L’antica citta’ osca scomparsa nel XI secolo , era un tempo , una delle più importanti città della Campania . Essa occupava un territorio molto vasto comprendente quelli che oggi sono i comuni di Orta di Atella , Sant’Arpino, Succivo , Cesa , Gricignano di Aversa , Caivano, Afragola, Casavatore, Casoria e la frazione Fratta Piccola del soppresso comune di Pomigliano d’Atella .
Atella divenne famosa in tutto il mondo antico anche e sopratutto per un genere teatrale in lingua osca, le Fabulae Atellanae, antichissime farse popolari di carattere buffonesco e osceno. Di esse, rappresentanti i vari tipi contadini, sono oggi rimaste a noi note le sole maschere di Maccus il ghiottone (dal quale si fa discendere la maschera di Pulcinella), di Bucco il chiacchierone, di Pappus il vecchio scimunito, di Dossennus il gobbo astuto.
Di ciò ne dà notizia Livio, ricordando che la gioventù romana riservò per sé tale tipo di rappresentazione, non permettendo che esse venissero interpretate da attori di professione. All’epoca di Silla le Atellanae, abbandonata l’improvvisazione, diventavano un genere letterario, principalmente per opera di Lucio Pomponio e di Novio.
Di origine etrusco-osca , Atella , fu anticamente fondata probabilmente da alcuni profughi scampati alla distruzione del porto di Miseno da parte dei saraceni nel 455 d.C. .Questi profughi erano per la maggior parte contadini e boscaioli legati alla lavorazione dei campi che una volta insediatisi nell’entroterra , invitarono altri loro amici e parenti a cercare sicuro riparo lontano dalle zone costiere per sfuggire alle numerose incursioni saracene .Arrivati tra le fratte dell’agro atellano, i superstiti misenati , per lo più boscaioli, trasformarono i boschi in cui si insediarono in fruttuosi terreni , improntando in loco la loro attività agricola sopratutto nella produzione della canapa e l’artigianato delle funi tramite alcuni primi rudimentali filatoi.
CURIOSITA’: La tradizione vuole che Augusto, di ritorno dalla vittoria di Azio (31 a.C.), si sia fermato ad Atella, ospite da Mecenate con Publio Virgilio Marone e che il poeta abbia letto per l’occasione le Georgiche e le Bucoliche, scritte durante i suoi soggiorni atellani ove era attirato dal posto ameno e dalle fabule.
Il primo iniziale borgo chiamato oggi Sant’Arpino ,venne quindi fondato sui costumi e sul culto dei scampati abitanti di Miseno che subito costruirono come vedetta anche un castello antemurale in difesa della città , sito oggi in via Castello,( ora via Genoino) dell’odierna Frattamaggiore. ( oggi in Frattamaggiore si trova un rione denominato via Miseno e giustamente c’è chi pensa che i primi profughi abbiano ricostruito qui il proprio focolare ) Questi migranti provenienti da Miseno , edificarono anche un sontuoso tempio in onore di San Sossio, che come sapete era un martire misenate .
CURIOSITA’ : San Sossio patrono insieme a Santa Giuliana della città di Frattamaggiore , nacque a Miseno nel 205 d.C., Divenuto diacono di Miseno fu all’epoca uno dei primi martiri della persecuzione cristiana operata da Diocleziano . Partita da Nola , città sede del consolare romano , quando la persecuziane ai cristiani si estese nell’area flegrea egli fu tra i primi ecllesiastici ad essere incarcerato rappresentando per il territorio grande fama di santità ( si racconta che molti illustri uomini e addirittura prelati accorrevano a Miseno per venire a conferire col serafico Diacono ) . Egli inizialmente incarcerato mostrando grande fede e coraggio resistezze dapprima alle numerose torture inflittegli affinchè abiurasse la sua Fede e poi una volta condannato ( condanna ad bestias ) fu portato insieme a San Gennaro , ( vescovo di Benevento ) , Festo e Desiderio ( diacono e lettore di Benevento ) e Procolo ( diacono di Pozzuoli ) nell’Anfiteatro di Pozzuoli per essere dato in pasto alle belve . Accade allora che una serie di eventi miracolosi non consentì comunque di eseguire la condanna: venne quindi condotto alla Solfatara, dove insieme ai suoi compagni 19 settembre del 305 venne decapitato.
Il suo corpo fu traslato a Miseno il 23 settembre dello stesso anno, che fu fissato come giorno della sua festa.
N.B. La distruzione di Miseno da parte dei Saraceni provocò la migrazione della popolazione verso l’interno, con la successiva fondazione di Frattamaggiore: qui i misenati portarono con loro il culto del Santo, facendone il Patrono della città. I Benedettini, che ai principi del X secolo ne ritrovarono le spoglie fra le rovine della chiesa misenate, ne custodirono il corpo a Napoli, presso il convento di San Severino, preservandolo dalle scorrerie dei Saraceni: grazie a loro se ne diffuse il culto in Campania, nel Lazio e persino in Africa.. Il santo è particolarmente venerato anche a Castro dei Volsci (Frosinone). dove Il popolo lo invoca efficacemente contro i mali delle ossa.
Nel 1807, in seguito alla soppressione del convento ad opera di Napoleone, le spoglie del Santo insieme a quelle dell’Apostolo del Norico San Severino, che per tanti secoli avevano riposato accanto nel convento dei Benedettini, furono traslate nella Chiesa madre di Frattamaggiore, dove ancora oggi sono oggetto dell’amore e della venerazione di tutti.
N.B. Nel 1997, con il “Placet” dei Primate dell’Ordine di San Benedetto e con l’intervento dei monaci Sublacensi, Frattamaggiore è stata solennemente intitolata ‘Città Benedettina’ e questo titolo è appunto legato alla storia della custodia nella Chiesa principale, delle sacre spoglie di San Sossio e Severino, le quali un tempo erano onorate nell’omonimo e antico monastero benedettino napoletano.
L’attuale Frattamaggiore in pratica richiama nel nome l’antica Fracta di Atella che nel periodo carolingio, intorno all’vIII secolo fu terra monastica intorno all’abbazia di San Sossio. Il nome Fratta è infatti di provenienza monastica benedettina ed indicava nell’ alto medioevo un territorio di sterpaglie (in latino fracta), impervio ed incolto con macchie e dirupi, che i monaci ricevevano come donativo signorile e destinavano al lavoro dei coloni con vantaggiosi contratti agrari. Alcuni importanti vecchi documenti ritrovati mostrano infatti come le diverse curie di Atella , Benevento , Capua Napoli ed Aversa gestivano numerosi contratti agrari tra gli abitanti del luogo con le organizzazioni monastiche benedettine di San Vincenzo al Volturno e Montecassino , con l’area aversana di san Lorenzo e San Biagio ed infine con quella napoletana dei santi Sossio e Severino .
Tra questi documento uno di questi ci racconta nel suo scritto due diversi nuclei abitativi . Il primo corrispondente all’attuale territorio di Frattamaggiore che viende definito Fracta ed un altro più piccolo presente invece a due chilometri da Frattamaggiore in cui un piccolo gruppo di atellani dispersi, diede origine ad un nuovo minuscolo borgo che fu chiamato Frattula o Fracta Piczula (l’odierna Frattaminore ) . Di qui la necessità di distinguere i due nuclei abitati, per cui il casale principale prese il nome di FRACTA MAJOR (Fratta Maggiore). e quello più piccolo distante due chilometri prese il nome di FRACTA PICZULA ( Frattaminore .).
La successiva colonizzazione di Atella fu certamente favorita anche dalla continua fuga che spinse molti abitanti, specialmente contadini, a trasferirsi nell’entroterra in cerca di sicuro riparo dalle zone costiere flegree per fuggire dalle numerose incursioni saracene . Essi , attratti dai vantaggiosi contratti agrari praticati dalle congregazioni monastiche atellane e napoletane e dalla possibilità di un lavoro stabile in area più sicura, operarono i disboscamenti previsti nelle clausole, e contribuirono a sottrarre il territorio all’incuria e ad avviarlo al ricco utilizzo agrario che da quel momento la caratterizzò.
CURIOSITA’ : Al periodo Angioino (1266-14 42) risalgono molti documenti che parlano di “cannabarj” che commerciano nella città di Napoli.
Si realizzò quindi inizialmente un territorio agricolo con una signoria prevalentemente ecclesiastica, che improntava la sua attività sopratutto nella produzione della canapa e l’artigianato delle funi , considerata un’ ultima espressione delle vecchie attività marinare dei Misenati. Da quel momento per tutto il periodo medioevale e fino alla seconda guerra mondiale Frattamaggiore è stata considerata uno dei più importanti e famosi centri di produzione della canapa favorito come era dalla qualità del terreno e dalla vicinanza del fiume Clanio. Per farvi capire il fenomeno basta dirvi che intorno all’anno mille , quasi tutto il popolo nella cittadina si dedicavano a questa attività manufattiera . Essa dava quindi lavoro ed occupazione a molta gente del luogo che si erano particolarmente specializzati nella fabbricazione dei cordami in canapa ad uso delle navi . Tutti , sia uomini che donne erano occupati in questa attività manifatturiera . Le donne erano pricipalmente occupate nell’arte tessile , mentre gli uomini invece si occupavano alcuni della parte artigianale e altri principalmente della produzione ed il commercio , nonchè il trasporto della canapa che ben presto dovette però scontrarsi con le esose tasse imposte ai confini delle città sulle merci dai vari governanti . Solo i Borbone nell’ottica di una complessiva rivalutazione del territorio in termini industriali cercarono invece di incoraggiare lo sviluppo di questa importante attività , adottando vari provvedimenti in favore della filatura della canapa e del lino. Esso fu l’anticamera di un vero successo industriale che vide il suo boom comunque solo dopo l’Unità d’Italia quando il commercio fu finalmente liberalizzato . Da quel momento l’industria di Frattamaggiore , favorito anche dai nuovi trasporti e linee ferroviarie realizzate durante il fascismo , esportò i suoi prodotti in Francia, in Spagna, in Germania, in Belgio, in Olanda, in Ungheria, in Grecia, in Portogallo, in Polonia, in Svezia, in Norvegia, in America del Sud e in Svizzera. Nel 1898 per abbattere i costi ed avvalersi di una produzione locale, nacque il primo stabilimento industriale che in futuro sarà poi riconosciuto come il Linificio e Canapificio Nazionale Società Anonima ( LI.CA.NA.).
Il periodo d’oro della canapa per Frattamaggiore avvenne tra la fine dell’800 e alla fine degli anni Venti. In quegli anni la lavorazione della canapa proveniente da Frattamaggiore era considerata come la migliore al mondo e i tanti opifici che sorsero contribuirono all’incremento dell’occupazione.nel luogo portando ricchezza a tutto il territorio . Essa era considerata una fiorente industria artigianale che ebbe modo, alla fine dell’ ‘800 e all’inizio del ‘900, di assurgere ai massimi livelli europei. Fu stimato che, nel 1938, vi erano a Frattamaggiore, 54 aziende nel settore canapiero che davano occupazione diretta a 1600 persone.
Purtroppo la grande crisi economica del 1929 coinvolse anche il settore canapiero di Frattamaggiore, costringendo molte imprese locali alla chiusura. Per ovviare alla contrazione economia, alla povertà e alla disoccupazione, lo Stato, nel 1935, istituì un cosorzio Nazionale di produttori per la difesa della canapicultura che però, invece di aiutare e sostenere la coltivazione della canapa, finì per danneggiarla, provocando gradatamente un calo della produzione . Oggi ancora tante aziende, di media e piccola dimensione continuano nel territorio a lavorare in questo settore, unitamente alle associazioni cittadine e agli eventi promossi dal Comune per tener viva questa lavorazione che si tramanda da oltre un millennio.
Ma ritorniamo alla nostra antica ATELLA . Purtroppo quando parliama di questa citta siamo inevitabilmente portati a parlare di Frattamaggiore , in quanto essa come tale non esiste più.. Atella non era altro che una sua antenata e lo stretto legame tra le due città possiamo ammirarlo nello stemma comunale dell’odierno comune di Frattamaggiore . A confermare lo stretto legame con la Liburia atellana, figurano infatti sullo stemma comunale un pino mediterraneo ed un serpente, animale legato alla tradizione osca.
