In questa bella passeggiata vi porteremo in vicoli e slarghi ricchi di umanità e di storia , ma anche di sofferenze ed arte . Sono i vicoli di Palazzo Penne , ma anche quelli di Ecce Homo e di Donnalbina , , quelli dove un tempo abitava la fondatrice del quotidiano ” Il Mattino “, Matilde Serao ed anche il grande amato cantante Pino Daniele, nato nel 1955, in un sottoscala di Via Francesco Saverio Gargiulo .

Era questo, un tempo , il luogo dove vivevano gli artigiani dei mobili , gli scultori ed i pittori dei santi ma anche il luogo dei musicisti e dei mercanti  provenienti da ogni parte d’Italia e del mondo , ma era sopratutto  una delle più grandi isole ecclesiastiche e conventuali della nostra città . Troveremo infatti lungo il nostro percorso la chiesa di Donnalbina , la chiesa Santa Maria La Nova ,la chiesa  Santa Chiara , la chiesa di  San Demetrio , la chiesa dei santi Cosma e Damiano e la chiesa di Santa Marta per citarne per il momento solo qualcuna .

Una passeggiata nel quartiere che sviluppatosi sopratutto  in epoca medievale, è ricco di  storie, e  testimone di grandi avvenimenti la cui memoria è nascosta nei suoi piccoli slarghi e torti vicoli che sono il solo frutto della dell’intensa attività urbanistica verificatasi nella nostra città per tutto il Seicento.

Essi sono la testimonianza dell’importanza che ebbero gli ordini religiosi nell’attività urbanistica cittadina con la realizzazione di slarghi e piazzette. Gli ordini ecclesiastici ,  infatti , nella continua e pressante iniziativa di creare spazi liberi, fuori le loro chiese allo scopo di dare   maggiore visibilità e accessibilità ai loro istituti  religiosi per feste e riti processionali , crearono numerosi  spazi aperti che furono  tenacemente tenuti liberi con divieti in assoluto di occupazione, anche con corpi mobili, come accerta un epigrafe marmorea, con “il Banno”del 1773, ancora affissa sulla facciata del palazzo Palmerici.

Il borgo medievale , come vedremi , è ricco di stretti vicoli e piccoli slarghi che sono divenuti gli  antenati delle “piazze” e palazzi nobiliari di grande  valore, come il quattrocentesco ed enigmatico Palazzo Penne che appartenne prima al segretario di re Ladislao di Durazzo e poi a l diavolo … con la conseguente  maledizione che lo circonda . 

Ma non abbiate paura  , il suo aspetto oggi se vi appare un pò inquietante  è solo colpa  dello  stato di colpevole abbandono del luogo da parte delle nostre autorità competenti locali e della sovraintendenza dei beni culturali che sembra non aver ancora ben capito  quale grande grande patrimonio culturale si trovi a proteggere. Un degrado lento inesorabile che nonostante tutto è  comunque ancora capace , contro tutto e tutti di riversare nel suo budello di vicoli migliaia di turisti ogni anno .

Lo stesso degrado che da decenni  in maniera continua soffoca i magici vicoli, dove abitò Matilde Serao e che a sua detta era anche un luogo  in cui dimoravano “femmine disgraziate” che gettavano pattume vario su gli uomini che passavano sotto i loro balconi ( frase tratta da ” Il ventre di Napoli di Matilde Serao ).

A questo punto starete pensando di non  proseguire piu a questa passeggiata  ……. specie se siete uomini, ma non lasciatevi scoraggiare perchè  il luogo anche se abbandonato per anni al degrado è oggi finalmente , grazie ai napoletani che hanno scoperto il turismo come fonte di guadagno ,  ricco di tanti Bed & Breakfast e quindi finalmente in  via di rivalutazione .

Non perdetevi quindi questa  meravigliosa passeggiata tra i palazzi e le chiese dei  Banchi Nuovi, che forse  proprio perchè per anni  è stato  abbandonato  ha  potuto più di ogni altro luogo della nostra città conservare intatto il suo fascino ed i suoi misteri .

La nostra bella passeggiata tra storici ed antichi luoghi incomincia in uno dei luoghi simboli del nostro glorioso passato,  Ci troviamo in Piazza Bellini oggi divenuta sopratutto nelle fasce orarie serali ,un luogo molto frequentato dei molti giovani universitari che frequentano la zona .L’ intera zona raccoglie infatti numerose facoltà universitarie e la piazza è stata scelta dai tanti studenti ( e non ) come loro  punto di ritrovo , e di incontro preferito.
Si possono trovare in questo luogo se ben osservate  e vi guardate intorno , numerosi locali – bar con tavoli all’ aperto , musica dal vivo , iniziative culturali , spettacoli e ristorazione.

Prima che la piazza assumesse l ‘ aspetto odierno, numerosi erano i conventi ed i giardini che la circondavano.
In origine era solo uno slargo , dove però vi passavano le antiche mura della greca Neapolis. ed ancora oggi in questa piazza possiamo ammirare uno scavo da cui affiora un tratto della murazione della antica città greca (V o VI sec. a.c.. Esse sono insieme ad altri pochi reperti , i soli visibili in città , dalla strada.
Piazza Bellini , si intitola al grande musicista che fu per moltissimi anni a Napoli a studiare nel conservatorio di San Pietro a Majella poco distante.
Il monumento a Bellini è un ‘ opera dell’ 800 di Alfonso Bazzico che volle rappresentare nelle nicchie del basamento ,le 4 eroine della lirica belliniana : Norma – Amina- Giulietta – Elvira .

Dietro gli scavi e al monumento dedicato al Bellini veniamo subito colpiti , in fondo alla piazza , da un palazzo con un magnifico scalone a doppia rampa del 700 , Si tratta del vecchio monastero di Sant’Antonio delle monache a Port’Alba , oggi adibito a sede di una biblioteca universitaria , nel cui interno è visibile un bellissimo chiostro .

Alla destra dell’ex monastero ,possiamo vedere  quel che resta del vecchio ma prestigioso palazzo del Principe Conca così ridotto dal terremoto del 1694  di cui si è salvata la sola facciata in pietra piperno, che rimase intatta come la si vede adesso.  Alla sinistra dell’ex monastero possiamo  invece  ammirare ,attraversando la strada il seicentesco palazzo fatto edificare a suo tempo, dal Principe Firrao e commissionato al celebre architetto Cosimo Fanzago che disegnò l’attuale bella facciata che mostra come potete vedere un notevole apparato decorativo tra cui numerose nicchie con busti marmorei.

Nel 700 il luogo era completamente diverso ( più bello ) come possiamo ammirare in un dipinto lasciatoci da Antonio Joli

 

Notate in fondo alla strada la vecchia demolita Porta di Costantinopoli . Alla destra invece si vedono il palazzo Conca e il convento di Sant’Antoniello a Port’Alba , mentra a sinistra , vi sono in primo piano Palazzo Firrao e le chiese di San giovanni Battista delle Monache e di Santa Maria di Costantinopoli .

Da Piazza Bellini dirigiamo ora verso il centro antico della nostra città portandoci  di fronte a noi nella piccola stradina di Via San Sebastiano , oggi nota per la presenza di numerosi negozi che vendono strumenti musicali ( ricordate che siamo vicini al Conservatorio di musica di San Pietro a Majella ) ed un tempo nota per la presenza dell’antico monastero di San Sebastiano.
Alla fine di  questa stradina sulla nostra destra  possiamo notare la  piccola chiesa  di Santa Marta del XIV secolo costruita per volere  di Margherita di Durazzo, ( madre di re Ladislao ) sul finire del Trecento.

 

La facciata, risale al XV secolo e presenta delle monofore gotiche e un arco ribassato di stile catalano . All’ interno  di grande suggestione appaiono le numerose teche con statue di santi che popolano la navata. Gli altari e le decorazioni risalgono rispettivamente al XVIII e al XIX secolo.
Nel 1647, durante la rivolta di Masaniello, la chiesa fu teatro di violenti tumulti riportando gravi danni ; gli spagnoli la occuparono per stanare i rivoltosi, derubandola e distruggendola dandogli fuoco . Nel saccheggio e nell’ incendio , molte delle opere presenti purtroppo  vennero distrutte.

