Concetta Barra, nata a Procida l’11 febbraio 1922. e purtroppo poi volata in cielo a Napoli il 4 aprile 1993, resta nella memoria collettiva di tutti noi napoletani come una attrice sanguigna e dai tratti marcatamente dialettali, ma soprattutto come una impareggiabile cantante ed interprete di numerosi testi della tradizione popolare sia napoletana che specificamente procidana. Essa è stata una delle personalità più genuine ed ecclettiche del panorama artistico partenopeo e seppure a ebbe una storia artistica segnata da una lunga pausa, durata quasi trent’anni, questo non le impedì di farsi conoscere e apprezzare per la sua voce e le sue doti recitative, collezionando numerosi successi .
Suo padre, un uomo di origine messinese , ottenuto un icarico guardiano del carcere isolano aveva poi sposato una donna di Procida, Michela Di Giovanni.
E qui mi fermo per un momento …
Mi fermo perche mi sembra più interessante nel capire ril poliedrico carattere della nostra Concetta riportare qui una paginetta autobiografica, tratta da L. Lambertini, Sono nata a Procida. Memoria impossibile di Concetta Barra, Napoli, Colonnese, 2001, pp. 57-58:
“Sono nata a Procida. Mio padre vi era stato mandato come agente di custodia del carcere, mia madre era un’isolana bella e buona. Mia madre, poverina, non sopportava il consorte perché non l’amava e, quando non si ama, tutto è difficile. Noi subimmo un po’ le conseguenze di quel matrimonio forzato. Dico noi per alludere a noi tre sorelle, sfortunate essendo donne. Per fortuna, dico per fortuna, ci venne l’idea di cantare in trio vocale, tutte e tre, per evadere dall’ambiente familiare. Mia madre accettò di seguirci e viaggiare con noi. Si era vicino alla fine della guerra e così fummo battezzate “Trio Vittoria”. Quella vittoria che tutti aspettavano e che non venne mai. Avemmo delle esperienze positive e anche negative. Ci fu l’occupazione delle truppe americane a Napoli e così restammo bloccate a Roma. Lì conobbi Giulio che tornava dalla Russia con il braccio rotto e ingessato. Per la prolungata permanenza a Roma avvenne l’amore. Ci sposammo ed avemmo tre figli: Peppe, Gabriele e Tonino. Furono sedici anni di rinunce e di sofferenze d’ogni genere. Alla fine ci separammo. I primi tempi avevo fatto la partner di mio marito che faceva Charlot in un numero di pantomima e giochi di prestigio. Poi, per la crisi dovuta alla guerra, e per vari altri motivi, ci fu un riposo forzato, un riposo artistico che per me durò trent’anni. Mio figlio Peppe, intanto, contro il volere del padre, e con l’aiuto di Dio e della sua ferrea volontà era riuscito a crearsi un mondo tutto suo. Cominciava a realizzarsi quel gruppo di ragazzi che formavano la Nuova Compagnia di Canto Popolare. Venivano a provare a casa. Roberto De Simone, il direttore del gruppo, mi convinse a cantare di nuovo. Con l’aiuto della fortuna ho potuto realizzarmi anche come attrice, con Roberto e poi anche con Eduardo. Adesso, finalmente, con l’aiuto di un amico come Lamberto, abbiamo messo su uno spettacolo con noi soli protagonisti, mamma e figlio. Spero nella buona stella che tutto vada bene, anche dal punto di vista economico, e che niente turbi questo inizio travolgente di successo e di critica.
Chi si racconta è Concetta Grasso (in Barra) (Procida, 11 febbraio 1922 – Napoli, 4 aprile 1993), figlia del guardiano del carcere di Procida, il messinese Antonino Grasso e della procidana Michela Di Giovanni, madre di uno dei più dotati e straordinari rappresentanti della canzone napoletana, Peppe Barra, targa Tenco come migliore interprete per l’album solista Mo’ Vene. Concetta è ambasciatrice della lingua e della cultura napoletana nel mondo, colei che ha riportato alla luce l’antico repertorio musicale originario della sua terra. Verace, espressiva, solare, una voce tutta partenopea, straordinaria esecutrice del bel canto popolare. Vissuta per moltissimo tempo nell’isola natia, ne è considerata dai suoi abitanti la cantatrice ufficiale.
Questa autobiografia, intitolata “Sono nata a Procida”, ci fa capire i sacrifici di questa impareggiabile attrice e cantante partenopea che ha lasciato un’impronta indelebile nel cuore dei napoletani.
