pepe e mandorle.
In altri casi il panetto di impasto veniva guarnito con gli avanzi della cena, quello che avevano in casa: formaggi, salumi.
E così nasce il panino napoletano, più leggero del pagnottiello fatto di pasta di tortano ed  imbottito pesantemente di cicoli e  “nzogna”.
Forse per questo fu chiamato panino, piccolo panetto, più leggero rispetto al pesante ristetto al casatiello .

Un punto di  un riferimento per il pagnottiello in città resta sempre quello della MASARDONA che si trova a  Piazza Vittoria 5. Queso è uno di quei  posti dove ancora lo si trova come tradizione comanda. Ben unto e farcito, di dimensioni decisamente generose ed abbondanti anche per due persone.

CURIOSITA’ : La Masardona è il divertente soprannome che fu affibbiato circa 100 anni fa, ad inizio del novecento, a nonna Anna. La leggenda vuole che un signore si rivolse a lei per portare “‘na mmasciata” cioè una lettera ad una persona. Lei fece bene il suo compito ed il signore le disse “E bbrava a masardona”. Da allora questo nomignolo le restò attaccato addosso; lo lasciò in eredità a sua nuora Carmela e la friggitoria da loro creata non poteva che chiamarsi così. Andando a spulciare nei documenti storici viene fuori che “masardona” era un termine in uso nel periodo successivo all’Unità d’Italia. La masardona era una donna che faceva parte della bande brigantesche dell’Italia Meridionale.
Queste masardone venivano usate come portaordini, come staffette o corrieri, alle dipendenze del capo bandito. Proprio come la staffetta nonna Anna, la messaggera, la Masardona che consegnò con perizia la lettera, speriamo d’amore, quasi un secolo fa.
 L’ Antica Friggitoria La Masardona dal 1945 è famosa anche  per la sua pizza fritta per la quale utilizza nella preparazione solamente  ingredienti freschi e genuini per soddisfare anche i palati più esigenti.
A Napoli il pagnotiello è considerato  una  pietra miliare dello street food napoletano ed in città vi sono in vendita decine di luoghi dove potete trovarlo di ottima qualità.
Uno dei più buoni lo trovate sicuramente dalla rosticceria “La padella “a piazza Arenella,  dalla Rosticceria Cavour a Piazza Cavour, nella Sanità, al forno Capasso , del Capriccio a Via Carbonara ed infine quello del Pasticciello a Rione Luzzatti.
N.B. Il pagnotiello non bisogna comunque confonderlo con il panino napoletano : questo è un’altra cosa; non è un “panino” ma è una fetta di pizza rustica ottenuta con l’aggiunta di vari salumi tradizionali.
Nato come rustico umile, oggi è considerato una pietra miliare dello street food napoletano.
E non va confuso neppure col pagnuttiello o col panuozzo!
Il panino napoletano è avvolto su se stesso, ha un impasto diverso ed è molto più morbido del coriaceo pagnottiello.
In  città questa una sorta di  rustico , fatto con lo strutto e ripieno di salumi e formaggi, è molto apprezzato.
Gustosissimo. Tutte le rosticcerie li fanno, e anche tanti bar li tengono. Avete l’imbarazzo della scelta!

 

Chiacchierando di pagnotiello non dobbiamo comunque dimenticare il famoso PANUOZZO , per gustare quello originale , come tutti sanno in città,  bisogna spostarsi a Gragnano, una cittadina non molto distante dalla penisola sorrentina dove il panuozzo  è nato, ma sono ormai tanti i posti che lo propongono anche in città.  Si tratta di un lungo panino realizzato con la pasta della pizza e preparato al forno in due fasi: dopo una prima cottura viene tagliato, farcito con i più svariati ingredienti e poi nuovamente infornato, per ottenere un prodotto morbido e fragrante. Ideale per un pasto veloce ed economico, ad esempio una pausa dal lavoro

Provate a Napoli quelli da Mascolo , una filiale aperta dalla nota pizzeria e panuozzeria di di Gragnano, Essa si trova non lontano dal porto di Napoli in  via Oronzio Massa,

Chiacchierando di pagnotiello non dobbiamo comunque dimenticare il famoso PANUOZZO , per gustare quello originale , come tutti sanno in città,  bisogna spostarsi a Gragnano, una cittadina non molto distante dalla penisola sorrentina dove il panuozzo  è nato, ma sono ormai tanti i posti che lo propongono anche in città.  Si tratta di un lungo panino fatto con l’impasto della pizza farcito con i più svariati ingredienti.

Un’altro posto dove poter  assaggiare un gustoso panuozzo è  offerto dalla pizzeria Mareluna l’arte del Panuozzo, che però si trova in periferia di Napoli, a Villarica (Via G. Amendola, 10) o Giugliano (via Luigi Settembrini, n. 18), mentre un posto dove è possibile gustare il panuozzo senza allontanarsi troppo dalla città è nel punto di Eccellenze Campane, un centro dove è possibile mangiare tutto ciò che di magnifico c’è sulle tavole campane e il panuozzo è uno di questi.

Indirizzo : Via Benedetto Brin, 49 o Via Partenope 1/B

Negli utimi tempi si è aperto a Napoli, in zona Fuorigrotta, “Mr Panuozzo”, in  via Filippo Illuminato, 42 – 44, un nuovo punto di riferimento per i buongustai napoletani del panuozzo classico e panini fragranti e soffici, mai pesanti (perché l’impasto viene ben lievitato ed idratato, come vuole la tradizione gragnanese), farciti con prodotti di altissima qualità, nominati e assemblati in modo tale da celebrare la cultura, le tradizioni, il folklore napoletano (c’è, ad esempio, il panino intitolato ad Eduardo De Filippo, quello dedicato a Pino Daniele, a Vincenzo Salemme, a Biagio Izzo, a Pulcinella, a Massimo Troisi). Il tutto “condito” da un servizio di sala accogliente, divertente, “poco convenzionale” e gratuito! Il personale “urla” le ordinazioni in cucina, parla napoletano, si esibisce in divertenti sketch e parodie, e in alcune sere ci scappa anche uno “spettacolino”…

La cosa che comunque rende speciale il panuozzo  è quello che può  essere farcito come meglio vogliamo, al suo interno si mescolano infatti tanti sapori, il tutto contornato dalla croccantezza del suo impasto e dal profumo caldo delle pietanze appena cotte. Insomma il panuozzo è un vero e proprio paradiso per i sensi. Detto ciò non vi resta altro che scegliere di farcire il panuozzo con quello che più vi piace.

 

L’ultima frontiera in tema di pasta street food  è rappresentato oggi in città dalla classica frittata di pasta . Si, proprio quella che da piccoli mangiavate dalla nonna . Essa ogi esiste in versione Take Away e la potete assaggiare nella sua versione classica in Via Tribulani 73 da ” GIRI DI PASTA ”

L’originale, quella classica,è fatta con pasta, pancetta, provola di Agerola, uova bio, pecorino romano, parmigiano Reggiano e pepe nero.

In questo posto la frittata viene propostaroposto in tantissimi gusti suddivisi nelle proposte Classiche, Gourmet e Special, ma sempre tutte  fatte solo con ingredienti tipici della Campania di ottima qualità e con la pasta di Gragnano,i pomodoridel Piennolo, i funghi porcini di Roccamonfina, la ricotta di Montoro e tante altre bontà locali.

Anche la mitica  frittatina  di pasta oggi  si è trasformata in  fast food , Essa è il infatto nuovo formato dello street food napoletano che fa convivere in esso la bontà della pasta con la praticità del cibo di strada.

 In versione mini, la frittatina di pasta si trova spesso dentro i cuoppi, ma per assaporarla al meglio il consiglio è di comprarne una intera, grande più o meno come una ciambella.

Le fittatine  sono perfette da mangiare  per chi vuole  passeggiare  per la città. È piccola rispetto ad una frittata di maccheroni e si realizza in maniera diversa, anche se in comune c’è l’uso della pasta. Si predilige quella lunga, come bucatini o spaghetti, ed ha un ripieno di beciamella, provola, carne macinata e piselli ,anche se alcuni locali hanno creato delle versioni con friarielli, genovese e pasta e patate. Immersa in una pastella e poi fritta, risulta croccante fuori e morbida e cremosa dentro.

Ovviamente questa delizia la troverete in quasi tutte le  rosticcerie, friggitorie e pizzerie della città , ma se volete un mio consiglio ( io ne vado matto ) quella classica ( la più buona ) le potete gustare  dalla Rosticceria LA PADELLA in via Piazza Arenella 21 e dalla rosticceria Imperatore ai Colli Aminei al civico 66.

Assaggiare questa classica frittatina di pasta fatta croccante fuori e morbida dentro grazie al suo impasto fatto di  beciamella arrichita da piselli e carne ,è un piacere che almeno una volta nella vita  una persona si deve concedere.

N.B. La frittatina di pasta.croccante e dorata all’esterno, ma cremosa e ricca di sapore all’interno, nella rosticceria  di piazza Arenella è in parte alternativo rispetto a quello di altre rosticcerie, infatti è farcita con  salame, provola stagionale,e salame piccante

Neli stessi posti   troverete anche la possibilità di assaggiare delle buone pizze fritte fatte con l’impasto ripiena di ricotta oppure di scarola, olive nere e capperi.

Una buona frittatina  di pasta classica la potete comunque gustare da  “Giri di Pasta” che  si trova in via Tribunali 73 e al Vomero in Via Bernini 12, oppura anche dalla pizzeria Di Matteo  in Via dei Tribunali 94.

Sempre nel centro storico in Via del grande Archivio 23/24 , una buona frittatina la potete assaggiare dal PIZZERIA LA FIGLIA DEL PRESIDENTE, una famosa pizzeria del centro, chiamata così in ricordo della visita del Presidente Clinton . La sua frittatina è un tripudio di sapori, una pepita di gusto croccante all’esterno e morbida e gustosa all’interno. Quel tocco di ragù, oltre alla carne, alla besciamella, alle verdure, ai piselli e al formaggio, la rende speciale e questa speciale frittura risulterà sempre leggera e poco unta.

Come avete capito la frittatina è veramente qualcosa da assaggiare a Napoli e non vi preoccupata in quale luogo vi trovate , Ci sono locali dove queste sono veramente buone come per esempio quello in via Carlo III , dove la frittatina di pasta, in genere piùgrande delle dimensioni medie degli altri locali, è resa speciale anche da quel tocco di sugo di pomodoro che le conferisce un sapore più intenso. Essa è   preparata inoltre, con maccheroni ed un ripieno di carne, provola di Agerola e piselli e fritta alla perfezione, di modo da risultare al contempo leggera, croccante e molto gustosa.

Ah ! Dimenticavo il nome :Rosticceria Vestuto-Piazza Gian Battista Vico, 46,

Se invece vi trovate nell’antica zona di Piazza del Carmine,non abbiate nessun dubbio. La frittatina in questo luogo la trovate nella storica PIZZERIA DEL POPOLO. Qui  tra crocchè, arancini, zeppole, montanare e timballi, si distingue in maniera particolare la frittatina di pasta. Oltre alla versione classica, si può scegliere anche la variante con salsiccie e friarielli  un’accoppiata vincente che fonde due tradizioni della cucina napoletana.

Se invece vi trovatevicini al lungomare ecco a voi la frittatina preparata con ragù alla nota  Pizzeria 50 Kalò di Ciro Salvoin Piazza Sannazaro 201. Gli altri ingredienti sono i piselli, la provola di Agerola. Mentre  la pasta utilizzata è quella di Gragnano Igp. Ingredienti di alta qualità per una frittatina che risulterà croccante e morbida, molto leggera e facilmente digeribile.

Se invce vi trovate alla Sanità, un punto di riferimento per la vostra frittatina non può essere altro che la PIZZERIA CONCETTINA AI TRE  SANTI, Qui  la frittatina viene preparata alla grìenovese , quindi con il ripeno realizzato seguendo la tradizionale ricetta napoletana a base di cipolle e carne. Una tappa obbligatoria, soprattutto come pausa dopo una visita ai luoghi di interesse della zona.