In quell’occasione ,una parte del popolo napoletano, inseguito dalle truppe spagnole  che sotto il comando  di Masaniello  lottava contro le gabelle degli spagnoli  venne infatti a rifugiarsi proprio nella chiesa di Santa Marta .La chiesa  divenne la loro roccaforte  e così gli spagnoli furono costretti a salire sul campanile di Santa Chiara per averli a tiro e colpirli .Molti morirono e vennero seppelliti nella chiesa .Poi gli spagnoli forzarono il portone e completarono lo sterminio  .In quella circostanza , durante il conflitto la chiesa venne data alle fiamme  .                                                                                Nella chiesa sono ancora oggi conservati le ossa ed i teschi dei poveri uomini che osarono ribellarsi ai spagnoli . questi vennero messi al muro e brutalmente ammazzati proprio qui dentro la chiesa .  Le ossa mostrano i segni di  una avvenuta  violenza con  la presenza di crani spaccati da colpi di bastone e tempie forate da armi posizionate vicino alla testa mentre le pareti intorno ad esse appaiono costellate da fori provocati dai proiettili .      Nel saccheggio e nell’incendio, molte opere purtroppo furono distrutte: andarono in cenere il quadro di S.Lazzaro di Cesare Turco quello della Vergine di Bartolomeo Guelfo di Pistoia, nonché i ritratti della Regina Margherita e Ladislao.

Dopo l’incendio il Principe della Rocca, cardinale Filomarino, in parte con i propri fondi ed in parte con i fondi dell’Arciconfraternita e di alcuni benefattori, provvide alla sua  ristrutturazione: in tale circostanza fu  decorata da vari pittori tra cui Andrea Vaccaro.
Nel 1715 si ebbe un nuovo restauro ed un altro ancora nel 1800 che cancellarono ogni traccia del periodo barocco di cui ci rimangono solo alcuni dipinti del seicento e settecento.

Attualmente la chiesa è sede dall’Arciconfraternita degli albergatori di cui la Santa ne è protettrice.

La stradina di San Sebastiano incrocia alla sua fine la famosa via Spaccanapoli, proprio nel tratto in cui incomincia alla nostra sinistra il primo tratto dedicato a Benedetto Croce e alla nostra destra l’ altrettanto famoso Monastero di Santa Chiara realizzato agli inizi del trecento per volere del re Roberto d’Angio’ , e della  sua seconda religiosissima moglie Sancia di Majorca che vollero dedicarlo all ‘ordine di S. Francesco a cui erano devoti  .

A colpira subito la nosta attenzione è la grande torre campanaria che predece l’ingresso alla chiesa .

La torre campanaria contiene 4 iscrizioni in franco-bellico in cui si narra la storia e le fasi evolutive della costruzione di Santa Chiara. Nella prima iscrizione è riportata la data di edificazione del complesso, nel 1310 e dotata di molte opere da re Roberto e dalla regina Sancia.  La seconda riprende la data di fine costruzione, nel 1328 e che il Papa Giovanni XXI concesse ai frati francescani tutte le indulgenze.  La terza ricorda  la consacrazione della Chiesa in pompa magna a cui parteciparono 10 arcivescovi. L’ultima iscrizione racconta della partecipazione alla consacrazione della regina e del re e personaggi illustri dell’epoca. 

 

CURIOSITA’ : Spaccanapoli è  un nome privo di ufficialità e corrisponde in gran parte al decumano inferiore.
Si chiama così’ perchè a guardarla dal belvedere della certosa di S. Martino , la strada divide in due parti uguali la Napoli ottocentesca.
Nel suo lungo ma stretto rettilineo assume diversi nomi : al tratto di strada che si mostra innanzi  è stato dato il nome di Benedetto Croce , in onore alll’ insigne filosofo che abitava  nel palazzo Filomarino che fa  angolo con la strada .
A partire dal 1900 qui’ infatti dimoro’ Benedetto Croce che nel 1947 fondo’ l’ istituto italiano per gli studi storici con annessa biblioteca che tutt’oggi mette a disposizione degli studiosi un imponente patrimonio di libri divenendo una delle maggiori sedi culturali della citta’.

 

Il complesso di Santa Chiara costituito dalla chiesa e dagli edifici contigui che avrebbero poi accolto gli ordini delle clarisse e dei frati minori  fu costruito su una vasta superficie  ai limiti della cinta muraria , realizzando una vera e propria cittadella  con due porte d’ ingresso che si congiungevano ai lati della torre campanaria .
Entrambi gli ingressi sono ancora oggi presenti con i loro due portali trecenteschi di notevole interesse artistico
Tra i due regnanti in particolare fu la moglie Sancia ad avere una particolare preferenza nei confronti di questo ordine con desiderio di ritirarsi a vita monastica , forse a causa della morte prematura dell ‘ unico figlio Carlo , ma anche a causa dei rapporti freddi con il marito avvalorata da una richiesta di divorzio presentata dalla regina ma respinta da papa Giovanni XXII.
Indubbiamente essi erano entrambi molto religiosi al punto da indossare il saio francescano in molte occasioni .

La cittadella francescana fu realizzata costruendo due edifici religiosi contigui ma separati: un monastero, destinato ad accogliere le clarisse, e un convento, ospitante i frati minori francescani. Questa originale conformazione a “convento doppio” fu possibile grazie all’approvazione papale ottenuta nel 1317.
E’ interessante notare che per la prima volta si accoglievano nello stesso complesso in un ‘ area circoscritta ordini religiosi dei due sessi .
Nel tempo , pero ‘ i frati minori divennero sempre più ‘ numerosi , mentre le clarisse diminuirono fino a scomparire .

La chiesa di Santa Chiara lunga 130 metri ,  larga 40 metri e’ forse il monumento piu’ conosciuto in citta’ e rappresenta la piu’ grande basilica gotica della citta’ .
La chiesa si presenta oggi nelle sue originarie forme gotiche, con una facciata sulla quale  spiccano un occhio triangolare ed uno splendido antico rosone.
Entrati in chiesa infatti si rimane subito colpiti dall’atmosfera austera e severa del maestoso gotico che avvolge l’ambiente ( l’esatto contrario della prececente chiesa del Gesu’Nuovo ) .
Nel mezzo del bellissimo pavimento ricostruito ( originariamente di Ferdinando Fuga ) c’e il grande stemma angioino -aragonese . Nella parte sinistra dello scudo si vedono i gigli di Francia del re Roberto e nella parte destra i 4 pali rossi aragonesi della regina Sancia .
Questa chiesa dal 300 in poi fu la chiesa della nobilta’ napoletana .
La semplicita’ dell ‘ interno rispecchia i canoni della chiesa francescana , con un’ unica lunga navata, su cui si aprono dieci cappelle per lato sono da visitare una per una , ed e’ priva dell ‘ abside ; la parete di fondo , infatti e’ piatta.
Le cappelle  custodiscono le tombe realizzate tra il XIV e il XVII secolo appartenenti a membri di nobili famiglie napoletane . Molto di questi  monumenti funebri furono realizzati da scultori trecenteschi come Tino di Camaino, che lavorò alle tombe di Carlo di Calabria e di Maria di Valois, e i fratelli Bertini, cui si deve il sepolcro di Roberto d’Angiò.
Quest’ultimo risalta in tutta la sua imponenza  in quella che viene  considerata una delle piu’ belle tombe gotiche italiane , opera come detto , dei scultori fiorentini Giovanni e Pacio Bertini e fatto   costruire da sua nipote Giovanna , prima regina di Napoli .
Da notare anche la ottava cappella del nobile G.B. Sanfelice dove risalta un sarcofago greco del III o IV secolo a..C. di grande valore archeologico .
Nella nona cappella , che ha conservato la struttura barocca troviamo il sepolcro ufficiale dei Borbone , dove teoricamente dovevano riposare  i sovrani del Regno delle due Sicile ma che attualmente ospita solo la tomba di Filippo , il figlio demente di Carlo .
Il trecentesco altare maggiore mostra un crocifisso ligneo di scuola senese.

