Dopo le scosse di terremoto delle ultime ore, si torna a parlare di Campi Flegrei .
Ma cosa sono in realta i Campi Flegrei?
I Campi Flegrei (dal greco antico φλέγω?, phlégō, “brucio”) sono una vasta area di natura vulcanica della Campania, che si trova a ovest della città di Napoli e del suo golfo. Essa comprende i comuni di Napoli, Pozzuoli, Quarto, Marano, Bacoli e Monte di Procida.
Da un punto di vista geologico, l’area è una grande caldera in stato di quiescenza, con un diametro di 15-18 km, i cui limiti sono dati dalla collina di Posillipo e dalla collina dei Camaldoli. In questo circuito si trovano numerosi crateri e piccoli edifici vulcanici (almeno ventiquattro), alcuni dei quali presentano manifestazioni gassose effusive (area della Solfatara) o idrotermali (ad Agnano, Pozzuoli, Lucrino), nonché causa del fenomeno del bradisismo (molto riconoscibile per la sua entità nel passato nel cosiddetto Macellum di Pozzuoli). In tutta la zona sono visibili importanti depositi di origine vulcanica come il Tufo Grigio Campano (o ignimbrite Campana) o il Tufo Giallo. Nella zona sono presenti dei laghi di origine vulcanica (lago d’Averno) e laghi costieri originatisi per sbarramento (lago di Lucrino, lago Fusaro e lago Miseno).
L’area dei Campi Flegrei è compresa nei comuni di Bacoli, Monte di Procida, Pozzuoli, Quarto, Giugliano in Campania e Napoli. In particolare, i primi tre comuni citati, che occupano la cosiddetta penisola flegrea, sono quasi completamente flegrei. Il comune di Quarto si estende per buona parte nei campi flegrei. Il comune di Giugliano si estende invece nei campi flegrei limitatamente alla zona di Licola Mare, ricompresa nella frazione Lago Patria. Ricade infine nei campi flegrei la zona occidentale del comune di Napoli, con i quartieri di Bagnoli, Fuorigrotta, Pianura, Posillipo, Soccavo e le località di Agnano Terme (parte del quartiere Bagnoli) e Pisani (parte del quartiere Pianura).
Fanno parte dei Campi Flegrei, benché si collochino al di fuori del cratere originario, anche le isole Flegree di Ischia, Procida e Vivara. Esse hanno una storia e cronologia in parte differente, in parte parallela a quella dei vulcani sulla terraferma. Inoltre numerosi altri crateri sono stati individuati nel golfo di Pozzuoli, sprofondati nel mare o disgregati da esso nel corso dei millenni.
Il nome datole dagli antichi era Phlegraea Pedia, ovvero campi ardenti, e faceva ovviamente riferimento proprio alla natura vulcanica di quest’area.
Tanti anni fa, furono infatti proprio i navigatori greci di ritorno dai loro viaggi di esplorazione , i primi a narrare di aver visto uno straordinario luogo fatto di vulcani ardenti, di colonne di fumo e di lingue di fuoco alte nel cielo che con il loro riflesso nel mare rendevano le acque vicino la costa inquietanti e misteriose.
Con la parola “flegrei” che deriva dal greco flègo “brucio”, “ardo”, gli antichi abitanti però non si riferivano alle manifestazioni eruttive ma alla presenza di numerose fumarole e acque termali, conosciute e sfruttate fin dall’antichità. Nella zona sono infatti riconoscibili diverse aree soggette ad un vulcanismo di tipo secondario, come fumarole e sorgenti termali. Una regione affascinante e misteriosa, che nel corso dei secoli ha fatto da sfondo ad antichi miti e leggende.
In questo fazzoletto di terra, come tradizione romana voleva, sacro e profano si univano indissolubilmente, in un intreccio irripetibile di venerazione e otium, con l’intero paesaggio da Posillipo al Monte di Procida puntellato di sfarzose residenze patrizie e imperiali, stabilimenti termali, moli, ville, peschiere per l’allevamento di ostriche e murene e un imponente anfiteatro, il terzo di epoca romana più grande d’Italia dopo il Colosseo e quello di Capua.
Secondo i greci ed i romani in questo luogo era presente anche la via d’accesso all’Ade ed è proprio qui che Virgilio, nella sua Eneide, fece iniziare la discesa di Enea nell’oltretomba.
Il fuoco di quei vulcani recavano una simbologia molto espressiva in cui andavano sviluppandosi sentimenti come paura , fascino e magia . I primi abitanti svilupparono quindi almeno inizialmente un rapporto molto ambivalente con il fuoco di quei vulcani : da una parte temevano il potere distruttivo del vulcano, dall’altra parte avevano capito che la terra arricchita di lava era molto fertile e quindi molto importante per l’agricoltura
In un primo tempo credevano addirittura che la terra cominciasse a tremare ed i vulcani sputassero fuoco, quando gli Dei si arrabbiavano. Successivamente si diffuse l’idea che questI “buchi “fosse l’entrata per l’Inferno, visto che ogni tanto ne usciva del fuoco.
Il maggior indiziato come vulcano ad avere una porta di acceso agli inferi fu in verita inizialmente il Vesuvio che con le sue eruzioni più volte nel corso dei secoli ha poi minacciato e annientato centri abitati e colture ed ha causato numerose vittime. Con i suoi improvvisi risvegli, il Vesuvio ha infatti spesso apportato rovina e distruzione ai campi ed alla popolazione del posto. L’uomo, però, che ha abitato questi luoghi , in uno ambiguo rapporto di odio e amore , è stranamente sempre ritornato in quelle zone che sono state teatro di morte e disastro ed ha ripreso il suo lavoro. Così la gente è riuscita a prendere confidenza con il Vesuvio e ad imprimergli un aspetto umanizzato, utilizzando il suolo per colture, giardini e campi.
Ma nel corso dei secoli è stata sopratutto l’area dei campi flegrei quella che maggiormente è stata quella capace di dar luogo a miti e leggende. I suoi vulcani che con le loro lingue di fuoco alte sembravano lambire il cielo, le sorgenti termali che sgorgavano ovunque e i laghi scuri circondati da fitte e inesplorate foreste erano infatti proprio il luogo ideale dove immaginare potessero risiedere tutti i loro miti e le loro credenze e far vivere le loro leggende.
La maggior parte di questi fantastici luoghi vennero di conseguenza ambientati intorno alle figure di Ercole, Ulisse Enea e Virgilio…… ma anche di Efesto .
Il primo , cioè Ercole venne associato alla costruzione della famosa via Herculanea, cioè la diga artificiale tra il Lago di Lucrino ed il mare fatta in occasione del suo passaggio con i buoi presi a Gerione (decima delle dodici fatiche a cui l’eroe fu condannato).
CURIOSITA’: Il mito di Ercole fu molto radicato nel territorio e molte località legarono il suo nome a quello dell’eroe: Bacoli (vacua = terra incolta e deserta; boaulia = stalla di buoi, venne cosi’ chiamata in ricordo della sosta di Ercole con gli armenti sottratti a Gerione) mentre Ercolano secondo leggenda pare sia stata fondata proprio da Ercole ( Hercolaneum ,cioe’ la greca Herakleion ).
La figura di Ulisse venne invece legata sopratutto ai nomi di Baia e Miseno, i due suoi sciagurati compagni seppelliti nei luoghi che hanno poi dato il nome alle due località.
Enea invece divenne il protagonista assoluto del Lago d’Averno, identificato dagli antichi come lo specchio d’acqua che tutti credevano celasse la porta di ingresso agli inferi. Il luogo ricco di paura e mistero dove non potevano volgersi in volo gli uccelli, era anche il luogo delle misteriose grotte abitate dai Cimmeri e della inestricata e inesplorata foresta sacra dedicata a Proserpina.
N.B. In questa zona si trova anche il luogo dei vaticini della Sibilla che come cita Virgilio nell’Eneide ( libro VI) fu visitato da Enea nella speranza di conoscere il proprio destino per mano della Sibilla Cumana da lui consultata.
Virgilio scelse addirittura il assoluto il luogo scegliendolo quale protagonista assoluto dove ambientare l’intero VI libro della sua opera.
Ad Efesto è associato sopratutto il Vesuvio , dove microbi speciali e certe alghe che si riproducono nella lava bollente davano luogo a dei vapori puzzolenti.. Questi vapori fetidi e ovviamente il fuoco che da esso spesso eruttava , spinsero la popolazione a credere che nel cratere dei vulcani si trovasse l’officina del Dio italico Vulcano( Efesto), il Dio del fuoco e delle forge. Il cratere del Vesuvio secondo antiche credenze popolare, rappresentava infatti la porta per il regno di Efesto ,dove egli come Dio dei fabbri, lavorava il ferro su un’incudine gigantesca.
Ma quel luogo che gli antichi greci soprannominarono come ” Terra dei fuochi ” era anche il posto dove si ergeva a Cuma il famoso Tempio di Apollo con le sue gigantesche porte in oro, e le famose isola delle capre ( Nisida )o di Scheria ( Ischia ) ,narrata da Omero nella sua Odissea.
Fu più tardi anche una località molto ambita dalla nobiltà romana, famosa per il suo clima mite, la bellezza del paesaggio, il verde delle sue colline e le sue acque termali: tutto il litorale e le colline circostanti furono infatti luogo di insediamento di sontuose ville di patrizi romani per i quali divenne segno di prestigio e di affermazione sociale possedere una villa per esempio a Baia, considerata all’epoca il luogo più bello del mondo ed il più ambito per passarvi l’estate.
Frequentata dai personaggi più in vista della capitale questi luoghi divennero il bellissimo luogo dove Agrippina, Annibale, Cesare, Nerone, Cicerone, Lucullo, Caio Mario, Augusto, Caligola, Pompeo, Domiziano e tanti altri possedettero qui sfarzose ville , che divennero occasioni di incontri politici e di affari oltre che di cultura, lussi e lussuria.
Le colline e tutto il litorale divennero lentamente ricche di sontuose ville appartenenti ai potenti uomi del senato romano e al patriziato romano che con il tempo entrarono tutte a far parte del demanio dei Cesari . Tutte le persone più in vista di Roma finirono per costruirvi le migliori residenze e l’intera area finì per divenire una vera e propria residenza imperiale La sua fisionomia architettonica e monumentale assunse un aspetto ancora più grandioso e lussuoso : tutte le pendici dei colli con moli ed insenature sembravano quasi una sola grande sontuosa villa con numerosi vivai di pesci e coltivazioni di ostriche , piscine sportive e lussuosi edifici termali. Si moltiplicarono i giardini e si crearono numerosi piccoli e grandi moli per l’attracco delle loro imbarcazioni.
N.B. Teniamo ben presente che il litorale di Baia per esempio , allora era molto più ampio di quello che vediamo oggi perchè buona parte di esso in seguito al fenomeno del bradisismo sprofondò con tutte le sue costruzioni . La linea costiera si abbassò di circa 10 metri ,portando alla perdita di numerosi edifici e monumenti che vennero sommersi dal mare e solo più tardi rinvenuti nel corso di ricerche archeologiche sottomarine .Oggi sono ancora visibili a circa quattro metri sotto l’attuale livello della spiaggia e fino a quattrocento metri dalla costa.
CURIOSITA’: La località di Baia divenne un luogo teso alla ricerca del piacere sia del corpo che dello spirito . I romani attratti dalla natura lussureggiante e dal clima temperato la scelsero come luogo per liberasi dagli stress della vita quotidiana. Essi venivano in questo luogo per riposarsi dalle fatiche di Roma . Le sue acque termali ed i loro effetti benefici divennero famose in tutto l’impero ed alcuni suoi particolari effetti collaterali , dovuti probabilmente ai vapori vulcanici ed al calore che agevola la circolazione del sangue venivano accettati di buon grado.
Un certo effetto collaterale erotico chiamato ” effetto Baia ” incominciò a diffondersi tra i suoi illustri visitatori che addossando la colpa al luogo si lasciavano andare alle loro più recondite perversioni.
Marco Lorenzio Varrone scrisse ” … non solo le ragazze diventano pubbliche prostitute, ma persino gli uomini anziani si comportavano da efebi e i giovanotti si concedevano come le ragazze per danaro … perchè comuni non furono solo le donne nubili …. ”
L’ effetto eros fu descritto da Ennio ( divertimento e giochi ) , da Seneca ( vizio ) , Marziale ( perdizione ), e molti persero il loro onore ed il loro amore . Il poeta Properzio per esempio scrivendo dell’amata e poco fedele Cynthia racconta ” ….siano maledette le corrotte acque di Baia : esse sono un delitto contro l’amore …. ”
L’amante del poeta Catullo, Clodia che amava trscorrere le vacanze a Baia , giunta in questo luogo si lasciava completamente andare al desiderio e all’appagamento di tutti i suoi sfrenati piaceri …. ( era ovviamente colpa delle corrotte acque ).
Di lei scrisse Cicerone : ” Tutti coloro che parlano di Clodia hanno sulla bocca piaceri, amori, adulteri, Baia, spiagge, orge, canti, concerti, gite in barca …..”
Seneca impaurito invece fuggi da questo luogo ” …. io sempre che posso , mi accontento di Baia , che , d’altra parte , ho lasciato il giorno dopo che l’avevo raggiunta : è una città che si deve evitare , quantunque abbia alcuni pregi naturali , perchè sembra che la dissolutezza l’ abbia scelta per frequentarla ….”