Giusto per continuare a parlare di pasta, ricordatevi che oggi a Napoli  per mangiare un primo piatto non devete necessariamente sedervi ad un ristorante .

Esiste infatti in questa città la possibilità di gustare un primo piatto a base di pasta in versione take Away. Basta rivolgersi per tutto questo al ristorante fast food “120 grammi “che si trova in Via Mezzocannone 24 .

In verità  se volete camminare con la pasta a spasso mentre girate per Napoli, qualcosa esiste anche in Via Broggia 5 nel centro storico tra  via Pessina e via Costantinopoli. Il locale che si chiama “PASTFOOD”, come sottolinea il nome, è un fast food dedicato alla pasta nel cuore del centro storico di Napoli. Qui potrete piatti di pasta fresca soprattutto la nerano, ognuno con un formato diverso e tutti preparati a regola d’arte

Curiosità: Il tratto di strada del nostro centro storico che va da via Pessina e via Costantinopoli è stato dalla fine del Cinquecento alla fine dell’Ottocento occupata dalle Fosse del Grano oltre che dalla murazione voluta da don Pedro di Toledo, murazione che venne gradualmente demolita nel corso dei secoli.
Tra la fine del ‘500 e inizio ‘600 le Fosse del Grano erano state costruite a ridosso delle mura toledane e fin quasi all’altezza di Port’Alba per costituire il deposito granario della città. Si chiamano “fosse” perché probabilmente in prima fase si sfruttarono delle cavità naturali mentre in un secondo momento si trasformarono in veri e propri magazzini in elevazione.
Esse furono realizzate a ridosso delle mura e non all’interno per la cronica carenza di spazio urbano e d’altra parte per la possibilità di difenderle comunque con i cannoni dalle mura.
La parte di Fosse al Mercatello costituiva in realtà un ampliamento del primo nucleo che era sorto nello spazio attualmente occupato dalla Galleria Principe di Napoli.

A proposito di tempi antichi , dovete sapere che quando i contadini, e cafune,  scendevano a Napoli dalle montagne dopo qulche ora venivano presi da morsi della fame, essi al posto della tradizionale pizza al forno, erano soliti preferire la prizza fritta farcita  con salumi e latticini.

Affamati come erano prediligevano, , coniciarono a cercare qualcosa di più leggero che non gli creasse sonnolenza per i loro affari. Cominciarono così progessivamente a togliere dalla pizza la ricotta ed i salumi, lasciando una semplice farcitura di pomodoro, basilico e formaggio.

Nacque così la famosa Pizza Montanara che oggi trovate facilmente in tutti i bar e rosticceria che vi circodano.

Adesso capite perche si chiama MONTANARA ?

Una buona ?

Solo per età e nostalgica perdita di giovinezza vi dico due nomi :la rsticceria LA PADELLA in piazza Muzii e  il bar Moccia a Via dei Mille ( oggi purtroppo chiuso ).

CURIOSITA’: Con il termine “cafone ” in tempo passato, si era soliti indicare gli abitanti delle campagne che, in occasione degli affollati mercati cittadini, arrivavano tenendosi legatil un l’altro “c’a fune” per non perdersi nella confusione cittadina  ( “con la fune” = “ca’ fun” = cafone) .Essi  per non smarrirsi, camminavano al seguito di un capofila napoletano, legandosi, per collegarsi a lui, come una cordata di scalatori in montagna.

Secondo altri invece si riferisce al solo fatto li stranieri che gli stranieri che venivano a Napoli, dal 1600 in poi, tenessero ben legata con uno spago (fune) la scarsella contenente le monete per i loro acquisti  ( evidentemente gli ‘scippatori’ erano già attivi 4 secoli fa) . 

Nell’entroterra della provincia di Terra di Lavoro ovverosia nel basso Lazio, intorno al 1400,  alle fiere che si tenevano di paesi  del frusinate o della Pianura campana  i contadini  spesso arrivavano  con delle funi arrotolate intorno alla spalla o alla vita ,  con cui poi si portavano a casa gli animali (vacche, pecore, ecc.)  che compravano . Motivo per cui  questi venivano identificati dagli abitanti locali come quelli co’ ’a fune..

Secondo un’altra tradizione, quando le nobili famiglie napoletane avevano la necessità di traslocare, chiamavano “chill co’ ’a fune” ovvero la ditta di trasloco che con funi e carrucole passava il mobilio dai piani al terreno, poi sempre “ca’ fune” (con la corda) assicuravano il tutto ai carri. Data la bassa scolarità del personale “chill ca’ fune” si trasforma in “chill cafune” e in italiano corrente “quei cafoni”.

A Napoli esoste anche  una pizza rustica preparata con due strati diversi di impasto. Sotto c’è la pasta della pizza; al centro una farcitura filante di provola, prosciutto cotto e pomodori; di sopra uno strato friabile e croccante di pasta sfoglia.

Il suo nome è la FRANCESINA, e questo lascia almeno suppre che le sue origini fossero francesi  E invece NO , questa pizza è  napoletanissima,
La parigina napoletana è una pizza rustica . mentre quella france è un dolce …

Secondo alcuni quella napoletana si chiama parigina,solo perchè nelle rosticcerie partenopee per preparle venne fatto uso della pasta sfoglia che allora, durante il decennio francese,era chiamata ” pasta francese perche importata da un cuoco francese.

Per altri invece il nome sembra che derivi solo da una diversa interpretzione dialettale .La pizza  sembrerebbe, infatti che fu preparata “P”a riggina”‘, ovvero “per la regina”, da cui parigina … una imprecisata sovrana. regina Carolina ? )

Qusta pizza  parigina – quella buona – è una goduria per consistenze e ripieno. Si trova in tranci, cotta in teglia, sovente nelle panetterie e pizzetterie d’asporto.

In città di quelle buone le trovate al Panificio Ambrosino al Vomero inVia Kerbaker 45,e alla Focacceria che si trova invece i via Emanuele  Gianturco. 

 

Visto che parliamo di panifici, conoscete quella  ricetta di recupero nata dalla fantasia dei panettieri napoletani che per recuperare gli scarti della pasta lievitata. Sugna -grasso di maiale- e pepe, inventarono il tarallo napoletano ?

Parliamo qui di un autentico pezzo di storia da burnout calorico. Il tarallo sugna e pepe (la sugna è il grasso del maiale tipico nelle cucine partenopee, dal salato al dolce) si consuma a qualunque ora passeggiando per il lungomare, come aperitivo, spezzafame e per qualcuno anche come pasto completo, visto che non stiamo propriamente parlando di un gambo di sedano.

Si tratta di un piccolo anello di pasta al forno con sugna e pepe, spesso ricoperto di mandorle che dobbiamo assolutamente assaggiare  dallo storico  tarallificio Leopodo in Via Foria 212, nato più di un secolo fa .

A forma di treccine intrecciate e tondeggianti, corpulenti, i taralli nacquero sul finire del Settecento: la storia raccontata vuole che i panificatori non sognassero neppure lontanamente di buttar via i ritagli di pasta ottenuti dalle loro lavorazioni quotidiane e quindi  come si era soliti fare al’epoca nell’ambito di un risparmio economico  familiare,  cominciarono ad aggiungere ai ritagli di pasta   ingredienti molto calorici, ideali per affrontare lunghe giornate fatte di lavori faticosi: la sugna, un bel po’ di pepe e le mandorle.

Abbrustoliti ed unti,con il tempo i taralli  venivano  poi venduti dai tarallari ambulanti.

Fino agli anni 80 infatti a vendere i taralli  per strada esisteva  in città la figura del tarallaro. Spesso li si vedeva girare   avanti e indietro per la città  con la cosiddetta  sporta , cioè  un cesto di vimini intrecciato, ricolmo di  caldissimi taralli nzogna e pepe ,poggiato sul capo o tenuto a tracolla sulle spalle .

La loro figura ha dato nel tempo luogo ad una simpatica espressione napoletana che dice: Pare ‘a sporta d’o tarallaro , che tradotto letteralmente, significa “Sembri il cesto del tarallaro”. Un’espressione verbale che sta ad  indicare colui che, per una qualsiasi ragione, sia solito spostarsi continuamente o  costretto a  girare la città in lungo e largo per smaltire l’intera merce di giornata..

Oggi la figura del tarallaro è quasi del tutto sparita ed i taralli possono tranquillamente essere  acquistati nelle numerose panetterie presenti in città. L’ultimo  esponente della lunga tradizione di questi venditori è stato  fino alla fine degli anni ’80, il mitico Fortunato celebrato da Pino Daniele in una sua famosa canzone . Egli era un povero tarallaro  , che attraversava in lungo ed in largo la città con la sua cesta colma di taralli con un semplice passeggino su cui  era messo in evidenza un cartello con la scritta “LA DITTA FORTUNATO RESTA CHIUSO IL LUNEDì”. Fortunato davvero era una vera e propria ditta racchiusa in una sola persona: lui cucinava i taralli, lui li metteva in commercio e lui li pubblicizzava urlando “Fortunato tene a rrobba bella! ‘Nzogna ‘nzogn”.

Una frase ormai diventata storia che ha persino  ispirato a  suo tempo  il grande Pino Daniele a scrivere una canzone dal titolo “Fortunato.

Trovare oggi chi vende i taralli per le strade di Napoli è molto facile. Panifici, pasticciere , bar e addirittura le più moderne “tarallerie” sono luoghi dove è facile rimanere estasiati dalla moltitudine di gusti pronti a spezzarvi il palato e a ricaricare le forze per continuare la passeggiata per i vicoli

I più buono poete trovarli da LEOPOLDO INFANTE che si  in Via Toledo 8 Infante , ma anche al Vomero.dove sono presenti ben tre sedi piazza degli artisti-Largo antignao e piazza Vanvitelli)

N.B.Un giovane format è anche presente nel cuore della movida universitaria napoletana, Esso si chiama  Taralleria Napoletana e si trova inVia San Biagio dei Librai 3,. Qui potrete gustare  taralli di buona fattura e non troppo unti,

A Napoli ci sono comunque  anche dei piccoli taralli di pasta soffice, una choux leggermente modificata, ricoperti di granella e zucchero a velo. Un dolce semplice, nato, prova dopo prova, da un’intuizione, leggero come la brezza, da cui il nome “Via col vento”che si trova in  Via Giannone 16.

E se abbiamo parlato di taralli , possiamo mai non parlavi delle FRESELLE ?

Ci troviamo di fronte alla storia della gastronomi napoletana .

La fresella  napoletana è una particolare  fetta di pane cotta due volte nel forno schiacciato assai duro e dunque biscottata che ha bisogno di essere ammollato nell’acqua per poterlo addentare.

Si tratta di un cibo molto usato nel passato  dal popolo che non avendo grandi possibiltà economiche ne faceva un uso ampissimo e ovviamente piacevano tanto anche a re  Ferdinando, che fin dalla giovane età amava  stare in mezzo alla gente e parlare ovviamente la Lingua Napoletana preferendo alla compagnia dei vari nobili e aristocratici di corte  il contatto diretto con la gente semplice, come i pescatori del quartiere di Santa Lucia.

Ferdinando anche a corte parlava  solo napoletano, frequentava gli scugnizzi di strada e passava intere giornate con loro a cacciare, pescare e a rivendere pesce e selvaggina al mercato. Queste abitudini gli valsero l’affettuoso nome  di ” Re Lazzarone” .

Il  nostro re Ferdinando IV di Borbone( re “nasone “) era molto goloso di freselle  amava mangiarla di sera ammollata nel brodo di caldo  (a zuppa e cozze), di trippa (a zuppa e carnacotta) ma anche pressere condita con ortaggi nella caponata napoletana e nell’acqua-
sale .

La  consorte non gliele faceva mancare mai fresche.
A Napoli le freselle le vendeva il tarallaro, o anche le tarallare, delle donne meravigliosamente riprodotte anche nei famosi presepi di San Gregorio., ma anche gli ostricari di Mergellina, che come tutti sappiamo era golosissimo  di cozze, vongole, ostriche e di tutti i frutti di mare offerti dal generosissimo mare campano.

