La Chiesa di Santa Maria della Carità si trova in Piazza Carità, lungo la Via Toledo.
La chiesa, insieme al suo convento venne costruito nel XVI secolo, ed affidata per sei anni prima ai Pii Operai Catechisti Rurali e, successivamente ad una congrega di Nobili.
L’edificio come tutte le altre chiese venne chiusa nei primi anni dell’Ottocento durante il “Decennio Francese”, subendo in quella circostanza un grande terribile smembramento e la definitiva soppressione del convento da cui fu separata.
Fu purtroppo andato perso o meglio sottratto in questa circostanza il prezioso quadro di Giulio Romano donato da papa Paolo III posto sull’altare maggiore raffigurante la Sacra Famiglia. Dopo una totale ricostruzione che ne cancellò completamente l’assetto originario, la chiesa venne riaperta al culto nel 1823. La ricostruzione portò purtroppo alla perdita degli affreschi di Andrea Malinconico, Pietro Arena e Santolo Cirillo.
Nella chiesa si trasferì la Congrega del Rosario ( giunti da “La Giorgia” fondata nel XVII secolo da un membro della famiglia De Giorgio) e per questo motivo la chiesa assunse poi il soprannome di “la Giorgia”.
Prima di trasferirsi in questa chiesa i frequentatori di questa congrega si riunivano solitamente nel chiostro della scomparsa chiesa di San Tommaso d’Aquino ai Fiorentini.
Successivamente nel 1957 accadde che la Chiesa di San Liborio dovette essere chiusa per problemi strutturali e si pensò di trasferire la sua sede parrocchiale nella Chiesa di Santa Maria della Carità che, da qual momento, venne anche identificata come Parrocchia di San Liborio.
Curiosita’: La Parrocchia di San Liborio sopravvissuto agli smembramenti epocali delle Soppressioni che la separarono definitivamente dalla giurisdizione del complesso monastico di Santa Maria della Carità alla quale appartenne per lungo tempo e che come sappiamo fu fondata, verso la metà del XVI secolo da un’ Arciconfraternita intenta alla cura dei poveri e degli infermi ,custodiva un tempo varie opere di modesta fattura, tra cui il santo titolare sull’altare maggiore opera di Paolo De Matteis e sculture che oggi non esistono più in quanto al loro posto sono state allocate sculture di nessun valore artistico se non ad uso piamente devozionale. Quindi gli ambienti della struttura non conservano più alcuna opere d’arte, se non forse il sepolcro del vescovo della diocesi di Muro Lucano, Angelo Acerno morto nel 1724 ed il solo l’altare maggiore che è ancora del Settecento, con qualche aggiunta laterale appartenente al secolo successivo.
Nella chiesa di chiesa di Santa Maria della Carità fu celebrato il battesimo del compositore Domenico Scarlatti e quello dei pittori Pacecco De Rosa e Agostino Beltrano e dei figli del pittore Battistello Caracciolo, nonchè il matrimonio del pittore spagnolo Giovanni Do.
Come ricordato da una lapide posta accanto all’ingresso, il 6 marzo 1850 la chiesa accolse papa Pio IX durante il soggiorno a Napoli dopo i moti rivoluzionari di Roma del 1848-49.
Ancora oggi, possiamo vedere alla destra della facciata i resti di quello che fu il complesso monastico di Santa Maria della Carità soppresso durante il “Decennio Francese” e trasformato in albergo (Hotel Universo).
Durante gli anni venne prima modificato in stile neoclassico e, dopo la Seconda Guerra Mondiale, venne trasformato nuovamente con uno stile più aderente ai canoni del tempo. Oggi l’edificio è di proprietà della Regione Campania.
Piazza Carità rappresenta di fatto solo uno slargo della famosa Via Toledo definita da Stendhall “La via più popolosa e gaia dell’universo”, In questo largo tra i tavolini del caffè di Vito Pinto agli inzi del 1800 soleva sedersi sempre Giacomo Leopardi, ingolosito pare dal gelato dello stesso Pinto che per questa sua abilità fu addirittura insignito dell’onorificenza di barone da re Ferdinando II.
Ancora in questo slargo veniva soccorso in gravi condizioni Heinrich Schliemann, balzato agli onori della cronaca mondiale per aver speso molti anni della sua vita a rincorrere, identificare e svelare i luoghi descritti nei poemi di Omero ed in particolare di Troia. Egli cercò la famosa città in Anatolia in Turchia, dove scoprì una cittadella con tracce di incendio; gli scavi portarono alla luce diversi strati della città, tutti di epoche diverse.
Schliemann, nella sua vita di archeologo portò inoltre alla luce il palazzo di Tirino, Il tesoro di Minia in Beozia e le tombe dell’Agropoli di Micene.
Quando fu soccorso in gravi condizioni colto da un malore fu portato in Questura dove non riuscendo a parlare, venne riconosciuto grazie ad una ricetta di un medico che lo aveva visitato il giorno prima presente in una tasca del suo abito. Nonostante le cure prestategli egli morì poco dopo nell’albergo in cui alloggiava.
Schliemann si trovava a Napoli per essere stato operato ad un orecchio e di lì a poco sarebbe dovuto ripartire per far ritorno nella sua dimora di Atene.
Secondo alcune voci sembra che Schliemann sia stato ucciso dalla malavita napoletana di allora con cui era entrato in contatto per affari legati alla vendita illecita in giro per l’Europa di alcuni reperti antichi scoperti forse proprio a Troia.
Sempre nel largo della carità un figlio di un giornalaio è stato l’ultimo venditore di “copielle” della storia in città. Le copielle erano fogli volanti su cui venivano stampati i versi e le musiche delle canzoni. L’ambulante (Giuseppe Iorio ) si narra che le conoscesse tutte a memoria. Bastava fischiettarle che lui subito identificava il brano e consegnava alla gente la copiella corrispondente.
Nella Napoli di fine ottocento si viveva anche di canzoni e poesie: musicisti, letterati ed autori lavoravano febbrilmente mentre il popolo cantava e diffondeva i nuovi brani grazie proprio alle copielle. Tanti versi e musiche circolavano continuamente per la città spesso senza il consenso dell’ autore ed il popolo era l’unico giudice capace di decretare con il suo gradimento il successo o il fiasco di un nuovo motivo musicale.