Ritornando all’antenata Atella bisogna subito dire che questa antica città , durante tutto il periodo romano venne tenuta in grande considerazione dall’impero romano al punto da essere una delle prime città ad aver ottenuto la civitas romana-romano . Essa fu una città indipendente dotata di moneta propria e sopratutto grande alleata di Capua . In essa stanziava la flotta imperiale del Tirreno ed in essa venivano a soggiornare gli imperatori ed il fior fiore della nobiltà romana. Ricordiamo che in essa morì Tiberio.
Atella fece però l’errore , entrata in contrasto contro i romani , di parteggiare per Cartilagine contro gli stessi romani e dopo la battaglia di Canne venne quindi nel 210 a.C. occupata da Roma . Una volta conquistata venne poi ripopolata dai profughi sopravissuti di Nuceria ( Nocera ) ed Acerra , le due cittadine rispettivamente distrutte ed incendiate durante la conquista romana . Ai soppravvissuti abitanti di Atella fu invece imposto di trasferirsi a Calatia , un’antica città di origini etrusche, poi colonia romana, che si trovava nel territorio di Maddaloni (CE), al confine con l’attuale comune di San Nicola La Strada (CE).
La città di Atella ebbe cominque per tutto il periodo succesivo alla conquista una grande importanza nell’intero territorio campano ed il suo reale declino possiamo certamente sostenere che cominciò solo quando la sua diocesi fu trasferita nella vicina città normanna di Aversa nel 1030. Durante la dominazione Normanna -angioina , Atella divenne infatti solo un feudo legato a Napoli per gli affari civili , i commerci e le attività canapiere e funare ed il centro urbano dell’antica città fu concentrato presso l’attuale territorio di Fratta che assumendo la dicitura di Major si costituitì come casale legato a Napoli per gli affari civili .Gli affari e le attività ecclesiastiche furono invece concentrate ad Aversa .
N.B. L’attuale territorio di Fratta ,denominata Fracta Major , venne quindi durante la dominazione normanna da allora considerato il nuovo centro urbano dell’antica città . L’attuale centro storico , considerata la parte più antica della città mostra ancora intatti i suoi meravigliosi palazzi .
L’antico splendore della vecchia città lo possiamo oggi ancora ritrovare girando per il centro storico dell’attuale cittadina ,di Frattamaggiore . La struttura urbana in questo luogo mostra infatti talvolta ancora intatti maestosi palazzi con magnifici portali di travertino e di piperno scolpiti da fantastici mascheroni barocchi ed altri segni, che trovano modo di esprimersi ad un buon livello artistico ed architettonico. Molti antichi palazzi in questa cittadina appartenuti a nobili residenti , mostrano ancora oggi grandi corti signorili ed importanti portali di piperno risalenti al periodo Aragonese- Spagnolo . Essi con i loro meravigliosi affacci e grandi mascheroni barocchi. ci ricordano la grande importanza che allora doveva avere il luogo .
Il territorio che comprendeva l’ antica città di Atella era comunque molto vasto estendendosi anche sui siti dei comuni di Frattaminore (più precisamente la parte corrispondente alla frazione detta Fratta piccola del soppresso comune di Pomigliano d’Atella (soppresso con Decreto Regio del 15/05/1890) , Orta di Atella , Sant’Arpino ,Succivo, Cesa ,Gricignano d’Aversa , Caivano e secondo alcuni studiosi addirittura i comuni di Afragola , Casavatore , Casoria ed i quartieri dell’area settentrionale di Napoli. In molti di questi luoghi sono state rinvenute nel tempo durante alcuni scavi antiche rovine della antica città, consistenti in case private, numerose tombe ed il famoso giardino di Virgilio.
CURIOSITA’ : Sullo stesso territorio che un tempo occupava l’antichissima città etrusco/osca di Atella , venne istituito il 15 aprile del 1928 , durante il fascismo , con decreto Regio , una nuova città di Atella che questa volta raggruppava però i soli tre comuni di S.Arpino, Orta di Atella, e Succivo nonche parte di quello di Frattaminore . Atella di Napoli , ebbe però vita breve e terminò nel 1946, quando, con Decreto Legislativo Luogotenenziale del 29 marzo, essa venne disciolta. Da allora Succivo, Orta di Atella e S.Arpino ridiventarono comuni autonomi, e quella parte del territorio di Frattaminore, che venne accorpata al nascente comune di Atella di Napoli, dopo la soppressione di Atella di Napoli venne annessa al comune di Orta di Atella.
Frattamaggiore ha quindi come cittadina origini molto antiche Di essa troviamo menzione già in alcuni documenti risalenti al 923 . La sua prima espansione avvenne nel XI secolo proprio come abbiamo visto in seguito agli spostamenti nel luogo di grossa parte abitanti di Atella finendo poi per completare la sua estensione quando nel XIII secolo si trasferirono in essa molti abitanti provenienti da Cuma .
In seguito , in epoca normanna sotto Federico II di Svevia venne inglobata insieme agli altri paesi del Demanio regio e quindi vide estesi ad essa gli stessi privilegi di cui godeva Napoli. Nel 1493 Frattamaggiore divenne sede della Gran Corte della Vicaria, e le sue funi e le sue gomene incominciarono ad. esportarsi in tutto l’impero spagnolo .
Nel cinquecento grazie alla salubre salubre dei suoi luoghi venne eletta a luogo di villeggiatura per la nobiltà delle zone limitrofe .e questo fu il momento in cui molti baroni napoletani presero ad i interessarsi alle campagne frattesi, molto fertili.
Con l’avvicendarsi dei nuovi regnanti e con l’aggravarsi della situazione economica dovute alle continue guerre per il possesso del regno , nel 1630 Frattamaggiore fu ceduta ad Alessandro di Sangro, patriarca di Alessandria .
La cosa però non piacque molto agli abitanti del luogo denominati frattesi, che si opposero molto a questa donazione. Essi si organizzarono per “riscattare” il paese acquistandolo a loro volta. Si organizzarono autotassandosi pur di poterne ottenere la proprietà ed addirittura fecero voto a Sant’Antonio, di edificare una chiesa a lui dedicata se fossero riusciti ad ottenere il casale, cosa che accadde nel 1633 .
Ma non fu l’unico episodio che vide scendere nella storia gli orgogliosi frattesi per difendere il proprio territorio . Una nuova battaglia li vide infatti protagonista nel 1647 contro il vicerè Rodrigo Ponce de Leon duca d’Arcos. Quest’ultimo impose una tassa sulla frutta, colpendo soprattutto i ceti poveri; decisione che portò ad una dura ed aspra rivolta. Essi , forti della rivolta napoletana capeggiata da Masaniello, affrontarono, con l’appoggio anche degli abitanti dei casali circostanti, le schiere del conte di Conversano, Geronimo Acquaviva, nella località di Pardinola, all’ingresso dell’abitato, ed impedirono loro di recare soccorso alle truppe del viceré spagnolo.
Nel 1656 come tutta la Campania Frattamaggiore fu decimata dalla peste.
Nei primi anni del settecento visse finalmente poi grandi momenti di prosperità legati alla produzione agricola particolarmente ricca ma questo periodo prospero ebbe ben presto fine con il dominio austriaco. Ferdinando IV ordinò la confisca dei beni ecclesiastici per far fronte all’imminente guerra contro i francesi e Frattamagiore ne subì le conseguenze in maniera disastrosa.
Frattamaggiore trovò il suo spazio nella repubblica napoletana del 1799 e nel 1806 visse un periodo florido a seguito del ritorno in Italia dei francesi, con Napoleone Bonaparte.
Nel XIX secolo furono realizzate importanti opere pubbliche, come la rete tramviaria , l’illuminazione elettrica pubblica e la canalizzazione delle acque del Serino. Nel 1902 Frattamaggiore fu elevata al rango di Città da Re Umberto I, mentre qualche anno dopo ( 1904 ) la Chiesa di san Sossio divenne Monumento nazionale. Nel 1908 fu eretta la Chiesa del Redentore mentre invece nel 1910 fu costruita la Chiesa di San Rocco ( nel 1913 il Ritiro venne trasformato in orfanotrofio ).
N.B. Non mancate se andate a Frattamaggiore di visitare la chiesa, dedicata anche a Santa Maria degli Angeli . Essa, si presenta con una architettura antica in stile romanico (cripta) e gotico (navate), con manifestazioni rinascimentali (portale e fonte battesimale) e barocche (cappelle ed altari).La prima costruzione della chiesa sembra risalire al X-XI secolo, Nel corso del tempo infatti ha subito varie ricostruzioni e restauri. Nel 1945 la chiesa subì un terribile incendio che distrusse gran parte del patrimonio artistico in essa presente. Si salvarono il portale cinquecentesco, il cappellone di San Sosio e la fonte battesimale. Nella sua cripta è possibile visitare un museo di arte sacra, denominato Museo Sansossiano, dove sono raccolte le reliquie del Santo. E, nella stessa piazza, è possibile ammirare anche un pregevole campanile del ‘500.
CURIOSITA’ :I suoi santi patroni son San Sossio di Miseno e Santa Giuliana di Nicomedia che era venerata a Cuma, (altra città di provenienza di molti profughi frattesi.)
Oggi Fratta è ancora particolarmente famosa per la produzione di corde e gomene per le navi ma è famosa anche per la produzione di asparagi e fragole.Sviluppato molto è anche il settore tessile e la produzione di oggettistica in vimini.
CURIOSITA’: Negli ultimi 50 anni la città ha cambiato la sua economia, ha modernizzato i suoi servizi, ha esteso la sua configurazione urbana ed appare oggi, con buone quote di attività nei vari settori economici, uno dei centri più importanti dell’hinterland napoletano.
.Prima di lasciare Frattamaggiore per raccontarvi delle altre cittadine presenti nell’antico territorio un tempo tutte unite nell’unica grande città di Atella voglio ricordarvi che questa città ha dato i natali a numerose personalità illustri come il famoso musicista Francesco Durante , il commediografo , poeta ed artista Giulio Genoino ( autore, fra l’altro, della famosa “Fenesta che lucivi”, il prestigioso scrittore Gennaro Auletta , il celebre critico letterario Enrico Falqui ed infine il grande Bartolommeo Capasso al quale tanto deve la ricerca storica nella nostra città .
FRATTAMINORE
La denominazione di Frattarninore risale a dopo l’unita d’Italia quando con l’emanazione di un Regio decreto si decise di fondere il comune di Pomigliano di Atella con la frazione di Fratta Piccola . Anch’essa trova origine nell’ antica città Osca di Atella nota, fin dal I secolo a.C e a dare significato a tale stretto legale con la Liburia atellana , troviamo il suo stemma comunale che raffigura un pino mediterraneo ed un serpente ( animale legato alla tradizione osca.).
Frattaminore come vi abbiamo gia accennato era inizialmente quella piccola frazione di territorio , definito Fracta Piczula che si trovava a due chilometri da Fracta Major ( Frattamaggiore ) in cui si erano raggrupati un piccolo gruppo di atellani dispersi. Essi diedero inizialmente origine ad un nuovo minuscolo borgo che fu chiamato Fractula e più tardi, intorno al 1282, Fractapicula, per distinguersi dall’altra Fracta che intanto aveva aggiunto aggiunto l’aggettivo maior.
Essa fa da eco al nome di Frattamaggiore, (città vicina più nota e più grande ) e nel 1980 , come vi abbiamo accennato , era parte integrante din un piccolo comune poi soppresso denominato Pomigliano d’Atella Gli abitanti locali ancora oggi sono più correttamente distinti in pomiglianesi e frattaminoresi con riferimento agli antichi abitati del comune. Il comune viene invece da molti abitanti del luogo chiamato “Fratta Piccola” e di conseguenza fino a qualche decennio fa gli abitanti chiamati anche con il termine “frattapiccolesi”.