Durante l’ottocento e fino all’inizio del novecento sul lungomare partenopeo le bancarelle che vendevano pesce e frutti di mare, avevano un’insegna con la scritta “ostricaro fisico”. Ma non c’erano solo ostriche; sulle loro bancarelle era possibile trovare ogni tipo di frutti di mare come datteri, tartufi, lupini, vongole, cozze, ecc…
I napoletani consumavano crudi moltissimi frutti di mare e le bancarelle degli ostricari esponevano ricche ostriche già aperte e pronte per esser consumate con una abbondante spruzzata di limone.

CURIOSITA’ : Una certissima leggenda vuole che l’appellativo di “ostricaro fisico” fu assegnato dal re Ferdinando I Borbone Due Sicilie al suo ostricaro di fiducia. Sembra che la cosa sia andata più o meno così.
Tutto comincia nel Borgo di Santa Lucia i cui residenti venivano chiamati luciani; erano gente dediti alla pesca e al commercio dei prodotti del mare: che avevano un
rapporto privilegiato con re Ferdinando, che amava spesso mischiarsi col popolo minuto nelle zone del porto.  Essi erano  storicamente fedelissimi alla casata Borbone ed erano anche i fornitori delle cucine di casa Borbone.
Si racconta che un giorno o luciano d’orre portò a corte una cassetta di ostriche. Il re volle ringraziarlo: “Guagliò quanto ti devo dare?””No maestà non voglio soldi; se volete ringraziarmi datemi un titolo onorifico”
Eh, mica facile! Un titolo onorifico per una cassetta di ostriche. Ma re Ferdinando era un noto burlone e allora decise di accontentarlo a modo suo. All’epoca devi sapere che i medici laureati erano detti “Dottor fisico” allora re Ferdinando per prendersi gioco del povero pescatore lo nominò “Ostricaro fisico”.
Ma ‘o luciano prese la cosa molto sul serio. E si fregiò sul serio del titolo concessogli da re, al punto di estenderlo a tutta la categoria di ostricari.
Gli ostricari napoletani erano infatti una sorta di casta. Il loro era un mestiere molto difficile; bisognava immergersi e staccare i frutti di mare uno ad uno dagli scogli. Poi c’era da selezionare i pezzi migliori.
E la competenza si tramandava di padre in figlio.
Quel giorno questa casta chiusa, un vero ordine di cavalierato, aveva trovato il suo simbolo: il titolo concesso da Ferdinando di “ostricaro fisico”; e tutti gli ostricari napoletani si fregiarono di quel titolo e sulle bancarelle troneggiò il divertente cartello.

Esistono tanti tipi di freselle, freselline, gallette, pane biscottato; tra le più note ‘a fresella ‘e Castiellammare (a galletta) e a fresella a maruzzara (quella nata per immergersi in una zuppa di maruzze).

Naturalmente in città ne troverete tantissime e potrete assagiarle  inzuppate nel brodo di purpo , nella  a zuppa e cozze, di trippa (a zuppa e carnacotta) ma anche pressere condita con ortaggi nella caponata napoletana e nell’acqua sale .

La capunata napoletana , quella con pane e pummarola tanto per intenderci è a Napoli considerato un  piatto estivo, sopratutto quando non si ha voglia di cucinare (“stasera c’arrangiammo cu ddoie freselle!”)

Esso è infatti la cosa più semplice e veloce da realizzare in pochi minuti . Basta mettere insieme le varie rummasuglie (residui) trovati in frigo, aggiungervi dell’abbondante pomodoro spezzettato ( qualcuno ci mette i capperi , olive nere, mozzarele , tonno o acciughe sott’olio) metterle su delle freselle appena spugnate ,condire ll tutto con l’olio d’oliva , sale e origano, ed il gioco è fatto .

A questo punto dovete solo spezzettare la fresella ,

N.B.La parola fresella deriva dal latino frendere che significa spezzettare, macinare. E infatti la croccante fresella va consumata appunto spezzettata.

Come avete potuto natare la freselle è i cibo povero per eccellenza perchè costa poco me è anche , secco fin dalla sua origine (e quindi ha il vantaggio di non andare a male).

Alcune delle freselle più note erano quelle di Castellammare: le famose gallette e Castiellammare che alcuni racconti popolari legano ai marinai .

Si racconta tra le voci del popolo che i marinai ammollassero le freselle direttamente nell’acqua di mare (perché venivano preparate senza sale) ma erano talmente dure che non si riusciva a mangiarla se non dopo averla lasciata molto tempo in ammollo.
N.B E’ questo il motivo che quando vogliamo indicare una  persona testarda, dalla testa dura (ma anche delle persone avare) si dice “è ‘na galletta ‘e Castellammare” proprio perché toste, sode, che non si ammorbidiscono mai. Ecco anche perché, dopo aver invitato varie volte una persona tirchia a cacciare i quattrini, i napoletani dicono: e mò se spogna sta galletta!

CURIOSITA ‘: Un altro detto carino legato nella nostra città alle freselle e al biscotto duro che lei rappresenta, e’ quello spesso usato per descrivere una serie di situazioni divertenti; per esempio per descrivere un’occasione vantaggiosa della quale non si può trarre profitto si dice’O Signore manna ‘e vascuotte a chi nun tene e diente.

Oppure quello legato alla monaca di pianura che  ha sempra qualcosa da ridire :me pare a Monaca’e Pianura è una frase con la quale in città si è soliti rivolgergi a chi non è mai contento di qualsiasi cosa riceva. Si racconta infatti che a questa  monaca, una fetta di pane troppo morbida la disgustasse, ma la fresella dura le faceva male ai denti. In napoletano, si usava quindi dire, con sottile doppio senso: me pare ‘a monaca ‘e Pianura, troppo muscio nun le piace, troppo tuosto le fa male.

 

Di tanto in tanto se passeggiate per i vicoli della nostra città state attenti alla … castagna !

Vi può infatti capitare di veder camminare per le strade ed i vicoli di questa città delle persone che consumano delle buone castagne raccolte in una  busta di carta marrone che richiama il coppo.

Solitamente si vendono per strada, da partedi  venditri  che con con modeste risorse (un fornello di grosse dimensioni, un pentolone, una padella bucherellata ed un panno di lana per trattenere il calore delle caldarroste), riesce nel primo periodo invernale ad allietare gli infreddoliti passanti con un cartoccio di castagne arrostite (cotte sul fuoco) o allesse (sbucciate e cotte in un brodo aromatizzato con alloro, finocchietto e sale).

Sono gli ultimi castagnari a resistere ai cambiamenti del tempo , un antico mestiere destinato a scomparire nel tempo. Nella tradizione popolare questi venditorii venditori di un tempo urlavano per attirare acquirenti. “Calde e arrostite, venite a prendere le castagne buone!”

N.B. Il castagnaro era un mestiere antichissimo  molto diffuso sopratutto a Castellammare di Stabia, grazie alla sua  estrema vicinanza con il  “Faito”, monte ricchissimo di secolari castagneti.

CURIOSITA’: A Napoli, quando si dice “guardateve ’a castagna”, non si sta parlando di ammirare dei bei frutti autunnali. In realtà, è un modo di dire molto particolare, un invito a fare attenzione… alle parti intime. Sì, perché da queste parti le “castagne” si sfiorano spesso per scaramanzia, come gesto apotropaico.

Le  castagne divenuta oggi anch’esse  un simbolo dello stret food napoletano le potete trovare su alcuni carretti delle castagneposti agli angoli di  olte antiche strade di napoli, Esempio su tutti è il famoso Carmine che nesua meravigliosa arte di arrangiarsi , tiene la  sua bancarella, situata in fondo a Vicolo Giganti vicino alla storica pizzeria Di Matteo, Egli durante l’inverno,con le  le sue caldarroste riscalda le  mani e lo stomaco dei passanti. Ma non si ferma lì: d’estate prepara granite e  in autunno serve brodo di polpo… trasformandosi continuamente in un  personaggio simbolo dello street food partenopeo.

I NOMI DELLE CASTAGNE

A seconda di come vengono cucinate, le castagne prendono nomi diversi:
• Allesse: bollite e private della buccia esterna;
• Palluotte: bollite con la scorza ancora intatta;
• Verole: arrostite, ovvero le famose caldarroste;
• D’o prevete: essiccate lentamente, le cosiddette “castagne del prete”.

Nel suo celebre “Il Ventre di Napoli”, Matilde Serao descriveva come per pochi soldi si potesse comprare un piccolo tesoro di castagne allesse, sbucciate e servite in un brodino rosso. Un tempo i napoletani ci inzuppavano il pane, trasformando il tutto in una pietanza vera e propria,

Adesso vi devo parlare ‘do per ‘e o muss (piede e muso del maiale), qualcosa che può non piacere a tutti , Essa infatti è figlio del riciclo,ed è  interamente composto dal quinto di maiale   di maiale e mucca e alcune frattaglie  come il piede di maiale,  il muso di vitello e la trippa, saggiamente lessate e condite con sale e limone.

Servito nel solito cuoppo o nella tipica carta bianca . tutto questo viene infatti conditi con abbondante limone, lupini, olive, sovente del peperoncino e sale che proviene  direttamente da un corno di osso vero.

Questo tipico modo ovvero di alimenarsi  nasce  da les entrailles, (le interiora di animale) che venivano buttate giù dai balconi reali per i poveri.

CURIOSITA’ : A fine Settecento, i cuochi del Regno di Napoli venivano mandati da Carolina d’Austria alla corte di Parigi per imparare le ricette che più piacevano ai reali. Dalla storpiatura del termine “monsieur“, nome con il quale essi venivano chiamati al rientro dalla trasferta, deriva il loro appellattivo: i “monsù“. Questi cuochi cucinavano tanta carne, ma di animali di cui non venivano utilizzate le interiora perché erano considerate impure e dunque alimento troppo povero per essere mangiato dalla famiglia reale.

Quando quindi i  monsù svisceravano gli animali, questi  lanciavano le interiora dalla finestra di corte per permettere al popolo affamato che aspettava al di sotto di essa di prenderle per sfamarsi. Quando il cuoco lanciava le interiora all’esterno gridava: “les entrailles!”, da qui, dunque, il termine napoletano “zandraglia” o “zendraglia”. E nel momento in cui queste interiora venivano lanciate, le povere donne si accapigliavano come belve affamate su quei resti, per cercare di acchiapparle in maniera rude e poco signorile , strillando e se necessario ricorrere alle mani in una lotta senza scrupoli.

Ora per un solo momento  immaginate una Napoli borbonica, nettamente divisa tra povera gente e ricchi. Immaginate questa folla di poveri che corre, urlando les entrailles! lesentrailles! Rapidamente, nella lingua del volgo divennero le zendraglie.

Oggi a napoli con il termine Zantraglia si è soliti indicare una  donna volgare, chiassosa, aggressiva, poco raccomandabile, ma che porta dentro la nota amara della nostra tormentata vicenda storica, segnata da incolpevoli subalternità e da ancestrali ristrettezze. Essa infatti si ricollega a quelle famose  entrailles (interiora di animali macellati) di cui parlavamo sopra che, alla fine dei sontuosi banchetti regali in Castelnuovo, previo annunzio dall’analogo richiamo lanciato dalla Torre dell’Onore (qualifica nella specie molto poco appropriata), venivano magnanimamente  sversati al popolino ammassato in vociante (ed avvilente) attesa nei tossati del Maschio.
Singolare lo slittamento semantico del termine che, muovendo dalla portata di viscere, ha in seguito designato una moltitudine di individui affamati ed infine una sola sgradevole persona.

La fantasia napoletana ovviamente non poteva trovare altro modo miglior per mettere in evisenza un posto dove mangiare  della trippa,Il poesto si chiame infatti “TRIPPERIE LE ZENDRAGLIE” e si trova nella zona del famoso mercato della Pignasecca. Qui è possibile deliziarsi con le ricette della tradizione napoletana, dai primi piatti universalmente noti alle specialità meno scontate a base di trippa, la quale viene proposta in tutte le salse: al sugo, bollita, fritta, con i fagioli, all’insalata. Se non avete molto tempo a disposizione almeno fermatevi per una porzione di tradizionale “per’ e muss’” da portar via.

