Francesco Solimena, detto anche L‘Abate Ciccio, fu un famoso pittore italiano nonché architetto ed uno dei massimi esponenti della corrente tardo barocca.
N.B. Era chiamata Abate ciccio in quanto terziario domenicano.
Nacque a Canale di Serino nel 1657, e apprese l’arte della pittura dal padre, Angelo Solimena, già noto artista nella sua bottega a Nocera inferiore.
Lavorò per diversi anni con il padre dal quale inizio’ a distanziarsi come genere pittorico negli anni 80 passando dal naturalismo al barocco.
Trasferito a Napoli studiò e conobbe la pittura di Mattia Preti e sopratutto di Luca Giordano (l’incontrastato dominatore di quegli anni) di cui è considerato l’erede artistico.
In seguito alla morte del maestro Giordano, a cavallo tra il ‘600 e il ‘700, l’Abate Ciccio divenne infatti l’incontrastato dominatore della scena artistica napoletana. Egli confermò un potente ed elegante stile decorativo, già affermatosi negli anni precedenti nei grandiosi affreschi di Santa Maria Donnaregina o della Cacciata di Eliodoro al Gesù Nuovo di Napoli.
Egli ci ha lasciato una vastissima produzione pittorica che non ha eguali per quantità ed estensione se non in quella del Giordano.
Tra le sue più importanti opere a Napoli troviamo: le tele delle Virtù della sacrestia di San Paolo Maggiore, la tela di “San Francesco rinunzia al sacerdozio ” nella chiesa di Sant’Anna dei Lombardi, le tele di San Nicola alla Carità, il Miracolo di S. Giovanni di Dio per l’ospedale di S. Maria della Pace (oggi al museo civico), la cacciata di Eliodoro dal tempio nella chiesa del Gesù Nuovo , gli affreschi della cappella di San Filippo Neri, nella chiesa dei Gerolamini e gli affreschi di Santa Maria Donna Regina Nuova.
Tra gli affreschi che maggiormente colpirono la fantasia dei contemporanei, meritano di essere ricordati quelli della cupola della chiesa di Donnalbina eseguiti con decorazioni oggi quasi completamente perdute che furono definite dal De Dominici un grande poema eroico.
Sempre il De Dominici, impressionato dai grandiosi affreschi siti nella sacrestia della chiesa di San Paolo Maggiore,nel vedere il culmine del processo di impreziosimento stilistico raggiunto dal Solimena. salutò le sue decorazioni come l’avvenimento di maggior rilievo nell’ambito delle arti figurative che avesse interessato Napoli sul finire del secolo, e vide in quelle stupende cascate di luce un superamento della stessa lezione giordanesca.
Nella grandiosa basilica teatina il sommo artista lavorò su due opposte pareti firmando e datando, 1689 e 1690, le due grandi imprese, raffiguranti la Caduta di Simon mago e la Conversione di San Paolo, le quali ci forniscono una portentosa esibizione in chiaro dei suoi modi pittorici.
Da non dimenticare tra i suoi capolavori gli affreschi nella chiesa di San Giorgio a Salerno con Storie delle Sante Tecla.
Nel 1728, ricevette un’importante commissione dal cardinale Michele Federico Althann, viceré di Napoli (una tela raffigurante il prelato rendente omaggio all’imperatore d’Austria Carlo VI) che riscosse molto successo.
Negli anni tra il 1734-35 realizzò inoltre dipinti per Carlo III di Borbone al palazzo Reale di Caserta.
Francesco Solimena ha esercitato una notevole influenza sui pittori delle generazioni più giovani e future di Napoli, ma anche di tutta l’Europa centrale.
La sua attività si lascia alle spalle il secolo d’oro, creando un nuovo linguaggio su cui si moduleranno i pittori del Settecento, nel quale egli protruderà vigorosamente fino al 1747, esercitando, senza quasi mai lasciare Napoli, una notevole influenza su tutta la pittura europea.
Nella sua ricercatissima bottega si alternarono varie generazioni di allievi, ed inoltre si creò una amplissima cerchia di imitatori che ricopiarono e divulgarono dappertutto le sue complesse creazioni enfatiche accese di colori e di luci, dove si affollano vivacissimi episodi e figure. Egli si rivelò quindi, non solo un pittore barocco dalle stimabili qualità, ma anche celebre e vivace maestro, dando vita ad una scuola numerosissima per numero di allievi, e altissima per i risultati ottenuti da lui, e dai suoi discepoli più celebri. Una propensione all’insegnamento rivolta alla pittura certo, ma anche nell’architettura, formando un ventaglio di professionisti protagonisti della scena napoletana.
Fu così che l’Abate Ciccio fu considerato “maestro di tutte le arti”, eclettico nei suoi insegnamenti, elaborando ed inventando sul piano progettuale nuove forme e decorazioni architettoniche barocche. Non a caso, il carattere delle innovazioni figurative di Francesco Solimena si ritrova nella scultura barocca, ad esempio nelle opere di Nicola e Domenico Vaccaro e di Giuseppe Sanmartino, entrambi attivi a Napoli nel corso del diciottesimo secolo.
Grazie a Francesco Solimena ed alla pittura eroica del “chiaroscuro” di Caravaggio e di Giovanni Battista Caracciolo che hanno caratterizzato Napoli in quel secolo, la città raggiunse lo status di centro di dispositivo artistico, tanto da diventare una capitale europea della pittura.
