La nostra città è ricca di antichi ospedali e vecchi monasteri dove a turno le terrificanti epidemie che ci hanno afflitto nei secoli hanno trovato  bravi medici e nobili dame  pronti ad affrontarle e a combatterle . Questi antichi nosocomi  con in testa il cinquecentesco complesso degli ” Incurabili “che domina la collina di Caponapoli nel decumano superiore , sono stati protagonisti ed oggi testimoni di terribili malattie come la sifilide ,il vaiolo , il colera e la terribile peste .

Nonostante le scarse conoscenze ed i pochi mezzi a disposizione sono stati assoluti protagonisti della storia di Napoli  evidenziando  personaggi medici divenuti poi famosissimi in tutta Europa come Antonio Cardarelli ,Domenico Cirillo ,Domenico Cotugno, Bruno Amantea, Michele Troja , Gianfipippo Ingrassia ,Marco Aurelio Sementini , Giuseppe Moscati etc.

Nonostante il loro prodigarsi non sempre si è riuscito a sconfiggere tutte le patologie ( vedi la peste del 1656 ) e talvolta per curare alcuni mali ci si è dovuto affidare a singolari rimedi non ufficialmente riconosciuti dal mondo medico .

La nostra attuale medicina ricca di sofisticate apparecchiature elettromedicali  e potenti farmaci, possiamo considerarla  relativamente giovane basti pensare che solo fino al secolo scorso  molte delle nostre attuali conoscenze  erano considerate inimmaginabili .La medicina medievale possiamo addirittura poi considerarla  come un grosso calderone fatto da un gran  miscuglio di scienze come l’astrologia, la biologia, la filosofia , la farmacia e la …. Magia.

Antiche chiese , statue di santi , immagini di madonne , vecchi riti , amuleti , antiche credenze , alambicchi , sacerdotesse , anime di defunti (pezzentelle ) , sedie miracolose e prodigiosi infusi ( tetriaca ) si sono spesso sostituiti ai limiti dell’allora medicina e molti di essi sono ancora visibili nella nostra città .

Girando per antiche chiese , vecchie spezierie , centenari monasteri e suggestivi storici nosocomi ,totalmente preso dal fascino di questi luoghi,  ho pensato che per celebrare il quattrocentesimo articolo del nostro  sito avrei potuto cercare di coniugare in questa occasione  le mie due grandi passioni ;l’amore per la medicina ( in particolare l’ostetricia ) e l’amore per la mia città.

Spero solo di non sembrarvi troppo lungo nel raccontarvi queste cose ma vi assicuro che se mi seguite troverete tante di queste cose veramente  affascinanti .

 

Incominciamo col dirvi che un tempo partorire era un evento che le donne temevano tantissimo perchè era aggravato da un alto indice di mortalità  sia per la madre che per il bambino, L’ assistenza al parto , (sopratutto nel periodo del Medioevo) era veramente inesistente ed era di conseguenza difficile che un parto andasse completamente  a lieto fine .Nonostante tutto , la gravidanza era una tappa obbligatoria della vita di una donna e per  poter sfuggire e sconfiggere la grande paura di morire durante il parto era consuetudine  ,nell’imminenza dello stesso affidarsi alla raccomandazione di un buon santo o meglio ancora  alla Madonna.

La chiesa approfittando di questa paura non  poteva lasciarsi sfuggire l’occasione  di creare un lungo elenco di santi a cui affidarsi che sono diventati numerosi  nel corso dei secoli e più o meno famosi a seconda della località di origine . 

La protettrice  in assoluto delle mamme e del parto , certamente  più famosa  è stata senza dubbio San’Anna. Quasi sempre infatti  ci si rivolgeva a lei sopratutto per la protezioni di parti considerati difficili , ma anche per  avere un’abbondante montata lattea ( cosa che  garantiva una buona crescita del bambino ).

Altro santo sovente invocato a Napoli specialmente per le donne in attesa o in gravidanza a rischio è stato il medico San Giuseppe Moscati le cui spoglie si trovano nella prima cappella della navata destra della chiesa del Gesù Nuovo .

 Una buona raccomandazione comunque ti poteva venir data anche da San Arcangelo Gabriele ( colui che annunciò a Maria la nascita di Gesù ) o da Sant’Antonio da Padova , considerato, come San Giacomo della Marca , da sempre, protettore dei bambini. e della famiglia.

San Giacomo , alla stregua di San Domenico Savio in verità è stato sempre considerato anche un santo a cui rivolgersi  per avere un figlio .

Altri due santi  molto famosi invocati dalle partorienti nel corso dei tempi sono stati i due gesuiti  Sant’Ignazio di Loyola ( il fondatore dei gesuiti ) e San Alfonso Rodriguez .

Ma certamente non possiamo pensare alla maternità senza pensare alla Madre per eccellenza del mondo cristiano che è Maria, simbolo delle mamme per coraggio, abnegazione e amore . A lei e alla sua immagine ci si è da sempre rivolti  per affrontare la gravidanza con serenità e fiducia chiedendo quotidianamente il suo conforto .

 

Una sua immagine nel tempo molto venerata a Napoli la possiamo trovare nella bellissima zona di Mergellina .

Si tratta di una chiesa scavata nel tufo  dedicata alla Madonna del Parto, fatta costruire insieme alla sua vicina abitazione dal poeta umanista partenopeo jacopo Sannazzaro ( su un terreno ricevuto in dono da re Ferrante d”Aragona )  , dove  le donne in attesa o desiderose di una gravidanza si recavano a pregare l’immagine della Madonna.  Si tratta della chiesa di Santa Maria del Parto il cui nome deriva proprio da un poema scritto dallo stesso  poeta “il De partu Virginis  “(il parto della vergine).

 

Uno dei primi santi a cui invece ci si rivolgeva in tempi antichi era Sant’Aniello ( ex vescovo di Napoli poi proclamato santo e patrono di Napoli) che veniva e viene tutt’ora considerato ufficialmente il santo protettore delle partorienti , ma con una strana eccezione . Egli infatti pare che protegga solo le donne che si recano in una chiesa dedicata a lui il 14 dicembre (  giorno della sua celebrazione ). Secondo una leggenda le donne in gravidanza  che non rispettano questo rito , per compensare la loro mancanza ,devono stare attente a tenersi lontane da forbici, coltelli o oggetti appuntiti in quanto  il bambino per punizione potrebbe nascere senza un arto.

 

Ancora oggi In alcuni luoghi del Sud dove questa credenza è particolarmente diffusa ,nel giorno di Sant’Aniello i mariti e futuri papà per prudenza preferiscono stare a casa con la moglie per meglio  controllare che non corra nessun ipotetico pericolo. Un detto popolare dice  ‘A Sant’Aniello nun tucca’ ne forbice e ne curtiello.

La chiesa a lui dedicata a Napoli si trova in Piazzetta Sant’Andrea delle Dame , in quello che allora era il punto più alto della vecchia Neapolis .  Gli antichi coloni posero la chiesa di Sant’Agnello Maggiore, (detta anche di Sant’Aniello a Caponapoli o Santa Maria Intercede,)  , proprio in cima all’antica necropoli che corrisponde oggi al nostro decumano superiore.

 

Sotto il pavimento della chiesa , protetto da una lastra di vetro si può vedere un tratto di mura a doppia cortina  delle mura greche sopravvissuto al tempo e alle successive costruzioni edilizie .

 

Questa nuova necropoli sorse su una alta collina che i greci avevano individuato come un luogo più sicuro dagli attacchi dei predoni che venivano dal mare. Essi decisero così di abbandonare  l’antico insediamento di  Partenope, ubicata tra il Monte Echia e Pizzofalcone,( da loro fondata nel VII secolo a.c ) e si spostarono su questa collina fondando Neapolis che reputarono un luogo più adatto e protetto da ogni eventuale attacco nemico.

L’intera zona della collina di Caponapoli ,nei secoli scorsi  era considerata un luogo ameno dove si poteva respirare aria fresca e fare delle belle passeggiate ma anche un luogo speciale  dove per il suo passato si respirava un’aria di sacralita’e sanita’. Era infatti il luogo dove secoli prima , sotto il Tempio di Tyche ( la dea fortuna ) si trovava la tomba di Partenope ed in seguito l’Agropoli  di Neapolis ma sopratutto era il luogo dove nel VI secolo l’eremita frate Aniello ( futuro santo ) fondo’ accanto ad una chiesa a lui dedicata un ospizio per gli infermi che possiamo considerare il primo ospedale di Napoli .La collina era quindi il luogo dove erano stati seppelliti   i corpi di Partenope , di Sant’Aniello ( nella sua chiesa ) e di Santa Patrizia  ed era pertanto considerata una collina sacra , sito di preghiera e miracoli . Divenne in virtù di tutte queste sue caratteristiche un luogo molto ricercato e ambito anche per viverci a tal punto che  diede luogo ad un famoso detto  “Coppole pè cappielle, e case ‘a sant’Aniello“, ossia contentarsi di vivere modestamente, ma respirare l’aria di Sant’Aniello.

Dalla stessa zona proviene  la testa di donna detta “Marianna ‘a capa ‘e Napule” , da molti considerato un reperto archeologico proveniente da un tempio dedicato alla Sirena Partenope , che dopo lungo peregrinare è attualmente custodita all’interno di Palazzo San Giacomo, sede del Comune di Napoli

 

Il luogo divenne con il tempo un posto ricco di monasteri e conventi che per la sua sacralita’ divenne punto di riferimento per coloro che ammalati chiedevano miracoli e  cure .
Non a caso fu questo infatti il luogo scelto da Maria Longo insieme ad altre nobildonne per fondare un nosocomio chiamato inizialmente  ” Santa Maria del Popolo ” . Questo Ospedale divenne in pochi decenni dal momento della sua costruzione un importante punto di riferimento per l’intero regno al punto di avere alla fine del XVII secolo oltre 1600 posti letto.
Nacque come dicevamo , grazie alla iniziativa di una nobildonna di origini s pagnole che venne a Napoli al seguito di suo marito Joannes Llonc (poi italianizzato in Giovanni Longo) , il quale era inizialmente Gran cancelliere del Regno di Spagna mentre  in seguito divenne segretario del re Ferdinando ” il cattolico “.
Nel 1510 , dopo un pellegrinaggio al Santuario di Loreto dal quale ritorno’ guarita da una grave patologia reumatica che l’aveva resa paralizzata , donna Maria Richenza ( Maria Longo) decise di dedicare la sua vita alla carita’ e all’assistenza degli infermi.

 

Inizialmente si dedico’ per sette anni ad alleviare le pene di pazienti ricoverati  in diversi ospedali napoletani : San Giacomo degli Spagnoli , Fatebenefratelli ( detto della Pace) , il Pellegrini e il San Niccolo’ alla Dogana ( nei presi del Maschio Angioino) . Infine maturando l’ idea che serviva un Ospedale piu’ grande e situato in un posto migliore si prodigo’ per raccogliere fondi per dare luce al suo progetto.
Aiutata dalla sua grande amica Maria Ayerba , duchessa di Termoli e da altri generosi finanziatori riuscì finalmente a coronare il suo sogno costruendo sulla collina sacra il nuovo nosocomio  che poiche’ inizialmente era impegnato sopratutto a cercare di curare la sifilide ( lue),  una malattia a trasmissione sessuale , all’epoca ritenuta incurabile e micidiale ( capace di mietere numerose vittime ) venne chiamato degli ‘ incurabili’ .

Maria Longo sempre insieme alla sua grande amica Maria Ayerba ( duchessa di Termoli ) per far pregare i convalescenti  ricoverati presso l0ospedale ,costruirono la chiesa di Santa Maria  del popolo ( in origine  dedicata ai santi Filippo e Giacomo ).
I fondi per costruire questa chiesa furono ottenuti sempre grazie alle generosità ed al buon cuore della Ayerba che vendette per ottenere la somma necessaria una sua masseria nella zona dei Vergini .
La chiesa , abbandonata da decenni era bellissima con dodici altari , e magnifici  affreschi  sulla cupola di Belisario Corenzio . Nel suo interno la nobile Ayerba fece costruire due stupendi monumenti funebri per il marito ( Andrea di Capua ) ed il figlio Ferdinando entrambi opera di Merliano da Nola dove poi alla sua morte si fece seppellire dietro l’altare tra i due familiari.

 

Ad affiancare poi Maria Longo nella sua opera caritevole di assistenza agli infermi ci furono altre dame spagnole e napoletane come Vittoria Colonna , Caterina Cybo, Maria Carafa ( che fondo’ anche il vicino monastero della Sapienza ) e la stessa viceregina Maria Zuniga , la quale ogni venerdì insieme ad un folto numero di altre nobili donne si recava all’Ospedale per visitare e servire i malati ( una usanza che sara’ mantenuta viva nel tempo da tutte le altre viceregine che le succederanno ). Tra le numerose attivita’ di assistenza fu creato  sempre  presso l’Ospedale degli incurabili , la ” casa di Tonia “, un centro di accoglienza per donne incinte abbandonate e ragazze madri in difficolta’.

 

Gli ” Incurabili” offrivano infatti tra le varie discipline anche e sopratutto  assistenza alle partorienti , alle ragazze madre e alle  varie donne in difficoltà . Il suo impegno operato sopratutto dalla nobildonna Maria Longo è ancora oggi visibile attraverso una targa di marmo posta all’interno di uno dei chiostri dell’ Ospedale che cita : Qualsiasi donna , ricca o povera , patrizia o plebea, indigena o straniera , purchè incinta bussi e le sarà aperto.

 

In questo luogo venne creata la prima scuola di ostetriche e addirittura una sala per le donne incinte .Venne addirittura creata ( anticipando i tempi ) la possibilità di partorire anonimamente con un velo che messo davanti alla gravida permetteva di proteggere l’identità della donna , e quindi di seguito affidare il neonato all’Ospedale.

Ma questo è anche l luogo dove per lungo tempo si è prodotto la teriaca ,uno dei più famosi e diffusi medicinali  usati in tempi antichi.  Il farmaco considerato da tutti miracoloso veniva prodotto nella bellissima spezieria dell’Ospedale e Napoli  insieme alla città di Venezia era il posto dove maggiormente esso si produceva .

L’ antica  spezieria ( farmacia ) è oggi l’unica di quel periodo rimasta intatta in Europa e rappresenta un vero  pezzo di storia del settecento napoletano , un autentico capolavoro barocco-roccocò.

 

Essa si  erge maestosa al centro del grande cortile degli Incurabili come una villa che si affaccia nel suo giardino.
Il doppio scalone in piperno conduce alla loggia dove troviamo poi dei bellissimi portali sormontati da vasi e mascheroni diabolici.

 

Questo bellissimo tempio della scienza venne costruito su disegno di Antonio Domenico Vaccaro . Il suo interno invece lo si deve all’ ingegnere Bartolomeo Vecchione che incarico’ le migliori maestranze dell’epoca per realizzare il capolavoro che oggi possiamo ammirare.
Donato e Giuseppe Massa , cioe’ gli stessi del chiostro di Santa Chiara sono gli autori del pavimento in cotto e smalto . Agostino Fucito si occupo’ invece dell’ imponente arredo in legno  che possiamo ammirare.  Sua opera infatti e’ l’imponente bancone in un unico pezzo di radica di noce  dove si vendevano i prodotti ed le due spettacolari alzate di farmacia in legno dorato , ognuna con 66 nicchie dove vasi , vasetti ed ampolle conservano ancora residui di antichi prodotti  farmaceutici.

 

Numerose raffigurazioni e simboli particolari lungo le pareti rappresentano  evidenti segni di un trascorso alchenico massonico della struttura.
Tra i misteriosi messaggi dei grandiosi intagli dorati possiamo infatti notare  agli angoli della Gran Sala raffigurati i volti degli scienziati massoni del tempo.Il dipinto di Pietro Bardellino e’ posto non a caso dinanzi al busto di colui che finanzio’ la costruzione della farmacia ( il governatore degli Incurabili Antonio Magiocca.
Il soffitto diviso in due cupole da una trave avvolta da un drappo in stucco ornato con putti mostra anche  un imponente bellissimo dipinto .

 

Nel  chiostro grande ,  caratterizzato da un secolare e gigantesco albero di canfora si trova l’orto medico  che veniva usato dagli speziali dell’Ospedale.
Il chiostro piccolo dove si trovano dei deliziosi affreschi di scuola fiamminga e’ invece un importante luogo storico in quanto e’ il posto dove nacque l’importante accademia degli oziosi e sopratutto e’ il luogo dove si organizzo’ la rivolta giacobina.

 

La collina di Caponapoli era  fino al Medioevo una zona  ricca di templi dove  si veneravano  divinità pagane ( Dio Sole, di Demetra, di Apollo e di Diana ) e si svolgevano riti religiosi e vari sacrifici . Prima dell’avvento della chiesa cattolica ci si affidava alla benedizione degli Dei per qualsiasi problema , compresi quelli di salute e la  maggior parte delle  processioni  avvenivano principalmente lungo l’attuale Via del Sole . ll luogo  più importante dove raccomandarsi per una buona riuscita del parto era il Tempio di Diana ( dea della caccia e della luna ), e sopratutto  alle sue sacerdotesse chiamate janare (il termine Janara sta per seguace di Jana, cioè di Diana ).

 

Il Tempio che  si trovava nella zona del  Decumano maggiore  , nel luogo accanto al campanile della Pietrasanta ed esattamente dove ora sorge la chiesa di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta .era un luogo dedicato alle sole donne ( i suoi sacerdoti erano solo esclusivamente donne ) e per tale motivo era mal visto dagli uomini.

Il Tempio gestito da sacerdoti donne era un punto di riferimento per tutte  le donne del luogo e rappresentò a lungo un luogo dove queste potevano rivolgersi per risolvere problemi e questioni considerati  come ” fatti di donne “.

Agli uomini era proibito l’accesso al Tempio e  ingelositi  da un  culto che li escludeva del tutto  si adoperarono sempre di più nel tempo per contrastarne il potere incominciando  a fare di tutto per screditarle.

Gli uomini  difatto ,  erano molto irritati dalla popolarità che il culto di Diana  riscuoteva in questa zona poiché molte promesse spose  pur di evitare matrimoni infelici, preferivano votarsi alla Dea Diana e offrire  loro la castità. Gli uomini , delusi ed amareggiati  del rifiuto e della scappatoia trovata ,  dalle ragazze divenute  sacerdotesse , le appellarono il soprannome  in maniera dispregiativa  di  ianare . Non contenti ,  approfittando di alcune arti magiche che incominciarono a temere ,per vendicarsi , incominciarono a bollarle  di stregoneria, e come esseri capaci di invocare il demonio. Le accusarono nel tempo di eresia, adulterio apostasia, blasfemia, e bigamia e tante altre numerose ingiurie fino a perseguitarle e bruciarle vive con l’accusa di stregoneria.

Queste sacerdotesse per la natura lunare della dea erano esperte nella ‘magia del fare ‘e riunite in confraternite ,erano molto  temute e rispettate in quanto depositarie di un sapere astronomico e religioso fatto di antichi culti e occulte pratiche di magia che si tramandavano in maniera ereditaria da generazione in generazione  Secoli fa, quando non esistevano ospedali o ambulatori medici, era proprio a loro che si rivolgevano le genti locali per essere curate.