Baia come vedete era il posto più ambito nell’antica Roma e tutta la Nobilitas romana possedeva una casa nello splendido ed intrigante golfo . In questo luogo posto si fecero costruire la casa per la villeggiatura o almeno trascorsero le “vacanze ” diversi imperatori , tra cui ,Caligola, Claudio, Nerone, Domiziano, Adriano, Antonino Pio, Commodo, Alessandro Severo, Pompeo e lo stesso Cesare . Usavano passarvi l’estate in questo luogo anche personaggi come Licinio Grasso, Gaio Mario, Pompeo, gli Antonii, Varone, Cicerone , Ortensio , Marziale, Pisone , Augusto , , Adriano e la famosa madre di Nerone Agrippina.che nei campi flegrei possedeva più ville.
In origine era solo uno degli approdi della potente e ricca colonia greca di Cuma ma presto divenne famosa per la bellezza dei suoi luoghi ricchi di acque sorgive termali e di vapori caldi che sgorgavano numerosi e copiosi dappertutto : ai piedi delle colline, lungo la spiaggia e nel mare stesso . La bellezza del paesaggio, il suo clima mite , il verde delle colline , il suo ampio litorale , la resero la località più amata dalla nobiltà romana. Possedere una villa nel ” luogo più bello del mondo ” divenne al tempo addirittura una esibizione di potere e di ricchezza , un segno di prestigio e di affermazione sociale nonchè un obbligo mondano. A quel tempo tra Pozzuoli e Miseno si concentravano dunque decine di fastose dimore e lussuose ville dell’aristocrazia romana, e tra questa la più bella e ricercata fu quella fatta costruire dall’imperatore Nerone .
L’antica villa di Nerone sorgeva nel posto più pittoresco del magnifico golfo di Baia , un luogo che secondo Orazio , vinceva di gran lunga la competizione con le più belle spiagge dell’universo e dove l’aria possedeva un profumo così inebriante ed intrigante che, a detta di Properzio , una donna non poteva resistere più di una settimana alle tentazioni della lussuria .
Antica testmonianza della importanza storica dei campi flegrei è anche l’amena bella Capo Miseno che oggi per tutti noi è un delizioso luogo balneare .
Quello che infatti oggi noi vediamo è solo ció che rimane di un antico edificio vulcanico dei Campi Flegrei. .
Il Porto di Miseno nei Campi Flegrei è, in realtà, un cratere vulcanico, semisommerso, i cui bordi residui sono riconoscibili nel lungo isolotto ricurvo di Punta_Pennata e, di fronte a esso, nelle due punte di PuntaTerone e Punta della Sarparella..
NB. A Bacoli , non molto lontano dalla piscina mirabilis , si trova la piccola ed incantevole insenatura di Punta Pennata , dove in assoluto relax , su di una spiaggia denominata dello Schiacchetiello, ognuno di noi , dopo una bella visita ai tanti scavi archeologici presenti in zona può distendersi al sole e poi magari decidere fare un rinfrescante bagno tra gli scogli di tufo in un’ acqua limpida e cristallina il bagno .
Il piccolo affascinante angolo di paradiso , che si può raggiungere in barca o dalla Piscina Mirabilis, è avvolto da varie leggende mitologiche. Si racconta, infatti, che il mitico Ulisse, affascinato dalla costa flegrea approdò su questa meravigliosa spiaggia.
Di fronte ad essa si trova l’isola di Punta Pennata,che pare si sia formato in seguito al terremoto del 4 novembre del 1966, Esso secodo molti vecchi racconti di anziane personedel luogo, fece scomparire la sabbia che collegava Bacoli a questo lembo di terra ferma,
Diversi ritrovamenti archeologici, come pavimenti, resti di mura , ed un documento del IV secolo d.C. dell’imperatore Costantino , testimoniano le origini molto antiche, di questo tratto di terra . Molti infatti sostengono che l’isolotto fu anche sede del comando delle legioni “praetorium misenate”, infatti anticamente il porto di Miseno era sede della flotta militare.
Ritornati al nostro Capo Miseno , come potete notare in queta immagine , la grossa parte residuata del cratere, non è visibile da terra ma solo dall’alto . Essa appare grosso modo a forma di mestolo ed é visibile al meglio solo da un aereo.
Il luogo deve il suo nome alla leggenda che pone qui, il luogo dove fu seppellito da Ulisse il suo sciagurato compagno di avventura e trombettiere Miseno, gettato in mare e ucciso da un Tritone ( divinita’ marina). L’eroe battezzò quel luogo col nome del suo amato compagno ( Miseno ) in modo che venisse ricordato in eterno.
Il posto è molto suggestivo e ricco di storia . Qui infatti tanto tempo fa si trovava il porto alle dipendenze dall’antica città di Cuma ; mentre in epoca romana divenne sede della classis misenensis, la flotta navale romana che controllava tutto il Mediterraneo occidentale.
Il complesso portuale era composto da un doppio bacino naturale: quello più interno , detto Maremorto ), per l’aspetto stagnante delle sue acque ( oggi denominato Lago Miseno ) dedicato ai cantieri e alla manutenzione navale,ed uno esterno più grande che rappresntava il porto vero e proprio. Tra i due cera un ampio passaggio (oggi interrato) con un ponte girevole.
CURIOSITA’: In questo luogo Nerone fece uccidere la madre Agrippina, e vi morì anche l’imperatore Tiberio di ritorno dalla vicina isola di Capri.
Nel passato il luogo non era come oggi visto come punto dove prendere il sole e fare un bel bagno ma invece considerato un importante porto marittimo e militare . Da esso infatti, con una flotta ben attrezzata, i greci di Cuma dominavano tutto il litorale della Campania e lo stesso Dionisio di Alicarnasso, tiranno di Cuma riconobbe che una delle circostanze che portarono alla potenza navale del territorio cumano fu proprio il possesso del promontorio e del porto di Miseno.
L’importanza del luogo come porto militare si affermò successivamente anche in epoca romana, dapprima con le opere navali e militari volute da Agrippa durante la guerra civile tra Pompeo ed Ottaviano e poco dopo con la designazione da parte di Augusto di base navale del Tirreno alle dirette dipendenze dell’Imperatore tramite un prefetto.
CURIOSITA’: Misenum inizialmente fu sede di ville marittime; solo partire dall’inizio del I sec. d.C. ritornò alla sua primitiva vocazione militare. Augusto, dopo la battaglia di Anzio (31 a.C.), decise infatti di porre in questo la base della Classis Praetoria, cioè la flotta al diretto servizio della corte imperiale.
Tra i prefetti militari a capo della famosa prima prima flotta imperiale romana ( la classis Praetoria Misenensis ) si ricordano Tiberius Claudius Anicetus che mandò i suoi sicari ad assassinare Agrippina, madre di Nerone, e Plinio il Vecchio che morì durante l’eruzione del Vesuvio (79 d.C.).
CURIOSITA’: Capo Miseno, il Monte di Procida, le alture di Bacoli e la duna sabbiosa del litorale, venivano a formare con il loro doppio bacino il più bel porto naturale di tutta la costa campana cosi importante ed imponente che tutta la difesa marittima dell’Italia romanica venne ad essere ripartita principalmente tra Miseno e Ravenna.
Nella vicina località di Miliscola sorse un’ importante scuola per soldati romani mentre lungo il suo litorale la ricca nobiltà’ romana costruì numerose ed eleganti ville.
Tra le sontuose ville primeggiava quella del dittatore Caio Mario, poi acquistata da Lucullo, dove morì, nel 37 d.C. l’imperatore Tiberio, ma non si può dimenticare quella di Cornelia, figlia di Scipione l’Africano, mentre quella di Agrippina invece si trovava a Bacoli (vacua = terra incolta e deserta; boaulia = stalla di buoi, venne cosi’ chiamata in ricordo della sosta di Ercole con gli armenti sottratti a Gerione) dove oggi si può anche visitare il suo sepolcro.
Per fornire acqua alle strutture militari dell’enorme porto romano di Miseno i romani pensarono di costruire un gigantesco serbatoio, che era solo il punto terminale di una mastodontica opera capace di integrare l’acquedotto greco della bolla con quello Augusteo che portava a Napoli l’acqua del Serino (in maniera da fornire sia Napoli che la flotta romana stanziata a Miseno ).
Il terminale di questa enorme opera, ultimo punto di arrivo della grande opera idraulica dell’acquedotto del Serino, era nel gigantesco serbatoio della Piscina Mirabilis che fu realizzato in età augustea, e tutto scavato nel banco di tufo.
Lungo m.70, largo m. 25,50, alto m. 15, con una copertura poggiante su 48 pilastri cruciformi, poteva contenere circa 12.600 metri cubi di acqua, che grazie ad alcune ruote idrauliche, sollevavano l’acqua per canalizzarla verso l’abitato e il porto per il rifornimento della flotta misenate.
Nel visitarlo l’impressione e’ che si tratti di un tempio sotterraneo più’ che una cisterna.
Nel V secolo quando la sede dell’Impero si trasferì a Costantinopoli cominciò il lento declino di Miseno.
Insabbiato da un secolare interramento, oggi dell’antico insediamento militare, orgoglio della Cuma Greca e vanto dell’Impero Romano, non resta che uno specchio d’acqua circondato da un basso litorale sabbioso in cui è difficile riconoscere quella che fu la potenza militare di due grandi Imperi. Il luogo appare più simile ad un grosso stagno dove si possono ormeggiare sono solo piccole barche di privati e da questo appunto deriva il suo attuale soprannome di ‘Maremorto’.
Triste, strano nome per la piccola Miseno che deve il suo nome alla leggenda omerica che pone in questo luogo il sepolcro del compagno di Ulisse, Miseno , trasformato da Virgilio nel trombettiere di Enea.
La spiaggia dell’antico villaggio militare si trova ai piedi del promontorio di Capo Miseno e rappresenta l’ultima propaggine di terraferma del golfo di Napoli.
CURIOSITA’: Oltre alla Piscina Mirabile, a Bacoli c’è un’altra imponente cisterna romana: la cosiddetta Grotta della Dragonara. Essa completamente scavata nel tufo, con acqua che sgorga da una fonte termale, che la ha inondata, è visitabile grazie a una passerella pedonale sopraelevata. Utilizzata come rifugio e deposito nel Novecento, era probabilmente al servizio della villa marittima appartenuta a Lucullo (in cui secondo Tacito morì Tiberio)
Ubicata all’estremità orientale della spiaggia di Miseno , la cosiddetta “Grotta della Dragonara” pare debba il suo nome proprio dal termine latino.“roccioso”.
La visita si effettua su una passerella in ferro, poiché a causa del bradisismo il monumento è attualmente semi-sommerso. Si tratta di una cisterna romana a pianta quadrangolare divisa in cinque navate da quattro file di piloni ricavati nel tufo,foderati in opera reticolata e rivestita dal tipico intonaco idraulico che impermeabilizzava questo tipo di strutture. La cisterna, lunga circa m 60 e larga m 6, è coperta da una volta a botte con tre grandi aperture dotati di scale, oggi parzialmente visibili, e utilizzati per l’immissione dell’acqua e per le manutenzioni ordinarie. Contiene gallerie laterali che si diramano e si intrecciano tra loro formando un labirinto che per il visitatore, insieme all’effetto dell’acqua che invade il monumento, diviene assai suggestivo.
Le varie gallerie provvedevano al rifornimento idrico della flotta misenate, peraltro già abbondantemente soddisfatta nell’approvvigionamento idrico dalla nota Piscina Mirabilis , ma probabilmente potrebbe essere anche servita per approviggionare di acqua le strutture residenziali situate poco più a sud e visibili sul costone, attribuite dalla tradizione letteraria a Lucullo.
La villa disposta a terrazzamenti con ambienti che digradano fino al mare, attualmente insabbiati, era stata di Caio Mario, per poco tempo di Cornelia madre dei Gracchi e poi acquistata da Licinio Lucullo, ricchissimo personaggio politico del I sec. a.C., ed infine passata al demanio imperiale. È la residenza dove secondo Tacito vi morì l’Imperatore Tiberio. Nel medioevo il monumento era noto come “Bagno del Finocchio” per le abbondanti coltivazioni che lo circondavano.
CURIOSITA’. La grotta raffigurata nelle incisioni settecentesche e quindi tappa nei viaggi di cultura fra le antichità, appariva nei vari disegni sviluppata fin sopra l’arenile. Ultimamente grazie alle laboriose indagini di scavo che interessarono la Grotta e le zone limitrofe , sono venute alla luce importanti resti di un ninfeo e di cisterne.
Sulla stessa striscia di terreno di Miseno , anticamente occupata dai principali edifici dell’antica Misenum, la cittadina romana sede della Classis Misenensis, la flotta navale più potente dell’impero , possiamo oggi ammirare i resti archeologici del celebre ” Sacello degli Augustali . Un edificio dell’epoca romana realizzato in epoca giulio-claudia dedicato al culto dell’imperatore Augusto e sede del locale collegio degli Augustali; fu risistemato alla metà del II secolo d.C. su commissione di Cassia Victoria per onorare il marito L. LaecaniusPrimitivus, un sacerdote Augustale la cui accresciuta ricchezza era probabilmente legata ad attività di commercio marittimo, a cui si riferiscono certamente il rilievo con la nave e il delfino che occupava gli spazi angolari del frontone.
Il saccello venne distrutto alla fine del II secolo, probabilmente da un terremoto; i suoi resti sono attualmente semisommersi a causa dei fenomeni di bradisismo che caratterizzano l’intera area . I resti dell’antica struttura si trovano addossate al costone tufaceo, oggi in parte crollato.
Il culto degli Imperatori era curato dai sacerdoti augustali (Sacerdotes Augustales ) anche chiamati Sodales Augustales . Essi erano un collegio sacerdotale istituito dall’imperatore Tiberio nel 41 d.C. per il culto del Divo Augusto e della Gens Iulia sull’esempio dei Sodales Titii creati da Romolo. Il collegio era composto da 21 sacerdoti estratti a sorte tra i maggiori esponenti della nobiltà . Quando uno di essi moriva , il posto vacante veniva rimpiazzato tramite cooptzione su indicazione dell’imperatore o del Senato. Essi erano presieduti da tre magistri annuali e da un flamine nominato a vita dall’imperatore.