N.B. L’attuale comune nasce quindi dalla fusione dei casali di Frattapiccola e Pomigliano d’Atella.
CURIOSITA’ : secondo alcuni storici il nome Fractapicula è nato intorno al palazzo feudatario del Conte di Fratta Piccola . Essa era infatti un feudo che si estendeva intorno ad un antico castello circondato da un fossato inizialmente dato a Guglielmo Stendardo ed ebbe tra i suoi numerosi feudatari, tra gli altri, Pietro Marerio, Pietro da Venosa , Scipione d’Antinoro, Vincenzo Benevento e successivamente il figlio Francesco. Nel 1750 il castello di Frattapiccola passò invece ai Carafa, conti di Policastro, sotto la cui giurisdizione vi erano anche gli abitanti di Frattapiccola,
Del castello medievale purtroppo oggi non è rimasto granchè in quanto andato perduto per la costruzione di numerosi immobili. Di esso in Piazza Crispi è ancora visibile una torre, su via Liguori, oramai inglobata nel palazzo ducale, ed un bastione di torre nel lato nord del palazzo, sulla discesa per la grotta. Delle altre due torri una fu demolita per un ampliamento del palazzo; mentre dell’altra non se ne ha più traccia. Il palazzo, nonostante le numerose manomissioni, mostra ancora parte dell’antica facciata con porte e finestre, alcune delle quali trasformate in balconi, con cornici in piperno. Ad un’attenta osservazione potete anche vedere il fossato che esiste ancora parzialmente ai due lati del palazzo. La restante parte oramai è andata perduta per la costruzione di immobiliIl . Il castello del XVI secolo, che fu palazzo marchesale, appartenne agli Ambrosino nel secolo XVII, e successivamente al marchese Carlo Rossi di Napoli.
Il palazzo ducale che oggi vedete è un edificio quadrangolare a tre piani con tipologia a corte. All’interno della corte, al piano terra, si trovavano depositi e stalle; in seguito questi locali sono stati trasformati in abitazioni e sopraelevati di piano. I vecchi balconi con archi sono stati modificati talmente da far perdere ogni riferimento architettonico. Al piano terra, oramai anch’essa destinata ad abitazione, vi è la cappella del palazzo il cui altare fu spostato nell’attuale Cappella dell’Annunziata sempre in piazza Crispi. Nel 1647, durante la rivoluzione di Masaniello, vi si rifugiarono 500 armigeri a cavallo comandati dal conte di Conversano, Giangirolamo Acquaviva, agli ordini del generale Tuttavilla e messi in fuga dai popolani di Frattamaggiore e Grumo Nevano.
CURIOSITA’: Il territorio dove ore si estende il comune di Frattaminore , come vi abbiamo già detto si trova sullo stesso territorio che un tempo occupava l’antichissima città etrusco/osca di Atella e durante il fascismo , parte di essa, con decreto Regio, fece di nuovo parte di una nuova città di Atella che questa volta raggruppava però i soli tre comuni di S.Arpino, Orta di Atella, e Succivo nonche parte di quello di Frattaminore .. La nuova città di Atella di Napoli , ebbe però vita breve e terminò nel 1946, quando, con Decreto Legislativo Luogotenenziale del 29 marzo, essa venne disciolta. Da allora Succivo, Orta di Atella e S.Arpino ridiventarono comuni autonomi, e quella parte del territorio di Frattaminore, che venne accorpata al nascente comune di Atella di Napoli, dopo la soppressione di Atella di Napoli venne annessa al comune di Orta di Atella.
Nel 1500, a Frattapiccola, esisteva una chiesa intitolata a San Sebastiano sul cui luogo in seguito ne fu costruita una più grande, come ampliamento della stessa, dedicata a S. Maurizio; della vecchia chiesa di S. Sebastiano, funzionante come parrocchia fino al 1520, oggi se ne conserva ancora una parte individuabile nel locale della sagrestia.
CURIOSITA’: San Sebastiano doveva far parte di un antichissimo convento, quello dei SS. Sergio e Mario, sorto in aperta campagna come è riportato in un antico documento che riferisce di uno scambio di terreni intervenuto tra i fratelli Marcomanno e Giovanni da un lato e i monaci dall’altro. Nella attuale chiesa di S. Maurizio, costruita intorno al 1550 vi si conservano lapidi con iscrizioni di illustri famiglie locali dei secoli XVII e XVIII.
La chiesa parrocchiale, dedicata a S. Simeone profeta, fu costruita alla fine del secolo XVI e conserva numerose testimonianze artistiche del secolo XVII fra cui alcune tele attribuite a Luca Giordano e ad Orefice. Il gruppo ligneo della pietà fu scolpito da Giacomo Colombo alla fine del XVII secolo, mentre la statua di San Simeone, invece, è del 1646. Dove si trova ora la chiesa di San Simeone sorgeva un piccolo convento di Domenicani: un antico affresco raffigurante la Madonna del Rosario è ancora conservato nella nuova.
La chiesa S. Simeone è ubicata in Piazza Umberto I che nell’ultirno decennio è stata completamente stravolta tanto da non meritarsi più l’appellativo di piazza. Infatti, per la costruzione della nuova strada di collegamento piazza S. Maurizio con l’asse Aversa-Caivano, sono stati abbattuti due palazzi del XVIII secolo di pregevole fattura; è da ricordare, inoltre, il pregevole palazzo neoliberty detto palazzo Barbato oggi proprietà della famiglia Dell’Aversano.
La piccola antica cittadina di Frattaminore è molto famosa per due feste patronali ( una per ciascuno degli antichi abitati ).
La prima che trova origine presso l’antica Pomigliano di Atella, celebra ogni terza domenica di maggio la Madonna della pietà . La statua della vergine che normalmente si trova nella chiesa parrocchiale di San Simeone profeta, viene portata in questa occasione in processione dalla parrocchia di San Simone profeta fino alla cappella della Madonna Dell’Arco. al suono di rinomati concerti bandistici (cosiddette bande da giro) che ne allietano lo svolgimento.
Il 2 febbraio presso la stessa chiesa si festeggia la Candelora . La festa si svolge nella piazza Umberto I, dove vengono portate le statue del santo Simeone e della Vergine Maria con Gesù Bambino, e dopo una celebrazione eseguita dal sacerdote, Gesù Bambino viene posto nelle mani della statua di San Simeone. Caratteristica di questa kermesse popolare è il lancio di particolari confetti, soprannominati per la loro forma ‘confetti ricci’.
L’altra grande festa patronale legata molto alla zona di Fratta Piccola festeggia invece San Maurizio martire, santo a cui è intitolata la locale parrocchia. La solennità liturgica ricade il 22 settembre, ma la Festa Patronale vera e propria e fin da tempi lontani, viene celebrata la settimana successiva a Pasqua. Si tratta di una grande festa fatta di processioni del busto del santo accompagnati da concerti bandistici e fuochi pirotecnici che ha trovato grande splendore sopratutto intorno alla prima metà degli anni 90 .
CURIOSITA’ : Riguardo alla statua della Madonna della pietà venerata nel borgo di Pomigliano, che viene anche chiamata “Madonna a’ Cupa”, una storia narra che questa statua fu trovata in una zona cupa, sotterrata tra le campagne confinanti con il comune di Sant’Arpino. Antichi racconti dicono che dopo il ritrovamento di questa statua ci fu una rivolta tra i fedeli di Pomigliano di Atella e i fedeli di Sant’Arpino, addirittura si parla anche di un morto durante una rissa. Questa statua fu portata in una chiesa di Sant’Arpino, ma una notte i fedeli di Pomigliano di Atella la rubarono e la misero nella cappella dedicata alla Madonna dell’Arco
Dei quattro comuni sorti nelle immediate vicinanze di Atella, Frattaminore è il solo in Provincia di Napoli . Una produzione piccolo-industriale ed artigianale, soprattutto nel settore delle calzature, ha sostituito, negli ultimi due decenni, una già ridotta attività agricola.
SUCCIVO
Era anch’esso in origine parte dell’antica città Atella e l’attuale territorio in cui ora sorge la piccola cittadina era parte integrante di un piccolo borgo medievale denominato Piano di Teverolaccio dove esisteva un antico Castello .
Il Borgo di Teverolaccio denominato anche Casale di Teverolaccio, è oggi situato a circa 500 metri dal centro di Succivo. Esso è composto di una torre, un castello, una chiesetta dedicata a San Sossio e un agglomerato di case, il tutto racchiuso da mura, il cui perimetro è tuttora ben visibile e sulle quali si aprono tre porte di accesso. La torre aragonese costituisce il primitivo nucleo di Teverolaccio, cui successivamente è stato accostato il palazzo ora visibile. Le sue origini risalgono al 1522 . epoca in cui ad esserne proprietario era il barone Giovan Battista Palumbo.
ll nome Succivo proviene dal latino “sub se civus ager” che indicava il terreno non buono in quanto rimanenza di terreni non centuriati e non assegnabili perciò incolti. Prima dell’istituzione del comune di Atella di Napoli, avvenuta sotto il Fascismo, comprendeva anche la frazione Casapuzzano . Dopo lo scioglimento del comune, Casapuzzano passò a Orta di Atella.
Sulla nascita del paese non esistono notizie precise tali da determinarne l’anno o, quantomeno, l’epoca. I primi documenti certi, riferiscono che il ” Casale di Suffici ” nel 1121 fu donato alla Chiesa di Aversa da Giordano, principe di Capua (i conti di Aversa divennero principi di Capua).
Negli archivi parrocchiali una nota riporta che Papa Innocenzo II, nel 1142, affidava il casale di ” Sucio ” alle cure del vescovo di Aversa; sempre nell’archivio parrocchiale, in una nota datata 1759, è scritto che negli ” Atti di Papa Innocenzo II ” si affermava che il nome ” Sucío ” deriva dal termine ” Sufficio ” e per caduta delle sillabe ” ffi ” si sarebbe avuto ” Sucío “.
Recenti studi sulla divisione dell’Ager Campanus, ossia della Centuriazione, fanno risalire il nome Succivo al termine latino ” Subsicivus “, ” Subcisivus Agery “. Col termine “Subseciva” i Gromatici indicavano ritagli di terra che non raggiungevano l’estensione d una centuria; tali ritagli riguardavano in genere appezzamenti di suolo di cattiva qualità non assegnati o assegnabili perchè posti alla estemità periferica dell’agro assegnato ( confine del terreno ) .
Nel XVIII secolo vi operava ún’importante congregazione religiosa, ospitata in un palazzo dell’epoca dove al centro della corte ancora oggi, si ammira un pozzo a cupola e un tipico loggiato con colonne e capitelli.
Nel 1713 i Succivesi riuscirono a difendere strenuamente il loro paese dai francesi in un memorabile scontro sul ponte di Teverolaccio; dal 1878 e fino agli inizi di questo secolo fu sede di Pretura mandamentale, che dal 1974 è stata poi trasferita a Sant’Arpino.
Di sicuro valore artistico è la Chiesa della Trasfigurazione che è anche la Parrocchia del paese. Essa costruita nel XVI secolo, subì una prima trasformazione a partire dal 1670 quando, a seguito di un furioso incendio causato da un fulmine, andò distrutto il prezioso soffitto ligneo a cassettoni: la chiesa a croce latina con una cupola centrale ha il maggior pregio nella semplicità e in un imponente organo che, restaurato recentemente, occupa il presbiterio. Sistemati in alto lungo le pareti della Chiesa, fanno bella mostra di sé 17 dipinti tondi su tela, raffiguranti Cristo, gli Apostoli e gli Evangelisti che furono commissionati da Federico Pastena, allora sindaco del paese, al pittore Tommaso De Vivo, nel 1864. Di buona fattura sono pure alcune statue lignee del ‘600 salvate dall’incendio della precedente Chiesa.
Di notevole interesse, come quella di Orta di Atella e di Sant’Arpino, è l’architettura di alcune case a corte.