Esse erano depositarie dei segreti della erbe terapeutiche e con esse erano capaci di guarire da forti febbri o diarrea ,di calmare i dolori, o guarire le malattie dei bambini ma erano anche capaci di preparare infusi  velenosi o realizzare strani incantesimi e fatture contro il malocchio.

Le sacerdotesse di Diana erano anche esperte ostetriche, e praticavano gli aborti attraverso infusi di erbe, come il prezzemolo e il ritrovamento di oggetti simili a raschietti ha fatto supporre l’ipotesi che nell’antichità venisse praticato da queste esperte donne anche l’aborto con raschiamento dell’utero. Esse  promettevano parti non dolorosi  e al loro tempio ci si recava ( durante la luna piena ) in processione  per propiziare il parto o per ringraziare la dea per averle assistite ( in molti scavi sono emersi ex voto anatomici e statuette di madri con lattanti).

 

La storia trasformandole in streghe finì per costruirle intorno delle vere e proprie leggende ed alcune di esse divennero famosissime in tutta Europa,  come per esempio quelle di Benevento che secondo strani racconti ,pare  si raccogliessero attorno ad un albero di noce magico, in un rito pagano  detto Sabba. Prima di questo rito esse  si preparavano al sabba cospargendosi il petto con un unguento allucinogeno gelosamente conservato sotto il letto o nel camino, dopodiché uscivano ( secondo leggende popolane volando sulle proprie scope di saggina ) e  giunte  in una località chiamata Ripa delle Janare  si davano poi al rituale del sabba , che consisteva ,sotto  l’effetto allucinogeno dell’unguento di riunirsi intorno ad una lunga tavola carica di vini ,dolci ed altre cose prelibate . Una volta sazi ed ubriachi ,preda  dell’effetto dell’alcool unito a quello dell’allucinogeno ,si incominciava  una particolare  danza cui le streghe partecipavano con grida, imprecazioni e fracasso infernali che culminanti in vere e proprie orgie. Dopo le riunioni le streghe seminavano il terrore. Si credeva che causassero aborti, deformità nei neonati, facessero dispetti, facendo trovare le criniere dei cavalli intrecciate e rapivano neonati in culle. Ancora oggi nei paesini del beneventano circolano voci secondo le quali le streghe rapiscano dalle culle i neonati, per passarseli tra di loro e riportarli infine al loro posto.

 

 

Nelle campagne incominciò a diffondersi la paura per le streghe e si cercò di trovare un rimedio utile per allontanarle. Presso gli usci si ponevano quindi scope o sacchetti con grani di sale, in modo che, se la janara riusciva ad entrare, sarebbe stata costretta a contare i fili della scopa o i granelli di sale, senza poter venire a capo del conto. L’alba sopraggiungeva a scacciarla, poiché non si accorgeva del passare del tempo, impegnata nell’insulsa operazione. Gli oggetti posti a tutela delle porte infatti avevano ed hanno insite virtù magiche: la scopa per il suo valore fallico, oppone il potere maschile e fertile a quello femminile e sterile della janara; i grani di sale sono portatori di vita, poichè un’antica etimologia connette sal (sale) con Salus (la dea della salute).

Come tanti riti pagani questo rituale  di carattere erotico-orgiastico ebbe grande diffusione popolare e fu  bandito, nel 139 a.C  .Il culto  proseguì poi per secoli  in forma misterica ed esoterica e fu ovviamente come tutti i riti pagani fortemente combattuto dalla chiesa locale , la quale  non potendo   accettare che tutto questo si svolgesse sotto i suoi occhi, approfittando di una delle periodiche guerre tra Longobardi e Bizantini con l’allora  vescovo  San Barbato fece tagliare il Noce di Benevento. Ma lo stesso albero pare che più’ volte sia ricresciuto nonostante più volte tagliato e sia continuato ad essere per anni il luogo preferito dalle streghe per i loro Sabba.

Ma perchè queste streghe scelsero tra tanti alberi quello del noce ?

L’albero di noce era nel passato  già  sacro a Dionisio ed era celebrato dalle sue   sacerdotesse  (cioè le Menadi) chiamate anche Baccanti nei loro rituali pagani  ed  al pari delle streghe anche esse danzavano  sfrenate ed estatiche attorno ad un albero di noce. Gli antichi romani addirittura invece intravedendo una somiglianza tra i testicolo ed il mallo ( il guscio )della noce considerarono la pianta del noce un”Simbolo di fertilità” (si evince dal termine glans, ghianda, da cui deriva anche la parola “glande”).

A proposito di fertilità è interessante notare che anche allora come oggi  esistevano donne e uomini infertili, ma la colpa era sempre della donna e se questa non rimaneva incinta veniva considerata  in grado di  non generare figli.

Al contrario di oggi non c’erano né medici né metodiche  diagnostiche nè tecniche di fecondazione assistita per risolvere il problema e la donna, se nel tempo non dava alla luce un bambino , poteva  anche dopo molti anni di matrimonio essere ripudiata per sostituirla  con una più feconda. A quel tempi un matrimonio per essere riuscito doveva essere ricco di figli perchè questi rappresentavano un investimento per la vecchiaia e se non arrivavano questo stato di cose veniva considerata una maledizione .La donna era  considerata come un forno per fare dei bambini, una sorta di macchina che, se era rotta o difettosa si poteva anche  accantonare per una più funzionante.

Per essere fertili, oltre a ricorrere a pellegrinaggi e voti, le donne ricorrevano anche a pratiche magiche, fare  bagni con erbe aromatiche , particolari tinture  e numerosi  amuleti.

Questi ultimi in particolare hanno avuto nel corso dei secoli ,un ruolo molto importante nella medicina popolare che li ha suddivisi in amuleti a carattere religioso ed in amuleti di tipo profano .

Uno dei più famosi di questi amuleti presenti nella nostra città è certamente il corno, simbolo per eccellenza della scaramanzia napoletana.

Per il napoletano di oggi  la funzione del corno è quella di  antidoto contro il malocchio , inteso come un “portabene” che esorcizza il male e le negatività e spesso viene sostituito alle porte o ai balconi da cascate di peperoncini rossi, che con i loro semi piccanti hanno la funzione simbolica di allontanare le malelingue.
Negli anni si e ‘ perso il vero senso della sua funzione e lo si accarezza senza saperne il suo vero significato e la sua origine. Ma il corno, non è altro che la stilizzazione del fallo del dio greco-romano Priapo, custode dei campi, protettore dal malocchio e dio della prosperità della casa e della pesca.

Nell’arte romana, veniva spesso raffigurato in affreschi e mosaici, generalmente posti anche all’ingresso di ville ed abitazioni patrizie. Il suo enorme membro era infatti considerato un amuleto contro invidia e malocchio. Inoltre, il culto del membro virile eretto, nella Roma antica era molto diffuso tra le matrone di estrazione patrizia a propiziare la loro fecondità e capacità di generare la continuità della gens. Per questo, il fallo veniva usato anche come monile da portare al collo o al braccio. Sempre a Roma, le vergini patrizie, prima di contrarre matrimonio, facevano una particolare preghiera a Priapo, affinché rendesse piacevole la loro prima notte di nozze

.Priapo figlio di Afrodite e di Zeus era un dio della mitologia greca e romana, noto per la sua dote della lunghezza del pene. La moglie Era, gelosa del rapporto adulterio di suo marito Zeus con Afrodite, si vendicò con Priapo conferendogli un aspetto grottesco, con enormi organi genitali, particolarmente pronunciati nelle dimensioni del pene e del glande, ritenuti nell’antichità l’origine della vita.

Priapo, era un Dio campestre che proteggeva orti e giardini , egli dominava l’istinto, la forza sessuale maschile e la fertilità della natura cioè la forza generatrice. Non fu accettato fra gli dèi olimpici poiché tentò, ubriaco, di abusare di Estia e venne espulso. Anche l’asino, simbolo di lussuria, gli ragliò contro per farlo scappare, così da sottolineare quale intento criminoso avesse compiuto. Estia era una dea , che scelse di rimanere nubile per potersi dedicare alla grande famiglia degli Dei , pigliandosi cura del focolare con il compito di tenere acceso il fuoco .Essa  si prendeva cura di tutti , cosi’ tutti si si prendevano cura di lei .Intorno al suo focolare nell’Olimpo si raccoglievano tutti gli dei . Il fuoco che sprigionava teneva tutti caldi e creava l’atmosfera di casa . Sul fuoco si cucinava e si preparavano gradevoli bevande
Era una dea molto dolce , giudiziosa e gradevole a cui tutti gli Dei volevano un gran bene e il tentativo di Priapo di abusare di lei ottenne l’effetto di farli arrabbiare tutti e il risultato fu di conseguenza l’ espulsione di Priapo dall’Olimpo .
Il culto di Priapo risale ai tempi di Alessandro Magno e fu largamente ripreso anche dai Romani, soprattutto collegato ai riti dionisiaci e alle orge dionisiache. Il suo culto era anche fortemente associato al mondo agricolo ed alla protezione delle greggi, dei pesci, delle api, degli orti. Spesso infatti, cippi di forma fallica venivano usati a delimitare gli agri di terra coltivabile.
Il suo animale era l’asino, sia a causa dell’importanza che esso aveva nella vita contadina, sia per una sorta di analogia fra il pene di Priapo e dell’asino.
Già molto diffuse in Grecia e poi a Roma, le feste in onore di Priapo, definite falloforie, avevano un grande rilievo nel calendario sacro.

Priapo risulto’ ‘ anche essere uno degli dei più venerati nella Campania Felix e il suo culto ebbe molta diffusione a Napoli ed in provincia risultando essere tra i più antichi riti misterici napoletani : nei riti “segreti” della fecondità le vergini, designate da una sacerdotessa, venivano accompagnate in grotte sotterranee e denudate nel corso di una cerimonia ritenuta di fondamentale importanza. Il nudo iniziatico sarà lentissimo a morire nei riti esoterici napoletani e si trasmetterà nei secoli fino alla Tarantelle Cumplicate che si tenevano nella grotta di Piedigrotta. Distesa su una “pelle marina” ottenuta con unione di diverse pelli di pesci del golfo, la vergine veniva posseduta da un giovane vestito a sua volta da pesce.

 

Da questi riti pagani nacquero una serie di commistioni che si trasformeranno poi in ritualità cristiane come il culto del pesce di San Raffaele (‘o pesce ‘e San Rafèle), di San Pasquale Baylon e della Madonna di Piedigrotta raffigurata nell’affresco appena fuori l’ingresso chiuso della Crypta Neapolitana,e messa li apposta per allontanare i rimanenti demoni che scavarono la grotta per Virgilio, per distruggere ogni tipo di superstizione,  e sopratutto per rendere cristiano un luogo pagano dove Priapo veniva festeggiato continuamente con riti orgiastici.

 

La “cripta Neapolitana ” nella zona di Piedigrotta , infatti , oltre che custodire i resti dei due grandi poeti  Virgilio e Giacomo Leopardi , e’ stata a lungo anche famosa per lo svolgersi di antichi riti pagani  orgiastici dedicati a Priapo, dio della Fecondita’.La chiesa cristiana , a lungo ha cercato di debellare questo radicato rito pagano presente in questo luogo e visto le  tante trovate  resistenze ai numerosi tentativi di cristanizzazione ,pensò bene di  usare i mezzi forti , opponendo  alla immagine di Priapo quello della Madonna ,edificando quella chiesa ancora oggi esistente .

 

La chiesa della Madonna di Piedigrotta ,divenuta famosa ,ben presto divenne insufficiente per accogliere le folle di fedeli, al punto che le messe venivano addirittura celebrate in due altari di legno eretti al suo esterno .

Ma Priapo ed il suo fallo hanno comunque lasciato segni ovunque.  Sono stati per esempio trovati durante gli scavi di Pompei ed Ercolano peni ed uteri in terracotta che servivano per propiziare la fertilità , seni per lì allattamento , e bimbi in fasce per  propiziare una sana crescita.  La figura del  fallo  rappresentava il simbolo della fecondità e del benessere e nella civiltà romana era figurato con disegni o con bassorilievi posti sulle facciate delle abitazioni oppure era appeso al soffitto delle stesse come lucerna o come tintinnabula ( sculture in bronzo composte da un fallo alato con numerosi campanelli che con il loro suono dovevano scacciare gli spiriti cattivi ). La città di Pompei  era tappezzata di immagini erotiche che oggi noi definiremmo oscene : affreschi e mosaici esposti nelle case o in ambienti pubblici( come le terme) erano la consuetudine .Negli affreschi venivano raffigurati  spesso amplessi , accoppiamenti multipli e falli anche di dimensioni spropositate . Questi erano esposti ovunque senza problemi , persino nelle strade , poiche’ era considerata un ‘ immagine di buon augurio e con un influsso benefico contro il malocchio, quindi senza alcuna malizia ad esibirlo .

Nel nostro Museo Archeologico  in una sala chiamata ” Gabinetto Segreto “esiste una splendida collezione di vere e proprie opere d’arte erotica ritrovate negli scavi di Pompei , Ercolano ed altri paesi dell ‘area vesuviana il cui contenuto sin troppo audace e’ stato per decenni vietato al pubblico , anzi la sala fu addirittura murata e ancora oggi proibita ai minori.

 

L’immagine del fallo quindi  al contrario di quanto si possa pensare,  all’epoca non scandalizzava nessuno e addirittura era venerata e molto richiesta come amuleto .Il suo culto è esistito e direi resistito anche nella cultura cattolica  (fino al 1781 ) basti pensare che in alcuni luoghi ogni anno al celebrarsi della festa dei santi Cosma e Damiano si si era solito esporre un fallo mummificato attribuito a San Cosma a cui le donne si rivolgevano con venerazione per ottenere la fertilità ed a cui offrivano oltre alle preghiere dei falli di cera.

Questo rito era ed è ancora molto vivo nella cittàdina di Isernia dove ogni anno  il 27 settembre vengono celebrati i due santi .Ecco a tal proposito quanto ritrovato in un vecchio manoscritto .

“In Isernia Città Sannitica, oggi della Provincia del contado del Molise ogni Anno lì 27 settembre vi è una Fiera della classe delle perdonanze . Nella fiera ed in Città vi sono molti divoti, che vendono membri virili di cera di diverse forme, e di tutte le grandezze, fino ad un palmo;  ……Questa divozione è tutta quasi delle Donne…………tutta  la grande festa s’aggira a profitto dei membri della generazione……ho inteso dire ad una donna: Santo Cosimo benedetto, così lo voglio (…). Si presentano all’Altare gl’Infermi d’ogni male, snudano la parte offesa, anche l’originale della copia di cera, ed il Canonico ungendoli dice, Per intercessionem beati Cosmi, liberet te ab omni malo. Amen.
Finisce la festa con dividersi li Canonici la cera, ed il denaro, e con ritornar gravide molte Donne sterili maritate, a profitto della popolazione delle Province; e spesso la grazia s’estende senza meraviglia, alle Zitelle, e Vedove, che per due notti hanno dormito, alcune nella Chiesa de’ P.P. Zoccolanti, ed altre delli Cappuccini, non essendoci in Isernia Case locande per alloggiare tuto il numero di gente, che concorre: onde li Frati, aiutando ai preti, danno le Chiese alle Donne, ed i Portici agl’Uomini; e così divisi succedendo gravidanze non deve dubitarsi, che sia opera tutta miracolosa, e di divozione”.

I santi Cosma e Damiano vissuti intorno all’anno 300 erano due gemelli che esercitavano la professione medica senza farsi mai pagare e sono considerati patroni dei medici , dei farmacisti e dei…. barbieri

Questo perchè una volta il barbiere era anche  mezzo medico e oltre a occuparsi di barba e capelli faceva il “cerusico”, tirava denti e praticava il salasso cioè  “Sagnava” .

Fino al secolo scorso la “sagnatura” , cioè tirare il sangue a chi ne aveva bisogno era una pratica molto usata sopratutto  per chi voleva abbassare la pressione alta  ma che  veniva usata anche per le varie  infiammazioni e persino  per le neoplasie . In questi casi, infatti poichè si pensava che il tumore non fosse altro che sangue pazzo , la gente ricorreva al barbiere( cerusico ) per farsi “sagnare”, cioè per per farsi togliere “il sangue pazzo”.

Veniva chiamato “cerusico ” un termine con cui per molti secoli si indicò il chirurgo ma che nell’alto medioevo venne affidiato ai barbieri che spesso intervenivano al posto dei chirurghi . La  chirurgia infatti in quel periodo venne spesso relegata nelle mani di figure professionali  dotati di  grande esperienza pratica che mostravano grande manualità ed il cerusico certamente esperto nell’arte del salasso spesso  interveniva  al posto del medico sostituendosi ad esso. Per fare il salasso, il barbiere incideva la vena della piega del gomito con una lametta da barba, facendo in modo che il sangue scorresse piano piano. Per raccogliere il sangue metteva sotto il gomito, in corrispondenza una bacinella; dopo l’intervento  metteva un tampone di cotone nella piccola ferita che comprimeva fino  a quando avveniva  l’emostasi.

Questo intervento che avveniva senza anestesia ed in condizioni igieniche precarie  in verità veniva un po’ snobbato dai medici  che ritenendolo un atto operatorio particolarmente cruento e rischioso veniva ritenuto un atto indegno da fare per  un medico.

 

Il cerusico barbiere  per togliere il sangue , sopratutto quando la pressione era continuamente alta per non fare ogni giorno il salasso usava anche il sistema delle sanguisughe . Si trattava di  piccoli vermi che egli si premuniva di far raccogliere nei ruscelli o negli abbeveratoi di campagna per poi conservarli in grossi barattoli di vetro pieni di acqua.

salasso-sanguisugaLe sanguisughe venivano applicate in genere sulla pelle del torace quando il paziente era maschio; alle donne venivano invece applicate nelle spalle. Succhiando succhiando le sanguisughe, man mano che ingerivano il sangue, iniziavano a gonfiarsi e si tenevano applicate tutto il tempo necessario, fino a quando gonfiandosi , non raggiungevano  il peso di cento, centocinquanta grammi. Venivano poi conservate dal barbiere in un barattolo di vetro con dell’acqua per essere riutilizzate al bisogno.  Le micidiali sanguisughe comunque non si potevano applicare in ogni momento dell’anno ed in ogni occasione , ma la loro applicazione era ben regolamentate in una vera e propria linea guida proveniente dalla famosa scuola medica salernitana la quale teneva in particolare considerazione i mesi e le fasi lunari .

” Maggio, Aprile e settembre son lunari / Nel primo di’ del primo e nel di’ ultimo / Degli altri il vagar sangue e’ cosa pessima , come pur mangiar le carni d’oca / Aprir la vena , e molto di piu’niente mesi di maggio e di aprile e di settembre. ”

 

 

I  medici mancando  di grandi nozioni in campo medico e visti i pochi rimedi a disposizione per curare le malattie  non impedirono  a questi cerusici di svolgere queste antiche pratiche finendo per tollerarli. Anzi, ad un certo punto incominciarono a collaborare con loro  per eseguire piccole operazioni chirurgiche a domicilio dei pazienti. Il poco edificante salasso era affidato ai barbieri, ma la scelta della vena da incidere, la quantità del sangue da togliere e la scelta del giorno e dell’ora nei quali eseguirlo, toccava al medico che decideva esaminando attentamente la posizione delle stelle.Il barbiere in questa occasione  indossava una casacca corta da artigiano, mentre il medico portava il camice lungo da dottore.