Come membri dell’alta gerarchia sacerdotale, gli Augustales godevano di vari privilegi: avevano posti riservati al Teatro si sedevano su selle curuli e figuravano nelle cerimonie religiose più importanti.
CURIOSITA’: Sulle figure degli Augustali è nota la colorita testimonianza di Petronio che nel suo Satyricon fa del liberto Trimalchione, un servilesaugustales, il suo personaggio chiave, delineando un tipico rappresentante di chi si è elevato rapidamente a una condizione economica e sociale superiore, senza avere tuttavia acquistato le maniere e lo stile
Col tempo furono create nuove confraternite per il culto di ogni imperatore divinizzato. Così alla morte di Claudio furono creati i Claudiales che si aggiunsero agli Augustales assumendo così il titolo di Augustales Claudiales. Alla morte di Vespasiano furono creati i Flaviales i che aggiunsero il nome di Titiales alla morte di Tito. Alla morte di Adriano furono creati gli Ha drianales e alla morte di Antonino Pio furono creati gli Antoniniani . Questi furono gli ultimi e a loro fu affidato il culto di ogni nuovo Divo aggiungendone il nome: così si ebbero gli Severiani .
Successivamente, a causa del fenomeno del bradisismo, la struttura fu distrutta e rimase dimenticata e nascosta fino al 1967, anno della scoperta archeologica.
All’interno sono state rinvenute statue di alcuni imperatori (Vespasiano, Tito e Nerva) e di divinità (Asclepio, Apollo e Venere), attualmente tutte esposte al Museo archeologico dei Campi Flegrei di Baia , situato nel Castello Aragonese di Bacoli .
In questo museo è stato conservato anche il magnifico frontone del Sacello nel cui timpano si scoprono due vittorie che reggono una corona di quercia e, negli angoli, una prua di una nave e un delfino.
Il Sacello, oggi parzialmente sommerso dalle acque di una falda acquifera è ripartito in tre ambienti principali che erano parzialmente scavati nel tufo. Il principale è quello centrale, sopraelevato rispetto agli altri.
La cella è rettangolare, mentre la parete di fondo ospita un’abside scavata nel tufo. L’altare era situato all’esterno e vi si accedeva per mezzo di un’ampia gradinata marmorea.
Adiacente al Sacello degli Augustali c’è il teatro romano, ad oggi ancora poco indagato , sia perché a causa del bradisismo parte del monumento si trova al di sotto del livello del mare e sia perché la parte superiore è inglobata in costruzione moderne.
Il monumento, appartenente al II sec. d.C. ,doveva comunque essere a tre ordini di ambulacri ad arcate costruiti contro il costone retrostante. Alla porzione visitabile si accede mediante una galleria sotterranea aperta nell’area demaniale; si entra in un tratto del corridoio mediano coperto da volte a crociera,che sorregge il livello medio delle gradinate, costruito in opera laterizia con listature in opera vittata,con gli imbocchi dei corridoi radiali che conducevano al corridoio interno e alla cavea stessa, oggi del tutto tamponati.In corrispondenza della tredicesimaarcata si apre una galleria rettilinea, in origine aperta sulla via Herculanea e da cui si accedeva tramite rampe, che oggi per effetto del bradisismo regala al visitatore una vista inaspettata su una piccolissima insenatura delle acque del Golfo di Miseno. Resta invece inglobata in una proprietà privata adiacente una parte dell’ambulacro superiore e una piccola porzione di un’arcata in laterizi e di una scala, probabilmente di accesso alla summa cavea se non all’attico.Gli scavi condotti nel 2003 nell’area demaniale attorno al teatro hanno individuato strutture relative ad un’area pubblica, probabilmente pertinenti alle adiacenze del teatro stesso o all’area del Foro. L’edificio fu abbandonato gradualmente, fino all’interro definitivo agli inizi del V sec. e una frequentazione dell’area non oltre il VII sec. d.C.
Il monumento, come tutta l’area flegrea, ha da sempre attirato l’attenzione dei viaggiatori e degli eruditi del ‘700 – ‘800. Lo studioso Paoli nel descrivere l’edificio ricorda dell’accesso dal Porto e da qui sulla via Herculanea direttamente nei corridoi del teatro, per il quale dice “per dove venissero agli spettatori que’ di Baja, i quali, senza neppure girare il promontorio, potevano attraversare quelle grotte navigabili, ch’erano nell’opposta collina”.
Ma nelle vicinanze di Bacoli esistono tante testimonianze di grandezza e bellezza: una zona diventata come predentemente accennato anche rifugio di ricchi patrizi romani che costruirono le loro grandi ville.
Nel territorio è infatti presente l’antico complesso arcgheologico romani denominato ” Cento Camerelle “, cioè un antico impianto idrico dotato di due cisterne, uno al piano superiore ed uno al piano inferiore , il cui edificio vantava numerosi vani distribuiti in altezza su tre o quattro vani . Esso era un edificio appartente al console romano Quinto Ortensio Ortalo ma in seguito appartenne addirittura a Nerone ed infine a Vespasiano.
L’edificio completamente scavato nel tufo strutturato in una serie di csterne realizzate in opus reticulatum . Le due parti sovrapposte appartenenti ad epoche diverse ,sono caratterizzate al piano superiore da un ampio serbatoio di epoca imperiale , mentre al livello inferiore da una serie di cunicoli , datati all’età repubblicana , che servivano all’approvigionamento idrico .
L’edificio , come vedete fu costruito a picco sul mare di Miseno ,, mentre l’attuale nome gli fu attribuito nel tardo seicento , anche se nello stesso periodo venne più volte identificato col nome di ” prigioni di Nerone .
Nel comune del Monte di Procida esiste comunque anche un piccolo isolotto di circa 16000 metri quadrati che in passato probabilmente era collegato alla terraferma costituendone un promontorio . In seguito a vari eventi geologici ( presumibilmente un maremoto oppure a frequenti movimenti tellurici ) , la lingua di terra che teneva unito questo lembo di paradiso al Monte di Procida inizio’ a dissolversi fino a scomparire del tutto . L’isolotto quindi si stacco dalla terraferma e ad oggi ad esso si accede solo attraverso uno stretto tunnel ed un pontile .
L’isolotto è costituito da un materiale tipico dei campi flegrei : la pozzolana , la cui estrazione ne ha causato una riduzione dell’altezza di circa 16 metri .
L’isolotto sembra quindi non avere un buon rapporto con l’uomo .
Venne infatti dapprima per lungo tempo utilizzato dai procidani come punto base per la pesca del tonno e poi utiliazato ( dal 1917 ) come stabilimento industriale per il collaudo di siluri . Solo dal 1960 è diventato polo di attrazione turistica offrendo a tutti la possibilità di ammirare reperti storici ed un fondale marino da esplorare . ma per l’isolotto no c’è pace. La zona, negli ultimi anni, spesso è stata interessata da numerosi frane del costone adiacente al ponte.
Per l’Isolotto è quindi cominciato un lento ma inesorabile degrado, con un primo crollo verificatosi nel marzo del 2016 che ha diviso il ponte in due parti. Ovviamente il danno non venne immediatamente ripristinato , e ultimamente è crollata anche una nuova parte del ponte., con il conseguente isolamento di uno dei posti più suggestivi del nostro golfo .
Le cause del crollo sono le forti mareggiate ed il vento di scirocco che hanno colpito i Campi Flegrei. Ora, come si può vedere dalla foto , resta ben poco del ponte che in passato collegava l’isolotto con la terra ferma.
Il vicino Castello di Baia, anch’esso facente parte del comune di di Bacoli, a noi tutti noto sopratutto per essere la sede del Museo Archeologico dei Campi Flegrei. , come vedete dalle foto è eretto su un promontorio, a picco sul mare, da dove domina per intero il Golfo di Pozzuoli fino a Procida, Ischia e Cuma. Ma ció che lo rende davvero unico sono le retrostanti bocche eruttive dei Fondi di Baia che, nelle foto , sono chiaramente visibili con la loro cinta semicircolare. Questi sono altri due grandi crateri del nostro territorio .
Sono quelli che vengono definiti “la coppia gemella ” dei crateri di Baia .
Baia , come molti sanno è stata l’area dei campi flegrei che più ha risentito del bradisismo. Il fenomeno meteorologico ha fatto lentamente scivolare nella acque antistanti il golfo gran parte degli insediamenti architettonici del vecchio insediamento greco romano. Muri, pavimenti a mosaico, statue e strade lastricate giacciono sui fondali marini fino a quattrocento metri dalla costa.
L’antico insediamento di Baia sorgeva all’interno di una piccola insenatura del golfo di Pozzuoli ed in origine era uno degli approdi della potente e ricca colonia greca di Cuma.
CURIOSITA’: Il suo nome deriva da Baio, uno dei compagni di Ulisse che la tradizione vuole fosse stato qui sepolto dall’eroe greco.
Fu una località molto ambita dalla nobiltà romana, famosa per il suo clima mite, la bellezza del paesaggio, il verde delle sue colline e per le sue acque termali che divennero famose per il potere curativo e terapeutico su molti mali.
Le sue rinomate sorgenti termali erano diffuse ovunque e i suoi vapori caldi sgorgavano copiosi dappertutto: ai piedi delle colline, lungo la spiaggia e nel mare stesso. Tra queste, sorgeva una zona particolare chiamata ” bagno virgiliano ” in cui Virgilio, grande studioso delle acque, pare fosse riuscito ad identificare le virtù terapeutiche di ogni singola fonte. Il poeta dopo numerosi studi ed esperimenti aveva fatto costruire accanto ad ogni sorgente una serie di statue e di iscrizioni che indicavano la parte del corpo che bisognava immergere e le malattie curate da quel particolare tipo di acqua. Nel tempo questa zona divenne talmente famosa che la gente accorreva numerosa per curare i propri mali preferendolo addirittura alla classe medica.
La classe medica, in particolare quella Salernitana (all’epoca assai famosa), subirono con gran gelosia questa zona dove i pazienti preferivano affidarsi alla potenza dei bagni piuttosto che alla loro scienza. L’invidia e la gelosia arrivarono al punto da portarli a macchiarsi dell’ignobile gesto di distruggere di nascosto tutte le iscrizione e le statue, cosi che nessuno potesse più distinguere le acque secondo i loro poteri.
Ancora oggi, visitando questi luoghi possiamo ammirare affascinanti luoghi adibiti all’epoca a terme . Tra questi veniamo colpiti dalle oramai famose terme di Mercurio caratterizzate dalla presenza del grandioso “frigidarium”, un ambiente a pianta centrale con una grossa cupola ,adibito un tempo a bagni freddi, un “apodyterium”,( odierno spogliatoio )e un “laconium”, ricavato nel fianco della collina. Ma non vanno dimenticate la villa dell’Ambulatio, il settore della Sosandra, ed infine il settore di Venere che comprendeva due grandi sale termali.
Tra le piu’ famose terme ancora oggi funzionanti non bisogna dimenticare il Sudatorio di Trivoli detto ‘ Terme Stufe di Nerone ‘che si trova tra Bacoli e Pozzuoli in un luogo dove ai tempi dei romani sorgevano le cosidette Terme Silvane con vista sul lago di Lucrino ,dedicate a Rea Silvia , madre di Romolo e Remo,
La struttura è databile al II secolo ed era un ninfeo tutto aperto verso il lago di Lucrino che si trovava ai monti di una collina ( dove si trova una sorgente ancora oggi molto attiva ) che convogliava vapore caldo tramite cunicoli nelle varie stanze dove si trovavano letti completamente scavati nel tufo.
Nel tempo, le colline e il litorale di Baia divenute presso Roma assai famose cominciarono rapidamente a coprirsi di sontuose ville di patrizi romani per i quali divenne segno di prestigio e di affermazione sociale possedere una villa a Baia, considerata all’epoca il luogo più bello del mondo ed il più ambito per passarvi l’estate.
Divenne quasi un obbligo mondano e al tempo stesso un’esibizione di potere e di ricchezza possedere una villa a Baia o quantomeno nei campi flegrei.
Nonostante il massivo insediamento della società mondana ed elegante di Roma con la costruzione di ricche ville, il luogo non ebbe mai una autonomia politica o amministrativa, rimanendo per tutto il tempo del suo splendore un ameno posto di villeggiatura di lussi sfrenati, costumi licenziosi, avventure, ambienti ed atmosfere ambigue.
Ebbero ville a Baia e lungo il suo litorale Licinio Crasso, Caio Mario, Cesare, Pompeo, gli Antonii, Varrone, Cicerone, Ortensio, Agrippina, Pisone, Marziale, Nerone e tanti altri.
Tutta la zona venne quindi frequentata dai personaggi più in vista della capitale e questi luoghi diventarono di conseguenza occasioni di incontri politici e di affari oltre che di cultura, lussi e lussuria. Baia era il regno delle acque consacrate a Venere e le sue accoglienti acque ed i suoi bagni ( ma tutta la zona in particolare ) furono famosi per la loro promiscuità. Nei famosi bagni di Baia in atmosfere rarefatte di oli, profumi ed essenze naturali, i corpi si lasciavano andare alle gioie della vita in cerca della guarigione sia del corpo che dell’anima.
Dopo la guerra civile, Baia divenne invece un dominio ed una residenza Imperiale e lentamente le antiche ville entrarono a far parte di un’unica grande magnifica Villa Imperiale. Questo fece assumere a Baia un aspetto ancora più grandioso e lussuoso: tutto il litorale e le pendici dei colli sembravano quasi una sola grande villa con moli e insenature, con vivai di pesci e coltivazioni di ostriche, piscine sportive e per cure termali che dal mare risalivano come una corona fino alla cima delle colline circostanti.
