I napoletani sono stati per antica tradizione  “Mangiatori di foglie”, ovvero di verdure e di minestre a volte elaborate e articolate da fare (come nel caso della celebre minestra maritata),   e non hanno smesso  di esserlo anche quando sono diventati, nel 700 , “mangiatori di maccaroni”.

Come vi dicevo , da sempre i napoletani si sono cibati di verdure , tanto che alla corte di Lorenzo il Magnifico , dove eccedevano in carni e selvaggina  , furono definiti con disprezzo ‘ mangiatori di foglia ‘.

In quelll’ epoca  il complesso degli ortaggi  e delle verdure veniva indicato  con il termine generico di  ‘ verduma ‘  mentre con il termine foglia o quella più popolare di erve ( erbe) ci si   riferiva in maniera specifica al cavolo  in tutte le sue sottospecie ( cavolfiore , cavolo cappuccio , biete ,  tornelle ,  cicoria  , scarole e broccoli di rape  di foglia ). 
I broccoli  in particolare rappresentavano  e rappresentano ancora oggi la verdura per eccellenza dei napoletani  che a detta di molti  sono i migliori che si possano trovare in giro per il mondo .
La verdura  nel 500 e nel 600 costava poco ed era facilmente reperibile da parte del popolo che viste le non felice condizioni  economiche in in cui versava , indirizzava la sua alimentazione alla ricerca di  prodotti naturali che la sua generosa terra di origine regalava ( era chiamata terra Felix già ai tempi dei romani ).
Questa prevalenza di  alimentazione povere fatta sopratutto di verdure nella alimentazione  da parte del popolo  portò  in quel periodo  il soprannome ai napoletani di ‘ manfiafogle ‘ .Attenzione pero’ , mangiatori di foglie si , ma non vegani , Essi  infatti non consumavano queste foglie da sole ma felicemente ‘ maritate’ con tante forme di  avanzi di carne,
La foglia associata a carne di vario tipo  dava  luogo ad un gustosissimo piatto che ancora oggi si prepara chiamato ‘ a menesta maritata ‘ composto da sei diversi tipi di verdure ( vruccole’ e rapa, vruccuole ‘ foglia, tornelle ( cavoletti ) , cappuccelle, ( cavolo cappuccio ) cicurielle , e scarulelle )  , alle quali venivano aggiunti  tre tipi di carne : vaccina, puorco e gallina .
Quando i  maccheroni ed i vermicelli vennero introdotti tra i nostri piatti , essi vennero iniziamene lavorati ed utilizzati come dolci e serviti conditi con zucchero e cannella e non  era pertanto assolutamente considerato un genere di prima necessità. ( basta pensare che in tempi di penuria di farina era vietata la sua preparazione ).
Solo ne 700 , quindi i napoletani hanno  cominciato ad affezionarsi ai maccheroni al punto da farli diventare poi il loro cibo preferito e guadagnarsi l’appellativo di ” mangiamaccheroni “. In breve tempo , in quanto economico e in grado di saziare , i maccheroni si trasformarono da pietanza prelibata per ricchi addolcita con zucchero e cannella , in una versione più rustica con sugna ed un pò di formaggio conditi con sale ed un pizzico di pepe , che si poteva acquistare con pochi soldi  .In tutti i quartieri , in quel periodo , comparve la grossa caldaia del maccheronaro con accanto il piatto ricolmo di formaggio , unico condimento finchè poi non comparve il pomodoro ( inizialmente considerata una pianta di appartamento e addirittura velenosa ).
I maccheroni venivano messi nella caldaia e subito tolti e poggiati su un bastone messi in diagonale sui bordi del pentolone in maniera che continuasse , ma non troppo la sua cottura a vapore . I maccheroni andavano infatti serviti duri e distribuiti ai clienti su fogli di carta oleata e venivano mangiati adoperando le mani .

I maccheroni si mangiavano come vi ho detto con le mani e con un abitudinario gesto : con la mano destra si sollevava la manciata di maccheroni sopra la testa e poi quindi li si faceva cadere nella bocca spalancata . Re Ferdinando I  , che  spesso amava  mischiarsi con il popolo , adorava mangiare come loro i maccheroni con le mani tanto da essere chiamato dal popolo ” Tata Maccherone ” ed invece da coloro che criticavano tale suo comportamento ” Re Lazzarone “.

Assiduo frequentatore di ambienti popolari , egli cercò di introdurre anche a corte abitudini e pietanze che con tanto gusto assaggiava nelle taverne , in particolar modo la pasta e la passata di pomodoro . Gli effetti a corte non furono dei migliori e le polemiche fortissime ; vedere il re mangiare la pasta con le mani , ripetendo la tecnica buffa dei lazzari che portavano i maccheroni in alto e li facevano cadere in bocca , era motivo di scherno nei pranzi di corte e causa di continui litigi con la consorte .Il maggiordomo maggiore fu addirittura costretto per compiacere la regina , ad inventare una forchetta dotata di quattro corti rebbi ( sul genere di quella attuale ) per permettere al re di afferrare la pasta e portarla in bocca senza l’uso delle mani.

Per curiosità dovete  anche sapere che inizialmente la lavorazione della pasta attraversava fasi non proprio … igieniche .

Almeno fino al 600 , la pasta si lavorava artigianalmente e la sue preparazione richiedeva molto tempo  Essa veniva prima impastata con i piedi ….

Si , proprio così …  avete capito bene …..la farina e la semola venivano mescolati  in una grande madia con i piedi scalzi , da uomini chiamati impastatori  grondanti di sudore con addosso luridi stracci . Altri uomini versavano nella badia continuamente dell’acqua  bollente . Gli impastatori , malgrado le scottature , continuavano a pigiare l’impasto in quanto all’epoca c’era la convinzione comune che il contatto con il composto lenisse le piaghe .

Dopo aver superato questa ” delicata ” fase veniva poi indirizzata ad una rudimentale trafila che permetteva di produrre i primi maccheroni bucati ( vermicelli ) .  Fortunatamente , ( grazie all’ingegnere Spadaccini ) , sotto Ferdinando II , vennero  poi realizzati i primi   stabilimenti industriali  che tolsero  definitivamente  di mezzo l’indecente modo di pigiare la pasta con i piedi  per garantire igiene ed accuratezza al prodotto.

Prima della nascita della produzione industriale , la pasta era prodotta in scarsa quantità e vista la sua lunga preparazione aveva un costo alto che la rendeva appannaggio quasi esclusivo delle sole classe aristocratiche dove veniva usata prevalentemente come dolce e mangiata con le mani .

Con il sorgere della produzione industriale  e la maggiore fornitura ,  il costo della pasta subì una drastica diminuzione ed il suo consumo favorito anche dalla diffusione della salsa di pomodoro , divenne accessibile anche ai ceti meno abbienti .

Con il suo  diffondersi  la  pasta ha  poi conquistato lentamente lo scettro di piatto preferito dai napoletani passando con il tempo attraverso  lo spaghetto al pomodoro fresco ,  allo spaghetto a vongole , agli ziti al ragù ,  ed  infine a pizza.

La pasta, e in modo diverso la pizza, è  da quel momento divenuta il respiro di Napoli e della sua arte:  essa celebra  le vongole anche quando se ne sono fujute, e fa della frittata di maccheroni una meravigliosa consolazione al momento che nulla è’ stato preparato per pranzo . Ma al contempo costruisce attorno alla pasta fastosi preparati  in un atto d’amore e di grande pazienza come accade  con i  grandi sughi di lenta cottura (ragù, bolognese, e genovese).

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