Il complesso di Teverolaccio già citato , costituito da una casatorre del XVI sec. con annessa masseria del XVIII sec., si trova ad appena un chilometro dal centro di Succivo lungo la strada per Gricignano-Aversa. La torre fu posta a guardia di grandi strade di comunicazione tra Aversa ed Acerra, Capua e Napoli, nella Liburia Atellana. Di architettura semplice, in origine non presentava alcuna entrata al livello del terreno; i soldati di guardia, infatti, vi accedevano con l’aiuto di funi con le quali raggiungevano i davanzali delle finestre e dove sono ancora visibili i segni. La masseria, invece, è una tipica costruzione rustica deL XVIII sec., dotata di un grande cortile, da aie e cantine che per un certo tempo appartenne alla famiglia Pignatelli.
Pure del XVIII secolo è una vicina chiesetta, dedicata a S. Sossio, che conserva un pavimento in cotto maiolicato di buona fattura e un pregevole portale in marmo, probabilmente già utilizzato in una chiesa di maggiore im portanza, forse andata distrutta.
A Succivo , alloggiato all’interno di un edificio di proprietà comunale, si trova anche il Museo Archeologico dell’Agro Aversano , realizzato tra il 1870 ed il 1872 su progetto dell’architetto Luigi Pietroluongo. Il Museo aperto al pubblico il 5 aprile del 2002. ,racconta con la sua importante collezione di antichi reperti archeologici rinvenuti nei vari scavi , il territorio appartenente all’antica città di Atella. Esso si inserisce in tal modo nella rete dei musei archeologici della Campania settentrionale che si prefigge di illustrare la storia del territorio frattese e cerca di far luce sulla civiltà sviluppatasi in epoca pre-romana nell’area nord di Napoli con al centro Atella, l’antica città osca , sorta alla fine del 5° secolo avanti cristo e scomparsa nel XI secolo dopo cristo quando fu sostituita da Aversa, che divenne la nuova sede vescovile. L’area della città antica insisteva su terreni appartenenti agli attuali Comuni di Succivo, Orta di Atella, Frattaminore e Sant’Arpino.
Ma i reperti esposti svelano le più significative testimonianze delle civiltà che si insediarono dalla preistoria al tardo impero in un territorio più vasto: Aversa, Gricignano, Frignano, Caivano.
CURIOSITA’: L’edificio nacque dal 1870 come carcere, poi divenne caserma infine è passato al Comune di Succivo che l’ha destinato a Museo. Un Museo nato per la popolazione del luogo. Un Museo che collabora con le associazioni e le istituzioni locali. Un Museo che contribuisce alla crescita sociale e culturale del territorio di cui racconta la storia.
Al piano terra dell’edificio introduce alla visita del museo la ricostruzione di una necropoli con sepolture di bambini entro anfore appartenente ad un grande complesso rustico databile tra il III-IV secolo d.C.
Al primo piano sono in mostra vari reperti databili dall’età del Bronzo all’età tardo antica, provenienti dall’area urbana e dalle necropoli sparse sul territorio (ricadente nei Comuni di Succivo ed Orta di Atella) pertinenti ad insediamenti, villaggi o fattorie che caratterizzano la campagna antica nelle sue varie fasi cronologiche. Di particolare rilievo la collezione di vasi a figure rosse di produzione campana.
Il secondo piano è dedicato a mostre temporanee di lunga durata, relative agli scavi condotti di recente nel territorio. Attualmente vi sono esposti i corredi di età orientalizzante (VIII-VII secolo a.C. ) provenienti da Gricignano di Aversa.
Il Museo è altresì dotato di apparati didattici e di postazione video per filmati multimediali; ma anche spettacoli possono essere ospitati nel cortile interno.
Succivo , una cittadina per lungo tempo a vocazione quasi esclusivamente agricola , venne investita negli anni sttanta / ottanta dal boom economico che consentendo la nascita di imprese edili , assorbirono e formarono numerosi operai e tecnici. Negli stessi anni lo sviluppo della stessa provincia venne caratterizzato da insediamenti industriali ex novo offrendo notevoli possibilità lavorative. Oggi una parte del territorio è entrata a far parte del Pit del Distretto Industriale nº 5 e diventerà un centro di ricerca della moda .
ORTA DI ATELLA
Fino al 1862, il nome di questa cittadina era Castello di Orta . Esso fu poi cambiato, a seguito dell’Unità d’Italia, in Orta di Atella. Il vecchio nome era alquanto strano perchè ad Orta pare che non ci sia mai stato un castello, e in realtà probabilmente tale nome ricordava solo la presenza a metà sec.XV di una torre aragonese, ancora presente pure nello stemma del comune, che risulta composto da tre elementi: una torre merlata color oro in campo (uno scudo) color blu ed una fascia svolazzante sottoposta, color celeste, recante la scritta “Università di Orta”. Il gonfalone, poi, oltre allo stemma, con torre e scudo, simboli dell’antico potere feudale, ed alla fascia “celeste”, sottostante “a semicerchio” allo stesso scudo e recante la citata scritta, che sta per “insieme o totalità degli abitanti”, si compone di una bandiera verticale consistente nei tre colori bianco , rosso e verde. propri della bandiera nazionale d’Italia. Lo stemma è riportato nella sua interezza, come descritta, nella parte mediana del gonfalone tricolore. Il gonfalone, simbolo e segno civico del paese e del Municipio, reca pure “appuntata” la Medaglia d’Argento al Merito Civile, con cui venne insignito il Comune nel 2005 dal Presidente Ciampi.:
” Piccolo centro, nel corso dell’ultimo conflitto mondiale, fu oggetto della feroce e cieca rappresaglia delle truppe tedesche che trucidarono venticinque suoi cittadini e distrussero a colpi di cannone e incendiarono numerose abitazioni. La popolazione tutta seppe resistere alle più dure sofferenze, offrendo un ammirevole esempio di coraggio e amor patrio.»
Il toponimo Orta deriva dal termine latino hortua (col diminutivo Hortula) plurale di Hortus = orto, giardino, terreno coltivato. Quindi, Orto (di Atella) e, dunque, Orta , risulta essere da sempre il vero nome dell’abitato. Il villaggio, infatti, nacque nel territorio di Atella , posto a Nord Ovest dell’antica città e i suoi campi furono, sin dalla più remota antichità, sfruttati per la coltivazione di prodotti agricoli. Dopo l’occupazione di Atella da parte dei Romani nel 210 a.C. , il suo territorio vista la sua fertilità (già ager di Atella) venne confiscato dai romani e destinato ad un intensivo e più razionale uso agricolo. Più tardi, con la Px Augustea, tale occupazione, operata da parte dei contadini fattivi venire e/o impostivi dai vari domini (padroni) , divenne stanziale. Ebbero così origine le numerose villae rusticae (masserie) sparse per la campagna atellana, con aumento ed organizzazione migliore dell’agricoltura allo scopo di uno sfruttamento sempre maggiore dei campi da coltivare. Dalle masserie, poi, nella vasta piana di pertinenza atellana (come in tutta la pianura campana) nasceranno, più tardi, tanti piccoli villaggi che, a loro volta, saranno gli antesignani dei futuri casali e paesi medioevali (parecchi tuttora esistenti). Delle popolazioni barbariche sopraggiunte nel Sud e nell’area atellana, lasciarono segni ed ebbero influenza, ancora visibile anche nelle terre e abitudini di Orta, i Longobardi e i Normanni . Con i primi, la Diocesi di Atella continuò ad esistere nell’antica città, pur rovinata e semi-abbandonata, mentre invece sotto i Normanni, la sede vescovile atellana dovette passare nel 1050 ad Aversa, città-contea da loro fondata nel 1030.
CURIOSITA’: Gli abitanti di Orta si chiamano “ortesi”; ma vengono chiamati da sempre, in modo scherzoso, dagli abitanti di Succivo “ortolani” (“urtulane”, in dialetto locale). A proposito, va detto che presso i romani l’hortus – che significa giardino, orto, luogo recintato – era il luogo del terreno “buono per antonomasia”: al contrario, il sub se civus ager (da cui Succivo) era il terreno non buono per la coltivazione (in quanto rimanenza di terreni non centuriati e non assegnabili, perciò abbandonati ed incolti).
Durante il ventennio fascista la piccola cittadina di Orta , nel 1928, insieme ai comuni di Sant’Arpino , e Succivo , nonche parte di quello di Frattaminore , , venne fuso nell’intento di formare , una nuova città di Atella che ebbe però vita breve e terminò nel 1946, quando, con Decreto Legislativo Luogotenenziale del 29 marzo, essa venne disciolta. Da allora Succivo, Orta di Atella e S.Arpino ridiventarono comuni autonomi, e quella parte del territorio di Frattaminore, che venne accorpata al nascente comune di Atella di Napoli, dopo la soppressione di Atella di Napoli venne annessa al comune di Orta di Atella., insieme al comune di Casapuzzano .che prima apparteneva al comune di Succivo. In tale circostanza il comune atonomo di Orta di Atella , nel 1946, passò però dalla provincia di Napoli a quella di Caserta .
Il toponimo Casapuzzano potrebbe significare, letteralmente, casa dei pozzi. C’è da ipotizzare, con sufficiente probabilità, che il toponimo sia da collegare alla circostanza che, trovandosi la falda acquifera a meno di sette/nove metri (fino a 50 anni fa a Ponterotto l’acqua si trovava a 2 metri) gli abitanti (forse già prima anche gli antichi atellani) si rifornissero dell’acqua necessaria proprio da questi pozzi. Ma la circostanza è sicuro che si verificasse in epoca medioevale. Infatti, il termine “casa” è parola dei bassi tempi, e cioè, successiva alla fine dell’impero romano, quando, col disfacimento anche linguistico, tale termine poté diffondersi con facilità tra le popolazioni italiche sopraffatte e mischiate a popolazioni nuove, sopravvenienti con continuità, riuscendo ad imporsi nelle recente lingua parlata e tutto ciò, dunque, nei pochi secoli prima del Mille . L’antico borgo , costituitosi nei secoli mostra ovviamente un tessuto urbano di antica fondazione, che si venne a formare intorno al l famoso ” castello ” o palazzo già dei nobili Capece-Minutolo dei secc.XI/XVIII, e alla nota villa Alicia Higgins, edificata dal marchese per la moglie di origini irlandesi, secondo lo stile architettonico in uso per le case dei nobili di campagna in Irlanda nel settecento e quella ottocentesca di palazzo Lamberti.
CURIOSITA’ : Si dice che a Casapuzzano (o Casapozzano),, fosse conservata la selva dove il poeta Virgilio abbia scritto qualche Bucolica , selva detta appunto giardino di Virgilio.
Il santo patrone di Orta di Atella è San Massimo Vescovo a cui è dedicata una chiesa che fu edificata in stile neoclassico agli inizi della seconda metà del secolo XIX° sui resti di un precedente edificio di culto di dimensioni decisamente inferiori. La costruzione della nuova chiesa fu dovuta all’iniziativa del sacerdote Nicola D’Ambosio che tenne la parrocchia sino ai primi anni del secolo XX°. La chiesa si presenta in posizione elevata, come la precedente, rispetto agli edifici circostanti e ad essa si accede a mezzo di una gradinata ellittica. Nell’interno sono visibili alcune pregevoli statue lignee, due tele e diverse lapidi tutte risalenti al secolo XIX.
Di particolare interesse , certamente da visitare almeno una volta è il Convento francescano di San Donato, attiguo all’odierno Santuario di San Salvatore, con il suo bel chiostro del sec.XVII affrescato con grottesche tardo-rinascimentali e lunette istoriate che raffigurano episodi della vita del Santo ed alcuni suoi miracoli.
SANT’ARPINO
Il toponimo Sant’Arpino , deriva dal nome del Santo Patrono, Elpidio, trasformato in “Arpino” dalla dizione popolare.