Alle spalle dell’altare è situato il Coro delle clarisse, composto da tre navate che fu realizzato  da Leonardo di Vito ed oggi considerato una celle maggiori espressioni del gotico napoletano . Su una parete sono visibili i frammenti di un affresco raffigurante la Crocifissione, in cui si riconosce la mano di Giotto, chiamato a decorare le pareti della chiesa nel 1326.
In questa chiesa la mattina del 29 agosto 1344, Giovanna I fu incoronata regina,e qui, in una mattina del luglio del 1344,fu portato , oramai morta , il corpo della bella angioina , perche’ nessuno dubitasse della sua morte.
Ma la regina era morta scomunicata e quindi non poteva essere inumata in terra santa , secondo quanto si tramanda tra i religiosi le spoglie furono prima tumulate nella sacrestia di Santa Chiara e poi buttate in una fossa comune coperta da una lastra di marmo vicino all’ingresso del chiostro. Per la grande regina quindi , assassinata nel sonno da quattro sicari ,non vi fu nessun funerale , nessuna tomba , nessuna benedizione .
Secondo una  leggenda ogni anno , nella ricorrenza della sua morte ,  ( 22 maggio 1382 ) avvenuto nel castello di Muro Lucano , ( per ordine del nipote Carlo di Durazzo ) per soffocamento ( con un cuscino di piume ) ricompare la figura della regina Giovanna che avanza lentamente nel chiostro  lungo i viali  in cerca di sollievo .

Nel complesso conventuale vi sono ben tre chiostri e di questi il piu’ noto e’  “il chiostro grande ” realizzato nel settecento dall’architetto Domenico Vaccaro . Ad esso vi si accede dal coro delle clarisse attraverso la grande scala , sulle cui pareti si intravedono tracce degli affreschi di Belisario Corenzio . Dal porticato si accede ai viali dei giardini che furono ridisegnati nel 1742 da Antonio Vaccaro .
L’ architetto progetto ‘ il chiostro su un piano sollevato rispetto a quello dei portici .
Si tratta di un esempio di giardino rustico in stile roccoco’con due viali che incrociandosi dividono lo spazio in quattro settori .

Il chiostro e’ di forma leggermente rettangolare , lungo 82,39 metri e largo 78,30 metri con 64 pilastri maiolicati di forma ottagonale  sui quali sono poggiati archi a sesto acuto
Cio’ che colpisce l’occhio sono i 64 pilastri a pianta ottagonale che fiancheggiano i viali e che sono rivestiti da splendide maioliche con decorazioni  di fiori e frutta  che furono realizzati da  Donato Massa e suo figlio .

I pilastri maiolicati sono collegati tra loro da sedili sui quali sono rappresentati scene della vita quotidiana nel settecento.
Dal Chiostro volendo potete  fare una visita all’annesso museo dell’Opera di Santa Chiara dove viene ripercorsa la storia della riedificazione della chiesa che venne quasi completamente distrutta in seguito al bombardamento aereo del 4 agosto 1943 .
Dopo la fine del conflitto mondiale si decise di ricostruire la chiesa riportandola al suo originario stile gotico -angioino .Con coraggio e con passione recuperando tra le rovine quanto c’ era da recuperare , la chiesa e’ stata ricostruita ; le linee principali sono state mantenute , ma non ci sono più’ purtroppo molti dipinti e affreschi.
Dal museo si puo’accedere ad un’importante area Archeologica . Si tratta di un complesso termale romano del I secolo realizzato in opus reticulatum e  latericium  che presenta due settori : uno con piscina non lontano da una palestra ed un altro termale con ambienti ipogei .
Una volta usciti dal complesso vi consigliamo di percorrere la scalinata del campanile recentemente ricostruita che consente di salire in cima allo stesso da dove potrete godere di un panorama mozzafiato sul centro antico della citta’ .

Usciamo adesso dalla piccola cittadella di Santa Chiara attraverso il  suo secondo ingresso  e  girati a destra ,  continuare il nostro percorso diritti di fronte a noi per Via Santa Chiara dove in uno dei tanti vicoli che vedete alla vostra sinistra ( via Francesco Saverio Gargiulo ex vico Foglie a Sant )Chiara,) ,  nacque e abiatò nei suoi primi anni ,  in un sottoscala ,  il  famoso cantante Pino Daniele

Scendendo questa strada , costeggiando  alla nostra destra le imponenti mura del monastero di Santa Chiara giungeremo in Piazzetta Banchi Nuovi dove di trova purtroppo in evidente stato di abbandono la chiesa del 600 dedicata ai santi Cosma e Damiano  ( oggi finalmente in fase di restauro ) .

 

Un tempo al posto della chiesa che vedete alla fine dello slargo vi era l’antico edificio della loggia dei Banchi Nuovi , sorto dopo una catastrofica alluvione che sconvolse l’intera zona .

Accadde poi nel 1616,  che i membri della Congrega dei Barbieri furono costretti a lasciare la loro sede di via Tribunali, per la costruzione del complesso dei Gerolomini. Avendo  delle case di proprietà nella zona, acquistarono da Alfonso Sanchez, che ne era diventato il proprietario, la Loggia dei mercanti e la trasformarono nella loro Cappella, dedicandola ai Santi Cosmo e Damiano.

N.B. Nello stesso anno i Padri somaschi acquistarono il monastero di San Demetrio.

La chiesa congrengale della Compagnia dei barbieri , dedicata ai santi Cosma e Damiano , sorge quindi proprio nel punto dove prima esisteva la loggia dei Banchi Nuovi. L’edificio  fondato nel  1616  ha subito nel corso dei secoli numerosi ampliamenti e diversi restauri

La facciata della chiesa utilizza l’impianto del preesistente edificio: si possono infatti ancora notare gli antichi archi cinquecenteschi i a tutto sesto della loggia cinquecentesca. Nei muri perimetrali laterali al portale settecentesco di piperno sormontato da un bel finestrone polilobato . Lo schema della facciata è invece scandito dalla presenza di  quattro lesene   rialzate da un basamento.

Nell’interno c’è l’altare maggiore settecentesco sul quale era posta una tavola di  Antonio Rimpatta  (attualmente esposta al Museo Diocesano), anche gli altari laterali erano sormontati da dipinti (trasferiti in altra sede), tra questi Il Supplizio del fuoco dei santi Cosma e Damiano di  Luca Giordano .

CURIOSITA’. I banchi , che  si trovavano un tempo in piazza dell’Olmo furono , nel 1547 , dapprima bombardati da castel SantìElmo , dall’artigliria del vicerè don Pedro di Toledo , durante la rivolta dell’inquisizione spagnola e successivamente , una ventina di anni più tardi , furono poi completamente distrutti da una delle alluvioni più rovinose che la storia della nostra città ricordi . Una sorte di diluvio universale , una pioggia torrenziale che secondo molti racconti dell’epoca durò due giorni interi . Lo spaventoso fiume d’acqua  invase e travolse le strade da via San Sebastiano fino a Chiaia devastando  nel suo percorso abitazioni e chiese e la morte di decine di persone . Dopo questo episodo , in seguito alla completa distruzione dei loro vecchi banchi , i mercanti si trasferirono in quelli nuovi fatti costruire da stessi marcanti  nell’attuale slargo .

L’attuale slargo  che oggi possiamo vedere , deve infatti l suo nome dai banchi nuovi (o logge dei mercanti ) che  qui infatti operavano,

Precedentemente il largo  era invece detto ” dei segatori” per le botteghe di falegname e fu  modificato in “Banchi Nuovi” solo el 1569: quando come vi abbiame detto , una pioggia torrenziale dalla durata di circa due giorni creò una alluvione con una massa d’acqua che, arrivando dalle strade in pendenza, rovinò e distrusse molte case in quel largo;.

Il terreno malridotto, fu acquistato dai mercanti che vi avevano in esso i banchi, ponendovi dei nuovi. Da allora il posto fu detto “dei banchi nuovi” ed il toponimo rimase anche dopo che il mercato fu soppresso e l’area fu acquistata dal marchese Alfonso Sances di Grottola, che a sua volta lo vendette alla compagnia dei barbieri che vi fecero costruire la loro chiesa congregale dedicata ai Santissimi Cosma e Damiano.

La piazza , pur essendo oggi abbandonata in uno stato di degrado ed abbandono, sia per la presenza di quel che resta della chiesa dei santi Cosma e Bonifacio sia perchè piena di graffiti , conserva ancora un aspetto affascinante  soprattutto quando  alla fioca luce dei lampioni il suo pavimento appare bagnato dalla pioggia appena caduta .