Per effetto del bradisismo, gran parte della città e del suo litorale è oggi sommersa dal mare trovandosi a circa 4 – 16 metri sotto il livello attuale della spiaggia. I fenomeni eruttivi e bradisismici della zona hanno fatto scomparire la maggior parte dei grandiosi monumenti di Baia.
E’ oggi possibile con escursioni con battello dal fondo trasparente osservare resti di ville sommerse, colonne, reperti archeologici, fauna marina e fenomeni vulcanici sottomarini stando comodamente seduti in una barca mentre questa viaggia sotto il livello del mare.
Esiste anche un percorso di visita per subacquei.
Dal mese di agosto 2002 e’ stato istituito il parco archeologico sommerso di Baia che e’ stato equiparato ad area marina protetta sotto il patronato della soprintendenza per i beni archeologici di napoli e caserta. L’area archeologica conserva diversi edifici termali come il Tempio di Diana, quello di Mercurio e quello di Venere con un’ampia zona anche sommersa. Poi la Villa di Servilio Vatia sulle rocce di Torregaveta, e le famose Terme Stufe di Nerone un antico centro termale di origine romana.
Esistono visite guidate mirate per osservare il Parco Archeologico sommerso con cui si possono osservare i resti di antiche ville (villa dei Pisani, villa Protiro, villa marittima di marina grande, villa antistante il Castello Aragonese ), la secca delle fumose, la torre del faro di Miseno, il presepe, il Ninfeo Sommerso e il famoso Porto julius .
Vi è un ultimo lago di cui dobbiamo raccontarvi . Si tratta di un lago costiero dalla forma trapezoidale che in origine era però un ampio golfo aperto sul mare; la duna sabbiosa che lo separa dal mare si sono formate a partire dal I secolo d.C..
Parliamo ovviamente del Lago Fusaro al cui centro del piccolo laghetto del Fusaro, su un piccolo isolotto di origine vulcanica, collegato alla terraferma tramite un antico ponticello in legno, sorge in questo posto , un bellissimo casinò reale, fatto costruire da Ferdinando IV nel 1782 dall’architetto Carlo Vanvitelli.
Il re fece costruire questo splendido sito quale luogo di riposo e di svago (spesso peccaminoso) dove potersi rifugiare lontano dalla sua corte e dai problemi che essa comportava.
Il luogo permetteva certamente la pesca e sopratutto la caccia stagionale di cui Ferdinando era grande appassionato. Egli infatti amava molto questo luogo, tanto da dedicarlo alla sua seconda moglie morganatica Lucia Migliaccio, Duchessa di Floridia.
L’edificio di pianta poligonale è composto da due piani ed all’epoca doveva essere incantevole rifinito in ogni particolare e rivestito con preziose sete di San Leucio.
Vi erano affissi dei quadri stupendi ed in particolare il “Ciclo delle quattro stagioni” di Hackert andato perso o rubato.
Filippo Hackert dipinse il ciclo delle quattro stagioni rappresentando in ogni tela una località: la primavera a San Leucio, l’estate a Santa Lucia di Caserta, l’autunno a Sorrento e l’inverno a Persano.
Purtroppo gli splendidi arredi interni furono saccheggiati durante le tumultuose vicende della Repubblica Partenopea nel 1799 ed in seguito nella seconda guerra mondiale quando tutta l’area venne sequestrata dalle truppe alleate.
CURIOSITA’: Nell’antichità era identificato con la mitica Acherusia palus, la palude infernale formata dal fiume Acheronte.
Lungo le sue sponde i romani costruirono numerose ville e stabilimenti termali. In età medievale il lago fu utilizzato per la macerazione della canapa e del lino diventando un infusarium (bagnare, o anche inzuppare d’acqua) da cui l’origine del nome.
La Casina Vanviteliana Concepita nel XVIII secolo come sito di caccia e di pesca dei borbone , la piccola casina diventò in seguito meta di ospitalità e soggiorno di artisti, uomini di cultura e capi di stato in visita alle antichità del Regno. Fra i tanti ricordiamo Mozart, Rossini, Metternich, lo Zar di Russia, Vittorio III, e il presidente Einaudi.
La casina Vanvitelliana , una elegante palazzina in stile rococò collegato alla terraferma da un ponticello, ancora oggi resta per tutti un posto incantevole da visitare.
Il contrasto dell’edificio che sembra sorgere dalle acque con la natura circostante, ci proietta in un’immagine fiabesca di altri tempi.
Per agevolare il ricambio d’acqua all’interno del Lago , esso ha tre canali artificiali costruiti in epoche diverse: il primo scavata dai romani sotto la collinetta di Torregaveta e chiamato “La foce vecchia “, di cui però resta poco , un secondo di epoca borbonica fatto a suo tempo per volere di Francesco II ( foce centrale ) ed infine un terzo chiamato la Foce Nord.
Tutte testimonianze di un passato ameno e memorabile, non sempre giunto fino a noi proprio a causa della morfologia mutevole dell’area. “La regione più meravigliosa del mondo; sotto il cielo più puro, il terreno più infido” scriveva Goethe sul finire del XVIII secolo, a sottolineare come la natura materna e accogliente non nascondesse, qui, il suo lato più inquietante e a tratti pericoloso.
N,B, Nel secolo scorso i campi ardenti divennero per i viaggiatori anche una tappa fondamentale di quel Grand Tour ottocentesco del programma di formazione a cui si doveva attenere qualsiasi europeo che si vantasse di essere colto e viaggiatore poichè solo in questo luogo egli poteva trovare immediato riscontro fatto dai suoi studi sui poemi , sui classici latini e greci ma anche sui misteri della natura e dei vulcani con i suoi diversi crateri .
Oggi quelle grandi lingue di fuoco alte nel cielo, che agli occhi degli antichi navigatori apparivano terrificanti e meravigliosi al tempo stesso , non sono fortunatamente più visibili .
La stessa forma di vulcano a cui siamo concettualmente abituati non esiste più
Oggi se quei famosi navigatori greci , giungevano nella stessa meravigliosa insenatura del nostro golfo , non trovavano nessun vulcano e nessuna lingua di fuoco,, e probabilmente mai si sarebbero accorti che il vulvano ugualmente c’è …. ma non si vede. .
Il vulcano nella sua forma classica ( tipo Vesuvio per intenderci ) non è più riconoscible perchè collassato grazie alla forza di due grandi eruzioni esplosive di elevata energia, Esse per volume e velocità di magma furono talmente violente da causare un cedimento delle rocce sovrastanti la superficie e quindi dar luogo ad una fuoriuscita di tutto il magma dal serbatorio della camera magmatica , dando origine come un foruncolo che scoppia , ad un’area depressa sub-circolare o ellittica, bordata da numerosi coni e crateri vulcanici.
Essa quindi come vulcano mostra una singolare struttura : non è un vulcano dalla forma di cono troncato ma una vasta depressione ( caldera )che ha un’estensione di circa 180-200 km2.
N.B. “Caldera” è un termine che in spagnolo vuol dire anche “padella” e indica proprio il tipico tegame utilizzato per preparare la paella: largo e con i bordi molto bassi. La stessa struttura che hanno i Campi Flegrei : una zona circolare , collassata e crivellata nel suo interno, negli ultimi 15.000 anni da oltre 70 eruzioni che hanno formato edifici vulcanici, crateri e laghi vulcanici ancora ben visibili come Astroni, la Solfatara e il lago di Averno.
L’intera area, dei Campi Flegrei vista dall’alto, mostra come vedete una morfologia molto particolare: non c’è un singolo edificio vulcanico che domina il paesaggio (come nel caso del Vesuvio, dell’Etna e di tutti i vulcani più celebri) ma è caratterizzata dalla presenza di tanti coni vulcanici, poco elevati,i distribuiti su un’area depressa chiamata caldera, attiva da oltre 80mila anni e formatasi a seguito di (almeno) due grandi eruzioni esplosive del passato, l’Ignimbrite Campana (40.000 anni fa) e il Tufo Giallo Napoletano (15.000 anni fa) che hanno “svuotato” il serbatoio magmatico e fatto collassare il tetto.
L’eruzione dell’ignimbrite campana che avvenne nell’attuale zona dei campi flegrei è considerata ancora oggi la più grande eruzione del Mediterraneo mai verificatasi ;per capirne l’importanaza pensate che l’eruzione fu di dimensioni tali che le sue ceneri sono state ritrovate nel Mar Tirreno, nel Mediterraneo Orientale fino addirittura in Russia . In quell’occasione vennero emessi 150 km3 di magma e l’intera Campania venne seppellita da uno spesso strato di tufo.
Il secondo fenomeno eruttivo come importanza nell’area campana si è avuto circa 15 mila anni fa . Esso ha prodotto decine di metri cubi di magma, sufficienti a coprire un’area vasta circa 1000 km2.
Essa permise la formazione di una colonna eruttiva alta tra i 23 e i 38 km di altezza! Il collasso della colonna, come spesso accade in questi casi, originò flussi piroclastici (chiamati “nubi ardenti”) che continuarono per circa 7 ore ad una velocità di circa 792 km/h.
Ovviamente , il potere distruttivo di questo evento fu enorme: per avere un termine di paragone, durante l’eruzione dell’ignimbrite campana furono eruttati 67 km3 di materiale, mentre nell’eruzione di Pompei ed Ercolano “solo” 6-8 km3.
Bisogna anche considerare che lo spessore dei flussi piroclastici fu di circa 1,5 km mentre le montagne della zona non superavano i mille metri: per questo motivo la nube ardente riuscì senza problemi a superare alcune vette, propagandosi anche verso l’entroterra Campano, arrivando anche a 80 km di distanza dai Campi Flegrei.
Un’eruzione di questo tipo causò poi uno svuotamento della camera magmatica che, collassando, diede vita ad una depressione chiamata “caldera”. Non a caso la tipologia di vulcano a cui appartengono i Campi Flegrei è conosciuta proprio come “grande caldera”.
Nonostante lo sviluppo delle fasi eruttive siano state piuttosto simili (si tratta infatti di eruzione pliniana in entrambi i casi), le cause scatenanti sono state certamente diverse : nel primo caso si pensa che si ebbe un aumento della pressione dei gas (il classico modello paragonabile al tappo di spumante che salta) mentre il secondo fu scatenato da importanti infiltrazioni di acqua che, interagendo con il magma, diedero luogo ad una cosiddetta eruzione freatomagmatica. I depositi associati a questa eruzione sono riscontrabili dalle pendici dell’Appennino fino alla Piana Campana e, durante questa fase eruttiva, si è verificato l’ultimo (per il momento) collasso della caldera che ha permesso di ottenere la conformazione attuale.
Al termine della prima colossale eruzione quindi, circa due terzi della Campania si ritrovarono quindi coperti da uno strato tufaceo spesso circa 100 metri, Napoli compresa. A questo materiale venne poi anche aggiunto quello di una successiva eruzione, quella del “tufo giallo napoletano”, avvenuta circa 15 mila anni fa sempre nella stessa area e sempre relativa ai Campi Flegrei. Tutto questo materiale permise in epoche successive di cavarlo per realizzare materiali da costruzione, gallerie, acquedotti e ripari: insomma, permise la nascita di quella che oggi viene chiamata Napoli Sotterranea, un ncredibile rete di cunicoli e gallerie che si snoda sotto la città.
Il tufo giallo venuto fuori da queta eruzione è quello che maggiormante ha poi caratterizzato nella sua conformazione morfologia e geologica il territorio partenopeo . Questo materiale ha dato luogo infatti ad un nostro suolo composto da roccia tufacea che ha caratteristiche di leggerezza, friabilità e stabilità del tutto particolari. Questo ha fatto modo che già cinquemila anni fa i primi abitanti del Golfo scavassero la pietra tufacea di origine vulcanica del sottosuolo napoletano per reperire materiale idoneo alla costruzione delle proprie dimore.
Successivamente anche i greci pensarono di ricorrere all’estrazione di tufo dal sottosuolo per la costruzione della città facendo sorgere così le prime cisterne che altri non era che un vuoto tecnico rimasto dopo la raccolta del materiale tufaceo.
Le cisterne nacquero infatti come risorsa di materiale tufacea per permettere ai Greci la costruzione delle mura della città di Neapolis che stava man mano allargandosi. I coloni greci usarono il tufo (materiale abbondante e di facile lavorazione), per costruire le loro fortificazioni, templi ed abitazioni. Il materiale da costruzione veniva ricavato direttamente dal sottosuolo sopra al quale si edificava. Così man mano che Neapolis cresceva si andava formando in profondità una immagine speculare della città, conferendo a Napoli la speciale caratteristica di essere generata dalle proprie viscere.
Possiamo quindi realmente dire che le prime trasformazioni della morfologia del territorio, avvennero ad opera proprio dei Greci a partire dal 470 a.C..
Il tufo veniva estratto secondo una tecnica innovativa: venivano inseriti dei pali di legno all’interno di crepe naturali, così che i blocchi di tufo venissero estratti con maggior facilità senza danneggiare la struttura portante della cava, successivamente i massi venivano “marchiati” per segnalare da quale cava era stato estratto ; infatti, è possibile scorgere graffi e simboli appartenenti al IV secolo a.C. rappresentanti appunto l’appartenenza a quella precisa cava.
Le cisterne nate in seguito all’estrazione di tufo dal sottosuolo per la costruzione della città, vennero poi ampliate ed adattate per raccogliere acqua piovana in epoca romana ed essere adibite ad acquedotto.
I Romani infatti nei primi secoli dopo la nascita di Cristo , in seguito all’ avvenuta esigenza di un adeguato approvvigionamento idrico della città ,decisero di sfruttare le “cisterne” trasformandole in un acquedotto che trasportasse l’acqua dal lontano fiume Serino dell’Irpinia sino alla città crescente, secondo un preciso sistema di cunicoli e reticoli fatto di particolari fori sulla volta del sotterraneo non molto larghi che possiamo notare proprio lungo il cammino del nostro percorso.