 

 

imagesI barbieri lavoravano però spesso da soli specie quando dovevano fare delle amputazioni. Erano infatti molto pratici ad amputare poiché come ulteriore lavoro facevano anche i carnefici ed erano chiamati dalla giustizia per tagliare le mani ai condannati come ladri e spergiuri.

I barbieri dotati di grande esperienza , ricchi di grande pratica si occupavano anche di chirurgia essendo questa considerata una parente povera della medicina.
Erano spesso ambulanti, tagliavano i capelli, tiravano i denti, amputavano  arti, vendevano elisir e facevano anche i giocolieri e i cantastorie.
In Inghilterra i barbieri che avevano bottega applicavano fuori dalla porta un’insegna cilindrica a fasce rosse e bianche che simboleggiavano il colore del sangue e il colore delle fasce che usavano come bende .

Oltre alla pratica del  salasso , per curare in maniera generica una qualsivoglia malattia si era solito somministrare la TERIACA  ,che possiamo certamente considerare il farmaco più famoso e longevo della storia , che proprio a Napoli veniva realizzato e venduto nella famosa spezieria della farmacia degli Incurabili .

Nella  settecentesca spezieria della farmacia degli Incurabili è ancora oggi presente, un grande maestoso vaso di marmo che conteneva il  leggendario farmaco che e’ stato quasi ininterrottamente usato in tutto il mondo per circa duemila anni ( il raro contenitore  e’ la dimostrazione che proprio in questo luogo per tanti secoli ( fino al 1906)   si e’ prodotto  il miracoloso medicamento ).
La Teriaca infatti per secoli e’ stata considerata quasi una bevanda sacra capace di alleviare molti mali e la sua formulazione veniva attribuita ai discepoli del grande Ippocrate.

 

La sua origine e’ antichissima e viene fatta risalire al III secolo A.c.quando in Egitto e ad Alessandria in particolare venivano usati delle sostante anti-veleno che venivano chiamate ” theriake” ( antidoto) . Erano delle formulazioni derivate da un miscuglio di varie sostanze di derivazione animale ( sangue di tartaruga, daino, lepre, capretto etc.) che fungendo  da veri salvavita venivano inizialmente prevalentemente usati per combattere uno dei sistemi allora in voga piu’ subdolo per far fuori persone scomode; l’avvelenamento.

Questo rimedio anti-veleno , chiamato ” Mitridatium” nacque all’epoca di Mitridate il grande , re del Ponto , che preoccupato dei vari intrighi  e complotti di corte ( avevano portato all’uccisione del padre ) trascorse molto tempo a prevenire un suo eventuale avvelenamento. Egli chiese quindi al suo medico di corte , Crautea e ai suoi farmacisti di creare un antidoto efficace. Nacque in questo modo la prima Teriaca che pare contenesse una cinquantina di elementi tra sangue di animali ed erbe utili contro il morso dei serpenti.
Il re utilizzo’ quotidianamente il rimedio fino ad assuefarsi e quando una volta sconfitto nelle guerre contro i romani decise di togliersi la vita non potè avvelenarsi ( al contrario delle figlie ) e fu costretto a ordinare alla sua guardia del corpo di ucciderlo con un colpo di spada .

La formula di questa bevanda anti -veleno rinvenuta da Pompeo in una cassa appartente al re Mitridate fini’ nelle mani del medico di Nerone ( Andromaco  il vecchio ) che modificandolo leggermente vi aggiunse la carne di vipera. Il prodotto fu così  chiamato ” La Teriaca di Andromaco ” .

Il potente farmaco divenne famoso ovunque e attraverso piccole modifiche che ogni illustre medico del tempo vi apportava acquistava sempre maggiori proprietà terapeutiche finendo per divenire un’autentica panacea nelle sue molte versioni.
La Teriaca infatti da rimedio per combattere gli avvelenamenti divenne  nel tempo un farmaco prodigioso in grado di combattere tutti i ” veleni” creati nell’organismo umano dalle varie malattie. Veniva quindi usato contro ogni sorta di malattia, passando dalla peste al mal di testa e finendo col curare malattie psichiche o addirittura  la pigrizia sessuale maschile.
Asma , tosse, obesita’, ascessi , sordita’ , rabbia , lebbra , aborti avanzati , ciclo mestruale , infiammazioni varie ….. Tutto veniva curato con la Teriaca che conteneva tra l’altro il ” sugo di papavero ” ( praticamente l’oppio ).
Il prodotto poteva essere assunto nel vino, nel miele o nell’acqua ma sempre dopo essersi purgati altrimenti non faceva effetto. Inoltre era meglio iniziare la terapia in inverno od in autunno ( in estate solo in casi eccezionali e disperati ).
In Italia le piu’ importanti spezierie finirono per fabbricare la Teriaca che veniva poi usata nei piu’  grandi ospedali del tempo . Venezia e Napoli furono le due citta’ dove maggiormente si fabbricava il prodotto.
La fabbricazione doveva seguire procedure ben precise che richiedevano dapprima l’approvazione da parte del collegio degli speziali e dei medici e poi la supervisione di testimoni ( anche alcuni rappresentanti del popolo) .
Tutto questo perche’ poi in caso il farmaco non funzionava , nessuno poteva accusare le autorità’ di aver usato ingredienti scadenti o peggio dimenticato qualcuno.
Il farmaco doveva anche rispettare un adeguato tempo di invecchiamento ( come il vino ) ed il tempo giusto per ottenere un buon effetto benefico contro le varie malattie , doveva essere in media quello di 12 anni . Ma se lo si voleva usare solo per sfruttare il suo potere come anti-veleno potevano essere usati quelli con tempi di invecchiamento dimezzati ( 6 anni ).
A Napoli ,  ai tempi di Ferdinando IV , poiche’ la vendita della Teriaca procurava un grosso guadagno divenne monopolio di stato . Di conseguenza nacque il contrabbando del prodotto ” pezzottato” che aveva una sua rete di distribuzione parallela e arricchiva delinquenti  e speziali senza scrupoli.
La citta’ di Venezia istitui’ delle leggi severissime per chi faceva contrabbando della Teriaca taroccata o adulterata che potevano andare da semplici multe fino ad arrivare nei casi piu ‘ gravi addirittura alla pena di morte tramite il rogo.

Nel periodo medievale  si potevano consultare anche le dame della famosa scuola medica salernitana ed in particolare una donna che possiamo considerare la prima ginecologa della storia : Trotula de Ruggiero .

A lei ci si affidava per i tentativi di rendere meno doloroso il parto , gestire le emorragie del post-parto , valutare il controllo delle nascite e risolvere il problema dell’infertilita’ ( fu la prima a cercare l’origine della sterilita’ di coppia anche nell’uomo). La Trotula  approfondi’ anche  gli studi per la cura della bellezza , sperimentando creme e pomate derivate da erbe e piante per la cura del corpo , del volto, dei capelli , delle mani e degli occhi.

Fu autrice nel 1059 di un manuale sulla gravidanza e il parto che ebbe grande rinomanza dove da  grande esperta di malattie e questioni femminili racconterà di saperi pratici legati sopratutto alle cura delle donne come mestruazioni e menopausa , parto e puerperio, sessualita’, fertilita’ e cosmesi .Per secoli le sue ricette saranno le piu’ richieste di tutta Europa e la sua fama fu enorme basta dirvi che al suo funerale avvenuto nel 1097 ci fu un corteo lungo ben tre chilometri .

 

Ma tutta la scuola Salernitana era famosissima in Europa e moltissimi malati accorrevano da ogni parte per farsi curare in questo luogo , attratti dalla fame e dall’eccezionale successo dei medici salernitani. Trotula de Ruggiero fu solo la piu’ conosciuta e famosa delle ragazze della illustre Schola salernitana ( Mularies Salernitanae ) che diede luce sia a bravi  medici che brave infermiere .

 

La scuola fu la prima istituzione laica europea in un’epoca in cui l’esercizio della medicina era prerogativa dei soli monaci . Essa fece tesoro degli insegnamenti di greci, romani e arabi e nonostante questo suo antico riferimento mostrò di essere estremamente  all’avanguardia per i tempi di allora ammettendo le donne nelle aule e alle cattedre.

Nata poco dopo l’anno mille , a Salerno conobbe il suo massimo splendore tra il 1200 e il 1300 e possiamo certamente affermare che godette nel tempo dei favori di quasi tutti i sovrani che nei vari  secoli si sono succeduti nel Regno , da Roberto il Normanno ,Federico II di Svevia , Carlo d’Angio giungendo fino a Gioacchino Murat che la soppresse nel 1811 in occasione della riorganizzazione della pubblica istruzione .

Il suo grande sviluppo lo si deve sopratutto a Federico II che da gran salutista quale era , si adopero’ molto per far crescere la scuola medica  salernitana .Pensate che nella sua famosa ‘ Costituzione di Melfi’ egli stabili’ per primo che l’attivita di medico poteva essere svolta solo da dottori in possesso del diploma rilasciato dalla scuola medica salernitana .
Carlo d’Angio invece successivamente riconobbe la ‘ Schola salernitana ‘ come una primo corso universitario ( Studium generale in Medicina ) della durata di cinque anni a cui bisognava poi  aggiungere un  altro anno di pratica accanto ad un medico anziano.
Questi futuri medici che uscivano dall’universita dovevano poi giurare di impegnarsi solennemente a porgere il loro aiuto al povero senza chiedere nulla e a giurare di svolgere la loro professione in maniera onesta.
Alla scuola era delegato anche il compito del controllo sui farmacisti che necessitavano di una preventiva loro autorizzazione per la creazione di eventuali creme , infusi o sciroppi .

 

Ma nell’ affascinante rapporto del popolo napoletano con i defunti e con la morte , non poteva mancare anche qualche “anima pezzentella ” a cui chiedere  chiedere la grazia di avere un figlio o solo per il momento di maritarsi .

Una delle piu’ ricercate e famose di queste anime è stata negli anni quella di Lucia che si trova nell’ipogeo della chiesa di Santa Maria delle anime del Purgatorio ad Arco in Via Tribunali.

Il suo famoso teschio  adagiato su di un cuscino e  dotato di una preziosa corona con un un velo pare sia quello  di Lucia D’Amore, figlia di Domenico, principe di Ruffano, data in sposa al marchese Giacomo Santomago.

 

Secondo alcune leggende pare che  che la giovane principessa ,  si fosse invece innamorata di un giovane panettiere e non voleva sposare il gentiluomo  a cui era invece stata promessa in sposa . Il padre ostacolò il suo umile amore  in quanto come da etichetta di allora ella era già promessa ad un altro nobile uomo. Lucia affranta dal dolore e costretta a lasciare e  non vedere più il suo amato , il giorno del suo matrimonio ingurgitò una intera boccetta di veleno e si suicidò .Secondo alcuni invece  morì di dolore. Altri invece  raccontano che tentò una fuga tragica, che era malata di tisi o che fu vittima di un omicidio mentre avanzava verso l’altare.

Un’altra versione più romantica invece narra che in realtà ella fosse innamorata del marchese e che durante il viaggio di nozze fosse annegata. insieme al suo sposo .

Tra tante dicerie sulla nostra Lucia ,l’unica cosa certa  è quella che la giovane non riuscì a consumare il rito del matrimonio. Alla fine il padre, devoto alla chiesa del Purgatorio, decise di seppellirla nel complesso di Santa Maria. Lucia divenne così un’eroina  e simbolo per tutte le giovani donne  che speravano  di sposare l’uomo di cui erano innamorate  . Da lei ancora oggi andandola a trovare ci si aspetta di ricevere un buon consiglio per problemi di amore.

Diventata nei secoli una luce di speranza per tutte quelle donne in cerca di amore in tutte le sue sfaccettature  è oggi il suo cranio  conservato in un reliquiario circondato da messaggi e bigliettini che le devote le lasciano intorno per ricevere una grazia, alleviare un dolore o semplicemente per ringraziarla attraverso l’offerta di fiori e piccoli oggetti   ex voto.

In questa storia  possiamo notare il grande  legame che  sopravvive da sempre nei napoletani tra i vivi e i morti .Nella grande filosofia del popolo napoletano egli infatti ritiene che le anime dei morti possano svolgere un ruolo importante quotidiano in quanto possono influire sulla stessa  esistenza dei vivi. Le anime dei morti , infatti ,vengono viste come entità spirituali a cui potersi rivolgere con familiarità ma anche con dovuto rispetto per chiedere grazie ed intercessioni , nonchè per ottenere guarigioni , vincite al lotto ed altri favori , per cui esse vanno venerate quasi allo stesso modo dei santi ( la chiesa ad un certo punto preoccupata scese in campo e ne abolì il culto ).

Grazie a questo loro modo di intendere la morte nacque così nel tempo in città l ‘ usanza di adottare ” un ‘anima pezzentella “, ossia di scegliere il teschio di un anonimo defunto ( una capuzzella ) e prendersene cura proteggendolo ( talvolta in una piccola e rudimentale bacheca in legno e vetro ) ed onorarlo con devozione continua e amorevole talvolta con la speranza di ottenere la …… sospirata grazia. Ad esso non fanno mai mancare fiori freschi, i lumini e le preghiere che servono per “arrefrescare ” l ‘anime re muorti, cioè allievarne le sue pene .

L’ importanza del culto dei defunti è stato profondamente radicato nella cultura popolare partenopea sin dai tempi antichi e molti altri luoghi in città oltre a questa chiesa testimoniano lo strano ma affascinante rapporto del popolo napoletano con i defunti , ma anche simbolo di amore e pietà di questa gente che ancora oggi davanti a quelle ossa senza alcun nome talvolta la vedi deporre senza alcuna costrizione de lumini votivi.

Un’altro  di questi simboli è stato il  teschio di Donna Concetta che si trova nel cimitero delle fontanelle . Queso cranio  , posto all’interno di una teca di legno, è stato per anni considerato  un vero e proprio talismano della fertilità poiche’ sembra  che aiuti le donne devote a restare incinte e non e’ raro  ancora oggi vedere accanto ad esso qualche disperata donna chiedere la grazia di avere  una gravidanza dopo i falliti tentativi della tradizionale medicina.

Tutto nacque intorno ad un’antica  leggenda :  questa  narra che una popolana molto conosciuta nel quartiere, chiamata appunto Donna Concetta, sperava ardentemente di realizzarsi mettendo al mondo un figlio. Per vedere il suo desiderio esaudito decise di recarsi alle Fontanelle per chiedere a un’anima del Purgatorio la grazia. Scelto un teschio a caso, recitò alcune preghiere, si accostò ad esso e lo accarezzò delicatamente per assicurarsi che l’anima del morto accogliesse la sua richiesta. Dopo poco la donna rimase incinta e allo scadere dei nove mesi diede alla luce un bimbo sano e vivace. Terminata la convalescenza conseguente al parto, Donna Concetta tornò al cimitero per ringraziare l’anima del defunto che l’aveva aiutata. Quando arrivò sul luogo notò che il teschio che aveva prescelto come suo interlocutore emanava una luce abbagliante, mentre tutti quelli intorno apparivano opachi e ricoperti di polvere. Da quel giorno la donna adottò il cranio e divenne una fervente devota di quell’anima ignota che le era venuta in soccorso dal suo luogo di espiazione. Ma con il tempo non e’ stata la sola devota poiche’  toccare il teschio di Donna Concetta e chiudere la grazia di rimanere gravida e’ divenuta una affettuosa consuetudine , talvolta anche solo un augurio , o un rituale portafortuna.

Un’altro luogo meta di donne in cerca di gravidanze è stata la chiesa di San Raffaele che si trova sorge nel quartiere di Materdei , soprannominata la chiesa della fecondita’ .

Nel suo interno si trova una statua di San Raffaele con un grosso pesce deposto ai suoi piedi che ricorda la storia di Tobia e dell’ arcangelo Raffaele . Tobia durante la sua sosta presso il fiume Tigri mentre pescava venne  assalito da un grosso pesce. Egli  impaurito, preso dal panico cercò di fuggire, ma fortunatamente ad un certo punto apparve l’Arcangelo Raffaele che spronò Tobia a non scappare e a afferrare il pesce per la testa.  Il giovane riuscì alla fine a  sconfiggere l’animale . Giunto poi ad Ecbatana, sposò la sua amata Sara. A fronte di questo episodio, San Raffaele viene spesso rappresentato mentre tiene tra le mani alcuni pesci, o mentre assiste Tobia durante la lotta col pesce .

All’epoca il mare, era visto come fonte di fertilità e il pesce usato da sempre come simbolo cristiano e a Napoli dove non si tarda ad unire il sacro (Arcangeli e Tobia) con il profano (credenza che il pesce ed il mare che lo ospita siano entrambi segni di abbondanza), subito si giunse alla conclusione che venerare l’Arcangelo Raffaele potesse portare abbondanza e fecondità, soprattutto nelle donne che purtroppo non riuscivano ad avere figli.  Si mescolarono ben presto usanze pagane che accompagnavano dei riti campani della fecondita’ con la ritualita’ popolana cristiana e un bacio al pesce che la statua di San Raffaele, ospitata nella omonima chiesa del rione Materdei a Napoli divenne un rito che evocava futura fertilita’ .

 

Divenne tradizione ( tramandata nel tempo ) ed usanza che le donne sterili e le fanciulle da marito si recassero a baciare il pesce del santo deposto ai piedi della statua . La frase “Va’ a vasà ‘o pesce ‘e San Rafèle” (“va’ a baciare il pesce di San Raffaele”) divenne ben presto una frase che tra il serio e il faceto, si rivolgeva alle giovani e belle ragazze in senso augurale .

 

Era questa la frase rituale che per lungo tempo e sino a qualche decennio fa, specialmente nel giorno di San Raffaele ( 24 ottobre ) genitori, parenti ed amici rivolgevano alla belle ragazze in cerca di marito oppure con voglia di gravidanza.

Ancora una volta troviamo cosi nella nostra stupenda citta’ un immagine popolare ed una usanza che unisce il sacro e il profano in cui si mescolano il mare visto come donatore di fecondità e il pesce come antichissimo simbolo cristiano che rendevano accettabile il rito, nonostante vi fosse riconoscibile un esplicito benevolo esagerato riferimento sessuale (visto che a Napoli il fallo viene definito, tra gli altri, ’”‘o pesce“).

Di tale usanza ne parla anche Roberto De Simone dove nel ” nel canto delle lavandaie ” da la gatta Cenerentola e nel brano “Italiella “recita: “A mugliera ‘e Manuele vasa o’ pesce ‘a San Rafele”, riferendosi alla storia della moglie di Vittorio Emanuele che non riusciva a dare un erede al trono.

Sembra che il passaggio della regina dalle parti di Materdei (con relativo bacio) sia stato miracoloso ed abbia risolto la questione…..così anch’ella si rivolse al Santo riuscendo a partorire il futuro sovrano.

Ancora oggi la chiesa e ‘ meta di pellegrinaggio da parte dei devoti napoletani.