Sant’Arpino segue le vicende storiche dell’antica città di Atella essendone la continuità storica più stretta, Secondo alcuni studiosi infatti essa ha praticamente soppiantato la vecchia città ormai in rovine . Inizialmente era solo un piccolo borgo in prossimità di Atella conosciuto col nome di S. Elpidio (volgarizzato nei secoli in Sant’Arpino), fondato nel V secolo d.C. per iniziativa di alcuni abitanti dell’antica Atella, guidati dal vescovo Sant’Elpidio. Nell’XI secolo divenne possedimento dei conti di Aversa; alcuni secoli più tardi, durante la dominazione spagnola nel regno di Napoli, fu elevata al rango di ducato Nel 1592 divenne feudo ducale del marchese di Grottola Alonzo Sanchez de Luna d’Aragona e assunse per la prima volta nella sua storia il nome ufficiale di Sant’Arpino. Nel XVII secolo pervenne ai Caracciolo . Elevato poi a comune sotto re Gioacchino Murat , venne successivamente soppresso in epoca fascista nel 1928 per formare il nuovo comune di Atella di Napoli . Nel 1946 , sempre per decreto legislativo ridiventò comune autonomo.
Nell’ambito del patrimonio storico-architettonico locale sono degni di nota il maestoso palazzo ducale dei Sanchez De Luna D’Aragona , eretto nel Seicento e sorto sul sito di un’antica chiesa dedicata a Sant’Elpidio, probabilmente demolita per dar spazio all’edificio,. L’antico palazzo appartenuto nei secoli ai Sanchez de Luna d’Aragona, ai Caracciolo San Teodoro per eredità dal matrimonio tra il Duca Carlo Luigi e Donna Maria Teresa Sanchez de Luna nel 1810 e infine al tenente garibaldino Giuseppe Macrì che lo acquistò nel 1903 per cederlo alla popolazione santarpinese nel 1932. Il palazzo è oggi la sede del Municipio della città, della biblioteca comunale, del museo civico e della pinacoteca comunale.
CESA
Cesa , era in origine una località ricca di terreni boschivi che piu tardi venne pazientemente dissodato da gente operosa di campagna.che finì per trasformarlo in una di quelle minuscole contrade della citta di Atella che visse una vita agreste. Era all’epoca quindi un piccolo paese che lentamente s’ingrandì mentre tramontava la citta atellana. e seppur mantenendo prevalentemente la sua antica origine agricola dovette, però, vivere e subire con i suoi pochissimi abitanti tutte le vicende della morente Atella e, più tardi , anche della nascente Aversa, poiché, dopo il Mille, Cesa fu per lungo tempo un casale della città normanna, appartenuto prima al feudo del conte Roberto di Sant’Agata, e successivamente ai Carafa, ai Villano, ai Palomba, ai Del Tufo e ai Maresca, che ne furono gli ultimi proprietari
Le origini sull’etimologia del suo nome vivono intorno alla leggenda che narra di una pietosa donna chiamata Cesa che curava i feriti e dava sepoltura, proprio nel luogo dove ora sorge Cesa, ai morti nelle guerricciole che imperversavano nel campo atellano degli osci.
Il nome Cesa trae origine da una voce latina, caesus, dal verbo caedere (tagliare). Infatti Cesa sorgeva come borgo dell’antica Atella, e di conseguenza tagliato fuori dalle grandi vie di comunicazione. Un’etimologia egualmente attendibile, e risalente alla stessa radice latina dal verbo caedere, deve ricercarsi nel fatto che Cesa in origine fu un terreno boschivo e che, in seguito ad un’opera di paziente disboscamento , quel terreno fosse stato chiamato Cesa da silva caesa (selva tagliata).
CURIOSITA’ : Secondo lo studioso Domenico Chianese il toponimo di Cesa non è altro che un’accorciatura di Cesine e ricorda che Carlo II donò al suo medico le cesine di Afragola con tutti i vassalli. .
La radice ces- che sostiene il nome presuppone un taglio, come cesura, cesoia, e addirittura potrebbe essere associata al termine parto cesareo visto che il suo santo protettore, San Cesario di Terracina , era il santo spesso invocato per la buona riuscita del parto cesareo.
La campagna fertilissima offriva: grano, granturco, legumi, canapa e uva (da cui si ricava il rinomato “Asprino”) L’intera zona intorno ad essa era un grande bosco ceduo, cioè di alberi destinati al taglio. Inoltre, quale casale di Aversa in terra di lavoro, divenne poi in epoca borbonica , uno dei luoghi dove maggiormente si producevano le famose mozzarelle aversane, le provole, le ricotte e altri latticini ricavate dal latte delle vacche e delle bufale dei mazzoni.
Il santo patrono di Cesa è San Cesario di Terracina , diacono e martire cristiano che fu scelto scelto per il suo nome a sostituire, secondo molti il culto pagano di Giulio Cesare che imperava nell’Ager Campanus .
CURIOSITA’ : A pochi chilometri da Cesa, nella vicina cittadina di Marcianise (colonia autonoma di «prodi veterani Romani» dedotta da Giulio Cesare, cinquanta anni prima della venuta di Cristo), già un tempo casale di Capua, esistevano due tempietti rurali paleocristiani di San Cesario e di Santa Giuliana, immediatamente a ridosso del fiume Clanio . In questo luogo San Cesario era invocato contro le inondazioni del Clanio; le acque di questo fiume sono state infatti nel tempo impetuose, tanto da inondare più volte nelle epoche antiche l’agro di Aversa e di Atella. Sotto l’antica porta di Marcianise , si trovava secondo molti studiosi , anche un cippo urbano la scritta “IVSSV IMPERATOR CAESARIS QVA ARATRVM DVCTVM EST” (Per volere dell’imperatore Cesare fu fissato questo solco per dove passò l’aratro) . La stessa epigrafe pare si trovasse secondo alcuni studiosi anche anche nella Cattedrale di Terracina e nel Duomo di Capua . E’ importante a tal proposito ricordare che nel Medioevo Cesa dipendeva politicamente dall’antica città di Capua che si trovava sulla appunto sulla famosa Via Appia il culto di San Cesario nacque e si sviluppò proprio su questa strada romana: lungo il percorso della “regina viarum” si trovava la sua primitiva tomba a Terracina e la la chiesa di San Cesareo de Appia .
Il culto a Cesa del diacono Cesario è antichissimo: già nel 1097 esisteva infatti nella attuale cittadina di Cesa una chiesa a lui dedicata, che fu donata dal conte normanno Roberto di Sant’Agata alla Diocesi di Aversa .Essa fu costruita nel piccolo casale appartenenti alla Liguria Atellana e più che una chiesa era inizialmente una semplice parrocchia dedicata a San Cesareo che fu poi ampliata e restaurata nel corso dei secoli. Essa dopo l’Unità d’Italia, grazie alle offerte del popolo , promosse dall’allora parroco Luigi Della Gala venne ristrutturata su progetto dell’architetto Filippo Botta e nel 1872 restituita ai fedeli. L’interno, in stile rinascimentale, presenta tre navate divise da colonne ioniche. Le volte, le tre cupole, l’abside ed il transetto sono decorati con pregevoli affreschi realizzati da Luigi Tagliatatela e da Raffaele Iodice che ha anche firmato le due scene della vita di San Cesario, gli Evangelisti, l’Eterno Padre e la pesca miracolosa che campeggia sulla cantoria. Particolarmente suggestive e pregevoli sono la cappella dedicata al patrono e quella dedicata a Sant’Anna, impreziosite da stupende decorazioni in stucco, affreschi ed altari marmorei.
Nel suo interno , nella Cappella di San Cesario, si trova l’importante busto reliquiario di San Cesario datato 1760 , fatto in argento sbalzato e cesellato, dall’argentiere napoletano Luca Baccaro ed un braccio-reliquiario argenteo di San Cesario (XVIII secolo).
Il busto è protagonista assoluto della festa patronale di Cesa che si tieno ogni anno nelle settimana successiva al 19 giugno (anniversario della traslazione della reliquia del braccio di San Cesario). I festeggiamenti iniziano la domenica precedente, quando il clero, il comitato, le autorità civili e militari ed il popolo si recano in corteo a casa di un fedele per prelevare il busto reliquiario argenteo del santo, che tra lo sparo di granate è portato in processione nella chiesa parrocchiale, dove è solennemente esposto alla venerazione dei fedeli su un artistico trono. Durante la breve processione, all’esterno della sede comunale, ha luogo il rito della Consegna delle chiavi della città al santo patrono da parte del Sindaco. Il sabato e la domenica – giorno principale dei festeggiamenti – la statua del santo è portata a spalla in processione per tutte le strade del paese, addobbate con delle artistiche luminarie; al termine ha luogo il rito del “Volo degli Angeli” (due bambine, munite di ali artificiali, vengono tirate attraverso un sistema di corde tese dal campanile alla piazza per omaggiare il santo con delle poesie) ed un grandioso spettacolo pirotecnico. Nei giorni successivi si tengono concerti di musica classico-sinfonica e di musica leggera.
Caratteristiceo del luogo è anche la suggestiva processione che si tiene la notte del giovedi santo a Cesa. Essa risale al 1782, anno in cui venne costituita la Cofraternita di Maria SS. del Rosario con reale assenso di Ferdinando IV di Borbone . Il corteo è composto da un gruppo di “fratielli” (vestiti con tuniche bianche, un cappuccio che lascia scoperti solo gli occhi e una fascia nera trasversale), che percorre alcune strade del paese con l’usanza di sostare in preghiera dinanzi all’ altare della Reposizione e qui poi cantare a cappella , l’antico canto composto da Sant’Alfonso de ‘ Liguori “Gesù mio, con dure funi” , meglio conosciuto come “Sono stati i miei peccati”. Il canto in maniera molto suggestiva si propaga per le strade del paese durante la notte.
Il giorno dopo la Pasqua , si assiste invece alla processione dei Fujenti , cioè tutta una serie di pellegrini che partendo da Piazza De Michele si recano poi al Santuario della Madonna dell’Arco portando in processione stendardi, quadri e toselli di notevoli dimensioni.
Altra famosa processione è quella della festa di Maria S.S. del Rosario che si tiene la settimana precedente al 7 ottobre.dove Il sabato e la domenica, la statua di Maria viene portata a spalla in processione per le strade del paese.
La festa liturgica di San Cesario ricorre il 3 novembre , ossia nel giorno della nascita al Cielo del santo.
GRICIGNANO D’AVERSA
Il territorio di questa cittadina che si estende giungendo fino alle rive del fiume Clanio è stato fin da tempi antichi un luogo particolarmente adatto alla caccia, alla pesca e alla pastorizia Esso , da sempre infatti, si è caratterizza per la sua naturale fertilità della terra, il clima mite e l’ abbondanza d’acqua che nel corso del tempo ha favorito i primi insediamenti umani risalenti addirittura all’età del bronzo.
Il toponimo di Gricignano deriverebbe con molta probabilità dal nome del senatore romano, Lucio Giulio Grecino, padre del ben più noto Gneo Giulio Agricola , vissuto ai tempi di Tiberio, a cui il senato aveva concesso la protezione e/o il possesso della Centuria. Ma non si esclude anche il fatto che il toponimo derivi dal nome della matrona romana, nonché ex moglie di Tiberio , Pomponia Grecina , discendente della gens dei Graecinius. Certo è, che il toponimo di Gricignano deriverebbe dal nome di uno di questi patrizi romani. Col passare del tempo e con l’insediamento dei primi coloni, il nucleo abitativo prese prima il nome di “Villae Greicinianum” e poi di “Casalis de Graecignani”.
Come avete dunque capito le origini di Gricignano sono molto antiche. Esso è infatti no dei più antichi comuni dell’Agro aversano e e le ipotesi sulla sua origine risalgono secondo molti agli antichi romani e secondo altri a quelle Osco-sanniti e se non additittuta longobarde. considerato la notevole influenza che certamente il popolo longobardo ha esercitato in passato sulla cittadina . Ne è testimonzia la presenza del monastero benedettino di San Vincenzo , collegato all’Abbazia di Montecassino , situato a metà strada tra il nuclleo abitativo di Gricignano e Casolla- S..Adiutore , ed il fiume Clanio ( gli attuali Regi Lagni ) i cui ruderi sono scomparsi solo da qualche anno .