CURIOSITA’: A proposito del suo degrado e del vicino slargo Ecce Homo , in città si è soliti definire una persona poco curata con le frase  “Pare l’Ecce Homo ‘e Banche Nuove”          

 La piazza celebre per l’alluvione terribile del 1569, che fece 24 morti è  stata utilizzata anche per girare alcune scene di Passione di John Turturro, ed ultimamente anche uno spot pubblicitario per la famosa Coca Cola .

Da  Piazzetta Banchi Nuovi , giriamo a sinistra e poi proseguiamo diritti fino a Largo San Giovanni Maggiore .

GiuntI nello slargo , a colpire subito i nostro occhi è la mole di Palazzo Giusso, oggi sede dell’Istituto Universitario Orientale che ebbe origine dal Collegio dei Cinesi, fondata nel 700 da un missionario di ritorno dalla Cina che aveva portato con sè 15 ragazzi cinesi che intendeva rieducare e convertire al cattolicesimo. Il papa approvò l’iniziativa al punto che decise poi di estenderla anche ad altri popoli dell’Oriente. Per tale motivo questo è il più antico istituto d’Europa ad insegnare le lingue e  rappresenta ancora oggi il principale ateneo statale italiano specializzato nello studio e nella ricerca delle realtà linguistico-culturali dell’Europa, dell’Asia, dell’Africa e delle Americhe.

Il palazzo  era  un tempo una bella la casa panoramica con agrumeto, del vicerè Consalvo di Cordova, che nel 1546  fu poi acquistata da Alfonso Sanchez, marchese di Grottola, che affidò a Giovanni Merliano, detto Giovanni di Nola, il compito di costruire un nuovo palazzo.     

 

Successivamente nel 1645 l’edificio fu poi acquistato dal cardinale Ascanio Filomarino, , arcivescovo di Napoli, la cui famiglia ne mantenne la proprietà per un secolo e mezzo, restando per tale motivo poi noto come palazzo Filomarino della Torre; il cardinale completò definitivamente il palazzo, rifacendo il portone di piperno   e demolendo tutte le case fatiscenti negli immediati dintorni. Il palazzo restò per poco più di 150 anni, dei Filomarino della Torre.

CURIOSITA’ : L’alacre attività di raccolta di rocce e di testi di argomento vesuviano, il secolo dopo, consentì al duca Ascanio Filomarino della Torre  di allestire un eccezionale Gabinetto vesuviano all’interno del suo palazzo.

Nel gennaio del 1799 ,  prima del ‘arrivo delle truppe francesi e la conseguente  fuga dei  Borbone a Palerrmo , molti lazzari fedeli ai borbone si  diedero   alla caccia e all’uccisione di tutti coloro che  sospettati di giacobinismo  avevano  complottato contro il re .

Fu questa l’ooccasione propizia per un servo della famiglia Filomarino di vendicarsi di alcuni torti subiti . Egli per vendetta fece cadere i sospetti di sui due fratelli il duca Ascanio e l’abate Claudio Filomarino, i quali  su istigazione del servo di casa , vennero stanati dal palazzo  , catturati e arsi vivi con la pece nelle vicinanze. L’edificio fu abbandonato al saccheggio e alle fiamme: “Le preziose masserizie, una scelta biblioteca, una raccolta di rare incisioni, un magnifico gabinetto di storia naturale, e numerose  preziose oggetti  d’arte andarono così perduti .

Negli anni successivi il palazzo rimase disabitato. La famiglia Filomarino era decaduta e cedette alcuni terranei dell’edificio che si prolungavano sui vicoli adiacenti finché, dopo un breve passaggio di proprietà, il corpo del palazzo fu ceduto nel 1828 al banchiere Conte  Luigi Giusso  che lo usò come sede della sua banca. Fu Giusso ad eseguire imponenti lavori di restauro interni ed esterni, testimoniati dalla targa commemorativa affissa oggi nel cortile interno del palazzo.

Nel  1931 il Regio Istituto Orientale (attuale Università Orientale )  prese dapprima in affitto buona parte dei locali e  successivamente nel 1932  venne poi effettuato l’intero acquisto dell’edificio

Il restauro per adeguare l’edificio agli usi universitari durò due anni e portò al recupero della facciata deturpata dalla presenza nell’edificio di famiglie in affitto che vi stendevano i panni. Una seconda e più ampia ristrutturazione negli  anni novanta  ha portato all’installazione di un ascensore e di scale antincendio nel cortile, danneggiando tuttavia l’unità architettonica dell’edificio. Negli ultimi anni l’Orientale ha acquistato i restanti terranei non inclusi nel rogito degli anni trenta  (occupati da famiglie ed esercizi commerciali) completando quindi l’acquisizione dell’intera struttura, e poi ristrutturarla .

Di fronte al Palazzo e’ presente la particolare chiesetta di San Giovanni  con una particolare accattivante facciata ..

La chiesetta è detta anche Cappella Pappacoda, dal nome della nobile famiglia che nel 1415 la edificò proprio accanto al proprio palazzo.

Nel tufo giallo che caratterizza la facciata di questa chiesetta spicca al centro di essa uno splendido portale ogivale gotico in marmo bianco.
Al vertice di questo portale possiamo notare la scultura di San Michele Arcangelo che mostra sotto i suoi piedi il drago da lui sconfitto.

 

 

 

 

Caratteristico appare anche il bel campanile gotico presente accanto alla cappella che mostra incastrati  in esso alcuni frammenti scultorei  in marmo di epoca romana che sono stati recuperati da altri siti e qui reimpiegati, come era consuetudine fare in quell’epoca: vediamo infatti incastonati ritratti a mezzo busto, una grande testa in marmo bianco, una testa di Giunone e una scena del ratto di Proserpina.

 

 

 

 

 

 

 

L’ interno della cappella è purtroppo visitabile solo in occasione di eventi culturali o per cedute di laurea del vicino istituto Orientale.

Accanto alla Cappella, sulla sua destra si erge la Basilica di San Giovanni Maggiore che nacque sui resti di un tempio pagano dedicato ad Antinoo, il giovane e bellissimo amante dell’Imperatore Adriano morto annegato durante una crociera sul Nilo. La fondazione della basilica  è da collocare intorno al 324.
La struttura nel corso dei secoli ha subìto numerose trasformazioni di cui ricordiamo quella ad opera di Dionisio Lazzari nel 1685.
Successivamente si resero necessari altri interventi di recupero a causa di terremoti e di un  crollo.

L’interno è costituito da una navata principale e due laterali, su cui affacciano nove cappelle in cui troviamo statue di Lorenzo Vaccaro e di Giovanni da Nola, mentre tra le opere pittoriche rimaste, spicca la Resurrezione di Lazzaro, realizzata da Giuseppe Simonelli.

L’altare maggiore è stato progettato da Domenico Antonio Vaccaro.

Sulla controfacciata troviamo un bel dipinto di Giuseppe De Vivo  in cui è raffigurata la predica di San Giovanni Battista ai discepoli.

La Basilica è stata  per lungo tempo custode di preziose reliquie, in verità anche un pò macabre, portate a Napoli dall’Imperatore Costantino.
Tra queste ricordiamo oltre ad un occhio di Santa Lucia ed un dente di San Fortunato,  il sangue di San Zaccaria e di Sant’Isaia, le ossa di San Lorenzo, di Santa Elisabetta, di San Sabino, di San Filippo,  di San Mattia e di San Giovanni Battista, le reliquie di San Simone, di San Giovanni,  di Santa Cosma, di San Damiano, di sant’Antonio Abate, di San Bonifacio, di San Cristoforo e di San Festo.
Tra gli oggetti preziosi portati dall’Imperatore invece sono da menzionare  il forno e le redini di San Giorgio, e una delle pietre con cui fu lapidato Santo Stefano, ma sopratutto il Legno della Croce, una spina della Corona di Cristo e la spugna con cui gli fu dato da bere.

Purtroppo, durante i secoli, l’edificio è stato vittima di  molti furti ed incuria che hanno ridotto il prezioso patrimonio artistico che vi era conservato.

 

 

Lasciandoci ora alle spalle il Largo San Giovanni Maggiore  e continuando diritti giungeremo in via Mezzocannone il cui nome deriva da una singolare storia .