Nel giorno in cui si festeggia San Raffaele , il 24 ottobre nella chiesetta di Materdei, la statua di San Raffaele viene esposta per far si che non solo le donne in cerca di marito ma anche quelle in cerca di fertilità possano baciare il pesce chiedendo l’intercessione al Patrono . La frase in questione, quindi, (va’ a vasà ‘o pesce ‘e San Rafèle ossia vai a baciare il pesce di San Raffaele) puo’ essere un suggerimento prezioso prima di intraprendere costose pratiche di fecondazione artificiale.

Una scappatina però la si faceva spesso anche presso il  convento francescano di S. Pasquale a Chiaia in quanto San Pasquale , considerato il protettore dei cuochi e dei pasticcieri è anche protettore delle donne ( in particolare di quelle che cercano marito ) nonchè inventore dello zabaione , un particolare dolce che dato alle spose infelici pare fosse capace di riaccendere la fiamma della passione .. Una legganda narra che San Pasquale consigliasse in confessione alle donne che si lamentavano… dei mariti , di dar loro uovo sbattuto con zucchero e vino (un vecchio Viagra ).

 

Ma a farla da padrone assoluto nel campo della steriltà per anni , dominando incontrastata in città , è stata una particolare sedia che si trova nei famosi quartieri spagnoli ,nella piccola chiesa diS. Maria Francesca. Si tratta di una sedia ritenuta miracolosa dai fedeli dove di solito , quando avvertiva i dolori , si sedeva una  suora divenuta poi  Santa. Suor Maria Francesca che aveva il dono della profezia e che come San Francesco d’Assisi, ricevette le stimmate. Essa  ogni venerdì e per tutta la durata della Quaresima avvertiva i dolori della Passione di Cristo.

La santa napoletana divenuta protettrice delle donne che non riescono ad avere un figlio, sin da  piccola aveva sviluppato la sua volontà di farsi monaca frequentando assiduamente la chiesa di Santa Lucia al monte e nella stessa chiesa fu poi sepolta alla sua morte fino a quando nel 2001 le sue reliquie furono traslate nel santuario creato nella casa di vico Tre Re , nei quartieri spagnoli dove era vissuta.

Accanto a questo piccolo santuario dove riposa il corpo della Santa, vi fu poi edificata nell’ 800 per volere d Ferdinando II di Borbone  la piccola chiesa tutt’ora esistente.

A Napoli  il culto di questa Sedia della fertilità ( o Sedia Santa ) , è ancora oggi molto diffuso e nonostante le moderne tecniche di fecondazione assistita  ancora molte donne con problemi di fertilità si  affidano  fiduciose  ad essa sedendovici sopra.La sedia infatti, resa miracolosa da Suor  Maria Francesca delle cinque piaghe di Gesu’ Cristo ,detta ” la santarella “, avrebbe la capacita’ prodigiosa di far diventare mamme le donne che siedono su di essa.

La piccola chiesa è ancora oggi meta continuo di pellegrinaggio di donne con problemi di fertilità e ogni giorno lungo questo vicolo nei quartieri spagnoli , si vedono file di persone in attesa di sedersi   una per volta sulla famosa sedia per pregare e ricevere la benedizione. Il rituale prevede che dopo essersi sedute , vengano toccate da una suora con un vecchio crocifisso  alla testa, sul volto ed al cuore e poi sfiorate sull’addome  con un reliquario contenente una vertebra e una ciocca di capelli della santa.

La paura della sterilità per le donne è stata vissuta per secoli  come una condanna sociale al pari di quella di generare figli malati o malformati . Ai medici nel passato ci si rivolgeva raramente in quanto oltre che essere troppo cari , spesso parlavano anche un linguaggio incomprensibile , ricco di belle parole ma poco pratico . Le loro conoscenze si basavano fino al Medioevo sul sapere antico di vecchi trattati scritti in greco da Ippocrate o Galeno e considerato che allora non conoscevano il greco antico , le loro traduzioni erano spesso sbagliate o inventate. Le donne ricorrevano quindi all’uomo medico -filosofo ( preti o laici )  o chirurgo barbiere solo nelle grandi difficoltà e nei parti difficili ( contro natura ).

In diverse culture dell’antichità  , per molti secoli , la donna era considerata ,  in analogia al mondo delle piante , solo il terreno che dava nutrimento al seme maschile , per quanto riguarda la fecondazione .

Già nel V  secolo a.C. però , nella scuola di Kos e di Knido , la culla della medicina greca dove operò Ippocrate , comparve il concetto di ” seme femminile . In particolare si credeva che tale ” seme ” provenisse dal sangue mestruale e che, mescolandosi al seme immesso nell’utero dal maschio, permettesse il concepimento .

Circa un secolo dopo , Aristotele invece affermava che il seme femminile forniva solo la materia da plasmare . Un ‘idea tra l’altro già espressa in precedenza da Erodoto , attraverso l’immagine dello ” scultore ” ( seme maschile ) che modella la cera ( seme femminile rappresentato dal sangue mestruale ). Queste idee anche se espresse con sfumature diverse , vennero ricalcate anche in epoca romana ( attraverso gli scritti di Celso , Galeno , Sorano , e Moschione ) , in epoca araba ,  e successivamente anche nella famosa scuola medica salernitana . Essa resistette nelle grandi università della fine del medioevo , fino  a tutto il rinascimento , quando grazie al pensiero di Aromatari , si affermò l’idea che esistesse nella donna un microscopico essere umano già preformato , e che il seme maschile avesse la capacità di farlo ingrandire . Tale concetto interessò tutta la cultura europea dell’epoca e fu più tardi ripresa dal grande filosofo inglese William Harvey e dal più  insigne filosofo dell’epoca Cartesio .

La vera rivoluzione sul concetto di procreazione si ebbe solo più tardi , quando finalmente si venne alla scoperta , quasi contemporanea , del gamete femminile e di quello maschile . La scoperta dell’ovocita venne attribuita a De Graaf  (egli  interpretò tutto il follicolo ovarico come un ovocita)  , mentre quella dello spermatozoo è merito di Johann Ham . Furono ovviamente importanti scoperte che tardarono  ad essere accettate da tutti  e molti sopratutto in merito allo spermatozoo , non mancarono di elaborare una loro diversa personale interpretazione , sostenendo fortemente una nuova teoria preformista  che attribuiva ad ognuno dei spematozoi ( chiamati animaluncoli ) la presunzione di essere  un omuncolo  già fatto  , un omino preformato pronto ad essere messo, attraverso la fecondazione , dentro un uovo che lo avrebbe nutrito .

La discussione su questi temi andò avanti fino a buona parte del XIX secolo , quando nel 1827 , Von Bauer , scoprì la vera cellula dell’uovo all’interno del follicolo , contribuendo in questo modo alla formulazione di quella teoria cellulare secondo cui il nuovo essere nasceva dalla fusione di due cellule ( spermatozoo e ovocita ) in un’unica struttura ( zigote ) . Un ‘impostazione ancora oggi valida , arricchita nel corso degli anni da ricerche che hanno svelato i meccanismi più sottili a livello biochimico e biofisico . Oggi siamo in grado di ripetere in laboratorio i processi naturali d’inizio della vita e possiamo seguire direttamente come avviene la generazione di un nuovo individuo .

In passato , quindi come abbiamo avuto modo di vedere le teorie sulla riproduzione si basavano essenzialmente sul diverso ruolo che veniva dato all’uomo e alla donna .  Il primo dovere della moglie  rimaneva quello di generare figli e questo comportava per le povere donne un grande stato di ansia. Il parto era una delle grandi paure delle donne e non erano poche quelle  che in seguito a questo evento morivano o avevano complicazioni che causavano danni permanenti. Esso veniva considerato un evento ad alto rischio sia per la donna che per il nascituro ed oggi  si è potuto calcolato che allora una donna su dieci moriva a causa delle complicazioni che potevano essere di natura anatomica oppure potevano essere causate da gravi setticemie dovute alle pessime condizioni igieniche . La cosa incredibile è il fatto che il  maggior numero di decessi e delle infezioni puerperali si verificava proprio negli ospedali dove in teoria le partorienti avrebbero dovuto essere più protette . Per questo motivo le donne preferivano , trovandolo un posto più sicuro , partorire in casa assistite da una levatrice più o meno improvvisata .

Solo nel 1880 grazie alle conclusioni di un  medico ostetrico ungherese, di nome Semmelweis che lavorava a Vienna si capì finalmente che l’altissima mortalità per febbre puerperale che si registrava tra le partorienti in ospedale era dovuta ad  infezioni  trasmessa alle pazienti  dalle mani dei stessi medici che senza guanti e senza  una scrupolosa pulizia delle mani  visitavano le gestanti nel post partum .
A quel tempo  i medici e studenti non usavano i guanti e passavano dalla sala delle autopsie alla sala parto senza mai lavarsi le mani. Egli intuì che bastava lavarsi le mani con un antisettico e proteggere le mani con dei guanti sterili per  far crollare di colpo l’indice di mortalità dovuto a febbre puerperale, nel reparto da lui diretto.

Un’intuizione semplice, ma i colleghi la presero come un insulto e un grave affronto e anziché incoraggiare Semmelveis, lo attaccarono e lo osteggiarono in tutti i modi, obbligandolo a lasciare Vienna dove fu costretto a passare il resto della sua vita escluso dalla comunità scientifica.

Fu la vera dimostrazione di quanta gelosia esisteva ( ed esiste ancora oggi nel mondo medico ) .
Egli non poteva varcare la soglia di un ospedale senza sentirsi insultato o deriso dagli stessi medici e da giovani studenti. La pratica di disinfettarsi le mani venne considerata superflua, scomoda e da abbandonare sopratutto dal mondo scientifico universitario .
Semmelveis subì ogni sorta di angherie, dalla perdita del posto sino all’internamento in manicomio dove subì anche indicibili umiliazioni e impietose percosse.

ll parto quindi allora era meglio che avveniva a casa e con con l’aiuto di altre donne sposate ed esperte che già avevano avuto bambini , la vicina di casa, la madre della partoriente, e ovviamente la  levatrice che rappresentava l’attuale odierna ostetrica di oggi. (Il termine ostetrica deriva da ob stare cioè stare davanti )

Questo parto cha avveniva  rigorosamente a casa propria , avveniva in modo concitato. Nell’imminenza del travaglio si allontanavano dall’abitazione uomini e bambini. l’evento (era considerato   una  “cosa di donne”) .

Le donne adulte della casa o del vicinato entravano in azione riscaldando grandi pentoloni d’acqua e preparando le varie pezze di stoffa necessarie per il nascituro e la mamma. Sul tavolo presso la partoriente veniva posta una piccola statua della Vergine ( tramandata di generazione in generazione ) che con un cero acceso accanto ad essa per tutta la durata del travaglio aveva il difficile compito di sorvegliare e guidare il buon esito dell’evento . 

 

Al marito,  l’unica cosa che toccava, era di andare a chiamare la levatrice o la donna esperta del luogo e che si era formata solo dopo una lunga pratica di parti poiché era lei che faceva nascere tutti i bambini del paese.

Queste ultime rappresentando uno dei mestieri più antichi del mondo , (citato addirittura da Platone che parlando di Socrate fa spesso riferimento alla madre levatrice ) erano chiamate  levatrici , perché erano in grado di «levare» il neonato dal corpo della donna o anche mammane ( da mamma )  perché come una seconda mamma davano  alla luce una creatura.

 Mammana = mamma ana cioè uguale alla madre. Inoltre esse erano anche le uniche donne che oltre alla madre , dopo il parto , avevano cura del neonato.

In passato quasi  tutti i mestieri si imparavano osservando chi già esercitava un mestiere e nel caso della levatrice generalmente il mestiere veniva tramandato da madre in figlia di generazioni in generazione ed era basato più sulla tradizione e sulla trasmissione di nozioni piuttosto che su apprendimenti scientifici o studi di anatomia e fisiologia femminile . Queste  erano donne che spesso avevano solo più esperienza di altre di seguire il travaglio e al tempo venivano  considerate come una delle figure più  importanti ed  autorevoli in società  insieme al medico, al prete e al sindaco.

Le ostetriche o comari (con la madre ) furono presenti sin dai tempi antichi e furono onorate da pricipi e potenti ma nel medesimo tempo condannate dagli stessi , quando fallivano nella loro opera.

Per svolgere questo delicato mestiere  dovevano avere molta esperienza ,  essere capace di intervenire utilizzando rimedi naturali (applicazione di panni caldi per alleviare il dolore e camomilla con delle foglie d’alloro o  inalazioni calde con acqua di malva per attenuare le fasi dolorose del travaglio ) ma sopratutto grande coraggio. Spesso infatti si  ritrovavano da sole n piena notte a gestire , magari in una desolata masseria ,un difficile travaglio e senza le opportune apparecchiature di oggi .Doveva avere le mani piccole perchè si riteneva che in tal modo si poteva meglio manipolare e posizionare il bambino e generalmente tenevano  l’unghia del mignolo,  lunga e affilata per rompere  le membrana . .Oltre ad avere il ruolo di sorvegliare e sostenere le donne moralmente in  gravidanza e di assistere  il momento del parto davano anche indicazioni alle nuove madri sul riposo e sul mangiare nei  tre giorni successivi alla nascita ( brodo di pollo per avere un abbondante montata lattea e per evitare le febbri che erano molto frequenti dopo il parto ) .Il suo ruolo continuava anche nei giorni successivi  facendo il bagnetto al piccolo , medicandogli  il cordone e spesso facendo una stretta fasciatura  al bambino  ( per evitare che facesse le gambe storte ) e  sostituendosi al pediatra di oggi spesso era lei a prestare le prime cure al bambino appena nato  nei giorni successivi.

 

La cosa curiosa era vedere questi neonati dopo la fasciatura . Dopo essere stato  ben lavato e asciugato, il neonato veniva infatti veniva fasciato in una lunga striscia di stoffa bianca che l’avvolgeva tutto,( anche le braccia), lasciando fuori solo la testolina. Così come consegnato alla mamma  sembrava un salame e solitamente   rimaneva in questo modo fino al cambio successivo anche perchè  all’epoca le case  non erano riscaldate e molti bambini morivano di polmonite nei primi mesi, soprattutto se avevano la sfortuna di nascere in inverno.

Nei mesi estivi la fasciatura lasciava scoperte invece le braccine e generalmente  le bende venivano tolte verso i sette-otto mesi. Solo allora, povera creatura, poteva muoversi e riusciva, con le manine a scoprire  il mondo circostante.

Il periodo dopo il parto era considerato un momento pericolosissimo ed era un momento gestito sopratutto dalle donne presenti nella stessa casa o dalle  vicine di casa il tutto sempre coordinato dalla levatrice  .

Riposo e tranquillità erano le cose più importanti da fare in tale periodo e per ottemperare a questo , nessuno doveva comunicargli cose che potessero agitare o angosciare la puerpera. Al solo marito era consentito qualche minuto di conversazione . Per un periodo di minimo 15 giorni fino ad un massimo di tre settimane era consuetudine che rimanesse sdraiata per la maggior parte del tempo, e che  non salisse le scale prima di quattro settimane.   

Solo dopo dopo cinque settimane poteva  fare qualche breve passeggiata ma non poteva  fare visite o spese che andavano programmate solo  in un secondo tempo e al solo scopo di evitare delle complicanze . L’indolenzimento del post-partum poteva essere alleviato da bagni di latte e acqua calda o impacchi di latte e pane o semi di lino. Se la neo mamma era agitata o sentiva  troppo caldo, era possibile applicare delle sanguisughe per alleggerire la sua condizione! La levatrice si interessava anche della dieta della puerpera che doveva nei 5-6 giorni mangiare e bere il meno possibile per evitare  qualsiasi tipo di infiammazioni .

Per decenni  con il  nome di “ostetrica condotta” , andava a domicilio delle partorienti,  e nonostante sprovvista degli attuali mezzi diagnostici come l’ ecografia ,  test sulle urine  o BHCG , poneva diagnosi di gravidanza basandosi su soli segnali clinici come  l’assenza delle mestruazioni , l’aumento di volume di mammelle, l ‘aumento di volume dell’ utero  , o altri meno specifici come la sonnolenza , l’astenia , la nausea e il vomito che sono sintomi comunque molto  comuni e frequenti nelle donne ai primi mesi di gestazione. Per le sue prestazioni non chiedeva nulla in cambio, anche se le famiglie stesse la ripagavano con qualche bene di consumo di propria produzione (vino, olio, formaggi, gallina).

Per tutti  questi compiti svolti  la gente le portava  il massimo rispetto, riconoscenza e un certo timore, perché nella fantasia popolare era vista come  un personaggio persino magico, come una sorta di fattucchiera, che allontanava dal neonato il malocchio (in lingua francese, l’ostetrica si definisce come sage-femme, ovvero una donna saggia).

A lei ci  si rivolgeva anche per sapere il sesso del nascituro in maniera anticipata rispetto al parto ,( sperando che fosse maschio ) ed i metodi usati erano alquanto bizzarri : uno dei più utilizzati era un  pendolo in rame .Esso veniva posto sulla mano o sul ventre della donna incinta e se il pendolino oscillava su un asso orizzontale il nascituro era maschio mentre se invece il pendolino descriveva dei cerchi era femmina .La probabilità ovviamente era del 50%.

Ad avere una grossa importanza nella determinazione del sesso del nascituro fu anche il liquido seminale maschile ed il mestruo della donna . Era convinzione diffusa che se al momento del coito il sangue della donna era in eccesso sul seme maschile a nascere era una donna , viceversa se a prevalere era il seme maschile , il risultato era invece un maschio . A volte per far aumentare il ” seme materno ” si somministravano farmaci contenenti ferro, mercurio , bitume e vari altri ingredienti per un certo numero di giorni .

Ma anche l’intensità dell’atto  erotico maschile  , aveva secondo un’opinione diffusa  una grande importanza, . Essa secondo molti faceva produrre più seme e poichè solo in presenza di abbondanti quantità di esso nascevano figli maschi , un seme scarso faceva prevalere l’azione della madre e quindi dare al mondo figlie femmine. . Se poi oltre alla scarsezza del seme maschile vi era anche un’insufficienza quantità di ” terreno ” materno  ( mestruo ) , allora vi era impossibilità a generare.

Ad avere una certa importanza fu anche l’atto sessuale in se stesso . Secondo uno strano concetto dell’epoca infatti la donna durante l’atto sessuale produceva un certo umore che provenendo da tutto il corpo , finiva per concentrarsi poi  tutto nell’utero  . Se la donna percepiva piacere durante tutto l’atto sessuale ed otteneva l’orgasmo insieme a quello dell’uomo ,  l’utero essendo più accogliente e quindi più aperto , permetteva a tale fluido  di portarsi in vagina dove mescolandosi con il seme maschile , permetteva a questi di divenire piu grossi e più forti e generare quindi un figlio maschio che somigliava di più al padre se quest’ultimo avesse durante l’atto sessuale avuto maggior vigore , mentre era invece più somigliante alla madre se nello stesso atto sessuale lei si fosse maggiormente prestata  dandosi più da fare …

Se al contrario , la donna , pur provando piacere durante il rapporto , otteneva un orgasmo prima dell’uomo , essa versando il suo seme in vagina prima di quello maschile e scemando di piacere , pur incontrandosi successivamente con il seme maschile , dava però luogo alla generazione di una figlia femmina .