Nel colorato e vivace mercato della Pignasecca la trippa la potrete assaggiare nella tipica  Tripperia Fiorenzano (Via Pignasecca, 14) ma voledo potete anche comprarla nell’Antica Tripperia O’Russo (Via S. Eframo Vecchio, 68) .

Se  invece delle trippa volete mangiare del pesce, sappiate che sempre qui alla Pignasecca si trova le “PESCHERIA AZZURRA ” una gemma blu incastonata nel mercato che di  giorno vende il pescato  frescho  mentre di sera  sit rasforma in un locale  molto informale dove poter approfittare per un pranzo veloce all’aperto. Il menu offre una selezione di piatti tradizionali, gustosi e abbondanti. Alici marinate, spaghetti alle vongole,e ovviamente  il loro famoso fritto misto.

CURIOSITA’: La zona della Pignasecca , deve il nome a una pineta che sorgeva proprio nel luogo in cui si trova il mercato. Il termine”Pignasecca” si rifà, in particolare, ad un’antica credenza popolare: si racconta, infatti, che un vescovo napoletano fece affiggere sul tronco di un pino una bolla di scomunica e, appena il foglio fu appoggiato all’albero, questo si seccò di colpo. Da allora la “Pignasecca” ha questo nome che ancora oggi la caratterizza.

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 Nella Pignasecca  ma anche alle spalle di Porta Capuana, in piazza Enrico de Nicola, ( ristorante “A figlia d’o Luciano” ) o  nei pressi di Via Foria  (il “Chiosco di Raffaele” e la pescheria “Addo’ Figlio E Carlucciello” ) abbiamo in città anche la possibilità di consumare una pitanza che ha origini antichissime, probabilmente greche.

A Napoli, però, le notizie sul suo consumo risalgono alla metà del XIV secolo quando  Giovanni Boccaccio  in una lettera del 1339 indirizzata all’amico Francesco Bardi, raccontava che in occasione della nascita di un bambino (forse il figlio illegittimo dello stesso Bardi) i parenti avevano comprato un polpo e lo avevano inviato alla “puerpera”, la quale si era poi occupata di cuocerlo e di preparare il brodo.

Ovviamente vi stiamo parlando del popolare“bror e purpo”, una tazza  calda, quasi bollente,di brodo di polpo, che profumo di mare e con un tentacolo di polipo che spunta dalla tazza stessa  che i napoletani chiamano“ranfetella”.

Ci troviamo con questa pietanza di fronte al  cibo di strada per eccellenza della Napoli antica. Esso è infatti un cibo molto popolare tra la gente del popolo napoletano e veniva considerato in passato  un ottimo rimedio caldo per affrontare il freddo invernale

Nella nostra città all’epoca infatti, in passato contro la fame e il freddo c’era e c’è ‘o’ bror e purp’. Lo si beveva  in tazza, in piedi con l’aggiunta di qualche goccia di limone. Esso veniva servito in chioschi con un bancone pieno di limoni. Il pesce era cotto in una pentola fumante, a cui erano state aggiunte manciate di pepe nero e sale. La tradizione voleva che “O purp s’adda cocere cu’ l’acqua soia” (“Il polpo deve essere cotto nella sua acqua”).

Ora sono certo che vi state chiedendo del perchè toccava proprio al polpo di dare origine ad un brodo caldo.

Semplice ! L’enorme quantità di polpo disponibile nel nostro mare e la facilità con cui poteva essere pescato, lo  ha reso , come  nel caso di altri pesci, un prodotto molto economico a Napoli per il popolo. Grazie infatti  alla sua abbondanza per secoli è stato il prodotto che ci donava il nostro mare la cena dei poveri, a sfamare e nutrire  le bocche dei più umili.

Tutto sta che il purpaiolo porzionava il brodo insieme a dei pezzi di tentacoli tagliati al momento con le forbici. Talvolta veniva servito aggiungendo alcuni pezzi di freselle, un tradizionale biscotto napoletano.

Assai economico, veniva spesso consigliato anche come rimedio naturale per superare diversi malesseri e spesso  usato sia per affrontare il freddo che per curare il raffreddore, tanto che fu coniato il noto proverbio: “Ma la tosse e catarro, brore ‘e purpe c”o carro”. Il piatto era povero, ma prevedeva delle differenze: i meno miseri avevano uno o più ranfe (tentacolo di polpo, chiamato anche ranfetell).

“O bror e purpo ” veniva  preparato e venduto nei vicoli della città, spesso in pentoloni improvvisati o direttamente in tazze di terracotta. A  cucinare in strada il polipo e a venderlo al popolo affamato per pochi soldi, nelle fredde gionate invernali , erano sopratutto le donne,che venivano considerate quelle  addette al mestiere.

N,B, La “pignasecca”, o vaso di terracotta, era il recipiente utilizzato per cuocere il brodo di polpo e per conservarlo caldo. Questo tipo di vaso veniva utilizzato per mantenere la temperatura elevata e per garantire che il brodo rimanesse caldo per lungo tempo

Fino a qualche anno fa, quando i bambini ancora credevano alla befana, era  consuetudine assaporarlo per tradizione solo alla festa dell’Epifania, dove i genitori per affrontare la fredda serata di dicembre e riprendere le energie utili per la ricerca dei giocattoli,  mantengono ancora l’antica usanza di bere in strada ‘O broro ‘e purpo,. Esso caldo e col sapore del mare, accompagna la camminata per le strade che circonda Piazza Mercato e la vicina Porta Capuano, lasciando in bocca il gusto semplice della Napoli che fu e di quella che è, tuttora ancorata nella semplicità dei propri odori autenticamente popolari.

In antichità,  esso ,assieme a quello fatto con la cotica, sostituiva il brodo di carne, pietanza destinata a pochI,  Si trattava di piatti più umili ma allo stesso tempo sostanziosi e saporiti . Esso veniva consumato per strada, ed in maniera particolare  nella zona centrale di Napoli, a Porta Capuana. Lì c’erano tantissime bancarelle che vendevano la vivanda in tazze o bicchieri bollenti. E avevano un grosso successo. Ciò perché col brodo ci si poteva scaldare e riempire lo stomaco con davvero pochi soldi.

CURIOSITA’: Questa antica pietanza partenopea viene riportata anche da Matilde Serao nel suo libro “Il Ventre di Napoli” (1890): “Con due soldi – racconta la scrittrice – si compera un pezzo di polipo bollito nell’acqua di mare, condito con peperone fortissimo: questo commercio lo fanno le donne, nella strada, con un focolaretto e una piccola pignatta”.

Molto tempo fa nella nostra  città, erano tanti i posti dove era possibile prendere un’tazz e bror e purp. Lo si poteva prendere in  Piazza Carità, in Piazza Bagnoli, a Porta Capuano, in Sanità, a Forcella, a Montesanto, in Via Foria, nel mercato della Pignasecca e in tanti altri posti, ma ovviamente  era la zona di Santa Lucia, il quartiere dei pescatori per eccellenza, quello maggiormente  conosciuto almeno negli anni 40 come il luogo della città dove si poteva assaggiare il migliorr brodo  del brodo di polpo . Esso costava solo 10 lire, tutti potevano quindi  permetterselo. Centinaia di bancarelle erano posizionate strategicamente per catturare l’attenzione dei passanti: all’uscita dei cinema, ai cancelli di una scuola, nei mercati, dovunque fosse possibile essere attratti dalle colonne di vapore emesse dai calderoni bollenti, dove era cotto il polpo. Il grido dei venditori in quel tratto della nostra città era “O broooor ‘e puuurp… scàrf ‘a panza e dègn ‘o stomaco!” (“Polpo caaaldooo! Riscalda la pancia e fa bene allo stomaco!”). 

Tutto questo ovviamente avveniva nei mesi freddi, mentre in estate nei mesi caldi , il brodo di polpo veniva sostituito dalla più fresca limonata, Qui , le belle luciane , spigliate ,sorridenti ,e procaci  , che spesso gestivano i tanti chioschetti sul lungomare di Santa Lucia con fare malizioso gridavano a squarciagola per richiamare clienti nelle afose giornate napoletane < chi vò vevere ,che è freddo >  e cantando al  suono di canzoni dal dubbio significato giocavano spesso sul doppio senso on cui il prorompente seno veniva accostato alle mummare . Esse sopratutto durante l’estate , grazie alla neve ghiacciata che teneva fresche le loro bevande permetteva di rispondere in modo malizioso alla domanda <“Acquajuò! L’acqua è fresca?”: “Manche ‘a neva”.

L’acqua suffregna , una volta tolta dalle mummarelle veniva versata in piccole brocchette di terracotta ( chiamate giarretelle ) dove veniva aggiunto del succo di limone ed un cucchiaio di  bicorbonato . Il risultato era una straordinaria dissedante bibita con un potente effetto digestivo , caratterizzata da una scenografica eruzione di schiuma ( prodotta dallo stesso bicarbonato ). La  bevanda era da tutti considerata anche  un’autentica panacea per molti dolori fisici .

Unico problema aveva un forte sapore di uovo non del tutto gradevole per alcuni  .

Per questo motivo , le furbe ed intutive i luciane , ben sapendo che comunque quella che vendevano  era pur sempre acqua. … nella loro vivace  intelligenza ebbero l’idea di aggiungere a quell’acqua già buona del succo di limone e un po’ di bicarbonato di sodio, creando , se vogliamo , per certi versi quella che oggi si chiama la LIMONATA A COSCE APERTE .

Essa prende il nome dalla posizione che bisogna assumere per poterla buttar giù senza sporcarsi: “Quando infatti  il bicarbonato veniva servito nell’acqua e limone, tutto il liquido cominciava a eruttare e le persone a quel punto  per non sporcarsi  dovevano necessariamente  portarsi in avanti con il busto e quindi aprire poi  per forza di cose “le cosce”.

N.B. Se i vasi in terracotta erano di dimensioni più piccoli , venivano ovviamente soprannominati “mummarelle ” ( termine spesso ancora oggi utilizzato per indicare in una donna delle mammelle piccole ma graziate )

Oggi questo anticomestiere degli acquaiuoli è fortemente tornato di oda grazie al denomeno turismo presente in città e per chi ama questa divertirsi a Napoli la limonata a cosce aperte, rappesenta uno di quelle cose in cui tutti più o meno amano cimentarsi  per dissetarsi con una bibita fresca o per una sosta fugace a qualsiasi ora del giorno.

Napoli quindi oggi è di nuovo piena di acquafrescai sparsi per la città. dove poter bere una  “limonata a cosce aperte”.

Li trovate ovunque in città , nei famosi quartieri spagnoli , negli antichi decumani ma anche a piazza Trieste e Trento ma anche a Via Chiaia ,al coeso Garibaldi e alla riviera di Chiaia .

Importante resta il fatto che la beviate  il più velocemente possibile, dal bicchiere altrimentis la limonata strabocca dal bicchiere rischiando di bagnarvi… ed ecco che vpoi  che spontaneamente arretrate  e divaricate le gambe per non sporcarvi…

Non tutti sanno che la fama del sorbetto nacque a  Napoli ad inizio settecento .

A proposito di limono , lo sapete che Napoli è famosa  da secoli come la città dei “gelati sorbetti” ?

Tutti impazzivano  a Napoli per questa bevanda ghiacciata formata da  acqua, mescolata con succo di limone e zucchero .

I napoletani la consumavano in tutte le occasioni … anche in chiesa  e Napoli  in Europa era  nota  per essere una citta affollatissima in cui si consumavano ogni giorno cibi e bevande ghiacciate in gran quantità.Tutti erano infatti intenti a gustare sorbetti, spumoni, coviglie e pezzi duri (ghiaccioli ante-litteram) che, insieme alle limonate ghiacciate, rendevano Napoli famosa come la città dei “gelati sorbetti”,

Il  sorbetto divenne quindi  una vera maestria dei napoletani, e nel settecento a Napoli  era  una bevanda molto diffusa . Gli  stessi francesi  notoriamente  molto critici nei confronti di qualsiasi cucina che  non fosse   la loro , arrivarono ad ammettere che i napoletani erano bravissimi nel fare i sorbetti.