I romani continuarono quindi l’opera di scavo per ricavare il materiale da costruzione, ma provvidero anche a collegare tra loro le varie cave con cuniculi, tunnel e canali per convogliarvi le acque del Serino, una fonte di acqua che si trovava a ben 70 Km da Napoli, e trasformarle così in vere e proprie cisterne. Fu così realizzato, grazie a questa serie di cisterne collegate ad una fitta rete di cunicoli, un vero e proprio acquedotto che permetteva di raccogliere e distribuire acqua potabile ad ogni luogo. Larghi quel poco che permetteva il passaggio di un uomo, i cunicoli dell’acquedotto si diramavano in tutte le direzioni, con lo scopo di alimentare fontane ed abitazioni situate in diverse aree della città. In questo modo da ogni casa, tramite un pozzo, si poteva accedere alla cisterna sottostante e approvvigionarsi d’acqua.
Lo stesso sistema di trasporto fu usato anche per raggiungere Miseno e fornire di acqua la Piscina Mirabilis, un gigantesco serbatoio il cui scopo era quello di fornire acqua alle strutture militari della flotta romana insediata nell’enorme porto romano di Miseno.
Durante il periodo Angioino nel 1266, la città conobbe una grande espansione urbanistica cui, ovviamente corrispose un incremento dell’estrazione del tufo dal sottosuolo per costruire nuovi edifici. Per evitare l ’espansione incontrollata delle costruzioni si rese pertanto necessario emanare una serie di leggi che proibiva di trasportare in città materiale da costruzione. I cittadini, per evitare sanzioni e soddisfare la necessità di ampliamento urbanistico, pensarono bene di estrarre il tufo sottostante la città, utilizzando e sfruttando i pozzi già esistenti, e ampliando le cisterne sottostanti.
Il sistema creato dai romani, accresciuto ed ampliato nei secoli successivi fu usato fino al seicento fino a quando si cominciò a costruire un nuovo acquedotto parallelo: così lentamente le cisterne andarono svuotandosi, avendo perso la loro funzione originaria, anche se una parte del sistema rimase in funzione fino ai primi del Novecento, quando fu definitivamente abbandonato.
Nel 1600 la fognatura e le cisterne pluviali erano inservibili e, da questo momento, la fognatura si prosciugò e rimase vuota per essere trasformata in fognatura. Solo nel 1885, dopo una tremenda epidemia di colera, venne abbandonato l’uso del vecchio sistema di distribuzione idrica e costruito un nuovo acquedotto, grazie sopratutto all’impegno del facoltoso nobile napoletano Cesare Carmignano.
Cesare Carmignano costruì il nuovo acquedotto che ancora oggi è in funzione e solo agli inizi del XX secolo si è smesso di scavare nel sottosuolo per abbandonare definitivamente una rete di cunicoli e cisterne di oltre 2.000.000 m², diffusa per tutta la città.
I sotterranei riitornarono poi utili durante la seconda guerra mondiale quando furono riutilizzati come rifugi antiaerei per proteggersi dai disastrosi bombardamenti che colpirono la città.
Dopo la grande eruzione di tufo giallo avvenuta circa 15000 anni fa, la grande area della caldera, è andata incontro ad altre 70 eruzioni. L’ultima delle quali risale al 1538 ma fu una eruzione giunta dopo 3400 anni di silenzio eruttivo.
Essa è stata preceduta da una breve ma consistente fase di sollevamento del suolo che in due anni raggiunse 19 metri e ha dato poi origine al vulcano Monte Nuovo
L’eruzione, pur essendo stata fra le minori dell’intera storia eruttiva dei Campi Flegrei, ha interrotto un periodo di quiescenza di circa 3000 anni , dando origine nel giro di pochi giorni, al cono di Monte Nuovo, alto circa 130 m.
NB.. Il Monte Somma ha una circonferenza di circa 80 km e copre un territorio di circa 480 km².13 Dopo l’eruzione del 79 d.C., la montagna ha cambiato completamente forma. Prima aveva probabilmente soltanto una cima che è crollata durante l’eruzione. Si è formata la caldera enorme del Monte Somma, dalla quale oggi vediamo soltanto la parte settentrionale, la Punta del Nasone, alta 1132 metri.
Da allora, l’attività ai Campi Flegrei è caratterizzata fortunatamente da fenomeni di bradisismo, attività fumarolica ed idrotermale localizzata nell’area della Solfatara.
N.B Il termine bradisismo deriva dal greco e indica un movimento molto lento del suolo, caratterizzato da un sollevamento seguito da abbassamento di entità molto minore. Questo fenomeno è legato a delle spinte provenienti da parti un po’ più profonde della crosta, per risalita di magma o immissione di gas più caldi e profondi che vanno a espandere il sistema geotermico che giace sotto i nostri piedi ai Campi Flegrei e che risulta evidente nelle manifestazioni alla Solfatara.
I cittadini di questa zona, (soprattutto della città di Pozzuoli) convivono sin dalla nascita con questo fenomeno del bradisismo ,e per monitare quello che viene soprannominato il “respiro vulcanico” si servono di alcune colonne di un antico Tempio . Esso invaso dalle acque termo minerali che scaturiscono dal sottosuolo mostra sulle sue restanti antiche colonne i segni del bradisismo poichè le stesse vengono puntualmente sommerse o riemergere in sincronia con gli avvenimenti geologici causati da cicli di sollevamento e abbassamento del terreno a causa di risalita di fluidi magmatici .
Le tre colonne in marmo cipollino del Tempio di Serapide di Pozzuoli ,rappresentano da tempo , quindi , un ottimo sensore per la popolazione del luogo. Esse infatti , come vedrete, presentano evidenti tracce di fori praticati da particolari organismi marini chiamati litodomi che involontariamente testimoniano l’alterno movimento bradisismico della zona..
Queste colonne con i loro fori testimoniano da sempre le varie variazioni del livello del mare nel corso dei secoli. In realtà, non è tanto il livello del mare a cambiare, quanto piuttosto il livello del suolo!
N.B. monitorare costantemente il livello del terreno, permette di comprendere quando si è in fase di sollevamento o di discesa. Il problema è infatti legato alla fase ascendente: è quando la terra sale che si creano i terremoti. Questo lo sa bene chi, negli anni ‘70 e ‘80, ha vissuto in queste zone. Nel 1970-1972 e nel 1983-1984 parte della città di Pozzuoli fu evacuata a causa di continui sciami sismici legati a due intense crisi bradisismiche flegree che comportarono un sollevamento complessivo di 150-170 cm e 180 cm rispettivamente.
Curiosita’ : Il Tempio di Serapide venne fatto costruire dall’Imperatore romano Vespasiano , come segno di ringraziamento per l’appoggio ricevuto nella lotta controun ottimo sensore il rivale Vitellio, . Esso venne cosstruito insieme ad altri splendidi monumenti come l’Anfiteatro Flavio ( così denominato per distinguerlo da quello più antico di età augustea),Il nome Sarapeum o Tempio di Serapide, erroneamente attribuitogli deriva solo dal ritrovamento all’interno di esso, durante lo scavo, di una statua del dio egiziano Serapis. Fu quindi erroneamente ritenuto un “tempio” mentre si tratta in realtà solo di un Macellum, ovvero di un mercato pubblico della città.
Oggi il Tempio è celebre in tutta Italia , proprio grazie al fenomeno del bradisismo che può essere letto sulle sue colonne.
L’intera area, dei Campi Flegrei vista dall’alto, mostra come vedete una morfologia molto particolare: non c’è un singolo edificio vulcanico che domina il paesaggio (come nel caso del Vesuvio, dell’Etna e di tutti i vulcani più celebri) ma è caratterizzata dalla presenza di tanti coni vulcanici , generalmente poco elevati. Nella maggior parte dei casi i vulcani in questione sono monogenici, cioè prodotti da una singola attività eruttiva di tipo esplosivo.
Il più grande di tutti , quello che possiamo considerare il più maestoso , è sicuramente quello chiamato GAURO che si trova alle spalle di Pozzuoli. Lui è il vulcano di maggiore elevazione dei Campi_Flegrei, e su di lui svettano ben tre cime: il monte Barbaro (331 m), il monte Sant’Angelo (308 m) ed il monte Corvara (290 m). Il grosso edificio vulcanico posto in posizione centrale rispetto al complesso dei campi flegrei , si riconosce facilmente perchè è il più alto della zona ed al suo cratere , non distante dall’uscita di via Campana ,della nostra (?) tangenziale , vi si può facilmente accedere ( fermo restando che vi troverete una base militare americana) .
Il nome del vulcano è di origine greca, ed è dovuto alla sua notevole dimensione: Gauro in greco significa infatti “maestoso”. La struttura è in tufo è oggi in parte stata modiicato per dare opportunità di raggiungere il cratere ” del Campiglione “. Ad esso si accede dalla località Quarto subito dopo la cosidetta ” montagna spaccata ” provenendo da Pozzuoli . La zona più accessibile del Monte Guro è quella lungo il monte S. Angelo ( zona del castagnaro ).
Il cratere del Campiglione, dal diametro di 750 m, è invece l nome con il quale si identifica la caldera al centro dell”edificio vulcanico.
N.B. Sul fondo del cratere è allocata la base ricreativa militare americana del Carney Park, un’area ricreativa, piú unica che rara, a causa della sua posizione, all’interno di un cratere posto nell’ambito della Caldera dei Campi Flegrei , teoricamente fruibile solo da personale autorizzato degli Stati Uniti ( il parco si apre, in realtá, anche a ospiti esterni, sia pure solo in occasione di eventi e ricorrenze particolari.)
CURIOSITA’: Il monte Gauro chiaramente riconoscibile anche dal poro di Pozzuoli per la sua altezza , ‘è stato teatro di battaglia tra sanniti e romani nel 342 a.C.
Gli altri sono : il cratere della Solfatara ,il cratere semisommerso di Vivara, il cratere di Nisida, il Cratere di Capo Miseno, il cratere vulcanico Senga , il cratere di Soccavo, la coppia gemella dei crateri dei Fondi di Baia ,il cratere di Agnano ed i crateri dell’Averno e di Monte Nuovo
Il cratere della solfatara , è quello di un antico vulcano ,ubicato a tre chilometri dalla città di Pozzuoli , oggi ancora attivo, ma in stato quiescente . Egli da circa due millenni conserva un’attività fumarolica, getti di fango bollente ed elevata temperatura del suolo. Secondo recenti studi é verosimile che esso rappresenti una sorta valvola di sfogo, per una colonna di gas in sovrapressione, cui é probabilmente attribuibile l’attuale fase di bradisismo ascendente oggi presente.
Questo cratere dalla forma ellittica. è posto a novantadue metri sul livello del mare., Il suo diametro nei vari punti è di di 770 e 570 metri, mentre il perimetro è di due chilometri e trecento metri; la parte più alta della cintura craterica è posta a centonovantanove metri ed è chiamata monte Olibano.
CURIOSITA’ : L’antico vulcano della solfatara risalente a circa 4000 anni fa è oggi il vulcano dei Campi Flegrei più attivo. dove possiamo ammirare impressionanti manifestazioni fumaroliche . Durante la cosiddetta seconda crisi di Pozzuoli del 1983-1984, quando il bradisismo di tutta la zona ,montava ad un ritmo di 3 mm al giorno, i numerosissimi terremoti che quotidianamente accompagnavano il fenomeno nel suo parossismo, causarono una frattura trasversale attraverso tutta la spianata della caldera, la quale impiegò parecchi mesi per ricolmarsi: da allora, per ovvi motivi di sicurezza, la caldera è ampiamente recintata, obbligando i visitatori a percorrerla in gran parte perimetralmente.
Del cratere di Vivara, nell’ambito del complesso vulcanico dei Campi Flegrei , oggi non rimane che una parte a formare una piccola isola a forma di mezzaluna, con una superficie di 0.38 Kilometri quadrati , un perimetro di 3 Km , ed un’altezza massima di 109 (s.l.m. ), grazie alla quale è stata scelta , in diverse epoche , dapprima come torre di segnalazione mediante l’accensione di fuochi , e successivamente come territorio di passaggio dell’acquedotto campano , che dalla terraferma , provvede all’approviggionamento idrico di Ischia.
L’isola di Vivara , la più piccola delle isole partenopee, non è altro infatti che la porzione occidentale dell’originario cratere vulcanico , delimitato dall collinetta di Santa Margherita , dall’istmo in parte sommerso che la collega a Procida.
Il ponte che collega Vivara a Procida , fu costruito nel 1957dall’acquedotto campano che tutt’ora neè proprietario per portare l’acqua dalla terraferma all’isola di Ischia . All’interno del ponte passano infatti le tubazioni che continuano poi sotto la scala che porta a Vivara e proseguono verso Ischia per via sottomarine , grazie al principio dei vasi comunicanti che mantengono costante il flusso .
L’attuale scala di accesso all’isolottto , che prima era un canalone fu costruita invece negli anni 30 , per accoglire degnamente la Principessa Maria Jose , moglie del re Umberto di Savoia che amava e desiderava molto passeggiare per Vivara .
Dall’isola oggi è talvolta ancora possibile vedere una successione di prodotti tipici delle esplosioni causate dal contatto fra magma e acqua.
CURIOSITA’: Anche quel posto chiamato Nisida, posto all’estrema propaggine di Coroglio , purtroppo oggi per stani ed inspiegabili motivi precluso a tutti i napoletani ed al turismo , è una piccola isola di origine vulcanica . Essa posta all’estrema propaggine della collina di Posillipo , è collegata dal 1963 alla terraferma da un lungo pontile.