La via nel passato non era era cosi’ spaziosa come lo e’ attalmente e non si chiamava mezzocannone , bensi’ Fontanula o Fontanola ,perche’ nel luogo vi era una piccola fontana . Verso la fine del 400 la fontanella fu sostituita da una fontana piu’ grande che , oltre ad essere provvista di una vasca, era ornata da una statua .Questa statua raffigurava un uomo basso e tozzo ritto in una nicchia scavata nel muro , al di sopra della vasca che accoglieva l’acqua sgorgante da un cannello sottostante la statua .
Per il popolino che ancora oggi chiama un uomo di bassa statura ” o miez ommo “, la statua divenne ” o miez ommo d’o’ cannone ” intendendosi per cannone , il cannello della fonte che oggi in dialetto e’ chiamato ” cannuolo ” ma che a quei tempi era detto cannone .
Via Fontanola non fu piu’ chiamata in tal modo , perche’ tutti ormai l’ indicavano come la via ” d’ o’ miez ommo d’o ‘ cannone ” che poi per brevita’ divenne ” d’o miezo cannone”.
Dalla fontana derivo’ anche il titolo di ” o rre’ e miezo cannone ” perche’ nella statua il popolo volle ravvisare i tratti di re Ferrante d’ Aragona .
Tale convinzione fu, probabilmente originata dall’ iscrizione sulla fontana che diceva : questa , costruita per ordine di re Ferrante .
La statua , gia’ per se stessa sgraziata , rosa dal tempo e dall’ umidita’ assunse un aspetto a dir poco , miserevole.
Quindi per chi si dava delle arie , nonostante le proprie precarie condizioni , oppure spavaldamente ostentava una importanza che non aveva si diceva ironicamente : “me pare o’ ree’ e miezo cannone “.
Durante il risanamento della citta’ la fontana fu rimossa ed alla strada ampliata e rinnovata , rimase il nome italianizzato di mezzocannone .

 

Se saliamo la via mezzocannone ci rechiamo in uno dei luoghi più esoterici della nostra città , una sorta di  ” triangolo magico napoletano, ”  delimitato da tre poli entro il quale secondo molti antichi alchemici ,pare si sprigionini  particolari energie cosmiche e magnetiche.

I tre vertici del triangolo ,  un tempo collegati tra loro mediante misteriosi cunicoli sotterranei, è il luogo dove illustri personaggi  come   Giordano Bruno , il Conte di Cagliostro , Tommaso Campanella , Luigi D’Aquino dei Caramanico, Giovanbattista della Porta, Tommaso d’Aquino , il Principe di San Severo e tanto altri , hanno  percorso chissa quante volte , alla ricerca di approfondimenti, percezioni, intuizioni, occulti esperimenti e  rituali particolari nel tentativo  pervenire al sovrannaturale, e  ascendere quindi verso l’infinito.

I tre vertici del triangolo sono rappresentati dalla Chiesa di San Domenico Maggiore , la cappella del Sansevero , e la statua del Nilo che  si trova  nella vicina Piazzetta Nilo .

La sua grata di accesso ( Camera Caritatis ) , considerato il luogo di massima caduta di energia , a questi cunicoli sotterranei ,  si trova sotto il monumento dell’obelisco di San Domenico .

La tentazione di andare ad esplorare questo misteriosa ma bellissimo luogo è tanta  . ma rinviatela ad un altro giorno ed a un altro nostro percorso .

A noi adesso invece tocca tornare indietro sui nostri passi e portarci di nuovo nel largo  Banco dei Nuovi  , perchè ad attendervi c’ un’altra grande storia .

Bene ! Giunti nello slargo dei Banche Nuovi ( basta solo tornare dritti indietro ) , fermatevi per qualche minto e guardatevi intorno ,

Ci troviamo al centro di quella che un tempo era una grande incredibile antica area conventuale . Nella  zona,  un tempo , fin dal lontano 917 , oltre alla basilica di San  Giovanni Maggiore risalente al VI secolo, che avete gia avuto modo di vedere ,   e al magnifico monastero di Santa Chiara  le ciui alte mura sono visibili dinanzi a noi , in questo presiso luogo si trovava anche il grande monastero angioino  con annessa chiesa di San Demetrio e Bonifacio . Esso , pensate ,  occupava  addirittura tutto lo spazio compreso  tra i gradini di Santa Barbara, via dei Mercanti, San Pietro in Vincoli,  ed gradini dei SS. Cosma e Damiano ai Banchi nuovi”  .Era quindi enorme  occupando  una vasta area urbana di questa zona  ed era collegata, nell’ alto medioevo, alla riva del mare,  ( via Sedile di Porto attuale ) che si trovava nella parte inferiore del borgo ,  mediante la gradonata del “Pennino” o Pendino a Santa a Barbara , un  caratteristico stretto percorso a larghe grade, in parte coperto, ancora oggi esistente a cui si accedeva  tramite due archi ortogonali dalla piazzetta antistante la chiesae attraverso il quale  in tempi  antichissimi si poteva raggiungeva la spiaggia ed il mare .

Il grande monastero rimase  nel luogo per tutto il periodo normanno ed angioino-aragonese e dipendeva  da Montecassino, come è attestato dalle fonti religiose, sebbene i monaci non fossero in luogo mai stati in grande numero . Dopo questo periodo , purtroppo , a partire dalla fine del trecento fino a tutto il quattrocento  tutta l’area occupata dal monastastero fu sottoposta ad una serie di frazionamenti  dovute alla cessione a privati di alcune parti del monastero . L’intera area incominciò quindi lentemante a trasformarsi  in quanto vide  conseguenzialmente edificare una serie di palazzi  privati nobiliari  seppur  di notevole interesse.

Uno dei grandi palazzi nobiliari che vi dicevo è quello  seicentesco posto di fronte a noi  all’angolo con via Santa Chiara ,facilmente individuabile in quanto fu gravemente danneggiato da un incendio alcuni anni fa e da allora purtroppo come vedete ancora  è oggi in attesa di essere riattato . E’ questo tra l’altro , un palazzo molto famoso in quanto la sua  balconata d’angolo al terzo piano fu protagonista della celebre scena del monologo del caffè fatta da Eduardo De Filippo nella commedia ” Questi Fantasmi ” nella versione girata per la televisione .

Come vi dicevo il monastero benedettino subì progressivamente una serie di frazionamenti ed uno dei primi  , avvenne tramite  concessione “a commenda”, di una larga fascia parallela ai gradini del Pendino di Santa Barbara che avvenne a favore del  potente uomo di corte  angioina Antonio Penne , entrato secondo alcuni ,  in rapporti molto intimi con la sorella del re , Giovanne II . L’imperial notaro chiese ed ottenne dalla corte reale grazie alle intercessioni della  futura regina  il permesso di poter costruire un elegante palazzo con un maestoso porticato ricco di statue ed un magnifico giardino  arricchito da fontane e giochi d’acqua.

Il successivo frazionamento dell’intera proprietà benedettina avvenne poi  con la costruzione del palazzo nobiliare di Lelio Orsini, ad oriente della fabbrica religiosa benedettina verso i Banchi nuovi: un interessante esempio di edilizia aristocratica tardo-cinquecentesca, poi acquistato dai Casamassima ( Antonino de Ponte duca di Casamassima ) . Guardando la piazza dalla strada, sulla destra possiamo  notare i finestroni corrispondenti alla scalinata cinquecentesca del palazzo, il cui accesso principale,  lungo via banchi Nuovi, come vedremo , mostra ancora buona parte della bellezza di un tempo (l’antico loggiato a due piani) nonostante la struttura sia stata più volte modificata nel corso dei secoli.

La casa degli Orsini  ,realizzata nel 1544-45 , dall’architetto napoletano Giovan Francesco di Palma  , possiamo verosimilmente credere che occupò buona parte dell’antico monastero benedettino . Esso , con il suo  porticato ed i due piani di logge aperte sul giardino e sul panorama del golfo venne  completato nella seconda metà del Cinquecento .

Alla costruzione della casa degli  Orsini e del palazzo Penne seguirono poi la costruzine di altri palazzi nobiliari come il  “Palazzo del Tesoriero”, ossia il Palazzo di Alfonso Sanchez marchese di Grottola, il palazzo dell’abate di San Giovanni Maggiore, in censo a Tommaso Cambi banchiere fiorentino..