CURIOSITA’ :L’influenza della città longobarda sulla città di Gricignano è confermata dal culto di S. Michele, il Santo da essi venerato, e dal ritrovamento di una chioccia d’oro con pulcini, simbolo dell’oreficeria dei longobardi , in località S. Vincenzo.
Le tracce delle origini romane sono invece ancora ben visibili dalla tipica suddivisione del territorio in centurie, con il Cardo Massimo costituito dall’antica Via Larga, Via Sant’Antonio Abate e Corso Umberto I, e dal Decumano Massimo costituito da Via Casolla e Via Aversa. Altra prova delle origini romane si riscontra nello stemma comunale dove è raffigurata una pietra miliare con iscritto in cifre romane il numero sette, che va a simboleggiare le sette miglia che separavano Gricignano dall’ antica cittadina di Capua .
Decisive e sicuramente condizionanti per lo sviluppo del paese sono state poi in epoche successive , tutte le vicende sociali ed economiche delle città di Atella e di Aversa . Come tutti i feudi , i casali e le terre nel periodo del basso Medioevo , il casale di Gricignano fu posseduto da numerosi baroni, nobili e borghesi, appartenenti alle famiglie più in vista del regno ( Piscitelli ,Carafa, Miroballo etc …) , i quali a differenza di quanto accadeva nei casali limitrofi , non riuscirono a creare un rapporto ” accettabile ed empatico ” con la popolazione dal momento che essi non risultarono dimoranti abituali nel Palazzo Ducale ubicato nell’area dell’attuale casa comunale .
Curiosita’ : Nei secoli XVI e XVII, tra i cittadini gricignanesi cominciò a svilupparsi un’interessante “coscienza democratica e popolare”, attestata dalla partecipazione di numerosi concittadini alle pubbliche assemblee locali, appositamente convocate dagli eletti delle università (cioè la rappresentanza della comunità del tempo), per rivendicare alcuni diritti espropriati e gli usi civici. Nel corso del 1700 nacque e si diffuse quindi un movimento contro le prepotenze, gli abusi ed i soprusi del Feudatario di turno, che poi sfociò in una lite giurisdizionale sui cosiddetti “ius proibitivi” ,cioè il permesso di aprire bottega, di panificare, di usare il forno ed il mulino, di macerare la canapa ed il lino nei lagni, ecc…, di cui la popolazione si sentiva ingiustamente espropriata.
Verso la fine del secolo XVIII, alla comune di Gricignano venne aggregato il casale di Casolla – S. Auditore, una volta Regio ed ormai disabitato ed il comune durante il periodo francese, assunse il nome che mantenne per alcuni decenni di Gricignano e Casolla, S. Auditore Riuniti . Nel 1928 il Comune divenne una sezione municipale della città di Aversa, mentre solo nel 1871, su proposta di deliberazione del Consiglio Comunale, il Ministro degli Interni, concesse la nuova denominazione di “Gricignano di Aversa”.
Il santo Patrono di Gricignano,è S. Andrea Apostolo. Il suo culto si diffuse probabilmente verso il 1200, originatosi dalla presenza di una colonia di amalfitani nella vicina Aversa.
L’economia, in un recente passato, era fondamentalmente basata sull’agricoltura. Oggi, invece, il paese è conosciuto anche e soprattutto perché ospita una cittadella di militari statunitensi, la US Navy Support Site.
CAIVANO
L’attuale territorio di Caivano ,era parte di quello facente capo all’antica città di Atella, che era distante appena circa 8 km .
Alcuni ritrovamenti archeologici che hanno messo in mostra i primi insediamenti abitativi locali, fanno risalire le origini della cittadina ad epoca osca e secondo molti furono gli Etruschi, nel VI secolo a.C. che, effettuando la bonifica del paludoso territorio di Caivano, ne resero possibile l’abitabilità.
Nel IV secolo avanti cristo vi si insediarono poi i Sanniti e successivamente i romani , sotto la cui dominazione, il territorio venne suddiviso in grandi latifondi patrizi, da cui lo stesso significato del nome, maggiormente accreditato, che fa derivare Caivano da “fundus Calvanium” – proprietà della famiglia Calvanium . Il nome Caivano infatti proviene dal latino Calvius a cui è stato aggiunto nel tempo il suffisso anus, che indica la proprietà feudale, inoltre nel tempo la “L” è stata sostituita con la vocale “I”. Solo nel XII secolo, con l’aumento della popolazione inizia a circolare come “Caivanum”.
Con l’invasione longobarda la zona appartenne al principato di Benevento e Caivano fu forse sottoposto a S. Arcangelo, all’epoca villaggio fortificato longobardo a sua volta dipendente dal gastaldato di Suessula. Con l’ascesa del Regno Normanno e la fondazione dei Normanni di Aversa , Caivano, a partire dal X secolo, divenne uno dei suoi casali, acquistando intorno al XIII secolo una sua dimensione feudale , senza mai assurgere comunque mai a ruoli di primissimo piano in quanto costretta a subire numerosi passaggi ereditari e vendite. Agli inizi del ‘300 fu fortificato e divenne finalmente feudo indipendente da Aversa ( unico tra i centri del territorio aversano a non essere un casale di Aversa).
.Successivamente ,Alfonso di Aragona per conquistare il regno di Napoli che era circondato da potenti mura, dovette occupare nel frattempo Caivano e per farlo dovette assediare di persona per ben tre mesi il forte castello, ottenendone alla fine la resa a patti.
Il castello di Caivano è ancora oggi considerato il principale monumento della città. Esso è anche menzionato in un documento del 1432 in cui si parla della consegna delle fortificazioni di Capua.
Sappiama da dati storici che Inutilmente gli aversani chiesero a re Alfonso di Aragona il ritorno di Caivano sotto il loro diretto dominio. e nel ‘500, come risulta anche da una testimonianza in lingua spagnola, l’abitato era composto da tre nuclei: Caivano, il Borgo Lupario e il borgo S. Giovanni.
Il castello dichiarato monumento nazionale, è oggi sede del Municipio comunale e ospita una magnifica biblioteca comunale che ha un patrimonio di 6000 monografie.
Vicino al castello si trova la cosidetta ” torre dell’orologio ” , cioè una grande torre con un orologio al centro che segna l’ora.
La santa patrona di Caivano è la Madonna del Campigllione . A lei, i padri carmelitani dedicarono la pricipale chiesa del paese denominata appunto il Santuario di Maria SS. di Campiglione . Essa custodisce nel suo interno un meraviglioso affresco della Vergine tra i dodici apostoli mentre prega il Figlio Gesù circondato dagli angeli. Tale immagine è venerata da secoli nel santuario ed è oramai divenuta meta abituale di numerosi pellegrini.. La storia racconta che una donna di Caivano si recò dalla Madonna per chiedere che fosse salvata la vita dell’unico figlio ingiustamente incolpato di omicidio. La Madonna in segno della grazia concessa staccò il capo dall’intonaco come ancora oggi si può vedere.
In occasione della festa a lei dedicata che cade nella seconda domenica di maggio, si allestiscono in paese delle artistiche luminarie e nella piazza si tengono spettacoli di musica sinfonica. La mattina della festa si apre con una diana pirotecnica e segue la sfilata delle bande musicali per il paese. ll momento più suggestivo della festa è sicuramente la processione alla quale partecipano tantissimi fedeli e devoti non solo di Caivano ma anche dei paesi limitrofi. I festeggiamenti durano circa sei giorni e si concludono con un grande spettacolo pirotecnico.
Fino al XVI secolo Caivano fu il più popoloso dei centri ricadenti sul territorio dell’antica Atella, per cedere poi il passo ad Afragola, Frattamaggiore e poi anche ad Arzano e Casoria. Con la costituzione murattiana dei comuni, a Caivano furono aggregati i casali di Pascarola e Casolla Valenzano e il territorio di S. Arcangelo, ormai casale disabitato.
AFRAGOLA
In un’epoca molto lontana l’area su cui oggi sorge Afragola era occupata da popolazioni non meglio identificate (forse provenienti dall’interno) che si erano insediate nel territorio con piccoli villaggi, che furono del tutto poi spazzati via da una delle tante eruzioni vesuviane che ricoprì la zona di cenere e piroclasti, provocando l’insabbiamento dei villaggi e il sollevamento del suolo di oltre un metro.
Il territorio fu comunque di nuovo poi abitato secoli dopo, da poche popolazioni di origine sannita ed un successivo piccolo avamposto romano che rimasero in vita fino all’impaludamento del fiume Clanio che comportò fino al X secolo un vero e proprio abbandono del territorio. Da questa data iniziò a manifestarsi un ripopolamento di tutta la zona , compreso Il sito della futura Afragola grazie a piccoli diversi villaggi rurali occupati dai coloni delle vastissime terre (Arcopinto , Arcora , Salice , San Salvadore delle Monache , Cantarello , Sant’Angelo, Santa Venera, Presanzano, Sanguinito, San Paolo, Arcopinto, Agnone, all’Arco, al Lavinaro, al Castello, alla Selva, e Batagnano) che vennero poi tutti distrutti o assorbiti da insediamenti più grandi riuniti ciascuno intorno ad una chiesa: Santa Maria d’Ajello, San Giorgio e San Marco. Queste tre unità demiche pricipali andarono nel tempo progressivamente ampliandosi dando luogo ad un territorio comunemente allora denominato villa fragorum ( «villa delle fragole») .
Ora secondo tradizione , si ritiene comunemente che questo territorio corrisponda proprio a quello che Ruggero, detto il Normanno , nel 1140, donò grazie ad una sua concessione ad alcuni suoi fedelissimi soldati delle sue truppe militari che per tanti anni lo avevano seguito nelle sue tante battaglie. Egli infatti con grande atto di riconoscimento e generosità , prima di licenziarli decise di assegnare loro questo territorio che divenne da quel momento un vero e proprio feudo.
N.B. : Afragola , che antichi documenti oggi ritrovati indicano con gli iniziali nomi nomi di Fragola, Afragola, Aufragole, pare essere stata così fondata nel 1140 da Ruggero il Normanno.
Nella successiva epoca angioina , il feudo di Afragola , detenuto in quel periodo dalla famiglia Capece-Bozzuto , vide la costruzione di un castello che fu residenza della regina Giovanna I d’Angiò, Esso in origine era formato da quattro torri circondate da un fossato ( più tardi riempito) .
Tra gli avvenimenti che maggiormante hanno caratterizzato la storia di questo castello vanno ricordate le truppe di Luigi III dìAngiò che qui vennero ospitate , giunte a Napoli per conquistarla, e purtroppo anche l’assedio e la sua conquista da parte dei soldati francesi di Carlo VIII. Nel 1571 fu venduto all’universitas, corrispondente all’attuale comune. In stato di degrado fu poi venduto nel 1726 a Gaetano Caracciolo duca di Venosa, che lo restaurò. Nuovamente in abbandono alla fine del secolo, vi fu installato un orfanotrofio. Attualmente il castello ospita una scuola dell’infanzia e primaria paritaria denominata Addolorata, il cui ente gestore è la Città di Afragola, la cui frequenza è gratuita. Ospita inoltre anche un centro di accoglienza diurno “Il Bruco”, che rappresenta un semiconvitto per ragazzi in difficoltà gestito da una cooperativa sociale ..
CURIOSITA’: Afragola fu feudo dell’Arcivescovo di Napoli, Bernardo Caracciolo. e successivamente, dal 1386 divenne bene della famiglia Bozzuto. Nel 1575 riacquistò la libertà, avendo versato gli afragolesi la somma di 27 mila ducati al regio governo. Nel 1621 quando il re di Spagna, alla continua ricerca di aiuti finanziari per le continue ed interminabili guerre, vendeva al migliore offerente i casali dei suoi possessi napoletani , per evitare una ulteriore sua vendita a chissa quale desposta aurotitario feudautatario , gli afragolesi riscattarono di nuovo il feudo versando altri 30 mila ducati. Nel 1647, durante i moti di Masaniello, proprio per suo ordine, era giunto nella zona Giovanni Bozzuto, con molta gente armata, con l’intento di bruciare Afragola, che si era mantenuta fedele al governo vicereale. Alla notizia, però, dell’avvenuta uccisione del «pescatore», i rivoltosi, invece di procedere all’incendio, fecero prigioniero il Bozzuto e lo condussero in catene in Castel Nuovo, macabremente scortato dalle teste mozze di tre suoi seguaci.