Napoli era talmente famosa in Europa per i suoi sorbetti al limone che  addiruttura i borbone incominciarono  a concedere titoli nobiliari anche a maestri artigiani di queste specialità.

N.B. Si racconta che  Ferdinando IV fosse particolarmente goloso di sorbetti e gelati.

In citta le stesse suore dei conventi ,  si adoperavano per creare in maniera artigianale dei meravigliosi gelati .  In particolare  quelle più rinomate erano le monache del monastero di San Gregorio . Esse erano infatti specializzate nella realizzazione di gelati duri che avevano le forme piu svariate :  medaglioni. frutta, animali,  erano gelati  creati in maniera  talmente realistiche che i commensali potevano essere tratti nell’inganno di mangiare un tacchino arrosto  o  una pesca per poi scoprire che si trattava di un pezzo gelato al gusto di arancia o limone. Insomma, una produzione artigianale che anticipava di un paio di secoli quella industriale.

Un altro famoso personaggio che durante la sua permanenza a Napoli divenne molto avido  di sorbetti, spumoni, coviglie e pezzi duri locali. fu  Giacomo Leopardi.

Il suo luogo preferito dove ingurgitare quantità industriali di gelati, e granite era un tavolino di piazza Carità Via Toledo, Si racconta infatti che egli fosse particolarmente goloso degli insuperabili gelati di Vito Pinto  dove seduto ad un tavolino era solito ordinare tre grossi gelati per volta e quando il cameriere li portava, gli diceva di metterli l’uno sull’altro. Egli era solito ingurgitarli in una coppa uno dietro all’altro.

Secondo alcuni storiografi pare che Leopardi oltre che golosissimo di gelati fosse  tra l’altro anche un grande amante di granite e sopratutto di sfogliate frolle di cui andava pazzo. 

Tali enormi quantita di zuccheri ingorgitati con continuità, influirono quindi  decisamente in modo pericoloso  sul suo stato di salute. Egl tra l’ìaltro non disdegnava neanche  frutti di mare, crostacei, cozze  e, in particolare, i “cannolicchi”. Praticamente conduceva uno stile di vita alimentare certo non dei migliori che sicuramente non aiutava il suo già precario  stato di salute.

E pare che proprio questa sua mania  per i dolci sarebbe stata la causa della sua morte. Egli secondo alcuni storici sarebbe morto non tanto per le complicanza legate al colera ma per un coma diabetico.  L’ultima sera di Leopardi, il 13 giugno 1837, si festeggiava in casa a vico del Pero l’onomastico di Ranieri e per l’occasione  furono portati a tavola svariati cartocci di confetti cannellini di Sulmona, Leopardi pare che ne mangiò un chilo e mezzo e morì la mattina successiva per coma diabetico.

Dopo questo tanto parlare di sorbetti e gelati vi è sorto il dubbio della reale differenza tra i due ?

Giusto per chiarire possiamo affermare con certezza che i sorbetti siano i progenitori dei gelati di frutta con base acquosa, ovvero preparati senza latte.  Esso in quanto dolce e freddo, poiche si prentava con una consistenza semidensa ed una grana molto fine veniva  da consumato al cucchiaio , ed  ha avuto un gran successo nella ristorazione italiana dei decenni passati, in quanto veniva servito a metà del pranzo per predisporre lo stomaco alle portate successive. Oggi è invece  più consueto consumarlo  a fine pasto.

Inutile dirvi che un buon sorbetto oggi lo trovate ovunque nella nostra città.

Giusto per restare in tema di cibo e folklore credo sia giusto accenarvi ora alla presenza nella vicina Pizza Carità della famosa trattoria Nennella .

Questa trattoria per ben 74 anni ha caratterizzato con cibo, musica, canti e balli dei suoi camerieri sui  tavoli la sua vecchia sede che si trovava nei quartieri sspagnoli.

Il locale non accetta preonotazioni , quindi se volete trascorrere qualche ora in comagnie di un personale accogliente  e divertente , dovete necessariamente avviarvi un po prima dell’ora di pranzo o cena ed essere pronti a fare una lunga fila .

A proposito di cibo… avete notato quanto  mare si trova nel fast food della  nostra città  ?

Addirittura abbiamo un locale dove potrete mangiare  dei panini di mare ma alternativi . Ed ecco a voi nel pieno cuore della  via scarlatti 46, il locale Panamar che si è  inserito con  prepotenza fra le preferenze dei napoletani. tartare panini gourmet.

Un posto piccolo, ma accogliente, dove puoi mangiare siaall’esterno che all’interno panini panini gourmet .

Panino solo con carne pregiata ? E allora ecco a voi la MACELLERIA TORTORA che si trova in  Viale Michelangelo 42: carne d’eccellenza in formato panino, tutto take away.

Insomma come avete capito , in questa città cè cibo per tutti ed a prezzi accessibili ad ogni tasca .

Nella nostra città, dai vicoli del centro storico alle botteghe del lungomare, ogni piatto racconta una storia, ogni morso è un’emozione. Se siete turisti in cerca di un’esperienza autentica, lasciatevi guidare dal profumo della pizza, dalla croccantezza delle fritture e dalla dolcezza delle specialità napoletane.

Volete  un consiglio? Camminate, annusate e fermatevi dove vedete  folla e profumo. A Napoli, il miglior fast food è quello fatto col cuore.

Napoli comunque è anche la città dei dolci, con una tradizione che conquista per la sua varietà e bontà. Oltre alla celebre sfogliatella, presente in molte pasticcerie storiche come Scaturchio, Attanasio e Piantauro, non si può non citare la popella, un dolce semplice ma dal gusto autentico, a base di ricotta e farina, tipico della tradizione partenopea.

Un altro must dolce è la graffa, una soffice ciambella fritta a base di patate, zucchero e farina,ricoperte da abbondante  zucchero che si scioglie in bocca quando mangiate appena fritte e calde. Fatte con impasto di patate hanno solitamente una forma ad anello ma possono anche avere una forma a bombolone e guarnite di gelato, panna o  altra golosità.

Per una graffa fritta veramente buona e leggera ci dovremmo recare allo chalet di  Ciro a Mergellina, dove la soffice ciambella fritta viene servita calda, ed è perfetta per una pausa golosa mentre si passeggia sul lungomare. Ma una buona graffa la possiamo trovare anche nei Quartieri Spagnoli, diriggendocii verso la Pasticceria Seccia, situata in Vico Tre Re a Toledo. La Pasticceria Seccia è nota per le colazioni tipiche napoletane, tra cui la graffa, e si trova in una zona centrale tra Via Toledo e i Quartieri Spagnoli.

Ed eccoci ora di fronte al dolce simbolo di Napoli

 La classica sfogliatella,riccia o frolla, croccante e fragrante, ricca di un ripieno ricco di ricotta e aromi. Essa è la colazione perfetta (o lo spuntino di metà mattina) per chi soggiorna in città.

Si narra, secondo antiche memoria, che le origini di questo tipico dolce napoletano risalgono al XVII secolo , quando nel convento di Santarosa , sulla costiera amalfitana fra localita’ Furore e Conca dei marini , una suora addetta alla cucina invento’ il tipico dolce di sfoglie a forma di cappuccio che ebbe il nome di Santarosa proprio in omaggio alla Santa a cui era dedicato il convento .


Fu nel 1818 , che l’oste Pasquale Pintauro, gia’ proprietario di trattorie in via Toledo, entrato in possesso della ricetta originale della Santarosa decise di apportarvi delle variazioni personali , modificandone la forma ed eliminando dal ripieno la crema pasticciera e l’amarena.
Nacque cosi la sfogliatella riccia, con la sua croccante forma a conchiglia. Tuttavia, non tutti gradivano la crosta così dura: per loro fu creata la sfogliatella frolla, dalla consistenza morbida e tondeggiante, con lo stesso ripieno ma racchiuso in un guscio di pastafrolla.

Questa seconda variante della sfogliatella frolla, dalla consistenza morbida e tondeggiante, e  con lo stesso ripieno ma racchiuso in un guscio di pastafrolla venne  attribuita alle suore di Santa Maria Regina Coeli, nel quartiere dell’Anticaglia, ma sarà ancora Pintauro a riconoscerne il valore e a farla conoscere a tutta Napoli.

Insomma, che sia chiaro a tutti…. non potete dire di essere stati a Napoli senza esservi posti l’eterno dilemma:sfogliatella riccia o frolla?

E così vi ritroverete in un attimo di fronte al  dubbio eterno dei napoletani.

La sfogliatella divide infatti  Napoli in due fazioni: i sostenitori della riccia, considerata più creativa e seducente, e quelli della frolla, più semplice da gustare e meno “impegnativa”. C’è chi davanti al bancone della pasticceria non sa decidersi, oscillando tra l’una e l’altra fino all’ultimo secondo.

Personalmente, per dipanare il dubbio , risolvo il tutto con una scelta pragmatica: una riccia e una frolla. Perché scegliere, dopotutto? Meglio assaggiarle tutte e due tte e due

Per molto tempo Pintauro non ebbe rivali, ma con il tempo la ricetta si diffuse e altri artigiani iniziarono a produrla. Oggi infatti la sfogliatella si può assaggiare in tutte la pasticcerie di Napoli, con soddisfazione.

Purtroppo la nota la bottega di Pintauro oggi consensa una chiusura stagionale estiva per garantire la qualità dei suoi prodotti e quindi da fine luglio fino ad inizio settemtre chiuse le sarcinesche,  ma in città comunque esistono dei luogi dove si possono trovare delle  ottime sfogliatelle :  c’è una zona in particolare che si distingue: quella intorno a Porta Capuana, dove sorgono pasticcerie come Sorella, Carraturo, Bellavia, Scaturchio, Ferrieri, Tizzano, Capriccio, Lauri e Attanasio alla stazione ferroviaria, che oggi è meta fissa per i viaggiatori in partenza, desiderosi di portare con sé un ricordo dolce di Napoli.

Il motto del negozio? “Napule tre cose tene ’e belle: ’o mare, ’o Vesuvio e ’e sfugliatelle”.

A Napoli tuttavia, la cucina partenopea è nota per le sue contaminazioni: basti pensare al gattò rustico o al danubio salato, originariamente dolci.

E così, oggi, si incontrano anche sfogliatelle rustiche, farcite con salsiccia e friarielli, scarole, peperoni, zucchine o persino sugo del soffritto. Veri e propri piatti completi, che si concludono – come si deve – con una bella sfogliatella dolce riccia. Quella vera.

CURIOSITA’: Tempo dopo Pintauro , che nel frattempo aveva trasfomato la sua osteria in una nota pasticceria , ebbe poi l’idea di friggere davanti alla sua bottega , un altro tipico dolce napoletano ” le zeppole” .
Era la mattina di San Giuseppe ; da allora il 19 marzo , tutte la pasticcerie napoletane presero l’abitudine di offrire ai propri clienti questa specialita’ che nella versione antica erano piccole ciambelline di acqua e farina ricoperte di cannella in polvere e zucchero .

Se ora dalla zona di Via Toledo ci spostiamo nella vicina Galleria Umberto , troveremo in un angolo della sua uscita sulla rinomata zona dello shopping e dello struscio,  un famoso bancone incastonato in un angolo con in bella vista delle prelibate sfogliatelle sempre calde . Il posto si chiama MARY e si trova in Galleria Umberto I 66,.

In vetrina anche golose capresine, pastiere monoporzione e profumati babà

CURIOSITA’ : La maestosa Galleria Umberto I , iniziata nel 1887 ed inaugurata nel 1892 ( 4 edifici e galleria in ferro e vetro ) nel 700 e nell’800,  fu ritrovo di artisti e personaggi dello spettacolo grazie alla presenza nei sotterranei del celebre Salone Margherita , autentico tempio del varieta’ a Napoli , sala da concerti ed elegante Cafe’ Chantant d’Italia , che venne dedicato alla sovrana e conobbe anni di splendore .
Affollavano il salone i maggiori personaggi di fine 800 e primi 900 tra cui : Di Giacomo , Scarfoglio , Ferdinando Russo , i principi ereditari di casa Savoia ( Vittorio Emanuele ) .