L’intera zona ,  quindi vide lentamente sorgere la cotruzione di nuovi importanti edifici al posto dell’area coventuale  che diede luogo all’inizio ad una iniziale trasformazione dei luoghi che vennero poi definitivamete trasformati , con il  terribile diluvio che come è noto distrusse molti edifici civili e religiosi e dette la possibilità al Sanchez, (  il cui palazzo subì gravi danni, )  di isolare il suo palazzo con la creazione di un largo innanzi alla nuova sede dei Banchi per i mercanti e all’apertura di un’ altra stradina gradonata, l’attuale calata SS.Cosma e Damiano, parallela ai gradini di Santa Barbara, nuovo collegamento tra la zona dei Banchi nuovi e la fascia costiera della città bassa, ancora percorribile a tutt’oggi.

Dopo questo grande evento , la restante parte del  monastero venne demolita , e  la sola chiesa invece venne conservata .

CURIOSITA’ : In alcune piantine dell’epoca la chiesa  appare ompreso tra i Banchi nuovi, ( l’edificio con loggia costruito dai mercanti al principio del Cinquecento  ) ed il Pendino di Santa Barbara. rappresentata come una grande cappella posta un poco più avanti della cappella di Santo Leonardo ostruita dai Penne da un lato ed invece adiacente dall’altro lato  all’imponente palazzo Orsini .Nelle stesse cartine il  rinnovato palazzo Sanchez, lo si vede invece essere presente  tra la piazzetta dei Banchi nuovi e la basilica di San Giovanni Maggiore .

Dell’originario grande monastero benedettino quindi l’unica struttura superstite è solo  la cinquecentesca chiesa  di San Demetrio, unitamente alla piccola cappella dedicata a San Leonardo;.

La chiesa , insieme alla cappella di San Leonardo , venne poi acquisita dopo una lunga trattativa avvenuta agli inizi del seicento dai  padri Somaschi .

iI padri Somaschi  , che attraverso  un  decreto di papa Paolo V erano dediti  dal 1570   nella nostra città alla cura e l’educazione degli orfani, che svolgevano  principalmente , ma solo temporaneamente  nell’Orfanatrofio della Pietà dei Turchini a via Medina , avevano  da tempo bisogno di una sede fissa dove svolgere la loro attività , e  visto il delinearsi della nuova situazione nella zona conventuale benedettina , , avevano da tempo puntato  l’attenzione sulla chiesa di San Demetrio ed i suoi  locali annessi . Per ottenere l’acquisto dei luoghi  fecero lunghe trattative , ed una stabilita la loro  nuova sede a San Demetrio i Somaschi rivolsero la loro attenzione ad organizzare la loro casa ed il Collegio,.

Intenzionati a creare una vera e propria accademia  , si diedero subito da fare per creare  un ampliamento della proprietà acquisita e nel 1637 acquistarono , per stabilirvi la casa ed il collegio ,  il grande palazzo costruito da Lelio Orsini, contiguo alla loro fabbrica religiosa .

Purtroppo , in seguito alle forti spese economiche , si resero ben presto di aver fatto il passo più lungo delle loro gambe e  furono quindi costretti prima a darlo in affitto e poi nuovamente a vendere l’immobile .

Il nuovo acquirente  , nel 1658 fu Antonio Da Ponte, duca di Casamassima, di cui il palazzo porta ancora oggi il nome .

CURIOSITA’ : il duca di Casamassima fece costruire un secondo cortile al posto del giardino e un terrazzo sul tetto della chiesa dei SS. Cosma e Damiano, fatto che provocò una lunga lite con i Filomarino, il cui palazzo insisteva sull’altro lato del Largo.

Adiacente alla Loggia dei mercanti, negli stessi anni, i duchi di Casamassima,  acquistarono  il suolo e la metà della chiesa di San Demetrio, su cui costruirono un palazzo con un cortile, un loggiato e un giardino.

Se ora continuiamo il nostro percorso alla nostra destra oltre lo slargo vi mostro l’ingresso lungo via Banchi Nuovi , di questo bel  palazzo con il suo magnifico portale del 700 costruito nel 1569 in stile rinascimentale  dopo che un’alluvione aveva distrutto la zona dei Banchi Vecchi i e poco  piu’ avanti in piazzetta Monticelli il famoso Palazzo Penne , uno dei pochi esempi sopravvissuti di edifici civili di epoca angioina .

Come vedrete , il palazzo è caratterizzato da un doppio  loggiato murato nel corso del 900 . Durante il ‘700 esso subì notevoli cambiamenti, come la realizzazione di un secondo cortile che prese il posto del giardino e l’innalzamento delle strutture posteriori alla loggia. Sulla facciata che dà sulla piazzetta dei Banchi Vecchi, sono ancora visibili le cornici cinquecentesche realizzate in piperno.

Di fronte ad esso , ad angolo con via Santa Chiara s, al civo numero 41 ,orge  l ‘ingresso del  famoso palazzo  Vernasse dala cui balconata d’angolo al terzo piano venne girata il  famoso monologo  del caffè di Eduardo De Filippo di cui vi ho parlato prima. Nel suo cortile dove circa cinquanta anni fa Sophia Loren e Vittorio Gassman girarono ” Questi fantasmi ” , tratto dal capolavoro di Eduardo De Fipippo , si trova nel totale disinteresse di tutti , una splendida colonna di epoca angioina probabilmente trascinata fin qui dalla terribile alluvione del 1569.

Poco più avanti troviamo sulla nostra sinistra , in piazzetta Teodoro  Monticelli ,il famoso palazzo Penne in bugnato scuro che fu  edificato nel 1409 dal segretario del re Ladislao Antonio Penne. Esso mostra un bel portone con arco abbassato dove sono presenti decorazioni e stemmi di famiglia incassati in una facciata in bugnato scuro.
Il palazzo fu acquistato nel 700 dall’ordine religioso dei padri Somaschi che lo collegarono alla contigua chiesa dei Santi Demetrio e Bon
Intorno al Palazzo Penne si racconta  una “storia” molto particolare che nel tempo lo ha fatto soprannominare ” il palazzo del diavolo “.
Il palazzo secondo la leggenda fu costruito in una sola notte e dal diavolo in persona , al quale Antonio Penne chiese aiuto , firmando con lui un patto col sangue .
Il Penne si era fortemente innamorato di una ragazza e fatto follie pur di possederla .
La fanciulla ,gia’ corteggiata da altri e fortemente indecisa tra i suoi tanti pretendenti , impose delle condizioni impossibili e promesso che lo avrebbe sposato se fosse riuscito a costruire un sontuoso palazzo in una sola notte.
Fu così che Antonio Penne, per riuscire nell’impresa, chiese aiuto al diavolo, il quale naturalmente pretese in cambio la sua anima con tanto di contratto scritto. C’era una clausola però: Penne avrebbe ceduto la sua anima solo se il demonio avesse contato tutti i chicchi di grano che egli avrebbe sparso nel cortile del palazzo da costruire.
A palazzo costruito, fu il momento della “prova”. Penne sparse nel cortile grano, ma anche pece: i chicchi di grano si attaccavano alle mani del demonio e questi non riusciva a contare. A quel punto il protagonista si fece il segno della croce, e questo gesto aprì una voragine nella quale il diavolo sprofondò. Un pozzo ora chiuso, ma ancora visibile a chi visita l’antico e meraviglioso palazzo rinascimentale Partenopeo.

Le cose alla fine andarono male però anche al potente  Antonio  Penne , visto che la donna amata all’ultimo momento si tirò indietro e sposò un altro uomo con il quale si era già precedentemente impegnata .

 

 

Diavolo o non diavolo , la verità è che la  storia del Palazzo , forse per la presenza di quel diavolo imprigionato nel pozzo , non è stata poi nel corso del tempo assai felice .

Alla morte del proprietario iniziale , il nobile Antonio  Penne , il palazzo passò infatti di mano in mano a vari personaggi fino a quando  il principe Marco Antonio Capuano , nel XVI secolo non lo perse addirittura per un debito di gioco .

Passato poi in mano ai padri comaschi che lo acquistaro fu da essi trasformato in un noviziato , mentre dopo l’abolizione degli ordini religiosi , l’edificio fu infine  venduto alla fine del settecento a Teodoro Monticelli , un illustre vulcanologo appartenente all’ordine dei frati celestini .