L’isola emersa a seguito di antichi eventi eruttivi sale in altezza fino a 105 metri sul livello del mare e corrisponde a ciò che viene chiamato maar, ossia un cratere parzialmente riempito dalle acque. Essa possiede un diametro di circa mezzo chilometro con una forma quasi perfettamente circolare mancando di una porzione dove si apre l’insenatura di Porto Paone corrispondente all’antica caldera del vulcano ( chiamata Paone o Pavone per la sua forma somigliante alla coda di questo uccello).
La sua eruzione, con emersione del sito, risale ad oltre seimila anni fa rientrando in quello che, dai vulcanologi, viene definito il “Terzo periodo flegreo”. Nei suoi fondali infatti esistono delle antiche strutture costruite in epoca romana , che dimostrano un abbassamento notevole del terreno dovuto a fenomeni di bradisismo, come accade in molte altre zone dei Campi flegrei.
Chiamata dagli antichi greci Nesís cioè isola) o Nesida ( piccola isola), è stata nel tempo identificata come il luogo che Omero nella sua Odissea identificò come “l’isoletta delle capre” dove Ulisse riparò poco lontano dal paese dei Ciclopi (l’approdo di Ulisse sarebbe avvenuto presso Porto Paone). In epoca romana si trovavano sull’isola anche alcune ville romane di cui oggi non si hanno più tracce . Aveva qui una sua sua villa usata come residenza estiva , anche il famoso Bruto che insieme a Cassio organizzò la famosa congiura contro Cesare .Dopo l’assassinio, Bruto vi si ritirò nell’estate del 44 a.C. dove poi incontrò in visita Cicerone, con cui ebbe lunghi colloqui sulla situazione politica e la azioni da intraprendere . Partito per la Grecia e morto nella battaglia di Filippi, secondo la tradizione la moglie Porzia, figlia di Catone Uticense , si sarebbe qui suicidata . Secondo alcuni storici vi costruì una villa anche Lucio Licinio Lucullo , divenuto famoso per le feste e le cene che vi si celebravano ( secondo alcuni la stessa villa potrebbe anche essere appartenuta a Publio Vedio Pollione) .
Anche il lago d’Averno è di per se un cratere ricolmo però questa volta di acque con una profondità al centro 34 metri circa. Esso è solo l’interno di un vulcano spento formatosi circa 4000 anni fa, e sicuramente il più conosciuto dei laghi flegrei.
Questo luogo è probabilmente la località flegrea che maggiormente evoca Omero, Virgilio e il culto dell’oltretomba, perché fu ritenuta l’ingresso all’Ade e quella famosa porta degli inferni dove Enea scese con la Sibilla Cumana per avere “consigli” su dove dirigersi per fondare la sua nuova patria.
Oggi questo piccolo lago, circondato da colline, è molto lontano dall’immaginario terrificante che ne dovevano avere gli antichi.
Dalle sue sponde si innalzavano fumi densi, mentre dalle sue acque scure venivano fuori esalazioni di gas che non permettevano neanche agli uccelli di volarci sopra. Intorno era circondato da colline rivestite con folti e scuri alberi così da formare tenebre boschi che erano consacrati a un’antica divinità che fu chiamata con diversi nomi: Proserpina, Ecate, Giunone e Averna.
La parola «Averno» viene da a-ornis, senza uccelli. I volatili, infatti, sorvolando il lago morivano a causa delle esalazioni sulfuree sprigionate dall’acqua, trattandosi di cratere vulcanico. Per questo gli antichi credevano che fosse lì il regno dei morti, l’Ade, dove Odisseo incontrò l’indovino Tiresia e dove il pio Enea poté rivedere il defunto padre Anchise, accompagnato dalla Sibilia, e Orfeo provò a riprendersi Euridice incantando Plutone.
Venne quindi identificato dagli antichi come lo specchio d’acqua cantato da Omero e da Virgilio e tutti credevano che quello specchio d’acqua, nato da un antico cratere ormai spento, celasse la porta di ingresso agli inferi. Il luogo appariva ricco di paura e mistero poichè oltre al lago nero su cui non potevano volgersi in volo gli uccelli, questo era anche il luogo dei vaticini della Sibilla, delle misteriose grotte abitate dai Cimmeri e della inestricata e inesplorata foresta sacra a Proserpina.
In epoca romana, l’Averno era parte integrante del portus Iulius, in onore di Ottaviano Augusto, un grande scalo navale che comprendeva anche il lago Lucrino. I due laghi erano collegati fra di loro da un ingegnoso canale navigabile e da numerosi tunnel interrati che permettevano ai soldati di muoversi indisturbati. Oggi sono separati dallo sperone del Monte delle Ginestre.
All’epoca della guerra civile a Roma tra Sesto Pompeo ed Ottaviano per sopraggiunte ragioni di guerra il luogo sacro e misterioso venne trasformato per la sua importante posizione geografica in una formidabile roccaforte militare e marittima ad opera di Ottaviano per difendersi dalla potente flotta di Pompeo che minacciava tutto il litorale campano.
I miti che avvolgevano i luoghi vennero inesorabilmente profanati e sfatati per ragioni pratiche da Ottaviano che avviò imponenti opere di ingegneria per un nuovo e più attrezzato porto, profanando addirittura anche la sua foresta sacra di dedicata ad Agrippina ,per far sorgere da quegli alberi, pontili, navi e approdi mentre le misteriose grotte dei cimmeri divennero depositi di attrezzi.
Su ideazione di Agrippa, fu collegato al mare mediante il lago Lucrino, con un ampio canale, per realizzarvi un colossale arsenale (Portus Julius) (fu scavato un canale di comunicazione tra il lago di Averno ed il lago Lucrino e tra quest’ ultimo e il mare ). Fu in quell’occasione anche costruita una galleria che forando il monte Grillo congiungeva rapidamente il porto militare con la vicina Cuma e fu allestito un efficiente cantiere navale per la costruzione e la riparazione delle navi.
Nella foto in alto possiamo facilmente identificare il cratere dell’Averno essendo ricolmo delle acque dell’omonimo lago. Subito sulla destra, vediamo invece il cratere del “Monte Nuovo”, generato da un’eruzioneL’eruzione avvenuta nel 1538.
Questa famosa eruzione purtroppo sconvolse l’intera zona. L’improvvisa eruzione di un vulcano alto 140 metri e di 1250 metri di base sulla sponda orientale del lago di Lucrino fini col sconvolgere completamente l’assetto urbanistico della zona distruggendo per sempre le ultime opere a noi tramandate greche e romane.
Parascandolo, il noto studioso dei campi flegrei così ci racconta dell’eruzione.
Era il 28 settembre del 1538 . Alle ore 18 ….si seccò il mare per 200 piedi e dal lido uscì acqua fredda e calda. Moltissimi pesci furono lasciati in secco …….6 ottobre : Le ceneri arrivarono sino al Vesuvio , molte persone ascesero al monte , ma a due terzi del pendio …..alle ore 22 furono sorprese da forti esplosioni e da cadute di pietra e da eruzioni di gas ; sicche molte di esse furono asfissiate e non si trovarono più i corpi ne vivi ne morti .
Strettamente collegato al Lago d’Averno vi è anche ’ il più piccolo degli specchi d’acqua dei Campi Flegrei. In origine esso era per la veritaì molto più grande ed era separato dal mare da una lunga e stretta lingua di terra sulla quale scorreva la via Herculanes : la leggendaria strada costruita dall’eroe Ercole in occasione del suo passaggio con i buoi presi a Gerione ( decima delle dodici fatiche di Ercole ).
N.B. : L’antico tracciato, che partiva dall’odierna Punta dell’Epitaffio fino a Punta Caruso a Pozzuoli, è oggi però completamente sommerso per effetto del bradisismo.
Ovviamente stiamo parlando del lago Lucrino che e’stato uno dei laghi più importanti durante l’epoca romana . Esso all’epoca era un posto incantevole , con numerose fonti termali lungo le sue sponde , uno specchio d’acqua ricco di pesci e molluschi e completamente immerso in una bella zona di campagna circondato da verdi colline dove nobili famiglie romane avevano costruito sontuose ville .
In epoca romana, ebbe la duplice funzione di allevamento ittico (sul lato sinistro) e insediamento militare ( nella parte destra).
Ancora oggi il luogo conserva intatta e funzionante un ‘antica fonte termale databile al II secolo : il Sudatorio di Trivoli detto ‘ Terme Stufe di Nerone , che si trova ai monti di una collina ( dove si trova una sorgente ancora oggi molto attiva ) che convoglia vapore caldo tramite cunicoli nelle varie stanze dove si trovano letti completamente scavati nel tufo.
Il buon nome del lago fu associato nell’eta romana non tanto alla geografia militare del luogo , ma a quello dell’allevamento dei molluschi e alla pesca che in questo lago era abbondante e altamente remunerativa .
Sergius Orata , famoso imprenditore romano impianto’ intorno al I secolo a.C. in questo specchio d’acqua allevamenti intensivi di ostriche ( protagoniste di feste colossali ) usando un metodo di sua ideazione , grazie al quale divenne famoso in tutto il territorio romano .
Da questo lago egli ricavo’ tanta ricchezza e lustro al punto da pensare che il nome Lucrino risalga dal latino Lucrum , cioe’ guadagno .
A Orata e’ attribuita anche l’invenzione di un sistema per riscaldare gli ambienti termali . Le stanze degli ambienti termali , su sua invenzione erano fatte in maniera tale che in una doppia pavimentazione vi fossero intercapedini per il passaggio dell’acqua o dell’aria calda ( balineae pensiles ).
CURIOSITA’ : Il nome Lucrino deriva infatti da Lucrum (lucro, guadagno, profitto) per il redditizio allevamenti di pesci e ostriche che intorno all’anno 90 a.C. vi aveva installato il senatore romano Sergio Orata. Sempre in epoca romana, intorno al 37 a.C., il lago Lucrino, e il vicino lago d’Averno, vennero inglobati nella complessa struttura portuale di Portus Julius (oggi sommerso).
In epoca romana accadde infatti che Ottaviano per difendersi dalla potente flotta di Pompeo che minacciava tutto il litorale campano avvio’ imponenti opere di ingegneria per un nuovo e più attrezzato porto in cui fu coinvolto anche il lago di Lucrino .
Nel 37 a.C., fu infatti realizzato un canale navigabile che collegava il lago d’Averno, il lago Lucrino e il mare. Su ideazione dello stratega Marco Vipsanio Agrippa, Lucrino ,fu collegato al mare mediante una diga artificiale che tagliava la via Herculanean e con il lago d’averno con un ampio canale artificiale , per realizzarvi una grandiosa struttura portuale adibita ad arsenale della flotta di Miseno (Portus Julius) . In tal modo il lago d’Averno costitui’ il bacino interno del porto mentre il lago di Lucrino in comunicazione con il mare costitui’ il bacino esterno e tutta l’area fu trasformata per l’occasione in un enorme cantiere navale .
Agrippa individuo’ nel doppio bacino dei laghi di Lucrino e dell’Averno la base per la flotta di Ottaviano e la realizzazione del progetto fu affidata all’architetto L. Cocceio Aucto .
Il progetto doveva rendere piu’agevoli gli approvvigionamenti dalla citta’ e rendere più rapidi
gli spostamenti per via terra dal porto ai piedi dell’Agropoli di Cuma.
Furono così anche aperte della vie sotterranee , una che collegava l’averno con la citta’ e un’altra che dal foro , passando dotto l’Agropoli , giungeva sotto il monte di Cuma ( dove normalmente vi si poteva approdare ).
La grotta di Cocceio lunga quasi un chilometro e alta circa 30 metri era illuminata da sei lucernari e parallelamente vi correva una conduttura per il trasporto dell’acqua al porto militare .
La cripta romana era invece lunga 180 metri con un’altezza massima di 23 metri .
L’ improvviso erompere del vulcano Nuovo cambio’ radicalmente il paesaggio ed oggi di Lucrino e del suo antico insediamento romano non restano altro che pietre sparse , sommerse nelle acque del mare o seppellite nella campagna che circonda il lago .
La creazione del monte nuovo ingatti inghiotti’ il piccolo villaggio di Tripergole che si trovava sulla sponda del lago e trasformo’ radicalmente l’intera zona . Inoltre il lento movimento bradisismico fece affondare nel mare i moli di Portus Julius e la via Herculanea riducendo di molto la grandezza del lago .
Ancora oggi possiamo ammirare tra Baia e Pozzuoli sotto la superficie del mare imponenti tracce delle strutture portuali .
N.B.: In seguito ad un’eruzione, avvenuta tra il 29 settembre e il 6 ottobre del 1538, quando quindi si formò il Monte Nuovo, il paesaggio del luogo e del lago cambiò radicalmente e da quel momento dell’antico insediamento romano non restano che pietre sparse. A causa del successivo fenomeno del Bradisismo il lago Lucrino per un lungo periodo è stato inghiottito dal mare
A proposito di laghi, lo sapete che un tempo avevamo anche una lago di Agnano oggi prosciugato ?
Il fondo del cratere di Agnano (uno dei principali crateri del vulcano dei Campi Flegrei) era infatti un tempo occupato da un lago con una profondità compresa tra i 12 e i 15 metri
Fu nel 1856 che si decise il suo prosciugameno. I lavori ebbero inizio nel 1865 e terminarono nel 1870 con la costruzione di un emissario in galleria che, attraverso il Monte Spina, convogliò le acque nel mare di Bagnoli
Al centro dell’antico bacino c’é oggi una vasca di raccolta, collegata a una raggiera di canali colatori, che immette le acque nell’emissario artificialeI
Sul bordo meridionale della caldera di Agnano è presente anche il Monte Spina che , coincide con il camino vulcanico di una delle eruzioni che sono avvenute nell’area. Piú precisamente Monte Spina rappresenta un duomo lavico formato da lave viscose accumulatesi progressivamente attorno al centro di emissione.