Ovviamente , secondo questo ” particolare concetto ” se la donna nello giacere con l’uomo non provava alcun piacere , allora non vi era alcuna gravidanza .

Nel corso dei tempi è stata di volta in volta dato anche una grande importanza alla dieta ed ancora oggi alcune scuole di pensiero nel mondo propongono una diversa alimentazione nella programmazione di una eventuale determinazione del futuro nascituro . Secondo questi infatti , una dieta ricca di potassio e sodio ma bassa di calcio e magnesio determina infatti una maggiore produzione di maschi .

L’assistenza al parto è invece stata in passato  prerogativa esclusiva  di figure femminile per tutta una lunga durata di tempo e la figura maschile manco si poteva lontanamente immaginare di avvicinarsi ad una donna con gambe divaricate sia esso medico o cerusico. I mariti preferivano quindi per gelosia ,che ad assistere la propria moglie fosse una donna  e inoltre per preservare la propria discendenza da possibile penetrazioni di seme esterno non gradivano la presenza di nessun altro uomo nei paraggi.

L’esasperazione della pudicizia , l’esaltazione della verginità e del pudore femminile facevano infatti all’epoca  ritenere  indecente il contatto di uomini ( tranne il marito ) con i genitali femminili . L’ esasperazione della verecondia portava al totale rifiuto del ” man midwife “, a meno che non vi fosse una grave patologia . Per i medici fino al XVIII secolo , vigeva l ‘interdizie a toccare il corpo femminile e sopratutto l’area genitale  Pensate solo al fatto che un famoso  medico di Amburgo , il dottor Weiss, vissuto nel  XVI secolo per aver violato questa regola ed aver assistito una partoriente travestito da levatrice , venne condannato al rogo e addirittura bruciato vivo .

Era quindi presente un grande pregiudizio verso gli uomini che potessero assistere alla nascita e i chirurghi o i medici venivano chiamati solo in casi di estrema urgenza e spesso solo per sacrificare il bambino al fine di salvare la madre .Spesso infatti venivano chiamati per fare l’embriotomia o la craniotomia e solo in un secondo tempo anche per fare il taglio cesareo , ma solo post-mortem cioè dopo che  mamma era morta ).

Il parto come detto prima avveniva a casa della gestante e sopratutto nei paesini di campagna in condizioni igieniche precarie,  ogni complicanza che subentrava era spesso destinata ad evolvere nel 90% dei casi nella morte sia per la madre che spesso moriva dissanguata, sia per il bambino che al momento della nascita poteva contrarre delle serie patologie e morire poco dopo. Tutto questo perchè  i veri meccanismi del parto  non erano ancora ben conosciuti come lo sono oggi ed i  meccanismi ormonali, quelli meccanici ed anche alcuni concetti di anatomia , si sono sviluppati solo successivamente.Non esistevano quindi nè  gli strumenti nè le conoscenze adatte per affrontare i problemi, nemmeno quelli più banali, che potevano sorgere  in gravidanza o durante il parto. Gli antibiotici e gli  anestetici erano un miraggio,e il concetto di  igiene era inesistente.

Tutto era in mano alle “levatrici dotate fondamentalmente di grandissima esperienza ma senza nessuna formazione alle spalle e di qualche raro medico che lavorava in ospedale o si recava direttamente a casa di chi doveva partorire.

L’ostetricia del 1800 quindi non era particolarmente differente da quella che si praticava nell’antica Roma o nella Grecia della stessa epoca. I nostri progenitori latini, quando una donna aveva difficoltà durante il travaglio la legavano ad un palo e la scuotevano dall’alto verso il basso, per favorire (solo teoricamente) la “discesa” del bambino Era il parto per succussione (si chiama succussione ippocratica), tentativo estremo ed inumano che ha visto la sua origine anche prima dell’epoca degli imperatori romani.

Come si può immaginare erano tantissime le cause di morte del feto o della partoriente: non esistevano nè gli strumenti nè le conoscenze adatte per affrontare i problemi, nemmeno quelli più banali, che sorgevano in gravidanza o durante il parto Non conoscendo né i mezzi per prevenire, né le complicanze in sé,  né i rimedi, la donna era abbandonata al suo destino. Se moriva la gente non sapeva che spiegazione darsi ; forse la madre aveva avuto quel figlio da un possibile amante e allora Dio la puniva, forse la donna era maledetta, perchè qualcuno doveva averle fatto il malocchio o, forse ancora la poverina era morta perché era malaticcia e non era il caso di farle fare dei figli, era morta però facendo il suo dovere.Se anche il bambino moriva era la vita, una febbre infantile.

Le levatrici ( o mammane ), ma anche gli stessi medici  che seguivano le gestanti avevano comunque conoscenze limitate e, solo a partire dal XIII secolo si poté praticare il cesareo, che, comunque, veniva eseguito solo, su donne decedute  e al solo scopo di benedire in tempo il bambino perché si era fermamente convinti che il battesimo lo avrebbe salvato dall’inferno.

Nella società medievale, di forte impianto religioso, dove la preoccupazione per la salvezza dell’anima era prevalente su quella del corpo, e una delle principali preoccupazioni della Chiesa, era quella che i bambini venissero  battezzati; se appena c’era il dubbio che non lo fossero e se questi venivano trovati morti, nel dubbio, era  infatti vietata la loro sepoltura nei cimiteri consacrati.

 

Interventi più semplici come l’episiotomia ,la stimolazione del travaglio, l’applicazione della ventosa  e l’uso del forcipe erano  sconosciuti, ed  il numero delle donne sopratutto al loro primo figlio  che morivano di parto era molto alto.

Il parto poi, doveva avvenire nel dolore, in quanto il dolore era vissuto come una sorta di dovere; per dare alla luce una nuova vita, bisognava soffrire.Infatti era solida la convinzione che il parto dovesse essere a tutti i costi un evento doloroso, perché era giusto, era la punizione delle figlie di Eva,

Ogni tentativo di alleviare questo dolore era considerata pertanto una grave colpa (pensate che addirittura una povera donna nel 1591 fu bruciata viva ad Edinburgo perché aveva usato dei presunti incantesimi per diminuire i dolori del parto).

Prima del 1600 non esisteva nessun modo di estrarre il feto vivo se vi era un qualsiasi ostacolo alla sua fuoriuscita e lo  strumento più usato per facilitare il parto fino agli anni sessanta era il forcipe , una sorta di “pinza” di acciaio che si usava e si usa talvolta ancora oggi  per facilitare l’estrazione della testa del feto quando qualsiasi ostacolo ne impedisce la fuoriuscita. Con queste due branche della pinza si afferra la testa del nascituro ai lati, a livello parietale (sulle tempie per intenderci) e si tira energicamente verso l’esterno. Il suo uso richiedeva un buon allenamento ed in molti casi risultava risolutivo ma poteva anche creare lesioni più o meno gravi sia fetali che materne .

Tutto questo spesso senza l’uso dell’anestesia che inizialmente sopratutto negli ospedali negli anni del dopoguerra era somministrata dalle suore (raramente dai medici) che avevano il ruolo che oggi è dell’infermiere professionale.

L’introduzione del forcipe fu comunque senza dubbio uno dei primi passi verso l’introduzione del medico uomo nell’assistenza al parto . Il suo uso all’inizio della sua introduzione nell’aiutare il parto ebbe  grande diffusione e poichè a saperlo usare erano sopratutto medici specificamente preparati e con adeguata conoscenza dell’anatomia si incominciò a preferire avere accanto a se ,al momento di partorire , figure professionali più preparate e capaci di risolvere un’inattesa patologia in modo da cercare di salvare anche il figlio solo e non la madre . Fino ad allora infatti si cercava di far sopravvivere la sola donna al parto ricorrendo spesso all’embriotomia.

L’arrivo del medico-uomo al letto del parto fisiologico divenne prassi però solo nel XVII secolo e doveva avere particolari caratteristiche . Ecco a tal proposito quanto scritto da Mauriceau  ( un famoso medico francese ) in un suo trattato all’epoca molto conosciuto e seguito ( 1684 )

….è mio proposito far conoscere le condizioni  requisite ad un chirurgo , che vuol operare , colle osservazioni necessarie da farsi prima intraprendere cos’alcuno . Queste condizioni consistono , o in ciò che riguarda il suo corpo , o in ciò che cocerne il suo spirito . In quanto alla persona , deve essere sana , forte , e robusta , perchè questa è la più difficile , e la più laboriosa operazione , che possa fare un chirurgo , nella quale molti alle volta sudano , benchè sia nel colmo dell ‘inverno  per le difficoltà, che ordinariamente vi s ‘incontrano .

Per questo un chirurgo che vuol praticare la professione d’aiutar le donne ne’ parti difficili , non deve essere d’un età provetta , acciò non sia così facile  a cedere alla soverchia fatica .

Deve principalmente avere le mani piccole , accio’ che le possa facilmente introdurre nella matrice , quando la necessità lo richiede ; che siano nondimeno forti , e i diti alquanto lunghetti , e particolarmente l’indice , acciò possa con maggior facilità toccare l’orifizio interno . Che nel tempo dell’operazione non abbia alcun anello , e che le ugne siano ben tagliate , acciò non vi resti alcuna durezza , per non offendere la matrice.

QUESTA E’ LA PARTE PIU’ BELLA

Deve essere di buona presenza , pulitamente vestito , e pulito anche di mani e faccia, acciò non metta paura colla sua presenza alle povere donne , che lo domandano la sua assistenza . Vi sono alcuni che dicono , ch’un chirurgo raccoglitor di parti deve essere sporco , o almeno negligentemente vestito , lasciandosi crescere una barba lunga e bavosa per non dare alcuna gelosia a ‘ mariti delle donne , che mandano a chiamare per aiutare . Veramente vi sono molti che credono , che quella politica possa loro acquistar gran avventori , ma si disingannino pure , perchè un aspetto simile par più tosto un Boja , od un Macellaro, che un chirurgo , de quali le donne anno bastantemente paura , senza che li masscherino in quella forma. Deve  sopra al tutto esser molto sobrio , non ubbriacone , acciò possa in ogni tempo esser pronto ad ogni chiamata che gli possa essere fatta. 

Deve essere discreto , modesto , e principalmente segreto , avvertendo molto bene di non comunicare ad anima vivente l’incomodità , o malattia segreta, che possa aver qualsivoglia donna , e sopratutto , che sia onesto , prudente, e di buon giudizio, per sapersi regolare nelle sue azioni con regola e misura. Deve avere una vera divozione e pietà , senza però che possa distornarlo da far le sue operazioni secondo che la necessità lo richiede , come anche essere paziente, per non far le cose tanto in fretta , e con molta precipitazione , pigliando il tempo necessario per ben riconoscere quel che deve fare . Non deve pigliarli collera delle ingiurie, che forse l’ammalatagli potrebbe dire , o alcuno de gli assistenti , perchè il dolore dell’una , e la compassione de gli altri ne fa parlare senza ragione alcuna . Deve essere buon Cristiano , e di buona coscienza , per non far perdere il battessimo a’ figliuoli , che sono in pericolo di vita.

Le ostetriche però preoccupate di essere messe in disparte per lungo tempo cercarono spesso di ritardare la chiamata del medico o addirittura evitarla anche nei parti più difficili e ritenuti contro natura . Arrivarono spesso addirittura ad eseguire  loro stesse rivolgimenti, estrazioni podaliche , aborti e le cosidette  embriotomie.

Carlo di Borbone ( primo di Napoli e terzo di Spagna ) obbligò addirittura le ostetriche ad effettuare il taglio cesareo quando la madre era morte ( post mortem ) al fine di cercare di battesimare il neonato e  salvare quindi un’ altra anima da affidare alla chiesa cattolica .

Il primo taglio cesareo della storia è avvenuto nel 1508 ad opera del francese François Rousset ( ancora oggi la Francia è considerata la patria dell’ostetricia) e nel passato era considerato un intervento chirurgico che  i ginecologi non sapevano fare. Quando necessario si chiamava il chirurgo che spesso, soprattutto nei piccoli paesi, arrivava troppo tardi. L’intervento era comunque considerato anche negli ospedali , ad altissimo rischio anestesiologico e/o  di infezione e per lungo tempo è stato effettuato solo come precedentemente detto   quasi sempre sulla gestante ormai senza vita per tentare di salvare (e non succedeva quasi mai di farcela) il bambino.

Il farmaco più usato per millenni a scopo antidolorifico è  stato l ‘oppio , i cui semi venivano sciolti nel vino e per parlare di una vera e propria anche se rudimentale anestesia dobbiamo attendere addirittura la metà del XIX quando si riuscì a capire che attraverso l’inalazione di tre gas ( etere , cloroformio e azoto ) si riusciva ad ottenere una buona sedazione della paziente

La moderna ostetricia nacque invece intorno al 1600 ed uno dei padri fu  François Mauriceau, barbiere chirurgo parigino che per primo scrisse dei testi, pubblicò delle tavole anatomiche ,spiegò per la prima volta i meccanismi del parto, e decise la nuova posizione di come partorire  Fino ad allora la donna partoriva infatti seduta in uno sgabello e sostenuta alle spalle da un’altra donna. Mauriceau invece dispose che la donna dovesse partorire in un letto per favorirne il rilassamento e per aiutare i suoi sforzi.

 

Quando dopo un parto spontaneo tutto andava bene e la donna partoriva,  per prima cosa le si faceva fare il bagno; con l’aiuto della comare, si calava nuda in una tinozza e se tra i presenti c’erano donne sterili, costoro s’immergevano nella stessa vasca perché era diffusa la credenza che l’acqua in cui s’era bagnata una partoriente, propiziasse la fertilità.

Il cordone ombelicale del neonato , sopratutto nelle famiglie più benestanti , veniva pinzato e reciso con particolari cicogne in argento che poi venivano conservate per essere donate più tardi ai figli a ricordo della loro nascita .

Il neonato veniva a sua volta lavato con acqua ed erbe aromatiche  o con vino rosso o con una mistura d’acqua e uova sbattute. Poi la nutrice lo deponeva in una culla arricchita da nastri colorati.

Se un neonato nasceva «con la camicia» cioè con aderente ancora una piccola parte delle menbrane  del l sacco amniotico (, questo era ritenuto un segno beneaugurante . Secondo le  credenze popolari , quel neonato era nato fortunato (si riteneva peraltro che la «camicia» amniotica avesse il potere di proteggere dalle ferite) e predestinato nela culura del mondo contadino , secondo un antico culto agrario , molto diffuso  sopratutto tra la fine del 500 fino alla prima metà del 600 , a divenire un ” benandante ” cioè  una persona capace con il suo spirito di difendere il raccolto contro le streghe ed i stregoni ( lo spirito sopratutto il  giovedì notte aveva la capacità di uscire dal corpo per combattere ed  affrontare  nei campi le streghe e le altre creature diaboliche che minacciavano la fertilità dei campi ) . Queste battaglie notturne tre streghe , stregoni e  benandanti avvenivano con armi non conenzionali . I benandanti  erano  armate di rami di finocchio mentre  streghe e stregoni erano invece armati di canne di sorgo. Se i benandanti vincevano, il raccolto sarebbe stato propizio, altrimenti misero.

La puerpera stava a letto almeno un mese e s’alzava solo per cambiarsi e indossare le più belle camice del suo corredo. Se era molto ricca la sua stanza era addobbata con tendaggi e cortine di damasco e il suo letto ricoperto di lenzuola ricamate e trapunte d’argento.

I colori più usati per questi addobbi erano il rosso, il verde, l’azzurro. Davanti al letto era collocata una credenza colma di ogni ben di Dio: frutta, dolci, vini in modo che gli ospiti, venuti a festeggiare il lieto evento, potessero mangiare e bere a volontà.

 

Il battesimo avveniva dopo una decina di giorni e si svolgeva in chiesa al cospetto dei padrini che erano almeno una dozzina, ma potevano salire anche a cinquanta. Esso avveniva nel Battistero che aveva proprio questo scopo. Il neonato veniva dapprima immerso tre volte nell’acqua battesimale, ma siccome questa pratica non era esente da rischi . si passò all’aspersione, che consisteva nel versare acqua sulla fronte del piccolo. Compiuti questi atti, il neonato veniva vestito di bianco ed era pronto ad entrare nella comunità cristiana a tutto titolo.La scelta del nome dei neonati spettava al padrino e alla madrina. Gli si dava un nome che era di solito quello di un santo o di un martire  e un cognome che era quello della famiglia e spesso derivava da una particolare caratteristica fisica o morale

Il battesimo del neonato veniva seguito da una cerimonia  di purificazione della madre che segnava, dopo alcune settimane dal parto, il suo rientro nella vita sociale.

Durante il puerperio e quindi  nel periodo successivo al parto le donne erano infatti tenute segregate in casa per un periodo di 40 giorni  e solo al termine di questo lungo periodo venivano riammesse in societa’ . Il famoso ” capoparto ” cioe’ la prima mestruazione dopo il parto avviene secondo trasmesse dicerie appunto dopo questi 40 giorni ( puo’ avvenire invece prima ma anche molti mesi dopo ,grazie all’allattamento ).

La puerpera stava a letto almeno un mese e s’alzava solo per cambiarsi e indossare le più belle camice del suo corredo.  La sua riammissione nella vita sociale avveniva con un cerimoniale di purificazione che di solito seguiva il battesimo del neonato .

Le donne nonostante tutto questo erano quasi sempre incinte e le gravidanze un tempo occupavano buona parte della loro  vita   fino ai loro  40 anni .  L’intervallo medio tra due nascite era infatti di circa ventuno mesi e per  circa metà della loro vita coniugale, una coppia  spesso non aveva rapporti sessuali proprio per paura di danneggiare il feto (violare questa regola era peccato ).  L’uomo vedeva  la gravidanza della moglie come una malattia e resistendo al desiderio , evitava  di avere rapporti sessuali con lei . Ugualmente accadeva  se  la donna allattava,   perché la nascita di un altro bambino, rischiava di abbreviare l’allattamento e dunque la vita del   bambino.

Un vero problema era rappresentato dal controllo delle nascite perchè nel passato ,neanche troppo lontano, le donne durante la loro vita avevano un numero minore di mestruazioni e tra una mestruazione e l’altra talvolta passavano anche lunghi mesi .Il motivo era perchè oltre che andare  in menopausa molto prima , avevano anche dei cicli molto irregolari a causa della loro alimentazione molto povera . Inoltre le donne rimanevano spesso incinte e passavano gran parte della loro vita ad allattare pertanto uno stato di gravidanza spesso di diagnosticava con certezza solo quando il nascituro era quasi nato .

Il tardivo riconoscimento di uno stato di gravidanza rappresentava quindi un serio problema e per evitare le gravidanze spesso non ci si rivolgeva al medico ma al consiglio di donne anziane che spesso propinavano vecchi infusi fatti di erbe che secondo la loro esperienza e antichi detti erano capaci di innescare un mancato attecchimento  dell ‘embrione. Questa anziane ed ancor più vecchie  donne su eredità della antiche janare preparavano inoltre porzioni considerate ‘magiche’ per l’epoca per vari disturbi della salute ( mal di testa , dolori articolari , febbre , guarigione di ferite )  a cui spesso si associavano poi la preparazioni di pozioni d’amore, filtri e bevande inebrianti.