Nel 1799 Afragola partecipò alla Repubblica Napoletana e fu issato nell’attuale piazza Municipio l’albero della libertà ‘ Solo nel 1809 si ebbe la prima amministrazione comunale con un primo sindaco eletto.
Sotto il regime fascista come tutti i comuni italiani, fu amministrata da un podestà che ampliò l’area urbana e dotò molte strade di rete fognaria e regolare pavimentazione. Il 5 ottobre 1935 il re Vittorio Emanuele II , su proposta del podestà, conferì al Comune il titolo di “città”, come commemorato da una targa marmorea affissa nell’atrio del Palazzo Civico il successivo 28 ottobre.
Con l’armistizio dell’8 settembre 1943 , la città fu occupata dai tedeschi, che posero un campo di prigionia all’interno del Casone Spena, nell’area dell’Arcopinto e il 2 ottobre dello stesso anno compirono due stragi, la cosiddetta” strage di Afragola ” , durante le quali furono assassinate 11 persone,
Il territorio comunale di Afragola è disseminato di chiese e cappelle, quasi tutte di rilevante interesse storico-artistico, architettonico o culturale. Noi vi segnaliamo la parrocchiale di San Giorgio, fondata nel XIV secolo dalla regina Giovanna I d’Angiò e ricostruita secondo lo stile settecentesco; le chiese del Rosario (1653) e di San Marco in Silvis (1140) e la Basilica di Sant’Antonio da Padova (1633) ma almeno una citazione la meritano anche la Chiesa del Santissimo Sacramento ( detta di San Marco all’Olmo ),la Chiesa di San Giorgio Martire ,la Chiesa del sacratissimo Rosario, la Chiesa madre del cimitero,la Chiesa di Santa Maria della Misericordia ,la Chiesa di San Giovanni Battista , il Santuario del Sacro Cuore di Gesù (nel cui complesso monumentale è situato un teatro con oltre 500 posti a sedere, intitolato a Padre Giuseppe Bottiglieri, danneggiato dal terremoto del 1980 e riaperto dopo i lavori di ristrutturazione nel 2010 ), la Chiesa di San Michele Arcangelo ( oggi soppressa con la costruzione del rione Salicelle ) e infine, la chiesa di Santa Maria La Nova, detta Scafatella, intitolata alla Madonna di Costantinopoli .
Il Santuario poi elevato a Basilica minore di Sant’Antonio da Padova ,fu eretto in stile barocco a partire dal 1633 con annesso convento dei frati minori riformati dell’ordine Francescano , Il suo interno rivestito di marmi, è a tre navate, con abside e cappelle sul lato sinistro. In Basilica è conservato un miracoloso crocifisso attribuito a frate Umile di Petralia ,e la statua in legno di Sant’Antonio di Padova del XVII secolo , collocata in un grande tabernacolo del 1922 conosciuto come “Trono del Santo” , un pulpito marmoreo di Francesco Jerace , e altre opere d’arte di rilievo. Nella sacrestia si trova inoltre un dipinto di Agostino Beltrano raffigurante l’apparizione del Bambino Gesù a Sant’Antonio datato anno 1630.
Sulla sinistra del Santuario si erge l’alto campanile costruito a partire dal 1950.
Il culto di Sant’Antonio ha reso il santuario un celebre luogo di pellegrinaggio (con festa il 13 giugno) In esso è conservato un’importante reliquia del Santo (un pezzo di massa muscolare toracica di circa 6 cm) , donato alla cittadina dai frati conventuali di Padova ( dal 18 febbraio 1995 il santuario è ufficialmente gemellato con la Basilica si Sant’Antonio da Padova ) .Il convento, con il collegio serafico, ospita anche la famosa Biblioteca del Convento di Sant’Antonio che raccoglie oltre diciottomila volumi, tra cui numerosi pezzi unici o rari.
- La chiesa di Santa Maria d’Ajello Fondata nel 1190, si trova in pieno centro storico; secondo la tradizione, infatti, ha inglobato una precedente cappella, esistente prima di Santa Maria la Nova. Essa fu rimaneggiata nel 1583 con l’aggiunta delle navate laterali e successivamente anche nel 1780 iIn una cripta sotterranea sono state ritovate numerose tombe).
- La chiesa conserva dipinti di Giovan Angelo Criscuolo , di Alessandro Viola e di Angelo Mozzillo , che era peraltro un parrocchiano .
- Sulla sinistra della chiesa le si accostò tra il 1603 e il 1608 la cappella della Confraternita dell’Immacolata Concezione, ristrutturata nel 1867.che conserva un dipinto di Girolamo Imparato .
La chiesa di San Marco in Sylvis Insieme a San Marco all’olmo costituisce la parrocchia di San Marco evangelista. Costruita in un territorio all’epoca campestre e forse paludoso (donde il complemento di stato in luogo in sylvis) probabilmente intorno al 1179, fu diverse volte rimaneggiata (in particolare si ebbe un innalzamento del pavimento), e, alla costruzione originaria, risale il campanile. Sul muro esterno dell’abside è inserita la pietra di San Marco, sulla quale, secondo la devozione popolare, si sarebbero seduti in momenti diversi San Marco e San Gennaro .
San Marco durante una sosta dal suo viaggio verso Roma. e San Gennaro prima di partire per Pozzuoli, dove, dopo aver confortato i cristiani nelle carceri, fu condannato alla decapitazione nell’agro della solfatara nel 305 d. C.
Curiosita’ : La pietra di San Marco ,è un grosso blocco lapideo che il parroco Odorisio De Jentile, nel 1600, fece incastonare nel muro absidale. Essa durante i lavori del 1897, fu poi spostata su una parete esterna, alle spalle della chiesa, ornata da un affresco raffigurante San Marco e San Gennaro. Dagli afragolesi è anche chiamata ” la pietra dei miracoli “e molti fedeli legati alla tradizione per ottenere la guarigione da mal di testa e mal di pancia girano tre volte intorno la chiesa per poi fermarsi e baciare con devozione la pietra. Si può ottenere in questo modo anche l’l’indulgenza plenaria dopo essersi confessati e comunicati.
La chiesa, nel suo interno appare a navata unica con un impianto rettangolare ed è coperta da un tetto a falde spioventi retto da una travatura fatta in legno . Sul suo lato sinistro mostra due archi che portano all’interno di piccole cappelle tra loro comunicanti e caratterizzate da affascinanti affreschi databili con certezza almeno al 1521, come è firmato in calce a uno di essi .
Il suo bel campanile è di stile angioino.
CURIOSITA’ : All’interno della chiesa di San Marco in SylvIS , custodita nella cappella Alfieri , si trova una croce in pietra, scolpita secondo il modello delle croci dei cavalieri templari che come sappiamo erano soliti erigere cappelle per i bisogni spirituali dei confratelli, secondo uno schema costruttivo a pianta rettangolare molto semplice come è difatti quello della chiesa di San Marco in Sylvis. Vi ricordiamo inoltre che la sede dei Templari più vicina a Napoli, e quindi ad Afragola, era a Cicciano. A soli 3 km da Nola. Coincidenza?.
Secondo la tradizione, ricavata da un’operetta attribuita ad un certo frate domenicano di nome Domenico De Stelleopardis, , la chiesa fu edificata per ordine del re Guglielmo il Buono su richiesta degli abitanti del luogo. E fin qui tutto appare ancora plausibile ma Il monaco inoltre afferma che, nella notte del 10 aprile 1179,, gli angeli trasferirono addirittura le mura di questo edificio dal luogo originario all’interno del bosco di San Marco , così da coprire i corpi dei martiri della Chiesa di Nola al tempo delle persecuzioni dell’Imperatore romano Diocleziano e del suo crudele prefetto Timoteo. La motivazione del termine in Sylvis, che letteralmente significa nella selva , proviene proprio da questo mito.
Di grande interesse storico artistico di Afragola anche numerosi palazzi costruiti fra il XVI e il XIX secolo .I più antichi sono i palazzi Arcella e, il palazzo Maiello, ed il Palazzo Migliore del XVII secolo che affaccia sulla piazza del Municipio che dovete sapere un tempo , in origine esisteva solo come piccolo slargo con il nome di “piazza dell’Arco” e su di esso vi si affacciava la piccola chiesa di San Nicola di Bari. Accadde poi che l’antica universitas, organizzazione degli abitanti che rappresentava la città, che si riuniva inizialmente nella chiesa di Santa Maria della Misericordia (piazza Ciampa), prese in affitto nella prima metà del XVIII secolo alcuni ambienti di “palazzo Tuccillo” in via San Giovanni. Nel 1860 si decise di abbattere alcuni edifici, compresa la chiesa di San Nicola, tra la via suddetta e il vicolo dell’Arco per creare una piazza antistante; fallite le trattative per l’acquisto del palazzo Tuccillo, una nuova sede municipale fu eretta nel 1870 sul fondo della piazza, ad opera degli architetti Carlo Ciaramella e Francesco Danise.
Prima di concludere questa breve descrizione dell’antica cittadina di Afragola ci teniamo a farvi notare che su via Alighieri, provenendo da via Arena, poco prima di incrociare via Sicilia, sul lato destro, esiste un antico muraglione in pietra grigia che, in corrispondenza del suddetto incrocio, assume un’insolita forma tondeggiante. Il manufatto, ormai in gran parte inglobato negli edifici vicini, altro non è che un residuo dei bastioni dell’antichissima opera di fortificazione afragolese che un tempo proteggeva la città. Essa pare sia stata eretta dai Normanni a salvaguardia dell’ingresso settentrionale dell’antica Afragola, sull’arteria viaria principale del tempo, la quale si dipartiva dall’Appia antica e, superato il Lanium (poi divenuto “Regi Lagni” dopo gli interventi di bonifica di epoca borbonica), attraversava il Bosco di Sant’Arcangelo, il borgo di Casolla Valenzano, la contrada tuttora chiamata “Int’cantare”, giungeva proprio nei pressi dell’attuale incrocio tra via Arena e via Alighieri e, costeggiato il fortillicium, proseguiva per le attuali via Ciampa, via Cirillo, via Olmo, piazza San Marco, via Nunziatella e, seguendo il percorso della “Cantariello”, menava a Napoli attraverso l’antichissima via delle Puglie
.Lo stemma di Afragola è costituito da uno scudo sannitico di color oro su cui è sovrapposta una mano che impugna quattro fragole rosse . Il tutto è racchiuso ai lati da un ramo di alloro e uno di quercia , legati insieme da un nastro tricolore .
N.B. : La storiella che molte persone ancora oggi ancora credono riguarda le origini del nome di Afragola , relativa alla sua presenza o assenza di fragole sul territorio non è affatto vera . Si tratta infatti solo di un errore commesso nel 1830 dal giurista Giuseppe Castaldi e stolidamente ripetuto da “cultori” o meglio “culturisti” locali.
Un secondo riscatto avvenne poi nel 1631 quando l’intero territorio di Casoria fu messo all’asta a privati dal Vicerè Spagnolo di Napoli insieme ad altre terre e villaggi del napoletano per rimpinguare le finanze dello Stato spagnolo sempre più indebitato per sovvenzionare le sfortunate imprese militari del re Filippo di Spagna .. Gli abitanti del villaggio (trecento famiglie) ribellattisi a tale decisione accettarono loro di pagare una forte somma per il riscatto della propria cittadina (pari a dodicimila ducati).. La piccola Casoria a quell’epoca era un territorio di 4.000 moggia con strade alquanto larghe e selciate e qualche palazzotto di mediocre fattura,.mentre la sua economia era fondata essenzialmente sul commercio dei vini e sulla produzione della canapa.