Concetta Inizia la sua carriera di cantante nemmeno ventenne, durante il periodo del secondo conflitto mondiale quando, insieme alle sorelle Nella e Mariainiziarono a farsi conoscere a Napoli, battezzando il loro sodalizio artistico con il nome di “Trio Vittoria”, nella speranza che la guerra che imperversa in quegli anni possa finire di lì a poco.. Successivamente lavora con compagnie di artisti prestigiosi come Totò, Aldo Fabrizi e Alberto Sordi.
“Noi eravamo tre sorelle, ogni mattina ci affittavamo una barca a Mergellina da Pascale, tre lire […], ci facevamo il bagno e al ritorno ci mettevamo a cantare […]. Scendeva la sera, parecchie barche si accostavano e ci seguivano per sentire, ci applaudivano. A quell’ora il mare era tutta una fosforescenza, era un sogno, veramente un sogno. Ci chiamavano “‘a varca che canta”».
È proprio questo scenario, evocativo già alla lettura, ad affascinare il fondatore della Compagnia Femmena ,un gruppo composta di una ventina di sole ragazze che sanno cantare S ballare e recitare. Egli le invita a esibirsi con altre giovani cantanti, attrici e ballerine.
Il successo non tarda ad arrivare e il Trio Vittoria avvia una serie di collaborazioni con personaggi di spicco dell’epoca quali i fratelli De Filippo, Totò, Aldo Fabrizi e Alberto Sordi.
“Quando sentivo chitarra e mandulino ascevo pazza! – racconta Concetta –. Io conoscevo due baconi, si chiamavano baconi quelli che vanno a suonare in giro per il mondo. Vivevano in un basso. Il più vecchio si era fissato con me, diceva ca tenevo ’na bella vocella. Aveva un piede come un elefante, senza dita. Mi voleva insegnare una canzone che aveva scritto. Io per accontentarlo ci andavo e cantavo”
Concetta conobbe poi a Roma al termine della guerra il suo amore Giulio Barra, artista di teatro e varietà e lei dopo essere convolata a nozze con il fantasista napoletano, dà alla luce tre figli: Peppe, Gabriele e Antonio.
Sceglie per tale morivo di interrompere l’attività artistica e dedicarsi interamente alla famiglia iIl ritiro dalle scene teatrali dura quasi trent’anni), ma incoraggia contemporaneamente il percorso teatrale del primogenito che inizia a frequentare scuole di teatro e dizione.
Questi si unisce alla Nuova compagnia di canto popolare fondata nel 1967 da Roberto De Simone, Giovanni Mauriello, Eugenio Bennato e Carlo d’Angiò e contribuisce al comune obiettivo del gruppo: donare nuova vita alla musica popolare attraverso la ricerca e la commistione con la musica colta.
N.B. Nel 1967, i Roberto De Simone diede inizio a una delle imprese più importanti del teatro napoletano e non solo di quegli anni, la Nuova Compagnia di Canto Popolare. Inizialmente formata da Giovanni Mauriello, Eugenio Bennato e Carlo d’Angiò, al nucleo originario, via via si aggiungono Patrizia Schettino poi sostituita da Fausta Vetere e Peppe.
Le prove di questa fortunata formazione avvengono a casa di Peppe Barra e, una sera, De Simone sente casualmente cantare Concetta; folgorato dalla sua voce, la invita a prendere parte agli spettacoli teatrali della compagnia.
Roberto De Simone nella sua felice intuizione decide che Concetta è lontana dal teatro da molto tempo e deve quindi assolutamente partecipare al suo nuovo spettacolo . Con l’aiuto c di Peppe riesce quindi finalmente a trascinarla in uno spettacolo che debutta a Spoleto nel 1972 .Il successo è immediato e il pubblico accoglie con calore il ritorno della talentuosa cantatrice partenopea dopo tanto tempo.
Nel suo secondo debutto, teatrale e canoro, Concetta Grasso è Sarchiapone, personaggio profano nella sacra opera tardo-seicentesca de “La Cantata dei Pastori mirabilmente reinterpretata da De Simone, e tratto dal racconto presente nell’opera “Lo cunto de li cunti” dello scrittore napoletano Giambattista Basile, vissuto nel seicento ma è anche parrucchiera, zingara e cameriera in La Gatta Cenerentola ,spettacolo tratto dal racconto presente nell’opera “Lo cunto de li cunti” dello scrittore napoletano Giambattista Basile, vissuto nel seicento.