Facente parte del complesso cratere di Agnano troviamo nella nostra città , anche il Cratere degli Astroni che divenuto un vulcano spento è divenuto dal 1987 una grande e bellissima Riserva Naturale che rientra all’interno del circuito di protezione speciale del WWF.
Il crateri degli Astroni è il più grande tra i circa trenta che si trovano nella zona dei Campi Flegrei ed è sicuramente quello meglio conservato nella sua struttura. Esso estendensendosi su una superficie di 247 ettari, è attraversato da sentieri naturali per un totale di 15 km di percorsi diversificati. Nel suo interno , ad occuparne gran perte della sua superficie , vi sono 3 colli che si sono formati in seguito all’attività eruttiva , chiamati Imperatrice, Rotondella, e Pagliaroni .
Nelle zone più basse del cratere si sono generati tre laghetti , quali il Lago Grande, il Cofaniello Piccolo ed il Cofaniello Grande, ricchi di specie animali e vegetali in una vegetazione tipica degli ambienti lacustri ( canne, salici, giunchi e tife).
CURIOSITA’: La sua attività eruttiva si è manifestata complessivamente con 7 diverse eruzioni, la prima delle quali avvenuta circa 4100 anni fa, mentre l’ultima risale a 3700 anni fa.
Durante il regno dei Borbone è stato uno dei siti reali di caccia, dove i sovrani organizzavano battute di caccia soprattutto ai cinghiali e ai cervi.
Oggi è un luogo incontaminato e bellissimo dove poter passeggiare all’aria aperta nei sentieri ricoperti di vegetazione e poter abbracciare la natura incontaminata.
N.B. Nel quartiere di Fuorigrotta, noto soprattutto perchè ospita l’attuale stadio dedicato all’amato scomparso Maradona ( ex Stadio San Paolo ) sono stati trovati reperti e tombe, dell’età del Bronzo, coperti da prodotti generati da una eruzione degli Astroni avvenuta fra il 1800 e il 1700 a.C.
Anche la conca di Soccavo rappresenta un’antica conca craterica riempita da materiali piroclastici. L’area fa da raccordo tra la zona S-SE dei Camaldoli e la piana di Fuorigrotta che si trova sottoposta a Soccavo con un brusco salto di pendenza tra il Rione La Loggetta e via Terracina.
Si tratta probabilmente di un’area facente parte di un centro eruttivo, collegato ai primordi dell’attivitá vulcanica dei Campi Flegrei (ma non sicuramente coincidente con il cratere di Soccavo), caratterizzato da un’etá superiore ai 39.000 anni.
Per il prossimo cratere la storia è un po piu triste … il suo destino non prevedeva basi ricreative americane o villaggi residenziali ma ….. solo immondizia
Durante una delle ricorrenti crisi dei rifiuti che hanno afflitto la Campania qualche “buontempone” propose di utilizzare il Cratere del Vesuvio come destinatario dei rifiuti per i quali non era disponibile altra destinazione
La proposta era evidentemente provocatoria ma… non inedita. L’immondizia di Napoli, almeno sino al termine degli anni 70, è stata infatti “ammassata” nel vasto cratere vulcanico Senga situato nella zona di Pianura, nel cuore dei Campi Flegrei .
Il conferimento dell’immondizia nel cratere è avvenuta sino a quando lo stesso è risultato non più utilizzabile poichè completamente “ricolmo” .
Altra area . le cui cave sono state utilizzate come discariche di rifiuti solidi urbani sono state quelle del quariere Pianura.
La piana ( da cui il nome ) che raccorda i vulcani Senga, Astroni ed Agnano alla collina dei Camaldoli, ha una lieve pendenza verso Soccavo ed è essa stessa un’antica conca craterica riempita, successivamente, da prodotti piroclastici (pozzolane), che si sono deposti sia a causa di eventi vulcanici che per dilavamento dai circostanti rilievi.
Questi materiali che talvolta raggiungevano spessori di varie decine di metri, sono stati utilizzati nel settore delle costruzioni effettuando sbancamenti talora veramente voluminosi; si nota infatti, una serie di grosse cave localizzate in più punti della piana. Purtroppo alcune di queste alla fine del loro ciclo di produzione sono state utilizzate come vi raccontavamo , come discariche di rifiuti .
La galleria di questa grande cava si trova lungo il versante occidentale della collina dei Camaldoli, nei pressi della Masseria del Monte, . Fino a non molto tempo fa , essa era ritenuta l’unica cava dove poter estrarre il piperno , uno dei prodotti vulcanici caratteristici della Campania, comunemente usato nelle opere architettoniche soprattutto a partire dal XV secolo.
Solo ultimamente grazie a degli scavi eseguiti dalla Commissione per lo studio del sottosuolo di Napoli, hanno invece portato allaluce lembi di piperno in diverse aree della zona urbana napoletana, inducendo a formulare l’ipotesi che il piperno, più che il prodotto esclusivo di un unico vulcano, sia da considerarsi frutto di un’attività eruttiva di diverse formazioni vulcaniche .
Tagliare questa particolare pietra locale non era comunque cosa facile e veniva considerata una vera e propria arte quella di saperla trattare. Coloro che la maneggiavano co destrezza erano chiamati “maestri pipernieri,” e si dice che ricevessero la conoscenza dell’antica arte del taglio della pietra campana (fin dai tempi dell’Antica Roma) da una potente quanto segreta corporazione che li obbligava al “giuramento degli apprendisti”. Molti di essi erano anche abili conoscitori dell’alchimia e dell’esoterismo.
CURIOSITA’ : Uno dei palazzi del nostro centro storico è un indiscusso protagonista , suo malgrado dell’arte di questi maestri . La facciata del palazzo della chiesa del Gesù nuovo , ex palazzo nobiliare del Principe di Salerno , Roberto Sanseverino, è caratterizzata da bugne di piperno di forma piramidale con la punta rivolta verso chi guarda . Le bugne presentano sui lati delle incisioni particolari simili ad ideogrammi di un misterioso alfabeto, opera per l’appunto dei mastri pipernieri .
Sembra che sull’ edificio gravava un maleficio che perseguitò i suoi occupanti e che trovava origine nei poteri della corporazione segrete dei maestri pipernai , i quali erano gli unici a saper lavorare il piperno ( pietra durissima ).
I segni sulle buglie rappresentano una formula negativa voluta dal primo proprietario e le punte rivolte verso l’ esterno per tenere fuori le forze malefiche , abbiano poi rivoltato queste ultime all’ interno perchè le bugne stesse furono malemente disposte dal maestro pipernaio .
L’imperizia degli operai che lavorarono alla realizzazione delle bugne a punta di diamante avrebbe fatto collocare le pietre in modo scorretto. Per questo le energie positive si sarebbero trasformate in negative, attirando sul palazzo numerose sciagure (l’ultima, durante la seconda guerra mondiale, con la caduta di una bomba proprio sul soffitto della navata che però, miracolosamente, non esplose).
I maestri pipernai sfruttavano le conoscenze iniziatico-esoteriche tramandate dagli antichi costruttori da migliaia di anni ed erano gli unici a trattare il piperno ( spesso tramandando tale arte da padre a figlio e da generazione in generazione ).”Bugnato” sta per costruzione di pietra, spesso muraglia, in cui i blocchi sono posti l’uno sopra e di fianco l’altro, con cadenza ripetuta, sporgendo a punta di diamante. Una costruzione messa in opera anche ai tempi del Medioevo, tipica del Veneto Rinascimentale ma poco conosciuta nel Meridione.
Il bugnato della Chiesa del Gesù Nuovo, di forte spicco barocco, però, a dispetto di tutti gli altri, presenta una particolarità: i simboli sulle pietre di dieci centimetri circa di lunghezza, sembrano lettere (inequivocabile, per esempio, è la A), somigliano ad antichi simboli alchemici (la A stava a significare “magnesio”, per i pionieri della chimica), probabile è che ricordino simboli astrali (la stessa A, vista meglio, potrebbe significare “leone”).
Una teoria poco accreditata afferma che ogni pietra del bugnato sia stata “marchiata” per ricordare da quale cava di tufo fosse stata raccolta e trasportata.
La leggenda più insistente vuole che i simboli incisi sulle pietre siano “canali di flusso” per incamerare energie positive e ricacciare quelle negative che riguardava l’alchimia con la quale il principe incaricò Novellino di co.struire il suo palazzo .Egli avrebbe indicato nei dettagli dove posizionare le pietre che, prima di essere lavorate, venivano “irrorate” di magia positiva dal lato utile. . Un’interpretazione tipicamente rinascimentale che trascinava con sé una leggenda.
La leggenda si divide in due parti: la prima gioca sull’ignoranza dei maestri pipernieri, i quali avrebbero malauguratamente costruito il bugnato impilando le rocce al contrario. In tal modo gli influssi negativi sarebbero entrati nell’edificio e quelli positivi sarebbero sfociati all’esterno.
La seconda pare sia quella più accreditata: è un’accusa verso i maestri pipernieri, che avrebbero ben compreso come disporre le pietre magiche (si sospetta che lo stesso Roberto Sanseverino li avesse chiamati a corte perché anch’egli conoscitore della magia) , ma volutamente non avessero eseguito gli ordini ricevuti . Secondo questa teoria quindi non si sarebbe trattato di un errore così grossolano (si sospetta che questi furono corrotti dai nemici del nobile).
Non ci è dato saperlo, almeno non ancora. Sta di fatto che nei secoli il Gesù Nuovo sarebbe stato afflitto da numerosi malefici. I problemi di proprietà, ad esempio: il figlio di Roberto Sanseverino, Antonello, ricevuto il palazzo in eredità, fu allontanato dal regno a causa di contrasti con gli Aragonesi; anche Ferrante Sanseverino, l’ultimo principe di Salerno, fu allontanato dal re Filippo II; la Compagnia dei Gesuiti, che acquistò il palazzo dallo stesso Filippo II, fu successivamente allontanata come Ordine.
Ma anche le numerose confische dei beni ai Sanseverino, la completa distruzione di un’ala del palazzo, gli innumerevoli crolli della cupola e il successivo incendio della chiesa
Dell’ originario palazzo resta oggi solo la struttura del basamento e la facciata in bugnato a punta di diamante .
Lo storico dell’arte, appassionato di rinascimento napoletano e musicofilo, Vincenzo De Pasquale ha decifrato un nuovo significato dei simboli sul bugnato: Non si tratterebbe di magia, ma più semplicemente e profanamente di musica, sebbene travestita in lettere semitiche ; sono solo sette segni e ognuno corrisponde a una delle note.
Si tratterebbe di uno spartito musicale scritto in lettere aramaiche, in totale sette lettere, da leggersi al contrario: dal basso verso l’alto, da destra verso sinistra. Un pentagramma sulla facciata del Gesù Nuovo scritto in aramaico . ( L’aramaico era la lingua parlata da Gesù.) L’uso di segni che componevano una musica non era inusuale negli anni del tardo umanesimo e Gli stessi Sanseverino fecero incidere dei simboli musicali nel loro palazzo a Lauro di Nola
Durante una cena in Ungheria nel 2005, anno di inizio dello studio, De Pasquale mostrò questi strani simboli a Lòrant Réz, suo amico musicologo che davanti a un piatto di gulasch e un bicchiere di tokai» cominciò a far concordare lettere e note, abbozzando lo spartito, scrivendolo sul retro del menù di un ristorante».
De Pasquale fu poi aiutato da un padre gesuita esperto in aramaico, Csar Dors, che tradusse le lettere dall’aramaico al latino.
E così vennero alla luce le prime note di quello che sarebbe diventata “Enigma”, partitura di un concerto per strumenti a plettro della durata di tre quarti d’ora circa. Si tratta di musica rinascimentale che segue i canoni gregoriani la cui riscrittura e’ oramai realta’ e il cui sogno è quello di eseguirla in pubblico proprio al Gesù Nuovo, restituendo a Napoli un frammento della sua storia infinita.
Il concerto è stato intitolato «Enigma», ed è stato trascritto per organo, invece che per strumenti a plettro.
Gli studi proseguono, anche perché il prof. Réz dichiara che lo spartito si possa leggere in altri nove modi diversi e che lo stesso spartito abbia delle assonanze addirittura con l’ “Herr Jesu Christ, dich zu uns wend, BWV 655” di Johann Sebastian Bach, che fu un massone e che fu a Napoli e che, a questo punto, è ipotizzabile sia stato influenzato dall’opera occulta.
Ritornando alle nostra cave di Piperno è importante sottolineare che Pianura, agli inizi del XIV secolo era un semplice casale della città di Napoli, collegato ad essa da una via di comunicazione, che nel 1307 viene disposto da re Carlo II d’Angiò di riparare ( poiché ruinata ex tempestate aquarum) . Tale arteria stradale, sveniva utilizzata soprattutto per il trasporto nella capitale partenopea appunto delle pietre di piperno, largamente impiegato in città nella costruzione degli edifici in epoca angioina e sopratutto aragonese dove tale materiale costruttivonon venne solo utilizzato per gli elementi decorativi degli interni e dei prospetti ma venne addirittura utilizzato nella nuova murazione della città..
N.B. Il toponimo Planura o Planura majoris era in passato usato per indicare una villa, ossia un più ampio insediamento de pertinentiis Neapolis; accanto ad esso compaiono diverse località: Iulianellu, ad Sanctu Nicola, ad Romanos.