Teodoro Monticelli dovette anche lui , almeno inizialmente subire il maleficio del diavolo in quanto cadde in disgrazia durante i moti rivoluzionare del 1799 . Egli infatti , grazie alle sue dimostrate simpatie rivoluzionarie fu condannato a scontare dieci anni di carcere nell’isola di Favignana dove però ebbe modo di dedicarsi attivamente  a numerosi sudi naturalistci grazie anche alla intercessione del comandante dell’isola .

Egli , si racconta che si appassionò talmente tanto ai suoi studi scientifici che quando un giorno finalmente ebbe  l’occasione di fuggire  dal carcere , tramite alcuni patrioti sbarcati sull’isola , rifiutò l’occasione avuta , dedicendo di rimanere sull’isola per continuare i suoi studi .

Grazie a questi sudi egli divenne in seguito uno dei più grandi esperti di vulcanologia e mineralogia dei suoi tempi e grazia a lui il nostro Museo di mineralogia si ritrova oggi una bellissima collezione di di pietre preziose .Quando infatti egli , tornò finalmente in libertà grazie grazie all’intervento del suo amico papa Pio VII, ritornato a Napoli ,utilizzo Palazzo Penne come sua dimore portandoci la sua biblioteca e la sua importante collezione di pitre , parte delle quali sono poi sono state donate al Museo Mineralogico della nostra città .

CURIOSITA’ : Il Real Museo Mineralogico  , primo istituto nel suo genere  non solo in Italia ,  ma in tutto il mondo , fu istituito nel 1801 per volontà del re Ferdinando IV ed aveva come sua sede l’ex Biblioteca del Collegio Massimo dei Gesuiti .

Nello stesso slargo  Monticelli . sorge anche la chiesa di San Demetrio e Bonfacio , alla quale è anche legato la storia dello stesso slargo.

Ma procediamo con calma …

Siamo prima rimasti al fatto che i padri somaschi furono costretti a vendere per problemi economici il loro  ex palazzo degli Orsini al duca di Casapesenna , ma I padri  Somaschi non andarono comunque via e  rimasero negli esigui immobili che avevano precedentemente  acquistato  al principio del Seicento, . Erano certamente spazi piccoli e non sufficienti per svolgere la loro opera assistenziale ed educativa , ma grazie ad alcune aumentate entrate economiche dovute ad alcuni lasciti , essi successivamente i furono  poi in grado di inserirsi nella trattativa per l’acquisto del vicino palazzo Penne, dopo la risoluzione della lite tra gli eredi, con il diritto a trasformarlo secondo le loro esigenze. religiose .

Acquisiti i nuovi spazi e riunita in un solo possesso tutta l’area edificata dal lato orientale del palazzo Casamassima fino ai gradini del Pendino di Santa Barbara, l’unico desiderio dei padri Somaschi fu di erigere una nuova chiesa nella zona di loro proprietà, essendo la prima divenuta insufficiente e non più adeguata all’acquisito prestigio per l’apertura del Noviziato e dei loro aumentati incarichi assistenziali.

I problemi però non erano pochi . Vi era un forte dislivello  non solo tra i due edifici attigui , ma anche della stessa strada con il vicino vicolo dei gradini del Pendino di Santa Barbara .Inoltre mancava non solo una bella facciata alla chiesa ma lo stesso ingresso dalla strada alla chiesa e all’intera proprietà somasca aveva come unico  accesso  l’ingresso del palazzo dei Penna.

I padri somaschi , dopo aver consulato diversi architetti tra cui il Fontana , decisero di affidare il gravoso compito di sostituire la vecchia cappella dell’ex monastero benedettino , all’architetto napoletano Giovan Battista Nauclerio.  L’edificio , oggi sconsacrato , venne costruito tra il 1706 e il 1725  , e come previsto , incontrò non pochi problemi da un punto di vista una architettonico proprio per la  difficile per la complessa situazione urbanistica in cui si trovava stretto tra le numerose abitazioni di privati .

Giovan Battista Nauclerio aveva il difficile compito di costruire un accesso alla chiesa da una stetta strada in forte pendio e per prima cosa pensò subito di collegare il palazzo Penne , dove si trovava la casa dei Somaschi con la nuova chiesa in costruzione  per mezzo di  una scala in piperno in modo da  creare un un più facile accesso ai lavori (la scala si aveva accesso diretto alla sacrestia a destra dell’altare maggiore ).

CURIOSITA’: . L’ ingresso alla scala, oggi murato, è reso evidente da un portalino in piperno, innanzi ad una voltina a crociera, sul lato orientale del cortile del palazzo Penna. La brillante soluzione adottata dal Nauclerio per la scala conferma, l’inesistenza di un vero ingresso frontale sulla strada della fabbrica religiosa settecentesca. La scala servì quindi almeno inizialmente anche per dare accesso, dalla strada, alla nuova chiesa dei Somaschi.

Completato l’interno della chiesa , la stessa era comunque incompiuta in quanto mancava  ancora della facciata e per attuarla  mancava uno spazio davanti alla chiesa dove poter allestire il necessario alla lavorazione . Per concludere la loro opera i padri somaschi dovevano avere  un’adeguata facciata alla loro chiesa e per realizzarla non si perero d’animo .

La costruzione dello slargo innanzi la chiesa di San Demetrio e Bonifacio per l’attuazione della facciata, rimasta incompiuta indussero alora i  padri Somaschi ad intavolare  una trattattiva con il principe di Palmerici, in possesso del palazzo posto di fronte alla loro proprietà e quindi prospettante anch’esso sulla stessa via dei Banchi nuovi .

L’idea fu di stipulare un patto, reso pubblico da un atto notarile, con il Palmerici con il quale si impegnavano ad aprire un largo innanzi al suo palazzo, previa congrua cifra da conferirsi all’indomani del realizzato abbattimento della cortina di edifici che ingombravanola parte frontale della loro fabbrica che volevano completare; contemporaneamente concedevano al principe anche uno spazio in chiesa per la sepoltura della casata.

Il risultato fu la creazione di quel largo che ancora oggi vediamo ( slargo  o piazzetta Monticelli ) da dove I religiosi genovesi potevano finamente dar luogo alla costruzione di  una facciata ed anche una navata d’ingresso alla chiesa del Nauclerio.   Il lungo spazio lasciato vuoto, tra la chiesa realizzata e la “nuova facciata a farsi”, prevedeva forse la costruzione di una stretta navata d’ingresso, o un andito di accesso al corpo di fabbrica a croce greca ,  consentendone l’accesso diretto alla chiesa direttamente dalla strada .

L’idea dei Somaschi di costruire un altro corpo innanzi alla chiesa del Nauclerio e successivamente erigere una vera facciata non fu però , purtroppo poi , mai portata a compimento, forse per mancanza di fondi o per un sopraggiunto conseguente ridimensionamento del programma originario. Lo spazio reso libero nel 1729 è oggi lo spazio aperto e vuoto che costituisce, l’attuale sagrato, innanzi alla chiesa del Nauclerio; questo è perimetrato da una cancellata in ferro tra quattro modesti pilastri di piperno che seguono la linea che avrebbe dovuto seguire la nuova facciata, che non fu mai più eseguita.

 

Questa recinzione è infatti in totale dissimetria con la facciata della chiesa retrostante, che presumibilmente dovette essere eseguita, in totale economia, intorno alla metà del Settecento, quando i padri si resero conto dell’inattuabilità del programma da loro previsto.

Da questo sagrato, sopraelevato mediante quattro lunghi gradini di piperno dalla piazzetta, si ha  oggi accesso alla piccola chiesa che presenta una struttura  a croce greca con esedre ai lati;  l’interno sormontato da una cupola senza tamburo ,  pur spogliato di arredi,originali  conserva ancor al’altare maggiore (in legno e decorazione in stucco e pannelli decorati in finto marmo) e tre dipinti realizzati nel 1748: la Madonna con Bambino, San Demetrio e San Bonifacio di Nicola Maria Rossi (sull’altare maggiore), la Madonna con Bambino e i santi Paolo Eremita, Leonardo Abate e Ignazio Martire di Antonio Romeo e la Madonna con Bambino e Gerolamo Emiliani di Gennaro Gamba.

Ad un lato della strada , prima dell’accesso in chiesa ,  vi sono oltra che alcune botteghe che i padri somaschi davano in affitto , anche la piccola chiesetta della Confraternita dei Caprettari, costruita afli inizi  dell’800

.