Vi si proiettarono i primi films dei fratelli Lumiere ( 1896) e vi aprirono il primo cinematografo.Nel Salone Margherita , Gabriele D’Annunzio conobbe la giovane francese Pierrette Butterfly , presentatagli da Edoardo Scarfoglio , mentre Maria Ciampi mando’ in delirio la folla eseguendo la celebre < MOSSA > , il sensuale movimento imparato dalla napoletana Maria Borsa che lo aveva proposto con successo nei teatri popolari .
Nell’angiporto della galleria , ora Piazzetta Matilde Serao , al civico numero 7 , si trova la prima sede originaria del ‘ Mattino ‘ quotidiano napoletano fondato nel 1892 da Eduardo Scarfoglio e Matilde Serao .

Quello che più attira l’attenzione è certamente la sua cupola. Ma la cosa curiosa resta la  pavimentazione dove sono  rappresenti i  12 segni zodiacali.

Secondo la tradizione, posizionandosi nel cerchio di fronte al proprio segno zodiacale e fare 3 salti, renderà possibile esprimere un desiderio che si avvererà entro l’anno.

La tradizione dolciaria napoletana, però, è davvero ricca e non si ferma alle sfogliatelle: potete fare per esempio un salto da Carraturo in Via Casanova 27 a Porta Capuana per assaggiare uneccelente sfogliatella o il babà, il famosissimo dolce imbevuto di rum. Lo troviamo  anche in piazzetta Nilo, 6

Ma visto che vi trovate accanto a Piazza San Domenico, non dimenticate di fare una scappata nei storici locali dell’antica Pasticceria Scaturchio dove potrete assaggiare dei tipici dolci  iconici della tradizione dolciaria Partenopea, come la pastiera il babà a forma di Vesuvio o la tipica a sfogliatella  Ma il fiore all’occhiello, inventato dal fondatore, è il Ministeriale, medaglione di cioccolato fondente, ripieno di una crema leggermente liquorosa. Famoso anche il babà a forma di Vesuvio. Piazza San Domenico Maggiore

Ovviamente anche la nota pasticceria BELLAVIA rappresenta per noi  un cult dell’arte dolciaria partenopea sopratutto per la sua famosa pastiera.

Tradizione e innovazione le ritroviamo comunque in città anche nella pasticceria di Salvatore Varriale in Via Filangieri 75, o all’ingresso del Rione Sanità in Piazza Cavour133, dove l’estro di Mario Di Costanzo ha  inventato il babbamisù, un dolce nato dalla fusione tra il babà e il tiramisù.

Nel vicino Rione Sanità esiste una pasticceria il cui proprietario ha inventato un dolce divenuto in pochissimo tempo un’icona dolciario in città.  Si tratta di un piccolo dolce  molto goloso, che ha letteralmente  spopolato negli ultimi anni a  Napoli. Il suo nome deriva dalla parola dialettale “poppella”, che significa appunto “piccola pupa” o “bambolina”, e la sua bontà è davvero irresistibile.

La sede di questa oramai famosa pasticceria a Napoli si trova in Via Arena della Sanità, si chiama POPPELLA , ed i mitico dolce è quello dei fiocchi di neve, dei sofffci mini pan-briosce, ripieni con una crema a base di latte e ricotta. Nulla di più si sa, la ricetta è segreta.

Il piccolo capolavoro, bianco e con un alone di mistero tipico del quartiere in cui è nato, è tanto piccola da entrare nella mano .Nato come dolce “di quartiere”, è diventato un’icona golosa in tutta la città .

Il  “fiocco di neve”   possiamo trovrlo comunquq anche  da  una pasticcieria che si trova nella vicinaVia Santa Brigida, al civico 69/70. Si tratta di una succursale  del noto POPPELLA.

Quando però si parla di dolci a Napoli non si può non parlare del mitico  Babà che  a Napoli è un culto, ed uno dei  protagonisti per eccellenza delle vetrine di ogni pasticceria napoletana,
Ma bisogna dire che le sue vere origini non sono napoletane ma  polacche … ed anche abbastanza altolocate. Sarebbe infatti stato in Polonia alla corte di Stanislao che stufo di mangiare l’ennesima porzione di kugelhupf, un dolce troppo asciutto che non gradiva particolarmente, lo allontanò rabbioso scagliandolo sulla tavola, lontano da sé.Il piatto terminò la sua corsa contro la bottiglia di rhum posata lì accanto, e la rovesciò inzuppando completamente il kugelhupf prima che qualcuno potesse intervenire.
Avvenne la metamorfosi : il dolce cambio’ colore e odore. Il re lo assaggio’ e ne rimase strabiliato. Il dolce gli piacque moltissimo e tutti i giorni, divenutone oramai ghiotto pretendeva di averlo consegnato a tavola.
Ma al dolce inventato casualmente dal sovrano mancava un nome.Fu sempre Re Stanislao ad inventare il nome, dedicando questa sua creazione ad Alì Babà, protagonista del celebre racconto tratto da “ Le Mille e Una Notte”. Libro che il sovrano amava leggere e rileggere nel suo lungo soggiorno a Luneville ( Ducato di Lorena ).
Successivamente il dolce fu portato in Francia dalla figlia di Stanislao, Maria e, quando i cuochi francesi lo prepararono per la prima volta, il suo nome iniziò a modificarsi e passò dal polacco babka a “babà” con l’accentuazione tipica del francese sull’ultima sillaba.
Il babà fu introdotto a Parigi all’inizio dell’ottocento dal famoso cuoco-pasticciere Sthorer, che non aveva mancato su invito di Maria , una sua visita nelle cucine di Luneville, per assistere alla preparazione del famoso dolce .
A tempo di record divenne la specialità della pasticceria parigina Sthorer di Rue Montorgueil .
In tanti lo conobbero e lo apprezzarono e le ordinazioni fioccavano fittissime dalla bottega di “maitre” Sthorer dove i morbidissimi babà, si vendevano da due a sette e perfino otto franchi l’uno.Grazie alla sorella francese di Maria Carolina d’Austria , esso giunge poi  a Napoli portato dai famosi Monzù ,dove nonostante il suo iniziale successo raggiunse solo nell’800  la sua massimo fama e la forma definitiva assai caratteristica (quella di un fungo) .
Da allora , il Baba’ , anche se di origini polacche , e’ divenuto un simbolo della pasticceria napoletana e della tradizione dolciaria napoletana e la domenica è quasi impossibile non trovarlo sulla tavola di un buon napoletano .Un luogo molto famoso che era una storica pasticceria di quartiere e da qualche tempo si è trasformata in una vera e propria boutique è la storica pasticceria Capparelli che si trova in Via dei Tribunali 325.Incastonati nelle sue vetrine sono conservati raffinati mignon, torte che si fanno mangiare prima con gli occhi che con la bocca, ma anche ricce, frolle, zeppole, pastiere, capresi e, ovviamente, il mitico babà gigante.Capparelli è famoso, infatti, proprio per il suo babà, più grande e soffice, ma meno zuccherato e alcolico. Nonostante le dimensioni “sproporzionate”, le proporzioni dei gusti rimangono armoniche. Addentarlo è un’esplosione di sapore.Tra i dolci preferiti dai napoletani possiamo senza alcun dubbio inserire anche il  “fiocco di neve”  che possiamo provare da Poppella , una pasticcieria che si trova nella vicina Via Santa Brigida, al civico 69/70. Si tratta di una  brioche tanto piccola da entrare nella mano, farcita con latte , ricotta ed ingredienti segreti conferendo al piccolo capolavoro bianco  e un alone di mistero.

Ma prima di smettere di narrare la pasticcieria napoletana mi piace ricordarvi uno dei luoghe da me preferiti, presente nella zona del Vomero da ben  80 anni   Il bar ROMA che si trova inVia  Vincenzo Gemito, 86, è il luogo ideale per una colazione speciale :  cornetti caldi, torte su misura, dolci ,caffè top e tanta passione.

Un dolce che ultimamente sta cercando di rilanciare la sua antica tradizione napoletana prende il nome del convento di Santa Maria del Dvino amore che si trova a vico Paparelle 32. Questo antico dolce , ovviamne si chiama del “DIVINO AMORE”perchè la preparazione  era un’esclusiva delle monache. Sono tipicamente di forma ovale e coperti di una glassa di zucchero diluito(conosciuta come “naspro”) dai delicati colori pastello che vanno dal rosa al verde, al giallino.

Mandorle, zucchero e canditi misti, adagiati su una base di ostia, rendono questi atti morbidi e profumati. Sono tipicamente di forma ovale e coperti da una sa di zucchero diluita (conosciuta come “naspro”) dai delicati colori pastello che no dal rosa al verde, al giallino.

Alcune delle pasticcerie  dove si possono assaggiare questi buoni dolci son la Pasticceria Armando Scaturchio e la gelateria Caruso .
Lo steet food napoletano è comunque anche gelato che puo vantare una antica tradizione ed un ‘alta qualità di ingredienti ,  Se quindi a questo punto  in città vi volte  rinfrescare con un gelato artigianale di alta qualità, ecco una selezione di 10 gelaterie imperdibili : Mennella gelato, gelateria Soave , Fantasia gelato, Casa Infante, Rol gelato, Chalet Ciro, Fratelli Bilancione ,Scimmia factory eDesio Gelato & Pastry, mentre se siete amanti del cioccolato dovete solo recarvi dalla gelateria Gay Oden.

 

Per chiudere il nostro viaggio nello street food napoletano , per vivere al meglio Napoli non vi resta a questo punto  resta che sorseggiarci un buon  caffè napoletano.  I napoletani come sapete sono celebri per il loro caffè .
A Napoli “a tazzulella ‘e cafè” è un rito quotidiano e la giornata non può cominciare senza aver preso il primo caffè a colazione, seguito poi da quello nella pausa a metà mattina, dopo pranzo, nel pomeriggio, e talvolta dopo cena, quasi a scandire i vari momenti della giornata.

E’ un qualcosa di filosofico..un  momento piacevole da dedicarsi per distrarsi dai tanti problemi. Una pausa per chiacchierare del tuo passato o futuro fine settimana, della tua nuova macchina o della partita di domenica.
E’ la scusa migliore per rivedere un vecchio amico. Insomma un vero momento di socializzazione.

Il caffè e’ un modo talmente forte di rapportarsi con il prossimo dei napoletani che lo ha portato addirittura a socializzare anche con chi non conosce o conoscerà mai.
Vi sembra strano, vero? E invece no. Il gran cuore dei napoletani lo ha portato a inventarsi il “caffè sospeso“.
Si usava e vi assicuro, si usa ancora, a Napoli, talvolta, prendere un caffè al bar ma pagarne due (per chi viene dopo e non può pagarselo).

In questo modo chi non può permettersi il caffè al bar, ha un caffè offerto da qualcuno. I caffè sospesi vengono segnati su una lavagnetta. Di tanto in tanto qualcuno si affaccia alla porta e chiede se c’e “un caffè sospeso”…. e spesso riceve in cambio anche un sorriso.
Il caffè sospeso è sempre stato un gesto solidale e filantropico fatto da qualcuno che entrava all’interno di un bar con uno stato d’animo molto felice e gioioso.
Proprio grazie a questo suo stato d’animo, egli decideva di prendersi un caffè e pagare sia la sua consumazione, sia quella che sarebbe avvenuta dopo di lui: aggiungendo i soldi necessari per pagare un’altra tazza di caffè. Praticamente, in poche parole, veniva offerto il caffè ad uno sconosciuto che sarebbe entrato nel locale dopo di lui.