 

I vari sintomi per accertare uno  stato di gravidanza erano tutti poco affidabili e comunque comuni anche ad altre patologie :secchezza dell’ ingresso vaginale ( peraltro accertata dal partner durante il rapporto sessuale per compressione del proprio membro ),freddo agli arti superiori ,oppressione all’inguine, desiderio sessuale scomparso, ossa doloranti, assenza delle mestruazioni, viso pallido, nausea , vomito, mammelle e pancia  ingrossate.

 

 

I vari test invece erano quasi tutti basati su prove empiriche ed assurde basate quasi tutti sulla sola superstizione e ovviamente con dei risultati del tutto inattendibili . Basta citare alcuni test fatti in casa e da sole dalle povere dubbiose donne consistenti uno nell’introdurre in vagina la sera prima uno spicco d’aglio e verificare poi al mattino l ‘ eventuale odore in bocca ( in caso di positività vi era certezza di gravidanza ) e l’altro nel  mettere da parte della donna una chiave in fondo ad un raccoglitore di urine  (  se la chiave lasciava una traccia si era  incinta ).

Tra tutte le varie prove antiche ve ne sono state alcune che hanno trovato comunque qualche riscontro scientifico , e derivava dall’antico Egitto : si trattava di cospargere dei grani di orzo con l’urina della donna e se questi germogliavano più velocemente rispetto agli altri semi di controllo , significava che la donna era quasi certamente incinta.Studi recenti hanno dimostrato che ciò era possibile a causa di fattori stimolanti la crescita presenti nell’urina di donne gravide.

I primi rudimentali  sistemi contraccettivi , apparvero solo durante  il Medioevo e venivano usati sopratutto dalle  donne che lavoravano nei bordelli . Essi  erano molto rudimentali e consistevano in diaframmi fatti di cera d’api o pezze di lino per bloccare la vagina . Superstizioni popolari invece consigliavano di bere bevande fredde, rimanere passive durante il rapporto sessuale oppure trattenere il fiato e saltare violentemente dopo il rapporto sessuale.

Il profilattico comparve  solo nel 1500 mentre la spirale pur essendo un metodo con origini lontane nel tempo non veniva quasi mai usato (  gli antichi cammellieri del deserto avevano scoperto che introducendo dei sassi nell’utero dei loro animali si determinava una sterilità temporanea che risultava utile a loro per attraversare un tratto di deserto senza che il cammello rimanesse ingravidato e quindi non efficiente )


I metodo contraccettivi  usati nei tempi passati erano spesso empirici , inefficaci , divertenti e talvolta persino dannosi . Nell’antico Egitto si raccomandava per esempio l’uso di un pessario composto da mollica di pane mescolata con escrementi di coccodrillo , oppure un tampone vaginale fatto di mollica di pane mischiata con acacia , miele, e datteri  che permetteva di sfuggire a gravidanze indesiderate per almeno due anni ( L’acacia distrugge gli spermatozoi ).

Altri bizzarri sistemi usati in passato era  lo sterco di topo presso gli antichi romani  che oltre che distruggere lo sperma a mio parere distruggeva anche la libido . Anche i testicoli di donna imbevuti di alcool legati alla coscia della donna durante il rapporto sessuale nel periodo medioevale non era male ( sempre per inbire la libido). Essi in verità si usavano solo come portafortuna per non rimanere gravide .

Gli ebrei  invece erano soliti dopo il rapporto introdurre in vagina spugne marine con lo scopo  di assorbire lo sperma ed evitare la gravidanza.

I primi preservativi non erano ovviamente di lattice come oggi ma venivano fatti con budella di animale ( solitamente intestino di agnello o di maiale ) e non erano usati per impedire la riproduzione ma per evitare la trasmissione di malattie veneree

 

Sia nell’antica Grecia che in  Cina anticamente  le donne che non desideravano una gravidanza erano solite bere un bicchierino di mercurio caldo. Tale sostanza, che al giorno d’oggi sappiamo essere tossica, era anche utilizzata dagli antichi Greci per curare una lunga serie di malattie veneree, tra cui la sifilide.

Il mercurio veniva anche usato  nell’ambito di irrigazioni vaginali fatte con lo scopo di uccidere gli spermatozoi con effeti poi devastanti per la salute della donna.

 

Nel Rinascimento veniva invece usato il ditale delle sarte. Di ferro, ma anche d’oro o d’argento  questo veniva inserito nella vagina per bloccare gli effetti indesiderati di un rapporto sessuale. Spesso, veniva  anche abbinato a  sostanze acide che potessero fungere da spermicida.

 

Il famoso Casanova per evitare che le sue numerose amanti rimanessero incinte suggeriva alle stesse l’uso di mezzo limone svuotato, da inserire all’interno della vagina, come rimedio contro le gravidanze. In parte si fidava forse dell’acidità dell’agrume, in parte della protezione meccanica. Di fatto, il rimedio di Casanova era un antenato del moderno diaframma  inventato verso la fine dell’Ottocento.

 

 

 

In seguito non mancò di aggiornare le sue amate circa l’uso di nuovi mezzi contraccettivi come il profilattico.

 

Poichè quindi in passato non vi erano molti sistemi contraccettivi ,l’aborto era una pratica molto usato e  molte donne in seguito a questo intervento spesso rischiavano la morte  . Le alternative all’atto medico chirurgico erano dei vecchi rimedi tramandati da generazioni e da antiche guaritrici a cui ci si rivolgeva nel passato ( janare ) che consistevano in infusi a base  di erbe , ma purtroppo alcune donne rimanevano pure avvelenate da queste tisane

Una volta eliminate le janare  e di conseguenza  i loro rimedi fito-terapici , una donna se  rimaneva involontariamente incinta ricorreva alle donne  anziane del luogo che applicavano antiche conoscenze trasmesse oralmente da generazioni . Queste non avevano grande supporto scientifico e si basavano sopratutto su vecchie pratiche abortive attuate da le loro mamme o le loro nonne . Le  conoscenze sull’aborto erano e rimanevano scarse,  basate per la maggior parte sull’uso di lavande interne, purghe, sale, miele, olio, catrame, piombo, succo di menta, semi di cavolo, segale cornuta, rosmarino, mirto ,coriandolo, foglie di salice, balsamina, mirra, prezzemolo, semi di trifoglio e perfino urina animale.

Il problema principale consisteva comunque soprattutto nel riconoscimento precoce della gravidanza .Molte donne infatti ,capivano di essere incinte solo quando la loro pancia  cominciava a gonfiarsi ed una gravidanza ad uno stadio avanzato rendeva ovviamente più pericolosa la pratica dell’aborto.che portava  frequentemente alla  morte  La pratica alternativa più usata era o  l’uccisione del neonato o il suo abbandono. L’infanticidio per fortuna avveniva in misura ridotta rispetto all’abbandono ed  essendo  considerato un reato grave , se scoperto veniva  duramente punito con la pena capitale.  Per raggirare questa situazione purtroppo si simulava spesso l’ evento di  una morte accidentale, come quello per esempio  quello che poteva accadere per soffocamento del neonato nel letto dei genitori.

Questa pratica assumeva l’aspetto di un infanticidio selettivo ai danni delle femmine, ritenute meno desiderabili dei maschi; in questo modo, infatti, “morivano” più femmine che maschi.

L’abbandono dei bambini invece , inizialmente  severamente punito , ( in Sicilia  al  tempo della dominazione normanna, la legge prevedeva il taglio del naso per le madri che vendevano le figlie, mentre  in Spagna era  invece era prevista  la condanna al rogo) in un secondo momento e sopratutto nella nostra città venne maggiormente tollerato specie se ad abbandonare i bambini erano famiglie particolarmente povere .

Questi poveri bambini spesso li ritrovavi  poi per strada, abbandonati a se stessi al freddo e alla fame, sopratutto dopo grandi carestie come quella del 1589. Nacquero così prestigiose e misericordiose istituzioni al solo scopo di dare una casa ai bambini abbandonati per miseria,  sotto il cui tetto potevano anche trovare un pasto caldo.
Tra i tanti istituti si distinsero sopratutto i conservatori  musicali conservatori che in città inizialmente  erano 4:  quello di S. MARIA DI LORETO, il  CONSERVATORIO DEI POVERI DI GESU’ CRISTO , quello  di S. ONOFRIO A CAPUANA ed infine quello della PIETA ‘ DEI TURCHINI .Nella prima metà dell”800 furono poi tutti raggruppati nell’unica scuola musicale di San Pietro a Majella.

 

In questi istituti i ragazzi venivano accolti , dato loro un tetto ed un pasto caldo e spesso insegnato loro uno strumento musicale . Uno dei personaggi che si diede un gran da fare per fronteggiare il fenomeno dei bambini abbandonati per strada fu il  francescano FOSSATARO da Nicotera che con molta misericordia e dandosi un gran da fare ospitò una massa enorme di bambini in  un edificio in largo gerolamini costruito con i fondi raccolti da un continuo elemosinare .  Da questi istituti musicali uscirono musicisti come Alessandro Scarlatti – Francesco Durante – Giovan Battista Pergolesi e furono formati grandi personaggi come Domenico Cimarosa – Nicola Antonio Porpora ( maestro di Haydn ) – Tommaso Traetta – Antonio Zingarelli ( fu maesro di Bellini ),  Giovanni Paisiello e Gaspare Luigi Spontini che fu il compositore privato della moglie di Napoleone.

Talvolta però alcuni di questi ragazzi finivano per aumentare le fila dei ‘famosi cori bianchi‘: un gruppo di ragazzi eunuchi dalla voce bellissima e cristallina che deliziavano l’ascolto di persone presso salotti privati o interi teatri (alcuni di loro sono poi divenuti famosissimi come Farinelli o Moreschi) o meglio in chiesa dove facevano parte di selezionati cori di cui il più prestigioso aveva sede presso il Vaticano. Per avere una voce così bella era però necessario che i ragazzi venissero castrati  prima della pubertà, cioè prima della muta della voce poichè solo così in teoria il risultato poteva essere eccellente: si otteneva così una voce femminile emessa però da un torace maschile, che può contenere molta più aria, e attraverso corde vocali maschili che per vibrare hanno bisogno di meno aria e possono quindi tenere una nota più a lungo. Potevano arrivare a coprire anche tre ottave e mezza, un’estensione vocale fuori dal comune.

 

Il Conservatorio di Santa Maria di Loreto che prese il nome dalla vicina chiesa fu un importante luogo di raccolta dei tanti bambini abbandonati nonostante esso si trovava fuori dalle mura della città . Inizialmente la struttura , fondata da Giovanni di Tappia , era solo dedicata alla cura dei piccoli di entrambi i sessi abbandonati o poveri mentre in seguito trasformata in un’importante conservatorio divenne un famoso luogo che vide tra allievi e maestri passare tra le sue stanze personaggi come : Domenico Cimarosa, Alessandro Scarlatti, Giovanni Battista Pergolesi, Francesco Durante , Francesco Provenzale , Nicola Porpora , Giovanni Fischietti , Francesco Mancini e tanti altri .
Il seminario di orfanelli gestito dai padri Somaschi garantita ai suoi piccoli ospiti  un’ istruzione in scienze , grammatica e religione , mentre ai ragazzi piu’ grandi veniva insegnato un mestiere assegnandoli per l’apprendistato di minimo sei anni ad un artigiano della città’.

Gli orfanelli di questo istituto erano facilmente riconoscibili per le strade n citta ‘perchè  li vedevi spesso con la loro piccola divisa chiedere l’elemosina per strada  .
La divisa era costituita da un’a sottana lunga e bianca sormontato dalla ” bizarra’ ( un pesante  soprabito con mantellina) e un particolare cappello a falda larga.
Il ricavato della questua fatta da questi piccoli ragazzi era la sola principale fonte di reddito dell’orfanotrofio ( la speranza era qualche lascito di nobili aristocratici ).
Gli orfanelli erano perfettamente organizzati ed i loro compiti ben divisi.
Le cosiddette ” paranze ” erano quei gruppi di circa 15-20 bambini che vestiti da angeli ( gli angiulilli ) avevano il compito di  seguire le processioni , vegliare i defunti o assistere i malati .I  ” cercatori de fuora ” erano quelli che dovevano girare per le strade e questuare , mentre i “cercatori de chiesa ” erano quelli che dovevano andare nei  i luoghi di culto per elemosinare .

Ma il numero dei neonati abbandonati e dell’infanticidio era ancora molto alto .Nella Napoli dell’ 800 l’infanzia abbandonata divenne una vera piaga e per risolvere questo  fenomeno si pensò bene di  istituire  la famosa ruota degli esposti tenuta presso il complesso dell’Annunziata ( chiesa ed ospedale )  che divenne in poco tempo uno dei più importanti enti assistenziali della città.  Questo complesso  si prodigo’ molto per evitare il fenomeno dell’infanticidio e  dell’abbandono dei neonati, riuscendo ad accogliere migliaia di  orfani e trovatelli e  ad assistere fino a cinquecento malati al giorno .

La ruota era posta in corrispondenza della facciata esterna dell’edificio dove in una buca si trovava una sorta di barile rotante cavo in cui veniva deposto , in forma anonima e senza essere visti dall’interno,i cosidetti  “‘esposti”, cioè i neonati abbandonati  di genitori ignoti (da cui il cognome “Esposito” – dal latino ex positus , cioè abbandonati).

Al suono di una campanella veniva poi fatta girare la ruota, che trasportava così il neonato all’interno dell’edificio per affidarlo in una stanza di accoglienza alle prime cure di suore . I bambini venivano raccolti all’interno dell’edificio da balie pronte ad intervenire ad ogni chiamata e venivano lavati in una vasca situata accanto alla ruota che fungeva sia da lavatoio cha da fonte battesimale.

 

Spesso insieme al neonato, soprannominati“figli della Madonna“, erano così denominati in quanto i genitori li “esponevano” alla misericordia di Maria, da cui anche l’origine etimologica del cognome ) veniva deposta una moneta spezzata, un foglio di carta con il nome dei genitori o comunque qualcosa che potesse consentire in futuro un eventuale ricongiungimento ; altri non avevano nessun segno .Tutto quello che indossavano e qualsiasi segno particolare ( aspetto fisico, colore, giorni o mesi di vita, segni particolari ) veniva  annotato in un apposito libro per  rendere più facile un eventuale riconoscimento un domani da parte dei genitori.

Prima di essere affidati alla nutrice, al collo dei piccoli veniva legato un laccetto con una placchetta di piombo sulla quale erano incisi, da un lato, il numero di matricola ( chiamato “merco ” , dalla marchiatura a fuoco del bestiame ) e dall’altro l’immagine della Madonna (Madonna de Repentiti). All’esterno, al di sopra della ruota, vi era un puttino di marmo con la scritta: “O padre e madre che qui ne gettate / Alle vostre limosine siamo raccomandati”.

Purtroppo spesso si cercava di infilarci dentro anche  bambini troppo grandi e poichè lo spazio era tarato su dimensioni dei neonati , capitava talvolta che si praticavano gravi lesioni ai bambini oppure deformazioni permanenti o addirittura persino traumi letali.

L’Ospedale dell’Annunziata , dove peraltro si registrò il primo caso della terribile peste del 1656, si caratterizzo per l’assistenza alle donne incinte e ai bambini abbandonati per i quali si creò un ospizio .Gli ospiti di questa istituzione venivano chiamati “figli della Madonna”, “figli d’a Nunziata” o “esposti” e godevano di particolari privilegi.

 

La sua nascita si deve al buon cuore dei sovrani angioini spinti dalle continue segnalazioni dei pescatori di Napoli che denunciavano di trovare sempre più spesso nelle loro reti i corpicini dei neonati gettati in mare dopo il parto , un pò come avveniva a Roma con il Tevere.

Papa Innocenzo III , secondo un racconto istituì  nell’Ospedale di Santo Spirito in Sassia una ruota per accogliere i bambini detta “dei Projetti “,(dal latino proiectus cioè gettar via) ,perchè pare tormentato da ricorrenti sogni in cui gli apparivano cadaveri di neonati ripescati nelle reti dei pescatori del Tevere (notate che Proietti è il cognome più diffuso a Roma ).

Questo luogo deputato per l’abbandono di figli indesiderati o nati in famiglie troppo povere, per anni ( fu chiuso definitivamente nel 1875 ) risultò l’unico sistema per evitare di trovare neonati abbandonati in cassonetti o per strada o ancora peggio nelle fogne o nelle discariche .A questo complesso erano collegati l’Ospedale di Tripergole ( Pozzuoli ), poi distrutto dall’eruzione del Monte Somma , l’Ospedale della Pietatella a San Giovanni a Carbonara , l’Ospedale San Gennaro all’Olmo , l’Ospedale di Sant’Attanasio (dove oggi si trova la cappella del tesoro di San Gennaro )e l’Ospedale di Sant’Antonio di Vienna che faceva parte del complesso di Sant’Antonio Abate nell’attuale via Foria.

 

Ma in questa struttura vi affluivano anche i neonati abbandonati nei reparti di maternità dell’Ospedale degli Incurabili e dell’Ospedale della Pace ed il numero dei neonati abbandonati e raccolti in questo istituto divenne altissimo ( oltre tremila l’anno ).

La cosa triste è che molti di questi bambini , secondo alcuni dati quasi la metà ,non sopravvivevano all’interno dell’istituto , sia per l’impossibilità di garantire una dose sufficiente di latte e sia per le poche medicine presenti a fronte dell’alto numero di infezioni a cui i bambini andavano incontro spesso dovute al degrado e alle pessime condizioni di vita a cui erano sottoposti i poveri orfani.

Le cronache del tempo raccontano anche di numerose violenze subite dagli orfani nei brefotrofi. Alcune monache  furono protagonisti di numerosi episodi vergognosi ed illeciti perpetuati a scapito sopratutto delle giovani ragazze  considerate inquiete o disobbedienti nei loro confronti . Il loro abuso di potere nei confronti delle giovani esposte si concretizzò con l’uso  di manette , ceppi , cibo a giorni alterni , frustate e altri tipi di castighi a noi inimmaginabili.Nei casi più gravi le ragazze secondo loro più indisciplinate  erano spedite addirittura nel  carcere minorile del Real Albergo dei Poveri ( serraglio ) che arrivò ad accogliere fino a ottomila giovani reclusi (per fronteggiare l’emergenza dell’Annunziata dopo i sette anni di vita i maschi dal 1806 venivano trasferiti nell’Albergo dei poveri , considerato una sorta di reclusorio con pessime condizioni di vita).

Le ragazze venivano divise dalle suore in due gruppi , LE ELETTE ( fortunate ), al massimo 100,   che potevano accedere all’Alunnato della casa dove vi erano ambienti puliti , la scuola, ed un comodo dormitorio ) e TUTTE LE ALTRE ( REPROBE ),  alloggiate al piano terra in stanze fredde e sporche infestate da insetti dove continuamente sorvegliate venivano sfruttate dalle suore senza qualsiasi accenno di calore umano e carità cristiana .Fortunatamente molte di queste suore, una volta scoperte   furono poi condannate al carcere con grande scandalo dell’istituto.

Per le povere ragazze l’unica chance di salvarsi era trovare marito e questo poteva accadere solo nel giono della Madonna , una volta all’anno . Si teneva infatti nella Sala delle colonne in questo giorno  una particolare cerimonia in cui le ragazze più grandi dovevano sfilare davanti agli uomini le in cerca di moglie .Il segnale di disponibilità veniva dato con un fazzoletto. Alla dote che doveva accompagnare la ragazza ci pensava……. il gioco del lotto.