I dintorni immediati di Casoria fino all’anfiteatro collinoso, dal medioevo al secolo XIX, furono paludosi e malarici, tanto che il Lautrec, accampato col suo esercito, in questo territorio nell’assedio di Napoli (1528 ) vi perdette due terzi dei suoi soldati ed egli stesso morì. Le paludi furono poi bonificate al principio del 1800 con una rete di canali di 43 Km . Grazie ad esse la zona fu liberata dalla malaria e molti campi furono trasformati in fertili aree di colture ortive.
CURIOSITA’: ll nome Casoria, si ritiene abbia origine dalla definizione Casa Aurea, poi diventata Casaurea, e successivamente Casoria. Secondo alcuni Casoria deriverebbe invece da “Casa Mauri”
Nonostante i due riscatti e il suo continuo aggregarsi al Regio Demanio e il relativo impegno assunto dal vicerè a non mettere mai più all’asta il casale, esso fu venduto prima ad Eleonara Mansfeldi e successivamente a Luigi Ronchi: ultimo possessore fu Fabio Capece Galeota ,presidente della Regia Camera
.Solo con Carlo III di Borbone la città riacquistò la sua libertà definitiva diventando per sua altitudine di 70 metri sul livello del mare e la sua aria fresca ,un rinomato luogo di villeggiatura. La sua importanza crebbe ancora con il decreto del 28 gennaio 1809, quando divenne uno dei quattro capoluoghi di distretto della città di Napoli.La città fu inoltre servita dalle prime linee ferroviarie:quella di Capua, che utilizzava il più possibile la depressione del Sebeto, e quella per Aversa.
Oggi, nonostante i tanti secoli passati i caratteristici vicoli di Casoria ,per fortuna anche se bisognosi di opere di restauro, sono rimasti ancora intatti a testimoniare l’antica storia dela città. Gli ingressi alle case più modeste sono piccoli,stretti e sopraelevati,mentre le case più ricche conservano ancora l’antica struttura con il cortile centrale e grandi aperture ad archi sulla via per consentire il passaggio dei carri carichi di grano ed i canapa. L’edificio più importante è il settecentesco Palazzo Rocco dei conti Rocco di di Torrepadula : vi è annessa la Chiesa di Santa Mercede,capella privata della famiglia.
Il centro storico è invece dominato dalla mole della chiesa di San Mauro, il monumento sacro e più antico nella cittadina , la cui costruzione iniziò nel 1606 sul suolo occupato dalla piccola chiesa preesistente che fu poi utilizzata come sagrato del nuovo tempio.
Il monumentale edificio di stile barocco, fu eretto con il contributo del certosino Bonaventura Presti,. Essa sormontata da una bella cupola alta 40 metri mostra nel suo interno un aspetto a croce latina, con navata unica e cinque cappelle per ogni lato. La decorazione dell’interno è molto sobria e conserva nel suo interno due bellisime tele di Domenico Antonio Vaccaro, una raffigurante “l’Immacolata Concezione”,e l’altra raffigurante “la Vergine e Santa Elisabetta” .
Il soffitto particolarmente ricco e originale, è ornato da intagli in legno dorato che inquadranno tre grandi tele attribuite a Pietro di Martino,rappresentanti “Il Trionfo di San Mauro” “Il Salvataggio del giovane Placido” e “La Resurrezione di un ragazzo”.
L’altare maggiore è un opera settecentesca realizzata con marmi policromi sormomtata da un quadro di Domenico Antonio Vaccaro raffigurante “la Madonna delle Grazie tra San Mauro e San Gennaro”. Tra le numerose cappelle della chiesa la più grande è dedicata a San Mauro: nella nicchia in fondo è sistemata la seicentesca statua lignea del Santo,di scultore ignoto,mentre la parete destra è arredata da una tela di Angelo Mozzillo raffigurante “Sant’Anna con la Madonna bambina” e “i santi Mauro e Filippo Neri.
Da vedere anche il “fonte battesimale” con un angelo orante di Lorenzo Vaccaro e un affascinante organo ligneo costruito nel 1760.
La facciata costruita succesivamente alla chiesa, presenta un ordine inferiore ripartito in cinque spazi con tre portali inquadrati da lesene,mentre l’ordine superiore è tripartito con un finestrone circondato da lesene che sorregono il timpano.Sul lato sinistro destro della chiesa si erge il campanile costruito nel 1827 in pietra di tufo diviso in quattro piani con finestre e alto 42 metri.
N.B. Secondo altri la lastra di marmo con epigrafe greca e latina, era forse solo una copertura tombale ed il suo ritrovamento è solo la testimonianza che in quel luogo in un lontanissimo periodo si svolgevano riunioni mistiche di un collegio di donne celebranti i misteri della dea TELBIA CASTIA. Dall’epigrafe risulta inoltre la costruzione di un tempio dedicato ad Artemide (particolarmente venerata a Napoli).
CASAVATORE
Casavatore è uno dei comuni che come tutti fin qui citati faceva anch’esso un tempo parte del territorio della città di Atella. Esso era popolato sin dall’epoca romana come dimostrano il ritrovamento durante alcuni scavi di numerosi oggetti di epoca romana comprese alcune tombe.
La cittadina si sviluppò però definitivamente solo in epoca medievale, durante il quale prese il nome attuale . Le prime citazione riguardo il centro contadino con in nome ” Casavatore ” le troviamo infatti in pieno medioevo e tutte fanno pensare che il suo attuale nome abbia una derivazione etimologica da ‘Casa Vittore’. (Presbiter Angelus de Casavatore pro beneficiis suis tar. –terre site in loco Casavito prope Neapolis – sita ad Salvatorem).
Un’altra e secondo noi ,più corretta ipotesi ci porta a pensare che il nome Casavatore derivi invece da Casa baptizatoris oppure, meglio, Casa ad Salvatorem ( da cui il nome attuale).Questa citazione era riferita alla chiesa parrocchiale a S. Giovanni Battista, battezzatore e quindi salvatore di anime e da Casa ad Salvatorem, è facile ipotizzare il passaggio a ‘Casa Salvatore’ e infine a Casavatore’ per la caduta della doppia sillaba.
N.B. Alcune fonti sostengono che l’antico nome di Casavatore fosse Casabuttore.
Nel 1678 furono messi in vendita alcuni casali del contrado napoletano, tra cui Casavatore; i locali, tuttavia, pagarono un riscatto di 2.000 ducati per non essere infeudati. Ventuno anni dopo, nel 1699 gli abitanti di Casavatore commissionarono a Giacomo Colombo , artista rinomato del Sud Italia, una statua lignea dedicata al loro santo protettore. Da una lapide risalente al 1616, posta all’ingresso della Cappella della SS. Trinità, nella chiesa parrocchiale a S. Giovanni Battista, si pensa oggi che intorno a questa satua lignea si fosse poi costruita una cappella, attorno alla quale sia stata poi edificata, successivamente la Chiesa che nella sua facciata principale, su via San Giovanni, mostra una campata unica su due ordini con lesene e capitelli ionici che reggono il coronamento a timpano triangolare. Sul suo lato sinistro si evidenzia invece il bel campanile in muratura di tufo a vista.
Durante il periodo francese retto da Gioacchino Murat , Casavatore fu unito al comune di Casoria dove vi rimase come frazione fino alla fine della seconda guerra mondiale e solo nel 1946 tramite un decreto legislativo luogotenenziale firmato dall’allora del Presidente del Consiglio Alcide De Gaspei , il comune ricevette l’autonomia, affrancandosi da Casoria.
A metà degli anni ’50 il comune era ancora prevalentemente a sussistenza agricola e composto da Poderi i, ma negli anni del boom economico cambiò il suo aspetto diventando parte del famoso triangolo industriale del nord napoletano insieme con i comuni di Arzano e Casoria , favorendo nel contempo l’urbanizzazione del territorio, Negli anni, a seguito del declino economico nel mezzogiorno, la presenza industriale si è ridimensionata in favore di un’economia terziaria, in particolare commerciale e il comune è diventato, anche grazie alle modeste dimensioni, una zona sostanzialmente residenziale.
Con la descrizione di quest’ultima cittadina concludiamo la nostra lunga chiacchierata sull’antica importante citta’ osca di Atella scomparsa nel XI secolo .. Essa come avete visto occupava un territorio molto vasto comprendente quelli che oggi sono i comuni di Orta di Atella , Sant’Arpino, Succivo , Cesa , Gricignano di Aversa , Caivano, Afragola, Casavatore, Casoria e la frazione Fratta Piccola del soppresso comune di Pomigliano d’Atella . Era inoltre attraversata dalla via Atellana che la conduceva a sud-ovest a Cuma e a nord.est a Capua.
Da questa antica città prende nome l’Atellana , una delle forme di spettacolo d’origine locale che influenzò il teatro latino. Da essa ebbe infatti origine la fabula atellana, una specie di antica farsa romana con maschere fisse e spirito molto salace e grossolano
I personaggi della commedia atellana erano quattro : Buccus, Dossennus, , Maccus, Pappus . Le maschere erano per lo più realizzate con cortecce d’albero, terre policrome e tela cerata che erano molto scomode da portare poichè spesso le sue parti in rilievo penetravano ben presto nella carne provocando fastidiosi disagi agli attori.
La tematica principale della commedia era costituita da scenette di genere, briose e realistiche, basate sul contrasto fra tipi fissi, quali il padrone avaro e il servo geloso, il contadino sciocco e il passante intelligente, il vecchio innamorato e il giovane rivale; nelle quali l’intreccio si scioglieva tra contorsioni, smorfie, acrobazie, inseguimenti, spettacolari cadute e nel contesto di un percorso fertile oltre misura di situazioni ora piccanti, ora divertenti e paradossali: erano, insomma, gli aspetti farseschi l’elemento essenziale dello spettacolo. Il più delle volte infatti, le farse si sviluppano su canovacci improvvisati dagli stessi attori, che indossavano un costume realizzato al momento con pochi stracci e una maschera dai tratti ben definiti.
Ognuno di quatrro personaggi era caratterizzato da una propria psicologia:
MACCUS, dal greco maccoan che significa letteralmente “fare il cretino” o da una radice italica mala, maxilla che sta per “uomo dalle grosse mascelle” era un personaggio balordo, ghiottone, sempre innamorato, e per questo spesso beffeggiato e malmenato.
Sulla scena era caratterizzo da un vestito bianco, la testa coperta da un copricapo di origine siriaca, il cosiddetto tutulus, una sorte di caratteristico “coppolone”, che forse indossava perché calvo e con la testa appuntita, e da una maschera a mezzo viso che gli copriva il naso adunco. Per la sua somiglianza con Pulcinella, secondo una vecchia disquisizione che ha dato origine ad una controversia mai sopita fra gli studiosi antichi e moderni, è considerato il progenitore della popolare maschera partenopea.
BUCCUS, da bucca, una forma popolare latina che sta per “uomo dalla bocca grossa” era un personaggio prepotente ed infido, continuamente in conflitto con i contadini che tiranneggiava.
Era caratterizzato simpaticamente da un’enorme bocca che si stira in un ghigno smisurato; per il resto era caratterizzato da un profilo oltremodo pingue, che era ottenuto dagli attori con vistose imbottiture sul ventre e sul deretano allo scopo di accentuarne il carattere informe.
PAPPUS, dal greco pappos traducibile in “antenato” impersonava un vecchio babbeo e vizioso. A motivo di questo suo humus psicologico era pertanto raffigurato vestito in modo discinto e con una facies consona alla sua fama di libidinoso.
Nella commedia ad interagire con le maschere durante la loro esibizione c’erano altre figure come acrobati e soprattutto mimi ai cui risvolti buffoneschi erano sempre molto legati . Tra le più famose di queste altre figure atellane vanno certamente ricordate tra le altre, le esibizioni del mimus albis e del mimus centunculus, ,cosiddetti per via del costume che indossavano: bianco, nel primo caso; di toppe variopinte, nel secondo. Caratteristiche queste, che, ritornando poi nelle maschere di Pulcinella ed Arlecchino hanno rafforzato ancor di più, in alcuni studiosi, la convinzione di una larga derivazione delle maschere moderne da quelle atellane.