Il famoso scrittore napoletano, Luciano De Crescenzo, che ha scritto un libro intitolato proprio “Il caffè sospeso”, racchiuse in una bellissima frase questa vecchia abitudine partenopea: Quando un napoletano è felice per qualche ragione, invece di pagare un solo caffè, quello che berrebbe lui, ne paga due, uno per sé e uno per il cliente che viene dopo. È come offrire un caffè al resto del resto del mondo…
Questa è Napoli, signori miei, questo e’ il cuore dei napoletani, se c’e da festeggiare qualcosa, se la giornata è iniziata particolarmente bene, o anche solo per solidarietà, il caffè sospeso rappresenta la voglia di condividere la tua felicita’ con chiunque.
Il semplice gesto del caffè sospeso e’ molto di più di quello che appare. Lasciare un caffè pagato a beneficio di un qualsiasi avventore sconosciuto e’ la grande generosità del popolo napoletano. E’ la fiducia nel prossimo. E’ un gesto di speranza. Perché’ ti fidi del barista e speri che un giorno quel qualcun offra ad un prossimo un gesto d’amore e di solidarietà. Speri che quello a cui hai offerto il caffè, un giorno, quando le cose andranno meglio, si ricordi di offrirlo a qualcun altro. Perché’ non aspetti una tragedia o un terremoto per dimostrare a qualcuno che gli sei vicino comunque!
E ‘ un caffè offerto… a chi non conosci, all’intera umanità.

Un ultimo consiglio :  ricordatevi che un  buon napoletano non rifiuta mai un caffè, a qualsiasi ora della giornata, ma una delle regole pricipale è quella di non usare mai  un bicchierino di plastica. Il caffè si beve rigorosamente in una tazzina di ceramica

N.B . Se vedete  un gruppo di napoletani al bar prendere dei caffè si resta affascinati nel vederli compiere in maniera automatica dei gesti senza neanche accorgersene.
Innanzitutto il napoletano odia bere il caffè di fretta, quindi va gustato lentamente. Questo deve poi essere sempre accompagnato da un bicchiere d’acqua (se il barista dimentica di dartelo, il napoletano puntualmente lo richiede). L’acqua serve a “sciaquarti “( pulirti ) la bocca prima di assaporare il caffè’, in maniera da apprezzarne di più il sapore e l’aroma.

E’ abitudine lasciare una mancia (pochi centesimi) al barista che ti farà un caffè. E’ un “grazie anticipato”, quindi ci si aspetta un ottimo caffè. Un modo per raccomandarsi al barista affinché il caffè preparato sia buono.

Scopriamo ora insieme dove degustare al megliogquesta rinomatat bevanda nella nostra città : Bar Mexico – Gran Cafè Ciorfito -Bar Augustus – Cafè do Brasil -Bari Nilo -Gran Caffè La Caffetteria – Caffè Ceraldi – Caffè Salvio — Gran Caffè Cimmino  –  Centrale del Caffè – Caffè Letterario Intra Moenia  – Caffè Lazzarella – il Caffè del Professore ed infine il mitico-Caffè Gambrinus.

Questi ultimi due sono presenti entrambi in quella che un decreto del 1919 oggi si chiama Piazza Trieste e Trento , ma che i napoletani continuano  a chiamare con il vecchio nome di Piazza San Ferdinando.

Il Gambrinus , uno dei faffè più famosi nel mondosi trova con precisione all’ angolo con via Chiaia .  Arredato in stile liberty , esso  conserva nel suo interno stucchi, statue e quadri delle fine 800 realizzati da importanti artisti napoletani ;tra queste vi sono anche opere di Gabriele D’Annunzio e Marinetti.
Nato nel 1860 sono passati nelle sue sale dorate i personaggi illustri d’ogni tempo e paese diventati poi clienti affezionati , come : Gabriele D’Annunzio – Ferdinando Russo – Benedetto Croce – Matilde Serao – E . Scarfoglio – Eduardo Scarpetta – Toto’ e i De Filippo – Ernest Hemingway – Oscar Wilde – Sean Paul Sartre – i reali di casa Savoia – e tanti altri .
Negli ultimi anni e’ stato continuamente visitato dai Presidenti della Repubblica nei loro soggiorni a Napoli , cosi’ come i presidenti del consiglio ( Prodi – Berlusconi etc )

Mentre il caffè del professore famoso peri suo caffè nocciolato  si trova al piano terra del maestoso Plazza Zapata.

La piazza come mostra nel suo centro quella che i napoletani hanno sopranniminata  la  fontana del carciofo , voluta dall’ex sindaco Lauro .

Ad  uno dei suoi angoli il Teatro San Carlo , opera dell’architetto Antonio Medrano costruito su volere del re Carlo di Borbone fortemente intenzionato a dare alla città un nuovo teatro che rappresentasse il potere regio.

Molti non lo sanno ma Il Teatro  San Carlo di Napoli è uno dei teatri d’opera  più antichi  in Europa e del mondo con una data di nascita che anticipa di 41 anni la Scala di Milano e di 55 anni  la Fenice di Venezia. Esso è uno dei Teatri piu’ famosi e prestigiosi al mondo .E’ il teatro lirico di Napoli , ma rappresenta da sempre il tempio lirico italiano.

Esso sorge accanto al Palazzo Reale , vicino alla famosa Piazza  del Plebiscito che si trova ai  piedi della collina di Pizzofalcone, Questa è la piazza simbolo di Napoli , considerata una delle più belle del mondo, occupa uno spazio complessivamente di quasi 25 mila metri quadrati , meritando  così il titolo di  “la piazza “grande ” di Napoli.

Al centro del suo emiciclo potete  ammirare due bellissime statue equestri : una dedicata a Carlo di Borbone e l’ altra a Ferdinando IV . Entrambi i sovrani sono raffigurati con un incedere solenne e vestiti alla romana, segno evidente del dominante gusto neoclassico dell’epoca.
La realizzazione delle due statue dei cavalli, collocate a circa 50 metri una dall’altra sono opera di Antonio Canova, che cominciò il lavoro a partire del 1816, ma nel 1822 morì; la seconda, quindi, fu completata dall’allievo Antonio Calì ( il cavallo è opera del Canova mentre il re che lo cavalca è opera di Calì ).
Sul lato opposto , il maestoso impianto della Reggia la cui costruzione fu iniziata nel 1600 dal vicere’ di Castro ed il cui progetto e’ firmato dall’architetto Domenico Fontana .
Il Palazzo Reale è stato ininterrottamente la sede del potere monarchico a Napoli e nell’Italia meridionale: suoi inquilini furono dapprima i viceré spagnoli e austriaci, poi i Borbone e infine i Savoia.
La sua facciata, che misura circa 170 metri fu completata nel 1613. All’epoca il porticato inferiore era aperto, lo chiuse Vanvitelli nel 1756 che modifico’ radicalmente la facciata chiudendo alternativamente gli archi voluti dal Fontana e creando delle nicchie che dovevano ospitare delle statue .

Solo un secolo dopo e per volonta’ di Umberto I , nelle nicchie furono collocate le otto statue marmoree raffiguranti i più rappresentativi sovrani delle dinastie che hanno regnato a Napoli. Essi sono in ordine cronologico, partendo da sinistra avendo di fronte la facciata: Ruggero il Normanno, opera del Franceschi; Federico II, scolpito dal Caggiano; Carlo I d’Angiò, scolpito dal napoletano Solari; Alfonso V d’Aragona, realizzato dal D’Orsi; Carlo V d’Asburgo-Spagna, su un modello del Gemito; Carlo III di Borbone, immortalato dal Belliazzi; Gioacchino Murat, eseguito da Amendola ed infine Vittorio Emanuele II di Savoia, primo re d’Italia, realizzato da Jerace.

Sulle statue più note della città,esiste da secoli una  barzelletta che ogni napoletano conosce giocata sulla gestualità delle ultime tre statue: la prima sembra chiedere: chi ha fatto pipì qui a terra; la seconda: sono stato io; la terza: allora ti taglio il membro.

Un’ultima cosa : Avete mai provato a fare il giochino di camminare bendati verso i due cavalli ?
La parte libera della piazza è più o meno quadrata, e la distanza dal Palazzo Reale al diametro dell’emiciclo, sul quale sono collocati i cavalli, è più o meno di 170 metri ; tutti hanno provato, almeno una volta, ad attraversare bendati oppure ad occhi chiusi piazza del Plebiscito.
L’obiettivo, riuscire semplicemente a fare un percorso dritto, a passare attraverso le due statue, si è però per chiunque dimostrato “misteriosamente” difficile.
Scoprirete che, partendo bendati davanti al portone del Palazzo Reale, per quanto vi sforziate, è molto difficile che riusciate a passare tra i due cavalli installati dall’altro lato della piazza. Si tratta di fare una traiettoria diritta di circa 170 metri bendati . Quasi certamente devierete e finirete tanto fuori traiettoria da rimanere sorpresi.
Nelle foto dall’alto della piazza si vede chiaramente una certa pendenza del suolo , molto irregolare che costituisce un enorme fattore di disorientamento per chi, con la fascia sugli occhi, cerchi di passare tra i cavalli partendo dal Palazzo Reale ; se a questo aggiungiamo un pizzico di emozione e rumori in uno spazio enorme si capisce quanto sia difficile procedere diritti .
La tradizione vuole che la regina Margherita concedesse, una volta al mese, a uno dei suoi prigionieri di avere salva la vita a patto di superare proprio quella prova, partendo dalla porta di Palazzo Reale che è esattamente al centro delle due statue del Canova. Non ci riuscì mai nessun prigioniero, per una “maledizione” della sovrana. La stessa – leggenda vuole – che impedisce ancora oggi si possa riuscire “nell’impresa

NB : La piazza del Plebiscito, ex Largo di palazzo,  prende l’attuale nome dal plebiscito popolare del 1860  dichiarato da molti come falso, con cui Napoli diceva sì all’annessione al Regno dei Savoia. Molti elettori  napoletani  pare che in quella circostanza pare siano stati costretti e minacciati con  le armi dagli scagnozzi di Liberio Romano e” ZiTore “. Fu quindi più una forzatura che un atto  democratico .

Spero di non annoiarvi ma io proprio non c’e la faccio a fermarmi quando incomicio a parlare della  storiae delle bellezze della nostra città.

Ok ! Mi fermo,  ma prima lasciatemi dire un ultima cosa su quella strada che nel vostro Tour dello street foof avepe prorso tante volte  .

Ovviamente parliamo vi Via Toledo in cui inizio perta proprio da questa piazza .

Dovete saper che  Via Toledo è una strada  che deve il suo nome al vicere’ di Napoli don Pedro de Toledo , il quale provvide durante il suo viceregno alla sistemazione urbanistica della citta’ proprio con l’apertura di questa nuova importante arteria.
Ricca di negozi e botteghe fin dai primi tempi della sua creazione e per questo sempre affollatissima , è sempre stata una strada dove si era solito passeggiare Un tempo questa strada era infatti  il  principale corso cittadino  e con il tempo anche l’occasione per una lunga  passeggiata in cui sfoggiare i migliori abiti  e fare lustro di se in un percoso che venne  detto ‘O struscio.

Una sorta di gigantesco teatro sul quale sfilavano la  nobilta’e alta borghesia per mettersi in mostra e farsi vanto del proprio stato sociale. Essa rappresentava sopratutto per le donne l’occasione per sfoggiare l’abito nuovo .

Durante i sepolcri le  nobili dame sfoggiavano  in quella circostanza sfarzosi costumi e ricche uniformi ed erano soliti vestirsi pomposamente di velluto nero col soprabito ricco di bottoni d’oro e d’argento
Le Dame adornate con somma gala, portate dentro ricche sedie indorate a mano (essendo vietate le carrozze), giravano quasi tutte le chiese della città con al seguito servi, paggi, e tutta la loro corte, vestiti con le più ricche livree, con estremo lusso, e con le teste artificiosamente accomodate.

I napoletani seguendo l’esempio , concepirono lo struscio come la festa della primavera , durante la quale non solo la nobiltà’ , ma anche la borghesia , sfoggiava i migliori abiti ; insomma una vera e propria gara di sfarzo ed eleganza .