Partiamo col dirvi che un tempo ,  ad accompagnare una donna all’altare per sposarsi ci voleva una buona dote e purtroppo molte giovani fanciulle non riuscivano a sposarsi se non avevano un minimo di dote.

Documenti dell’epoca attestano che la dote nel Settecento subì notevole incremento al punto tale che spesso nelle famiglie aristocratiche si sosteneva il matrimonio di una o al massimo due figlie per non disperdere troppo le finanze. Tra madre e figlia esisteva il cosiddetto “legame della dote” ossia una lunga e scrupolosa complicità nell’accumulare soldi che avrebbero consentito alla ragazza un matrimonio migliore. Soprattutto nelle classi meno abbienti, madri e figlie lavoravano sodo per questa finalità.
Addirittura , e fin dal Medioevo talvolta succedeva che alcune donne si davano alla prostituzione pur di accumulare la dote necessaria .
Il fenomeno divenne talmente diffuso che Federico II di Svevia , nelle prima metà del 1200 , promulgò una legge di perdono per le madri che avevano indotto alla prostituzione addirittura le figlie per miseria al fine di procacciarsi l’ambita dote ,mentre in precedenza venivano punite.
Si escogitò allora per consentire a tutte le donne di avere le stesse probabilità di maritarsi ,un particolare sistema basato su di un sorteggio che consentiva  a tutte le donne di avere le stesse probabilità di maritarsi ,portando con se una dote. SI ideò un sistema che abbinava ai numeri estratti dal gioco del lotto le doti per le giovinette bisognose ( detto maritaggio ).
I  sorteggi legati ai 90 numeri del lotto  venivano chiamati ” beneficiate “ed erano organizzati in questo modo :da 1 a 30 il diritto spettava alle giovani del Real Albergo dei Poveri, da 31 a 60 a quelle dell’Annunziata , da 71 a 80 a quelle dell’Ospizio di San Gennaro dei poveri ,da 71 a 80 a quelle del Ritiro di San Vincenzo Ferreri e Immacolata Concezione , da 81 a 90 a quelle del Conservatorio di San Eligio e della Maddalenella.
 Il lotto rimase poi collegato al ” maritaggio” almeno fino al 1865.
Con Carlo di Borbone prima e successivamente con Ferdinando di Borbone nel 1816 i re resero possibile alla  estrazione anche la partecipazione  dei Conservatori e lentamente ai maritaggi si unirono anche i ” monacaggi “, ovvero le doti per le fanciulle che prendevano i voti.
Le sedi dove si teneva la cosidetta ” beneficiata” legata al gioco del lotto furono varie di cui la principale e più famosa si trovava alla Pignasecca.

A proposito di gioco sapete che nel  tardo medioevo si cominciò a scommettere sul sesso dei bambini alla nascita  ? Gli allibratori facevano combutta con le levatrici e le balie e alcuni diventarono molto ricchi. Il gioco fu poi proibito dai Papi ma continuò a prosperare clandestinamente.

Ma ritorniamo alle donne e loro sposalizio.Queste dal momento che si sposavano,  avevano come  loro principale dovere  quello di fare figli ( mediamente dagli 8 ai 10 figli )  e possibilmente maschi per acquisire buona reputazione sociale . Tutti questi parti avvenivano  tra l’altro con il solo parto spontaneo ed   in unì epoca dove partorire era un evento aggravato da una alta mortalità durante il travaglio .La voro vita media infatti era compresa tra i 30 ed i 40 anni proprio perché  spesso morivano durante i loro numerosi  parti.

Erano comunque  tempi in cui i  bambini avevano comunque pochissimi diritti tanto che se si doveva scegliere tra la vita del neonato e quella della madre, era la vita della madre la più importante. Pensate solo al fatto che avere una gravidanza gemellare era attribuita  a comportamenti adulteri e quest’ultima convinzione induceva la madre dei gemelli, pur innocente, a liberarsi di uno dei due neonati , per non essere accusata di adulterio.

Un altro fenomeno non infrequente fu quello dell’affidamento, che era una via di mezzo fra l’abbandono e la scelta di far allevare un bambino lontano dalla famiglia naturale, da una altra famiglia che se ne prendesse cura e lo amasse come un figlio suo.

La donna subiva tutto questo e non poteva minimamente pensare di ribellarsi in quanto a loro  era vietato esprimere il proprio pensiero e dovevano in maniera rassegnata accettare questo stato di cose. Ovunque andavano era questo il modello  sociale che le rappresentava.Per secoli si sono sentite dire dai propri familiari o dai predicatori nelle chiese , parole come castità, modestia, umiltà, sobrietà, e silenzio. A loro non era permesso parlare in pubblico, tanto che, anche nelle cause legali, esse dovevano farsi rappresentare da un uomo (padre, dal marito o dal parente maschio più vicino) e  non era neanche concesso   governare, insegnare e predicare perché le parole del potere, del giudizio e della cultura erano esclusivamente parole maschili. 
Una donna che vive oggi nei nostri tempi non puo’ nemmeno lontanamente immaginare quello che hanno dovuto subire le donne in tempi neanche troppo lontani e se solo leggete un poco di quanto segue capirete che esse non posssono che sentirsi fortunate di non aver vissuto in tempi passati .

Secondo la morale medioevale, le donne dovevano uscire poco perché le uscite dalla casa e dai monasteri erano molto pericolose. Nelle piazze e nelle strade, nel percorso che da casa porta alla chiesa, la donna poteva essere vista e quindi suscitare negli uomini desideri di lussuria, rischiando di compromettere quella castità che per tutti (padri, mariti, chierici) è l’unico bene supremo delle donne, seminando disordine e discordia nella famiglia e nella comunità.               Le donne dovevano avere un comportamento pubblico composto e pudico: non divertirsi troppo,non bere vino. mangiare poco, danzare con compostezza, muoversi con misura.

Ma per quanto fossero controllate nel cibo, negli abiti e nei gesti, 
il loro difetto più grande secondo gli uomini  era……..la parola! 

Secondo i predicatori dell’epoca le donne erano capaci di mentire con abilità, erano  insistenti e lamentose, litigavano, si scambiavano maldicenze e parlavano inutilmente.
” Le donne parlano, parlano e naturalmente
parlano troppo e male “………….                                                                                                                                                          Per mettere in evidenza questo difetto, 
in alcune prediche si sosteneva  che Cristo sarebbe apparso,
dopo la resurrezione, alla Maddalena perché sapeva bene che,
in quanto donna, avrebbe immediatamente diffuso la notizia.

Le donne erano  considerate irrequiete nel corpo e nell’anima e dovevano quindi essere dunque custodite, represse, sorvegliate, rinchiuse,e  protette.

Grossa preoccupazione suscitavano le donne che partecipavano alle feste, danze, riunioni, spettacoli in quanto in queste occasioni, le donne esibivano la loro ricchezza, il prestigio e l’onore della famiglia, ma bastava uno sguardo più acceso o una mossa più ardita perché ricchezza e onore corressero seri rischi.

La madre aveva il compito di sorvegliare i figli, soprattutto se femmine, tenendole lontane dalle tentazioni, garantendone la castità, a reprimere il peccato e a dire le preghiere .Esse dovevano imparare fin da subito ad essere mansuete e prudenti, per essere preparate ad entrare in un mondo maschile che le voleva così. L’uomo esercita il potere, la donna esegue gli ordini ricevuti. I  figli maschi una volta che uscivano dall’infanzia erano affidati invece nella loro educazione al padre.

In tempi passati tutta  la  vita di una donna avveniva  sotto l’autorità di un tutore : prima il padre, poi il marito. Esse infatti passavano direttamente  dalla casa paterna dove vivevano sotto la stretta tutela del padre a quella del marito suo unico signore e padrone .Le più fortunate divenivano le padrone del focolare domestico, ma nella maggior parte dei casi si spostavano a casa dei suoceri dove dovevano subire l’autorità della nuova famiglia e dove potevano essere sorvegliate in assenza del marito.

La giovane donna portava  all’interno della nuova famiglia anche la sua dote consistente spesso in una somma di denaro o beni immobiliari . Questo era il motivo per cui  se in una famiglia nasceva una figlia femmina questo evento veniva considerato come una grossa disgrazia provocando nei genitori una terribile angoscia per la dote che essi avrebbero dovuto fornire poiche questo significava indebolire il proprio patrimonio familiare .La dote era prevista  loro malgrado per la sola primogenita  e non era assolutamente ipotizzabile sprecare una seconda dote. Dividere un patrimonio familiare tra due o più figli significava indebolire la ricchezza ed il potere della famiglia , e  concedere più di una dote nuziale sarebbe risultato gravoso anche per le tasche dei casati più facoltosi. Per tale motivo le seconde o terze figlie nate in una nobile famiglie per consuetudine venivano indirizzate  alla vita monacale .

 

Se non divenivano monache venivano mediamente date in sposa tra i 15 ed i 18 anni e se ciò non avveniva ,alla sola età di 25 anni erano considerate zitelle senza speranza mentre ad appena 30 anni erano considerate anziane .                      La loro infanzia era quindi breve poichè  poco più che bambine  e spesso  contro la loro volontà. venivano date in sposa giovanissime a uomini non scelti da lei con cui erano obbligate ad unirsi nel vincolo matrimoniale perchè promesse in spose dai propri genitori per affari o per compromesso (  al padre allora non si poteva disobbedire  e qualsiasi cosa da lui decisa era legge ).

Nell’’Alto Medioevo erano pochissime  le donne laiche con un alto grado di istruzione e di cultura. A quei tempi Le scuole non esistevano e quindi molti  non sapevano né leggere né scrivere. Le uniche donne capaci di accedere alla cultura erano quelle che si davano alla clausura come monache nei monasteri .

Secondo Filippo da Novara la donna non doveva imparare né a leggere né a scrivere, se non per diventare monaca, 
perché dal leggere e dallo scrivere delle donne sono derivati molti mali.
Sulle parole femminili incombeva anche  l’autorità di San Paolo che proibisce alla donna di insegnare (I Timoteo XIV, 12) 
e di parlare nelle assemblee (I Corinzi XIV, 34-35).  Questi due passi sono stati usati, per lungo tempo, per giustificare il controllo sulla parola femminile.

La chiesa cattolica  non è stata molto buona con le donne nel corso dei secoli ( possiamo considerala maschilista ? ) e spesso le citazioni nei suoi confronti hanno manifestato poche attenzioni verso il mondo femminile e tutto quanto  le circondava.  Basti pensare che nell’Antico Testamento il sangue mestruale era ritenuto capace di deteriorare i cibi e addirittura anche di rendere sterili i campi .

In verità con le mestruazioni la storia nel corso dei secoli è andata un pò in confusione ….

La donna nei giorni del ciclo mestruale era addirittura considerata impura e persino pericolosa (sopratutto nel Medioevo). Le poche  volte che avevano un ciclo mestruale tendevano quindi prevalentemente a nasconderlo e in un periodo in cui non esistevano le mutande era veramente difficile passare inosservate . Il problema veniva risolto con dei speciali pantaloncini cuciti a mano che nella loro funzione tenevano fermi dei rudimentali assorbenti di cotone.

 Un altro rimedio utilizzato era lo Sphagnum palustre, una specie di muschio dall’alto potere assorbente che veniva utilizzato anche per fermare le emorragie. Il colore rosso, inoltre, era molto popolare nel guardaroba femminile delle donne più abbienti per nascondere le macchie.

Le tante cortigiane di corte e sopratutto le favorite del re erano costantemente sottoposte al controllo nelle loro camere da letto della loro biancheria e lenzuola  per meglio identificare figli indesiderati o naturali pretendenti al trono .

Il problema e la sua gestione era comunque un evento di poco conto in quanto a quell’epoca le donne avevano comunque ancora pochi cicli e tutti molto irregolari . Addirittura nel 1600-1700, quando diffusasi la voce  che lavare la biancheria causasse malattie o favorisse il ciclo mestruale  l’igiene intima venne di fatto sostituita con un largo uso del profumo.

Nel tempo i panni che si usavano per  raccogliere il sangue mestruale erano pezze di cotone che le  donne usavamo solo ed esclusivamente per quello scopo, piegandole  e  mettendole  tra le gambe. I due lati erano agganciati ad una specie di cintura che sosteneva il panno di cotone.I panno sporchi del sangue mestruale, venivano messi in bacinelle piene di acqua fredda e lavati. La bacinella stava in bagno, con un coperchio.

Gli antichi greci  a proposito delle mestruazioni , credevano addirittura che se il primo flusso mestruale di una ragazza arrivava tardi , il sangue si accumulava intorno al suo cuore ed il suo utero vagava attorno al suo corpo . Tutto questo poteva poi portare a comportamenti anomali , atteggiamenti violenti e istinti suicidi .

Nel periodo  in cui la donna aveva il flusso mestruale veniva  addirittura considerata dannosa  . Plinio il Vecchio, in epoca romana , sosteneva addirittura che all’arrivo di una donna mestruata il mosto inacidiva , gli innesti morivano e  le piante dei giardini bruciavano . Dove lei si siedeva i frutti cadevano dagli alberi e addirittura al suo sguardo morivano le api degli alveari .Il suo sguardo era finanche capace di arrugginire il bronzo che da quel momento emanava un odore terribile . Avevano anche scritto di esperimenti in cui facendo bere del liquido mestruale ai cani questi presi dalla rabbia poi divenivano portatori di un morso velenoso. Ad una donna mestruata era addirittura proibito andare nei boschi considerati sacri a qualche Dio .

In  epoca Medievale  credevano che se il membro di un uomo  toccava  il sangue mestruale  correva il rischio di rischio di bruciarsi ma sopratutto che ogni bambino concepito durante le mestruazioni nascesse certamente deforme , mostruoso ,  lebbroso o con i capelli rossi e di conseguenza posseduto poi dal demonio .

Il sangue in una donna appariva  e scompariva  da sé come una ferita che  si apre e rimargina da sola, e quando il sangue mancava  si creavano ( miracolo dei miracoli )  nuove vite e persone. Prima che la scienza potesse spiegare il processo fisiologico della fecondazione, alcune culture credevano che il sangue mestruale trattenuto si condensasse fino a formare un neonato. E da lì a credere che la donna, capace di un tale potere inspiegabile ed estraneo alle capacità dell’uomo, fosse lei stessa magica e divina, e l’uomo incominciava  a temerne la forza, . In un mondo in cui l’uomo deteneva il potere centrale , politico ,economico , commerciale , religioso  , era necessario denigrarle .

In Inghilterra agli inizi del 900  gli agricoltori credevano che le donne mestruate impedivano al latte di trasformarsi in burro ed ancora oggi in alcuni paesi non è raro osservare con un tonante “è indisposta!!!”, che una anziana donna faccia evitare alla sua giovane nipote  ogni contatto con detersivi e generi alimentari per scongiurare disastri e profezie ianare e   magari inviare a comprare al proprio marito anziano  gli assorbenti,  (che lei chiama ancora pannolini ) facendoseli confezionare nella carta del pane dal proprietario del negozio. Essere indisposte è stato  infatti  per anni una buona condizione per essere interdetta e scansare  qualsiasi attività domestica .  Alcune credenze popolari arrivate sino a noi narrano infatti di focacce non lievitate e altri “disastri” culinari provocati proprio dalla presenza in cucina di una donna con le mestruazioni.

Ancora oggi  talvolta è possibile sentire frasi come “Poverina è indisposta!”, e di conseguenza giustificata a non poter adempiere  ai suoi normali compiti e doveri, causa il ciclo  come in tutti gli altri giorni senza assorbente.

Vero o non vero , la verità è  che che il momento mestruale non era certamente considerato uno dei più felice e le donne apparse spesso troppo nervosa, irascibili  e perfino antipatiche grazie ai loro sbalzi  ormonali venivano considerate come persone da evitare e da tenere lontano da ogni contesto sociale , culturale e a volte familiare (oggi ha il ciclo, è meglio se le state alla larga.  ).

Gli uomini nei secoli  hanno da sempre decretato quello che una donna con il ciclo poteva o non poteva fare, additandole come un qualcosa di sporco, diabolico e impuro. Ed è per questo motivo che le  donne tendono , ancora oggi, a vivere il ciclo mestruale come un tabù, quasi con vergogna, perché i miti e le credenze popolari, ahimè, sono duri a morire.

La parola mestruazione  rappresenta ancora oggi per molte donne spesso ancora un grosso tabù e parlare di ciclo mestruale in pubblico rappresenta nonostante l’evidente nuovo ruolo della donna in società , per molti ancora fonte di evidente imbarazzo.  Le mestruazioni trascinano  dietro di loro  ancora vecchi  tabù  ed antichi  retaggi che hanno  portato di fatto nel corso dei secoli  molte  donne in  tutto il mondo ad inventare modi diversi di  definire mestruazioni,  attraverso dei nomignoli anche abbastanza comici.  Per indicare infatti  l’arrivo del ciclo alcune donne tirano addirittura in ballo la Luna e strani personaggi come il barone rosso o il marchese se non persino le giubbe rosse .

Il ‘ barone rosso’ è riferito al colore rosso dell’aereo del  famoso aviatore  e ufficiale tedesco  Manfred Albrecht von Richthofen  vissuto tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, morto a soli 26 anni,  soprannominato appunto   “Der Rote Baron”, cioè Il Barone Rosso , bravissimo nella guida in cielo del suo  triplano e  tanto caro alle donne che lo celebrano (involontariamente) ogni mese.

 È arrivato il  ‘marchese ‘è invece stato in passato sopratutto nella nostra città forse  il modo di dire più celebre per definire l’arrivo del ciclo mestruale  le mestruazioni vengono paragonate  all’arrivo di un marchese. L’etimologia del modo di dire è legata al fatto che i marchesi un tempo  erano soliti indossare delle palandrane rosso vivo per distinguersi dal popolo e rendere evidente il loro rango nobile. Marchese deriva da Marca, la zona di confine del regno che era appunto affidata al Marchese, che la governava al posto del Re ma probabilmente  l’uso di questa parola per le mestruazioni significa solo  che esse marcano il periodo femminile mensile del ciclo mestruale . L’uso della parola MARCHESE per definire le mestruazioni deriva da prima che fossero inventati gli assorbenti. Allora si usavano dei pannolini di stoffa che venivano lavati e stesi in continuazione, formando una specie di imbandieramento alle finestre delle case. Ciò provocava scherzose battute popolari del tipo “guarda quante bandiere! passa il marchese!” da cui poi la parola associata alle mestruazioni.

Con il termine “giubbe rosse” ci si riferisce all’uniforme dei soldati dell’esercito britannico tra il XVII e il XX secolo: le loro giacche erano di un bel rosso e venivano indossate dai reggimenti di fanteria e cavalleria. L’arrivo delle giubbe rosse paragona le mestruazioni all’esercito inglese, in un certo senso ugualmente distruttive.e fastidiose .