CURIOSITA’ : Il Piperno è stato cavato in passato per ricavarne blocchi destinati a fornire architravi, mensole, zoccolature, piedritti e, principalmente, soglie e gradini. Si può infatti affermare che quasi tutte le scale degli antichi palazzi di Napoli sono state costruite con questo materiale. Con l’andare del tempo si constatò che il piperno, in dipendenza della non omogeneità della massa (costituita da un complesso di elementi scoriacei duri, detti “fiamme”, dispersi in una massa cineritica più tenera), mal rispondeva agli impieghi ai quali era stato destinato, specie se sottoposto ad usura, trasformando le sue superfici in una successione di solchi e protuberanze poco estetiche e pratiche nello stesso tempo. Questo difetto determinò l’allontanamento della roccia dalle costruzioni riservandone l’uso solo per lavori di restauro di paramenti di edifici eseguiti con la roccia stessa.
Gli studi scientifici dedicati all’analisi della fenomenologia vulcanica, sviluppatisi soprattutto a partire dalla fine del XVIII secolo, registrano un particolare interesse per le cave di piperno del territorio di Soccavo e Pianura, fornendo indirette testimonianze sullo stato dei luoghi a quell’epoca. In particolare Lazzaro Spallanzani, biologo e professore di storia naturale, pubblicò nel 1825 una relazione sul viaggio compiuto nel 1788 sui vulcani attivi in Italia, dedicando più di un capitolo all’area flegrea da lui visitata insieme all’abbate Scipione Breislak, direttore della Solfatara e professore di mineralogia . Quest’ultimo nel 1798 diede alle stampe la Topografia fisica della Campania nella quale osserva che dal secondo cratere di Napoli, ossia da Capodimonte, parte il monte delle Donzelle che è una collina sviluppata nella direzione occidentale la quale forma un considerabil risalto che dicesi il monte de’ Camaldoli . Tra Capodimonte e i Camaldoli, continua l’abbate, vi è un vasto cratere intermedio, le cui pareti sono in gran parte composte di pomici e di sostanze incoerenti. L’aspetto dei luoghi è caratterizzato da profondi valloni, scavati dalle acque fluenti, e dalla presenza dell’eremo dei Camaldoli, da cui deriva la toponomastica dell’area. A sud ovest di questo cratere vi è quello di Soccava e ad ovest quello di Pianura. Dai due crateri di Soccavo e Pianura, riporta lo studioso, è sortita quella lava di cui si fa molto uso nelle fabbriche napoletane, meglio conosciuta come piperno. “Essa trovasi nella parte inferiore della montagna, mentre la superiore è composta di tufo in cui sono racchiuse frequenti pomici bianche e pezzi erratici di lave. Il Piperno trovasi in un masso unito come appunto deve essere una corrente di lava. Non ho potuto determinare la sua altezza, ma credo, che non ecceda i 25 piedi. Poiché le persone addette allo scavo tagliano la pietra sino alla profondità di 20 piedi, passati i quali trovasi la pietra stessa fragile, di poca coerenza e che è perciò dagli architetti si rigetta. Da questo ne segue, che non è possibile il vedere su qual materia posa il Piperno”. Lo studioso esamina nei dettagli la composizione del piperno della cava di Pianura notando che si differenzia nettamente dal peperino dei colli Albanesi e Tusculani.
Al piperno di Pianura successivamente dedica un’analisi petrografica Guglielmo Guiscardi, primo titolare della cattedra di geologia presso l’Università di Napoli, nella relazione egli riporta che è possibile ritrovare il piperno alla profondità di 90-100 palmi sull’intero dorso di Posillipo e del Vomero in molti luoghi “nel cavare pozzi”, a Monte Spina presso il lago d’Agnano e sotto ai Camaldoli presso Pianura e Soccavo “nelle grandi cave che provvedono Napoli d’una delle sue piuttosto dure pietre da taglio” .
Nella seconda metà dell’Ottocento l’estrazione del piperno nelle cave di Pianura è ancora documentata: nel 1872 vi lavorano 26 operai per 200 giornate lavorative annue. Ma già nei primi decenni del Novecento a Pianura risulta attiva una sola cava, da cui nel 1931 vengono estratte 180 tonnellate di piperno . Di quest’unica cava, nel 1935, è attestata una saltuaria attività estrattiva eseguita con tecniche ormai vetuste (“ancora tutta a mano”) e con alti costi, limitata alla fornitura di piperno per i restauri di Castel Nuovo e per la Galleria della Vittoria .
Come avete avuto modo di leggere , i campi flegrei sono un luogo meravilgioso e ricco di storia ma al contempo anche uno dei luoghi considerati nel mondo più pericolosi per il rischio di una nuova eruzione.
Complessivamente per semplificare possiamo affermare tre grosse epoche di attivita’ vulcanica
- tra 15mila e 9.5 mila anni fa: 34 eruzioni, una ogni 70 anni;
- tra 8.6 mila e 8.2 mila anni fa: 6 eruzioni, una ogni 60 anni;
- tra 4.8 mila e 3.8 mila anni fa: 20 eruzioni, una ogni 50 anni.Quindi come potete notare, i campi flegrei sono una caldera che ha una una situazione che necessita di grande attenzione e costante controllo. Le nostre attuali conoscenze scientifiche purtroppo non consentono ancora di prevedere con certezza quando, come e, in particolare per una caldera, dove avverrà la prossima eruzione. Allo stesso modo non è possibile prevederne la durata. Oggi quello che maggiormente puù essere utile è rappresentato da un monitoraggio continuo dei luoghi effettuato costantemente e con i mezzi pi avenazati dal punto di vista tecnologico. Una cosa che puntualmente avviene grazie al l’Osservatrio Vesuviano , una sezione dell’Istituto italiano di Geogfisica, dove lavorano esperti professionisti del settore che continuamente vigilano sul territorio, anche in mare con sistemi di rilevamenti molto sofisticati.
- CURIOSITA’:L’ Osservatorio Vesuviano fondato nel 1841 dal re delle due Sicilie Ferdinando II di Borbone, è il più antico osservatorio vulcanologico del mondo.
Purtroppo il vero problema dell’intero territorio è rappresentato sopratutto dalla grande densità abitativa dei luoghi. Si calcola infatti che a ridosso di questi vulcani , nonostante tutti sappiano della possibile pericolosità eruttiva dell’intera zona, vi siano residenti un numero tra i 500 ed i 700 mila abitanti .
I tecnici che oggi studiano come mitigare il rischio derivante dal bradisismo dei campi flegrei .hanno denunciato tra gli ostacoli maggiori , la presenza in queste aree di case vetuste , edifici fatiscenti, strutture abitative abusive ( 20% ) e viabilità inadeguata.
CURIOSITA’: La parola bradi deriva qualche parola greca o latina , ed ha la stessa radice di bradi-po , animale mooooolto lento ,. Quindi la parola bradisismo vuol dire movimento lento.
Attualmente i campi flegrei sono quindi un territorio molto monitorato e con i mezzi tra i più all’avanguardia al mondo. Essi al momento non destano alcun reale pericolo di eruzione ma come tutte le caldere ha una una situazione che necessita di grande attenzione e costante controllo. Un monitoraggio costantemente effettuato dal nostro Osservatrio Vesuviano , dove lavorano esperti professionisti del settore che continuamente vigilano sul territorio, anche in mare con sistemi di rilevamenti molto sofisticati. Grazie a loro oggi ai Campi Flegrei è attivo un sistema di monitoraggio vulcanico dei parametri geofisici e geochimici (sismicità, deformazioni del suolo, composizione e temperatura dei gas, ecc.), le cui variazioni potrebbero anticipare un’eruzione.
Ma vi siete mai chiesti oggi cosa accadrebbe se i campi flegrei eruttassero ?
Ma sopratutto vi siete mai chiesti se è più a rischio di eruzione il Vesuvio o la grande caldera dei campi flegrei ?
Ebbene vi sembrerà strano ma non è il Vesuvio quello attualmente più pericoloso . Esso è certamente quello più famoso ma è un vulcano centrale, la sua attività si ripete sempre nello stesso posto, nel cratere sommitale, quindi in una sola bocca.
I Campi flefrei invece sono più subdoli: se dovesse succedere un’eruzione non potremmo mai sapere dove. Le sue possibili bocche eruttive possono essere molteplici e in zone anche distanti le une dalle altre. Questo complica ovviamente anche la pianificazione del momento di un’emergenza” . Come caldera d’altronde poiche nel loro passato hanno emesso dalle centinaia alle migliaia di chilometri cubi di prodotti vulcanici durante i singoli eventi sono chiamate ‘super vulcani’ ed oggi considerati come uno dei dieci vulcani più pericolosi del mondo. Recenti studi effettuati sulla composizione dei suoi minerali pare abbiano mostrato modificazioni dei suoi componenti dichiarando quindi tutta la sua continua vitalità nella capacità di possibili future riattivazioni .
Cosa accadrebbe se i campi Flegrei eruttassero ?
Secondo la Protezione Civile, una eventuale futura eruzione dei Campi Flegrei dovrebbe avere un carattere esplosivo e consistere nel lancio di bombe e blocchi nelle aree limitrofe al vulcano, mentre flussi piroclastici potrebbero estendersi per svariati chilometri prima di arrestarsi. Ceneri e lapilli percorrerebbero lunghe distanze e, a differenza di quanto accadrebbe in caso di eruzione del Vesuvio, la città di Napoli risulterebbe sottovento e, dunque, verrebbe probabilmente coinvolta.
ABBIAMO UN SISTEMA DI ALLERTA ?
Il sistema di allertamento esiste e prevede specifici “livelli di allerta” che descrivono lo stato di attività del vulcano sulla base dei parametri del monitoraggio e di eventuali fenomeni in corso. Il livello di allerta verde corrisponde all’attività ordinaria del vulcano, mentre i livelli di allerta giallo, arancione e rosso rappresentano stadi crescenti di disequilibrio del vulcano verso una possibile eruzione. La durata di ogni livello di allerta può essere estremamente variabile.
N.B. I livelli di allerta sono dichiarati dal Dipartimento della Protezione Civile, in raccordo con la protezione civile regionale. Un’eventuale variazione di livello viene valutata sulla base delle indicazioni fornite dall’Osservatorio Vesuviano dell’INGV e sul parere della Commissione Nazionale per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi. Le conseguenti azioni che devono essere intraprese dal Servizio Nazionale della Protezione Civile sono definite nelle fasi operative (attenzione, preallarme e allarme) previste nelle pianificazioni di protezione civile. Le fasi di preallarme e allarme sono dichiarate dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
Il Piano per il rischio vulcanico ai Campi Flegrei è di livello nazionale, cioè deve essere redatto da tutto il Servizio Nazionale della Protezione Civile a partire da Dipartimento della Protezione Civile, Regione Campania, Prefettura di Napoli, Comuni della zona rossa, Regioni e Province Autonome gemellate.
l sistema di allarme pubblico IT-alert è utilizzato per avvisare di una possibile eruzione imminente ai Campi Flegrei con la conseguente necessità di intraprendere azioni di protezione civile, incluso l’allontanamento della popolazione che vive in zona rossa.
Allo scattare della fase operativa di allarme, viene quindi inviato un messaggio IT-alert sul cellulare di coloro che si trovano nella Regione Campania, per informarli del possibile pericolo.
MA QUALI SONO LE ZONE GIALLE E QUELLE ROSSE ?
Innanzitutto bisogna specificare che la zone gialla comprende l’area esposta al pericolo di ricaduta di lapilli e ceneri vulcaniche, il cui accumulo potrebbe danneggiare alcuni edifici.
Fanno parte della zona gialla i Comuni di Villaricca, Calvizzano,parte di Marano di Napoli, una piccola zona di Giugliano, Mugnano di Napoli, Melito di Napoli, Casavatore, alcune aree di Napoli (Bagnoli, Fuorigrotta, Pianura, Soccavo, Posillipo, Chiaia, una parte di Arenella, Vomero, Chiaiano e San Ferdinando)“,nonchè quartieri come Avvocata, Barra, Chiaia, Chiaiano, Mercato, Miano, Montecalvario, Pendino, Piscinola, Poggioreale, Porto, San Carlo all’Arena, San Ferdinando, San Giovanni a Teduccio, San Giuseppe, San Lorenzo, San Pietro a Patierno, Scampia, Secondigliano, Stella, Vicaria, e Zona Industriale.
N.B. Sono oggi inclusi nella cosidetta “Zona Gialla” le aree in cui vi è una probabilità del 5% che vi sia un carico di cenere ‘asciutta’ superiore a 300 kg/mq, nel caso in cui si verifichi l’eruzione scelta di scenario. ( la definizione di quest’area, si basa su recenti studi e simulazioni della distribuzione a terra di ceneri vulcaniche prodotte da un’eruzione di taglia media da una bocca eruttiva in qualunque posizione all’interno della caldera flegrea, con altezza della colonna eruttiva pari a 12 chilometri” ).
Per la zona gialla l’allontanamento della popolazione sarà valutato a evento in corso, in base alla direzione dei venti e all’entità dell’eruzione.
La zona rossa è ovviamente quella più pericolosa. Essa comprende l’area maggiormente esposta alla possibile invasione di flussi piroclastici che, per le loro elevate temperature e velocità, rappresentano il fenomeno più pericoloso per le persone.
Fanno parte della zona rossa i Comuni di Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida e Quarto; parte dei Comuni di Giugliano in Campania e Marano di Napoli; alcuni quartieri di Napoli: Soccavo, Pianura, Bagnoli, Fuorigrotta e parte dei quartieri di San Ferdinando, Posillipo, Chiaia, Arenella, Vomero, Chiaiano e Montecalvario.
Per la zona rossa l’unica misura di salvaguardia è l’allontanamento della popolazione prima dell’inizio dell’eruzione. Le persone possono decidere se trovare autonomamente una sistemazione al di fuori delle zone a rischio oppure usufruire della sistemazione offerta dallo Stato nella Regione o Provincia Autonoma gemellata con il proprio Comune.