Concetta ottiene un successo strepitoso: è il suo secondo, e stavolta irreversibile, ingresso nel mondo dell’arte, che non lascerà più.
A tale riguardo la critica scrive: «Concetta è la mano della cabala, l’ironia della pettinatrice e la verità della zingara, una voce popolare esaltata dalle doti di narratrice e che, proprio per questa capacità, nei ruoli che interpreta, appare come una donna che scioglie i nodi del cunto in un vicolo qualsiasi del Sud». Divide la scena con il figlio Peppe e la loro profonda intesa conquista il pubblico. Sul palco non sembra avvenga, però, una sentimentale rappresentazione tenuta da due persone legate dal vincolo familiare, ma una verace interpretazione delle sceneggiature da parte di due professionisti che si stimano reciprocamente. Ciò è pur reso evidente in una recente intervista a Peppe Barra che dichiara, mostrando una foto della madre incorniciata e appesa di fianco alle immagini di famosi artisti del secolo scorso, di «aver avuto la fortuna di poter conoscere Concetta Barra».
Concetta lavorerà tanto anche in teatro, con Eduardo de Filippo che, come era successo a De Simone, avrà per lei un colpo di fulmine, nel sentirla recitare. Le riserverà dei ruoli in alcune messe in scena di Gennareniello e de Il berretto a sonagli.
Svariate poi le partecipazioni a trasmissioni musicali radiofoniche e televisive. Recita in televisione La cantata dei pastori, con regia di Roberto De Simone, trasmessa il 24 dicembre 1977, RAI. e poi in Storie della camorra, sceneggiato televisivo di Rai 1 del 1978 diretto da Paolo Gazzara.
Ma soprattutto tornerà in teatro al fianco di Peppe fondando la compagnia, Peppe & Concetta, imponendosi all’attenzione della critica internazionale. Tra i tanti titoli si ricordano: Scherzo in musica in due tempi (1982), Artisti (1983), Senza mani e senzapiedi (1984), Sempresì (1985), Varietà c’est ça (1986), La festa del Principe (1988), Signori io sono il comico (1990), film diretto e ideato da Lamberto Lambertini,
Concetta si spegne nel 1993 durante le prove dello spettacolo Flik e Flok a causa di una polmonite. All’indomani della scomparsa, il 6 aprile, il giornalista Rodolfo Di Giammarco scrive un commovente articolo sul quotidiano la Repubblica intitolato Concetta risata magica, in cui ricorda così la cantatrice procidana: «L’arte di Concetta ha rappresentato una perenne sfida contro l’attorume retorico e ruffiano, e contro i tanti modelli pervasi di folclore. Ha demolito senza misericordia l’uso dei patemi tradizionali, della routine, della enfatizzazione delle miserie. E ha invece propiziato generosamente una straordinaria tecnica del ghigno, esasperando o camuffando la sua mancina femminilità».
Da allora il figlio Peppe ha conservato e mantenuto vivo il contributo artistico della madre, sostenendo diverse iniziative a lei dedicate; molte di queste si tengono tutt’oggi a Procida, come il Premio Concetta Barra che ogni anno promuove nuovi giovani talenti attivi nel mondo della musica e del teatro.
Nella locale Scuola media statale “Antonio Capraro” è stato intitolato l’intero atrio principale a Concetta Barra Grasso; mentre nel quartiere di Terra Murata in cui la cantante è nata e ha vissuto a lungo una strada porta il suo nome
La storia di Concetta Barra è la storia di un’artista che nasce tale e così resta per una vita intera: “Concetta dalle mille voci, Concetta ilare e patetica, giovane e vecchia, Concetta regina della scena”
Madre del bravissimo attore e cantante Peppe nonché di Gabriele, suo accompagnatore musicale e ricercatore di canzoni popolari, è stata capace dopo trenta anni di assenza dal mondo dello spettacolo di riportare alla luce l’antico repertorio musicale popolare della canzone napoletana.
Le esibizioni della grande Concetta mantengono il loro valore nonostante il passare degli anni e, come ogni opera d’arte rimasta alla storia, continuano a esercitare un potere su coloro che sono pronti a fruirne attivamente, lasciando spazio alla riflessione e ai sentimenti. Ne sono esempio le battute finali di La Gatta Cenerentola pronunciate per la prima volta nel 1976; nel centenario dalla nascita esse appaiono come un nuovo insegnamento e al contempo un congedo: «Io credo che, pe’ sta’ bbuono a stu munno, o tutte l’uommene avarriano essere femmene o tutte ‘e femmene avarriano essere uommene».