Questi divertenti e curiosi modi di definire le proprie mestruazioni sono presenti in tutto il mondo ,  alle diverse latitudini e alle diverse culture  . Basti pensare che esiste oggi in  un museo a Maryland  negli Stati Uniti (  Museum of Menstruation ) dove esiste  addirittura un dizionario mondiale delle mestruazioni in cui sono raccolte diverse espressioni con cui si definiscono le mestruazioni nel mondo . Eccone alcune:

• “arrivano gli inglesi”,

• l’americano “zia Martha o zia Rosie”,

• “il tempo della cioccolata”,

• l’australiano “gli imbianchini in casa”,

• il canadese “umore mensile”,

• il ceco “fenomeno delle fragole”

• o il finlandese “giornate del mirtillo rosso”.

Dalla Cina arriva “la piccola sorella rossa”, “il generale che bussa alla porta”, o “acque lunari”.

Per gli ungheresi “arrivano i russi”, per i francesi “sbarcano gli inglesi”, per le donne polacche “arriva la zia da Mosca”. In Giappone si usa “sieri” (logica della vita) o “cose della luna”, “prima marea o primo fiore” per il menarca.

In Nigeria è “orologio”, in Congo si è “nella luna”; nella Repubblica Sudafricana “sullo straccio”; madri e nonne portoricane chiedono alle ragazzine “ti ha già cantato il gallo?” e in India si parla del “fiore che cresce nel dio dell’amore”.

Quando arriva il ciclo per la prima volta, in molte abitazioni  ancora oggi  tutte le donne della famiglia corrono dalla ragazza  e in maniera sorniona pronunciano la famigerata frase “Auguri! Sei diventata signorina”. Con il primo ciclo mestruale viene infatti sancito il passaggio dall’essere fanciulle  all’adolescenza  ed un tacito affacciarsi in società. Da quel momento “Avere le regole” è un altro modo molto usato sopratutto dalle signore per definire il proprio ciclo. Con questa espressione si vuol far riferimento alla regolarità del ciclo mestruale, con tutti i suoi dolori e sbalzi di umore.

Ma il ciclo può anche essere paragonato all’arrivo di un parente ( magari in genere insopportabile ) come  per esempio una zia (  quando è arrivato il ciclo… È arrivata la zia!) italiana o addirittura straniera come“lo zio dall’America” o “dall’Argentina”

Certo, paragonare le mestruazioni alla visita di un parente insopportabile definisce bene tutto il disagio e le sofferenze legate a questo evento che se abbondante e di colore  molto rosso  può addirittura rappresentare il Mar Rosso.

Spesso le mestruazioni, vengono anche definite con il termine  “ho le mie cose ” dove  il ciclo con questa dizione   viene paragonato a qualcosa di davvero molto intimo e personale, una “cosa” di proprietà esclusiva. Dire “ho le mie cose” vi autorizza a chiudervi in voi stesse per i giorni necessari a far passare “quei fastidiosi giorni” ( quei giorni ).

Ma le migliori definizioni sono sempre state quelle silenziose e gesticolate fatte di sguardi ammiccanti da parte di persone che  iniziano a chiedersi se quelli sono ‘ i tuoi giorni ‘…..

Le mestruazioni appartengono alla vita della donna. Dalla prima mestruazione, vissuta con ansia e paura all’ultima vissuta spesso con gioia e sempre con paura (chissà cosa accadrà al mio corpo alla mia psiche, non sono più donna…). I

Un ciclo irregolare , per lungo tempo nei secoli e’ stato per molte culture origine di comportamenti anomali , atteggiamenti sociali diversi dal solito o cattiva salute mentale . L’Isteria , di cui nel passato molte donne venivano accusate , deriva infatti  proprio dalla parola greca “hystera ” che significa utero ed intendeva una serie di attacchi emozionali molto intensi legati proprio alle mestruazioni . Il termine viene dal greco Hystera,(  utero ) .

Gia’ nell’antico Egitto , come ritrovato scritto in alcuni papiri , ogni tipo di alterazione psichica e fisica veniva in qualche modo legata all’apparato genitale femminile, ed al ritmo del ciclo mestruale che si pensava dipendesse dalla posizione dell’utero.

Anche nell’antica Grecia si considerava che la causa di sintomi di questo tipo nelle donne fosse uno spostamento dell’utero e indirettamente anche una astinenza sessuale .

Ippocrate invece pensava che  il tutto dipendesse da uno spostamento dell’utero che una volta raggiunto il cuore e nei casi piu’ gravi la testa desse luogo a tali sintomi.

Secondo i suoi consigli il medico doveva prima capire la posizione originaria dell’utero ( senza ecografia ) e poi applicare fumigazioni aromatiche sul basso ventre e sulla testa della paziente. Veniva data anche una purga , consigliati bagni bollenti e procurato da starnutire ( ritenuto questo un utile ed efficace rimedio ).In taluni casi ( dipendeva se vergine o sposata ) si applicavano anche dei pessari intrisi di vari aromi . Il rimedio migliore rimaneva comunque il matrimonio.

Sorano, invece , uno dei  più famosi medici dell’antichità , scartando l’idea di un utero in movimento, attribui’ l’isteria a cause diverse riscontrandola solamente in donne che avevano dato alla luce bambini prematuri, vedove, adolescenti alla fine della pubertà e a donne  che erano affette da disordini mestruali.

Galeno invece evidenzio’ la stretta  relazione fra mente e corpo, e definì l’isteria una manifestazione di squilibri somatici . Egli riteneva che la causa dei disturbi era la ritenzione delle secrezioni dell’utero che, inquinando  il sangue,  portava all’irritazione dei nervi.

Con il Cristianesimo e sopratutto nel buio periodo del Medioevo l’isteria incomincio’ ad essere vista come una manifestazione demoniaca divenendo simbolo della stregoneria e causa di un’infinità di persecuzioni e ingiustizie  in tutta Europa.

A proposito di malattie della mente dovete sapere che il primo reparto psichiatrico di tutta l’Italia Meridionale è stato quello che si trovava nell’Ospedale Incurabili , inizialmente gestito da un medico che divenne molto famoso in città:  il dottore Giorgio Cattaneo che pretese di curare le malattie nervose con le percosse.

Il direttore di un manicomio veniva normalmente definito ” il maestro dei matti ” e di conseguenza il dottor Cattaneo venne ben presto soprannominato da tutti”Mastro Giorgio”, un appellativo che darà luogo poi nel tempo ad uno dei più divertenti modi di apostrofatizare determinate persone: Mastroggiorgio., cioè colui che nel dialetto napoletano , usando le maniere forti e violente, pur di ottenere il proprio scopo  si impone  ad ogni costo sugli altri . Ma  nella sua doppia valenza è anche un termine che sovente vuole  definire un uomo intraprendente e determinato, capace di prendere le redini di una situazione difficile.

Il termine deriva dalla parola  greca mastigophòros, “portatore di frusta”, cioè colui che usava la frusta per placare gli animi delle persone più agitate , cosa che effettivamente avveniva in quel reparto dove i cosidetti ” pazzi ” pù agitati  , dopo essere stati immobilizzati mediante funi o catene ,venivani poi frustati mediante una frusta chiamata cignone o eventualmente bastonati.Altri rimedi erano quelli di tenerli per giorni a digiuno o ingozzarli di cento uova  ( quest’ultimo rimedio era riservato a coloro che per eccesso di debolezza dovevano ricostruire le forze ).

Cattaneo era convinto che la follia fosse dovuta alla presenza di meningi anormali e a seconda del tipo di alterazione poteva conseguire eccessiva forza fisica o estrema debolezza. Il trattamento  per coloro che apparivano più agitati e quindi con un eccesso di forza , prevedeva il compito di far girare fino allo svenimento ,una ruota che portava l’acqua da un  pozzo ( detta per questo” ruota dei pazzi “) presente nel cortile dell’Ospedale .Dallo stesso pozzo invece quelli considerati più  aggressivi e pericolosi venivano calati giù e lasciti in quel posto semisommersi nell’acqua fredda e nel buio .

Ma ai poveri malati di mente erano previsti ed inflitti anche altre incredibili torture come quella di trattarli con salassi ( le  sanguisughe  venivano poste sull’ano e sulla vulva ),legarli costretti su letti girevoli o verticali , subire docce fredde a sorpresa e abuso di purganti (per agevolare l’evacuazione delle “parti folli ” del corpo ).

Gli infermieri del posto erano chiamati “castigamatti” o “fustigatori” e dovevano normalmente avere una corporatura forte e robusta,  in quanto capaci   al momento opportuno di  poter gestire anche con la forza le varie intemperanze dei ricoverati più aggressivi. Essi avevano  il compito di sorvegliare i pazzi affinché non facessero del male a se stessi ed ad altri , e collaborando a stretto contatto con lo psichiatra, doveva essere capace se necessario di  bloccare il malato e infilargli la camicia di forza.

 

 

La struttura venne chiusa sotto Gioacchino  Murat. Egli nell’ambito della riforma sanitaria da lui operata ,una volta smantellato il reparto psichiatrico degli Incurabili , inaugurò nella località di Aversa una  nuova struttura deputata esclusivamente al ricovero dei malati di mente : la Real casa dei matti di Aversa  .La sede scelta fu l’antico convento della Maddalena che in passato aveva già ospitato un lebbrosario.

 

La nuova struttura ,contrariamente alla precedente, adottò dei nuovi ed innovativi  sistemi di assistenza per i malati , che erano non repressivi e assolutamente all’avanguardia per l’epoca. I malati infatti venivano  trattati mediante momenti di svago, divertimento, teatro, musica , artigianato , letture di poesie e  cura dei giardini.

Quando i  borboni tornarono al potere ebbero l’accortezza di far mantenere le direttive francesi e con intelligenza ne fecero un fiore all’occhiello del Regno .Sempre ad Aversa nel 1876 nacque nell’antico monastero di San Francesco di Paola il primo manicomio criminale d’Italia.Questo luogo  non accoglieva solo tutti i condannati prosciolti per manifesta inferiorità di mente ma anche tutti quelli che attraverso idonea documentazione e certificazione medica erano impazziti durante la loro detenzione in carcere in attesa di giudizio . Ovviamente molti detenuti  per evitare il carcere fingevano di essere pazzi e a sfruttare questo stratagemma furono in molti . Il caso più famoso fu quello legato al capo della Nuova camorra organizzata Raffaele Cutolo che “ospite ” del manicomio  il 5 febbraio del 1978, grazie ad una bomba che distrusse il muro riuscì ad evadere dalla struttura.

A Napoli invece , come struttura per dare assistenza ai disagiati psichicici venne adattato l’ex convento San Francesco Salus che si trovava nell’attuale Via Salvator Rosa ( all’epoca ” strada dell’infrescata ” ). Questo arrivò ad ospitare nel 1882 ben 812 ricoverati tra i quali anche il famoso artista Antonio Mancini

Il convento inizialmente era abitato da suore di clausura e dopo la sua soppressione divenne dapprima ospizio per fanciulle povere ,  stabilimento per donne affette da rachitismo ed infine conservatorio per giovani donne .

La sua funzione di manicomio avvenne tra il 1881 ed il 1909 quando per rispondere alla sempre più alta richiesta di ricoveri venne dismesso a favore di un’altra più grande struttura che venne costruita sulla collina di Capodichino ed intitolata all’illuste psichiatrico napoletano Leonardo Bianchi .

La struttura ( come oggi ) era immensa e costituiva una vera cittadella per i malati di mente , basti pensare che circondato da altissime mura ,si estendeva con 33 grandi edifici su  220 mila  metri quadri di grandi spazi verdi.

Durante la seconda guerra mondiale fu bombardato e poi occupato dalle truppe anglo-americane fino al 1946.                        Da quando nel  2002  si decise di chiuderlo  versa purtroppo in uno stato di totale abbandono e degrado. I suoi enormi grandi spazi sono andati in disuso e sembra che  i nostri amministratori non riescano proprio a trovare per essa una diversa funzione .      Temo purtroppo che  la  immensa cittadella ottocentesca   dimenticata da tutti  nell’oblio generale sia purtroppo desinata  tra la distrazione dei propri cittadini verso i propri tesori e la ottusa cieca incompetenza degli amministratori locali  al lento inesorabile degrado.

 

 

 

Ma vi siete chiesti come mai nell’800 vi era un così alto flusso di persone che si ricoverava in manicomio ? Possibile che tutti impazzivano all’epoca ?

NO. La verità è che a quell’epoca si poteva finire in manicomio anche per ….strani motivi .

Venivano per esempio internate le donne vittime di uno scandalo amoroso ,  inferme di famiglie povere, ,  o i figli illegittimi che andavano nascosti o peggio  ancora quelle che avevano un comportamento sociale fuori dalle regole . Cioè tutti quelli che venivano definiti ” disturbatori della quiete pubblica o dell’ordine  sociale “.

In epoca fascista addirittura venivano ricoverati pure gli oppositori politici , come avvenne in occasione della visita di Hitler a Napoli quando ad essere ospite della struttura fu il matematico Renato Caccioppoli  .

La struttura venne costruita sulla collina di Capodichino che  inizialmente era un  luogo costituito da una fitta vegetazione inaccessibille e pericolosa da percorrere per la presenza di numerosi briganti .  Nel 1808, il re di Napoli, Gioacchino Murat per rendere più facile il raccordo della città con le strade  di Caserta ed Aversa ordinò di costruire una strada nuova che da Via Foria  arrivasse alla sommità della collina . La strada , ampia e con larghi tornanti , fu chiamata Via del campo perchè terminava al Campo di Marte , un vasto terreno destinato alle esercitazioni militari . Per tale scopo la collina fu ridotta quasi interamente a pianura.

Il nome Capodichino deriva dal latino Caput Clivii – sommità della salita – la cui volgarizzazione, avvenuta nei secoli successivi, ha mutato il toponimo in Caput de Clivo e Capo de Chio fino alla contrazione nell’attuale denominazione.

Sotto Capodichino si trova  la ” grotta degli Sportiglioni che prende il nome dai pipistrelli da cui era anticamente affollata ( in napoletano vengono chiamati “sportiglioni”) . Si tratta di una grotta lunga quasi un miglio e mezzo scavata nel 1528  dall’esercito francese guidato dal suo comandante Odet de Foix, conte di Lautrec ,per nascondervi i vari tesori razziati durante la loro campagna militare in giro per l’Italia .

L’esercito francese  nel tentativo di assediare la città si era infatti  accampato proprio in questa zona  tra le colline di Capodimonte e Poggio Reale . Il conte di Lautrec ebbe ad un certo punto la cattiva idea di far arrendere i napoletani per sete e a tal proposito fece distruggere l’antico acquedotto della Bolla che appunto portava acqua in città (l’antico Acquedotto Augusteo era anche chiamato anche Serino o Claudio).

 Questa manovra, di fatto  , gli si ritorse contro; le acque si impaludirono  causando una violenta pestilenza che uccise quasi tutto l’esercito compreso lo stesso comandante.

I resti dei soldati e dello stesso conte Lautrec  furono poi scaraventati nella stessa grotta da loro costruita nascondendo per sempre agli occhi di tutti il luogo preciso dove pare si trovassi il prezioso tesoro; un patrimonio enorme e mai ritrovato, che nei secoli a venire alimentò la fame di tanti cercatori che affollarono la città. Ma nonostante le tante ricerche il tesoro maledetto seppellito con le truppe francesi non è mai più stato ritrovato e ancora oggi secondo alcuni sarebbe seppellito negli inestricabili anfratti tufacei della grotta …

I resti dei francesi e del conte  furono invece conservati nella Grotta degli Sportiglioni fino alla loro traslazione nella Chiesa di Santa Maria la Nova ma ancora  oggi la zona è chiamata  a Napoli come colle di Lotrecco in ricordo  proprio del generale francese.

La grotta fu infine destinata alla sepoltura dei numerosissimi morti a causa della peste del 1656 fino a divenire, per l’atmosfera mistica delle sue cave, un luogo prediletto per occulte  pratiche di magia, e l’evocazione degli spiriti e delle anime di persone morte .

Il nostro percorso tra antichi ospedali e cose di donne volge al termine e spero di non avervi annoiato anche se in verità riconosco che il tutto è un pò lungo . Preso infatti dalla voglia di raccontare mi sono fatto un pò prendere la mano e solo ora mi accorgo che il nostro articolo  è alquanto lungo da leggere . Avrei voluto raccontarvi tante altre cose ma non temete ….ve le racconto in un altro articolo.

Un ‘ultima cosa ……

Come avete  potuto notare in questo lungo viaggio tra le ” cose delle donne ” ed i nostri ospedali  , il protagonista assoluto delle  arti sanitarie  in città rivolto sopratutto ad una utenza femminile per lunghi secoli è certamente stato il complesso degli Incurabili .

La sua prima missione fu quella di curare ed assistere le ragazze ( ed erano tante ) afflitte dall’allora micidiale ed incurabile male ( questo diede il nome alla struttura ) che era la  sifilide ma divenne ben presto un prezioso  punto di riferimento e di assistenza per le partorienti , le ragazze madri ed altre ragazze in difficoltà.

Presso questo ospedale venne creata in città la prima scuola di ostetriche ed una sala fatta proprio e solo per le donne incinte . Fu il primo ospedale dove si poteva partorire anonimamente ( un velo proteggeva l’identità della donna ) e poi affidare il neonato alla struttura .

Oggi il reparto di ostetricia dopo lunghi anni di agonia , abbandonato come tante altre prestigiose strutture nosocomiali della nostra città da una dissennata amministrazione , ha chiuso definitivamente le sue porte ,dopo secoli di storia, alle partorienti .Tutta la gran fatica della amata Maria Longo è definitivamente andata persa e le sue spoglie girandosi su se stesse paiono bagnate di lacrime .  Al suo posto un grande unico Ospedale del Mare che stenta a partire , nonostante i svariati fondi spesi e senza un reparto di Ostetricia .

I nostri antichi nosocomi , con le le loro straordinarie opere d’arte che spesso li ha caratterizzati,   una alla volta stanno chiudendo dopo aver per anni contribuito a lenire le sofferenze di migliaia di cittadini . Senza alcuna riconoscenza i nostri ospedali-museo , immersi tra vicoli affollati , nascosti tra chiese e monasteri di incredibile bellezza sono abbandonati all’oblio del tempo ed al degrado che è pronto a conquistarli in attesa del loro crollo. Per l’ incuria in cui versano infatti  è già tanto che  stiano ancora in piedi .

Ma se non vogliamo restituire alla città ed ai suoi cittadini la loro funzione primaria di assistenza agli ammalati cerchiamo se non altro di non perdere la loro grandiosa raccolta di opere d’arte che conservano; le loro decorazioni , i loro fregi, i loro preziosi marmi, le sculture , le statue , i quadri, gli affreschi, i chiostri , le fontane le cappelle e le loro chiese , queste almeno cerchiamo di salvarli . Questi edifici ricchi di storia, ciascuno dei quali ha lasciato nel tempo un pezzo del proprio patrimonio culturale aspettano inermi oramai già da qualche anno che qualche buon politico , animato di buon cuore ( ed un pizzico di cultura ) metta in atto nei loro confronti una consolidata opera di riqualificazione

Gli Incurabili , l’Annunziata, l’Elena d’Aosta, il San Gennaro , l’ Ascalesi e l’Ospedale della Pace aspettano oramai già da qualche anno di non morire nell’assoluto degrado dovuta al risultato dell’opera di ciechi ed ottusi uomini politici.

 

Antonio Civetta

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