Lo struscio divenne allora una sorta di gara di sfarzo, al punto tale che, nel 1781, Ferdinando IV di Borbone intervenne per rendere la festività religiosa più austera e mettere freno allo sfaggio di tanta ricchezza ed eleganza ed alle donne fu sovranamente ordinato che andassero semplicemente ornate di veli, e senza dare scandalo .
Durante il regno di Ferdinando , lo struscio assunse dimensioni piu’ modeste ma tuttavia con un certo tono .
Quando la dinastia Borbone cesso’ di regnare la consuetudine decadde , ma il rito resto’.
In quest’epoca si soleva fare una certa distinzione tra quello del giovedi’ e quello del venerdi’ santo .
Il giovedi’ santo vedeva affluire in Via Toledo anche gli abitanti dei quartieri popolari , portando quella nota di gaiezza tipica del popolino.
Il venerdi’ santo invece era riservato alla piu’ raffinata rappresentanza della citta’, la nobiltà’ autentica .
Altra curiosita’ di quei giorni era la comparsa della paglietta , copricapo estivo fatto di fili di paglia intrecciati . Gli uomini coglievano l’occasione per deporre in quel giorno la bombetta o il cilindro per indossare il cappello estivo che con gesto affettato , veniva tolto al passaggio di una bella donna .
Aitanti ed impettiti gentiluomini indossavano la paglietta, prontamente tolta per ossequiare una bella dama che avanzava strusciando le vesti e i piedi . Le instancabili e “nferrùte” (tremende) mammà partenopee, di ogni estrazione sociale, agghindavano le figliole in età da marito e le accompagnavano in un interminabile struscio nella speranza di accasarle.Quella via si trasformava cosi’ in un salotto dove gli innamorati erano certi di incontrarsi e le dame incrociando i vari cavalieri mostravano tutta la loro maestria nello ‘ strusciare ‘ sul lastricato di Via Toledo , i loro delicati piedini .

N.B. Strusciare letteralmente significa strofinare o trascinare qualcosa per terra, e anche se vi semra stano la   parola zoccola , a Napoli data alle donne dai cattivi costumi , sembrerebbe derivare proprio da questo ” struscio “, Essa infatti deriva  dagli alti zoccoletti che le nobildonne del settecento erano solito indossare lungo la via Toledo quando non volevano che i loro lunghi vestiti che indossavano si sporcassero della  fanghiglia della strada . Accadde quindi che le prostitute dei quartieri spagnoli che si agghindavano sempre in maniera molto appariscente per attirare i clienti , ad imitazione delle nobildonne del 700 incominciarono anche esse ad indossare questi altissimi zoccoletti sempre più alti al tal punto che furono soprannominato le “ zoccolelle “. Ecco perché poi avvenne il  facile passaggio semantico tra zoccole , zoccolelle zoccolette e donne di cattivi costumi da parte dei napoletani .La loro associazione  fu immediata e da allora le donne che si dedicavano al mestiere più antico del mondo vengono  dette dai napoletani  “ e Zoccole “.

La strada da sempre affollatissima , come notate è ricca di negozi , numerosi posti dove mangiare  , frequentatissimi  bar  e nobiliari bellissimi palazzi che fiancheggiano  la strada . Tra i tanti palazzi vi voglio oggi solo ricordare quello di  Zevallos Stigliano che di proprietà del gruppo Banca Intesa San Paolo possiede una splendida pinacoteca dove tra tanti capolavori si trova conservato  il bellissimo “Martirio di Sant’Orsola”, eseguito dal Caravaggio a poche settimane dalla sua drammatica morte avvenuta a Porto Ercole.

Molti di questi palazzi di proprieta’ di signori particolarmente invisi al popolo per varie angherie praticate,furono assaltati , e saccheggiati dai  “Lazzari” laceri e scatenati ,durante la rivolta, capeggiata da Masaniello, scoppiata nel 1647.

Come potete notare la nostra via Toledo è ricca di antichi palazzi nobiliari dove gli aristocratici  residenti grazie alla loro ricchezza si concedevano spesso lauti pranzi a base di carne e cacciagione . Ma i loro raffinati cuochi spesso provenienti dalla Francia ( “monsù“ che tanto  piacevano alla regina), cucinavano si,  tanta carne, ma di animali di cui non venivano utilizzate le interiora perché erano considerate impure e dunque alimento troppo povero per essere mangiato dalle  famiglie nobili  reale.

Alla fine dei lauti banchetti reali, i cuochi affacciandosi dai balconi lanciavano gli scarti di carne,  urlando “Les entrailles” (le frattaglie). Le povere affamate donne del popolo che avevano atteso quel momento da tempo si lanciavano come belve affamate su quei resti in una lotta senza crarsi scupolo di attaccar briga strillando e se necessario ricorrere alle mani.schiamazzi:

Questi schiamazzi e urla in dialetto, facevano un gran casino e spesso  finivano addirittura  ad arrivare allo  ” strascino”  un modo di litigare senza alcun ritegnoche le portava a comportarsi   in tal modo da ” zandraglie “.

Da allora il termine Zandraglia”, o anche “zendraglia”, viene a Napoli, attribuito a donne chiassose, che litigano e si accapigliano.

N.B. Lo strascino  era un atto violento fatto generalmente da una donna consistente nel trascinare un’altra  donna al suolo mantenendola per i capelli.  E’ un preciso atto di sfregio che veniva compiuto fino ai primi anni del ‘900 nei confronti esclusivamente della donna che si era macchiata di un qualcosa di grave nei confronti di altra donna e da quest’ultima punita.

Per una donna di bassa condizione civile, sguaiata e volgare, abituata “al pettegolezzo e alla chiassata viene in città  usato anche il termni di vasciajola, ovvero donna abitante del basso  (vascio), ovvero le piccole abitazioni di uno o due vani poste al piano terra, con l’accesso diretto sulla strada, nelle quali essa  solitamente si distingue per la sua   vociante volgarità ed  il suo carattere  attaccabrighe.

Divertente anche il termine  “vrenzola”   con il quale si intende in genere una donna maleducata, dagli atteggiamenti bonariamente grezzi, kitsch al limite del volgare, trash per definizione.  Oggi viene riferito ad una ragazza che  vestita in modo sgargiante con scollature eccessive o con leggins su un corpo poco asciutto  mastica  divertita  a bocca aperta un chewingum, in compagnia di amici o sconosciuti.

Qualsiasi stile sia di moda, la vrenzola non si fa problemi: a prescindere dal fatto che il suo corpo possa o no permettersi stile o taglia, lei lo indosserà. Sceglie con particolare cura gli orecchini, che saranno necessariamente grandi ..

Inizialmente il termine veniva utilizzato in napoletano per indicare un brandello di stoffa ridotto male  e veniva spesso utilizzato per indicare una persona ridotta in pessimo stato ai limiti della povertà e dall’essere uno straccione . Per questo motivo lungamente la parola è stata utilizzata principalmente come offesa, intendendo come vrenzola una persona meschina e avara.

Dell’espressione e delle attitudini della vrenzola si sono innamorati molti, al punto che il termine sta valicando i confini di Napoli e la parola sta diventando riconoscibile anche in altre zone d’Italia divenendo un termine noto quasi quanto il celebre ‘cazzimma’, un termine con il quale noi napoletani ,  in grandi linee identifichiamo  una sorta di furbizia di tipo opportunistico, quella che in genere si utilizza per guadagnarci sempre qualcosa, da qualunque tipo di traffico, scontro e confronto.

Ma con tale termine spesso ci riferiamo a quella persona che per arrivare al suo obiettivo è capace di calpestare tutto e tutti o anche qualcuno capace di cattiveria gratuita.

Negli ultimi tempi si è  assistito ad uno slittamento di significato che ha trasformato la cazzimma  non in una cattiveria, ma  in una grinta positiva.  Il soggetto cazzimoso  diventa in tal modo uno considerato capace di far carriera .

Il termine è oramai  divenuto famosissimo  e se le cose dovessero continuare ad andare così, probabilmente in qualche anno sarà diventata completo patrimonio della lingua italiana, un po’ come è successo a tanti altri termini napoletani, un tempo ritenuti dialettali e oggi patrimonio di tutti

Dopo questo viaggio nel gusto, le curiosità e nelle tradizioni di ogni pietanza avrete certamente capito che quello che viene semplicemente chiamato “street food “è solo un modo per immergervi in un mondo nella cultura e la storia di un popolo dove secoli fa, gli abitanti della città iniziarono a vendere cibo per strada come forma di sostentamento.

Nel corso del tempo, queste pietanze sono diventate vere e proprie specialità culinarie  tramandate di generazione in generazione. Queste prelibatezze sono quindi piatti di strada che raccontano la storia e la tradizione di Napoli in ogni boccone.E’ un qualcosa per il auqle presto capirete quel  legame profondo che la   gente di questa città ha  con le sue radici.

Girando per questa città tra arte , monumenti e musica presto capirete che lo strett food  rappresenta l’anima e la tradizione di Napoli .

La cucina napoletana, assai più di altre tradizioni, ha in bocca la storia e lo spirito di una città che non ha uguali. In essa si respira la filosofia Epicurea che ancora echeggia e domina in città. A Napoli mettersi a tavola non serve solo a sfamarsi ma è un modo per socializzare , ricordare e sopratutto amare . A Napoli non basta mettere insieme il pranzo con la cena, ma occorre fare del cibo, come della vita, un boccone di piacere,

È  un modo per condividere insieme ad altri un qualcosa che provoca piacere gustando l’eccellenza di un prodotto ( meglio se di origini nostrane ) . E’ un modo di vedere la vita che ereditiamo dai nostri antichi antenati greci e … non ci possiamo fare niente … ci piace ..

Stare a tavola a pranzo o a cena con amici ma sopratutto parenti e’ un modo per ricordarsi che i piaceri della vita vanno condivisi lontano dallo stress ed in una atmosfera soft e rilassante dove prevale l’amore per i contatti umani . Amiamo stare a  tavola  dove ci piace godere sopratutto dei prodotti giunti a noi dalla tradizione popolare, ingegno del poco e del niente

Ogni  pietanza in questa città è un pezzo di storia da scoprire e assaporare. Che siate amanti della pizza, appassionati di street food o golosi di dolci, questa città vi offrirà emozioni uniche e sapori indimenticabili.

Qui il  cibo non è solo  un piatto : è identità, cultura, arte, tradizione e soprattutto passione.

Da brava città mediterranea  complici il clima, la struttura urbana ed altri fattori – Napoli ed i napoletani passano ancora gran parte della loro giornata all’aperto. Per spostarsi da un luogo all’altro, per lavorare o semplicemente per piacere. Per secoli (ed ancora oggi è così) il porto ha dato molto lavoro ai partenopei; ad oggi, si aggiunge una fortissima presenza turistica che registra in molti periodi dell’anno il sold out.

La città è viva, vissuta e calpestata ogni giorno da milioni di persone: milioni di bocche che, da qualche parte, dovranno sfamarsi e come avete visto,la  formula prediletta è il cibo da strada, cioè quello servito direttamente da vetrine, negozietti, anfratti adibiti con pochissima cucina, calderone per fritture, un frigo con le bevande ed una minuscola cassa per battere scontrini davvero da pochi euro. Il costo dello street food a Napoli è irrisorio, similmente a quello delle altre città: si parte da 1 euro per una pizza a portafoglio o un dolce tipico, fino ad arrivare a massimo 6-7 euro per i cuoppi di fritture più pieni ed elaborati.

Se per vostra fortuna  venite a visitare questa città ed avete voglia di passeggiare per le tante strade ricche di palazzi storici nobiliari e antiche chiese, presto vi accorgerete che ogni angolo, ogno vicolo ed ogni strada  di questa città , offre qualcosa di buono, economico e autentico da mangiare. In ogni luogo di questa città  troverete  sapori che parlano della storia, dell’anima e della cultura napoletana.

La tradizione dello street food a Napoli affonda le radici nei tempi antichi, quando i mercati e le piazze erano il cuore pulsante della città. Qui, venditori ambulanti offrivano pietanze semplici ma gustose, capaci di saziare e di regalare conforto agli abitanti e ai viaggiatori.

La praticità del cibo da strada ha permesso alla cultura napoletana di portare avanti un’eredità culinaria fatta di sapori genuini e convivialità, trasformando piatti come la pizza, la frittatina o la sfogliatella in vere icone universali.

VI ASPETTIAMO !

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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