Francesco Solimena mori’ nel 1747 nella sua casa, in provincia di Napoli a Barra, dove egli anni prima si era volutamente trasferire .
N.B Il piccolo casale di Barra fra il ‘600 e il ‘700 era poco più di un casale immerso nel verde, con una vasta palude che lo separava da Napoli. Era frequentato da numerose famiglie nobiliari,come i Caravita di Sirignano, che crearono una villa bellissima che ospitò addirittura la regina d’Ungheria. Nel suo centro storico si trovava una chiesa che si chiamava Santa Maria della Sanità , proprio come la chiesa più famosa nel centro storico di Napoli: essa fu infatti fondata circa 5 secoli fa da un gruppo di frati che volle spostarsi in provincia. La stessa zona che, cent’anni dopo, diventò la casa dell’artista.
Solimena che come committenti delle sue opere aveva i frati Domenicani ,o molto presenti nella zona di Barra, decise di trasferirsi in quel luogo e costruirvi una bellissima villa dove vivere come in un paradiso terrestre, stabilendovi una scuola frequentata da tutti i pittori dell’epoca. Buona parte dei suoi dipinti che si trovano in tutto il mondo furono prodotti nella sua casa e poi spediti ai committenti.
Lui amava molto quella villa e si racconta che ogni mattina Francesco, si incamminava dalla sua abitazione, lungo il Corso Sirena, che è la strada principale di Barra, per raggiungere la chiesa di Santa Maria della Sanità (chiamata anche “San Domenico” dai residenti) e pregare. Poi cominciava a lavorare e chiamava a sé i suoi studenti. E questa fu la sua routine quotidiana fino a 90 anni: amava talmente tanto dipingere che, nonostante fosse diventato quasi cieco ed era ormai infermo, firmò il suo ultimo dipinto alla veneranda età di 89 anni.
N.B. Solimena continuà a dipingere senza sosta nel Settecento per quasi cinquant’anni, qualificandosi, assieme al Giordano, come il più grande pittore napoletano di tutti i tempi.
Dopo la morte il pittore decise di rimanere nel suo paradiso personale. E si fece seppellire proprio nella chiesa che lui stesso restaurò: la lapide che ricorda la sua tomba è stata messa solo nel 1997,
Ma, nell’ipogeo della chiesa è rimasta per 200 anni una piccola cassettina contenente la testa e la parrucca originale del grande artista .
Con lui , alla sua morte, si spense l’ultima grande figura di artista della seconda metà del Seicento.
Egli ci lascia una vastissima produzione, che non ha eguali per quantità ed estensione se non in quella del Giordano, pur volendo espungere da essa le opere non autografe e le numerose copie, spesso eseguite con la sua supervisione e parziale collaborazione. Di conseguenza ancora oggi, nonostante il progredire degli studi, è molto labile il confine tra una buona copia e l’originale, per cui spesso opere degli allievi più bravi vengono confuse, soprattutto nel mercato antiquariale, con tele del maestro.
Francesco Solimena non fu solo l’autore di decine di dipinti straordinari sparsi più o meno in tutte le regioni d’Italia, ma anche a Londra, in Catalogna, e a Strasburgo. Egli infatti fu tra gli artisti più ricercati e commissionati da alcune delle più importanti corti italiane ed europee. Ad esempio, si vedano le tele bibliche per la famiglia Durazzo di Genova, gli affreschi di San Giorgio di Salerno, le opere nel duomo di Nocera, e la Visione di San Cirillo d’Alessandria nella chiesa di San Domenico a Sofra.
N.B. L’internazionale fama dell’Abate Ciccio è chiarita anche dalla presenza alla National Gallery di Londra del capolavoro Didone accoglie Cupido. Altre opere sono esposte a Louvre di Parigi ed al Metropiltan Museum di New York.
Ovviamente il suo centro d’interesse maggiore fu Napoli, dove realizzò svariati dipinti per la casa regnante dei Borboni, tra cui Carlo alla battaglia di Gaeta nel 1734 e Allegoria delle parti del mondo nel 1738, entrambi all’interno dell’imponente Palazzo Reale, ma disegnò in prima persona anche edifici come la chiesa di San Nicola alla Carità,l’intero affresco del soffitto della chiesa di San Domenico Maggiore,o la facciata della sua stessa chiesa a Barra.
CURIOSITA’: . Oggi purtroppo la villa non esiste più: fu bombardata durante la II Guerra Mondiale. I resti del pittore, invece, sono sepolti proprio nella sua città adottiva, nella chiesa di San Santa Maria alla Sanità di Barra , un luogo davvero fuori dal tempo, a partire dal vestiario dei frati e delle suore, che non è cambiato di una singola cucitura in 500 anni. O meglio: è cambiato solo l’ordine che gestisce l’edificio religioso, che oggi è la comunità delle Suore Adoratrici del Cuore Regale di Gesù, Ma le cerimonie religiose sono rimaste le stesse del ‘500.
Le messe si svolgono in latino e i canti sono uno spettacolo di colori e di musica: le suore infatti sono vestite con particolarissimi manti turchesi, dai riflessi brillanti e dai dettagli bianchissimi. Gli uomini, invece, hanno un lungo vestito nerocon il colletto bianco che, nelle cerimonie, cambia colore a seconda dell’evento. Il dettaglio interessante riguarda peròl’azzurro delle suore, che conquista l’occhio proprio come le tinte accese che il pittore irpino amava.