La creazione della piazzetta e del sacrato ha consentito, pur non esaurendo completamente l’idea dei padri, una maggiore visibilità alla fabbrica religiosa ed un decoroso, sebbene non brillante ingresso alla chiesa.

CURIOSITA’ : La piazzetta settecentesca fu intitolata all’abate Teodoro Monticelli che acquistò parte del palazzo dei Penna e ne fece un luogo di incontro di scienziati e sede di una ricca collezione mineralogica, oggi confluita nel Museo Mineralogico di San Marcellino dell’Università “Federico II”

Con il Decennio Francese, all’inizio del XIX secolo, e la Soppressione degli Ordini monastici, il complesso dei Somaschi si disciolse; la chiesa fu chiusa al culto e solamente nel 1821 venne affidata alla Curia Arcivescovile che la destinò in un primo momento ad una Congregazione di studenti e poi all’Arciconfraternita di Santa Maria della Visitazione , come ancora si legge sul portale di ingresso.

Il degrado della chiesa con il successivo abbandono fu inesorabile e a questo si aggiunsero i danni causati dal terremoto del 23 novembre 1980. La chiesa, fu poi completamente restaurata nel 1986 ed affidata all’Università Federico II , che la destinò ad Aula magna della Facoltà di Architettura.

Da allora la chiesa settecentesca dei padri Somaschi ha ospitato numerose manifestazioni culturali, come convegni, mostre, seminari ed incontri di studio, oltre allo svolgimento delle sedute di tesi di laurea, rilanciando con la sua attività promozionale un’area del centro antico che avrebbe ancora tanta necessità di interventi di riqualificazione ad uso culturale per contrastare l’avanzare del degrado ambientale e dell’incuria che avanza indifferente tra lo sguardo dei nostri governatori che fanno finta di non vedere ciò che resta della chiesa  cinquecentesca di Santa Maria della Candelora, a pochi  metri dal LargoSan Giovanni i : un muro esterno fatiscente ed all’interno  una officina meccanica su due livelli.  Essa eretta su una  precedente cappella demolita da Alfonso Sanchez, durante  la costruzione dell’attuale palazzo Giusso, conteneva una  lapide sepolcrale del 1502, l’altare maggiore e un quadro  del XVII secolo che raffigurava la Purificazione.

L’incuria da anni strige con le sue possenti mani ‘intera zona non mollando mai la presa complici i vari sindaci che hanno totalmente  abbandonato la zona . Basti pensare che già la grande Matilde Serao , nel suo capolavoro ” il Ventre di Napoli ” descrive la zona come < neri ruscelli di acque sudicie , neri come l’alta muraglia del monastero di Donnalbina >

Eppure lei , la futura fondatrice del Mttino conosceva bene lazona in quanto abitava nella vicina  piazzeta Ecce Homo , a poca distanza quindi da quella piazza ancora oggi ricca di fascino e di mistero dove vivevano gli artigiani ed i mercanti .

Il degrado che avvolge le mura del  palazzo  Palmarici, una meraviglia architettonica firmata dal grande architetto Ferdinando Sanfelice , rende purtroppo quasi illeggibile la lapide o meglio il  banno posto  a lato  dell’ingresso, dell’epoca  di Ferdinando IV di Borbone in cui il Gran Maestro della Vicaria faceva divieto a chiunque di occupare lo slargo davanti il palazzo.

Un degrado divenuto a dir poco intollerabile . Basti pensare al deplorevole stato di conservazione in cui versa ancora il vicino Palazzo Penna, che per il suo precipuo valore di unicum dovrebbe essere oggetto di urgente restauro conservativo, prima che le strutture architettoniche si perdano definitivamente.

Al fianco del palazzo sono visibili le strette scale note con il nome di “ Pendino di Santa Barbara “che portano alla sottostante via Sedile del Porto.
Le scale sono così’ denominate perché’ nel luogo un tempo esisteva una chiesa dedicata a Santa Barbara che nella credenza popolare proteggeva dai tuoni e dalle saette nonché dalle morti improvvise .

CURIOSITA’: Un tempo la stretta viuzza che percorreremo secondo una antica leggenza era non solo una meravigliosa discesa a mare ma anche il luogo dove vivevano le più brutte nane del mondo e viene anche citata nel bel libro di Matilde Serao ( Il ventre di Napoli ) .

….. un’altra strada, le così dette Gradelle di Santa Barbara, ha anche la sua originalità: da una parte e dall’altra abitano femmine disgraziate, che ne hanno fatto un loro dominio, e, per ozio di infelici disoccupate, nel giorno, e per cupo odio contro l’uomo, buttano dalla finestra, su chi passa, buccie di fichi, di cocomero, spazzatura, torsoli di spighe. e tutto resta, su questi gradini, così che la gente pulita non osa passarvi più….

Le scale , percorrendole tutte portano  in Via Sedile del porto .  Una zona molto popolare e ricca di tradizioni e di monumenti ma spesso dimenticata. Via sedile del Porto è così detta per l’omonimo Seggio Nobile , ubicato un tempo ad angolo con via Mezzocannone che arrivava fino alla zona degli Orefici.Una zona nel quartiere Porto molto caratteristica dove da sempre gli orefici hanno situato i loro laboratori ( oggi sostituita da eleganti gioiellerie )

In questa antica strada  quasi al suo termine  , in una piccola insenatura   , sulla destra ,potrete ammirar quello che viene considerato  il vicolo piu’ stretto del mondo che si interseca con Via del Cerriglio , nota per la presenza di un’antica taverna , ” la taverna del Cerriglio “frequentata in tempi passati da nobili , artisti e gente poco raccomandabile .
Pare che in questa taverna , il celebre Caravaggio dopo una cena accompagnato da abbondante vino e degenerata in una rissa , nel 1609, fu aggredito e sfregiato al volto .
La locanda del Cerriglio esiste ancora e possiamo anche decidere di fermarci a mangiare qualche  piatto della tipica cucina  napoletana ricca di tradizioni e dal buon gusto.

Risaliamo alla fine le scale di Santa Barbara ed una volta ritornati in Piazzetta Monticelli incamminiamoci alla nostra sinistra portandoci verso il caratteristico slargo Ecce Homo . Incontreremo subito dopo qualche passo la piccola chiesa dell’Ecce Homo ai Banchi Nuovi  facilmente riconoscibile perchè al suo  esterno esterno si trova un affresco raffigurante la Vergine Maria, creato in una rientranza, ed, al di sopra, un finestrone rettangolare. L’interno, conserva opere pittoriche di mediocre fattura e scarso interesse culturale.

Si tratta di una  chiesa  fondata in epoca medioevale da alcuni cittadini che raccoglievano elemosine e per poi passare nel XIX , all’arciconfraternta dell’Addolorata, una congregazione di musicisti ; la chiesa è retta ancora oggi dalla stessa arciconfraternita.

 

Poco dopo invece ci imbatteremo in una chiesa il cui interno  rappresenta da un punto di vista architettonico , uno dei più riusciti  esempi di barocco napoletano .

La facciata che si affaccia sua Vico di Santa Maria dell’Aiuto con una  cancellata in ferro battuta , è caratterizzata dal suo slancio verticale, accentuato dal timpano  curvilineo e dalle quattro lesene   disposte a coppie ai suoi angoli. Al centro, sotto il  finestrone rettangolare, il  portale con i bordi in  marmo

 

La chiesa trae la sua origine da un’immagine sacra su carta collocata in un’edicola ad opera di due giovani devoti.  Essi  posero questa immagine della Madonna con il bambino nel vano cieco di una finestra . In seguito  ai  primi proventi della carità, realizzare una cappellina e trasferire l’immagine  dipinta ad olio su tela . Divenne in questo modo , una delle tante edicole  di religiosita’ popolare che ancora oggi decorano il centro storico della nostra citta’.

Durante la terribile peste del 1656 che falcidiò la popolazione napoletana  le offerte  fatte all’immagine della Madonna aumentarono a seguito di numerose grazie ottenute dai fedeli e una volta raggiunta una adeguata somma,  si ebbero finalmente i capitali sufficienti per erigere una chiesa vera e propria. Alcuni abitanti del quartiere, gia’ proprietari di alcuni abitazioni, acquistarono allora gli immobili vicini per ricavare l’area sufficiente alla costruzione della Chiesa dedicata alla Madonna che da allora prese l’appellativo dell’Aiuto. La progettazione fu affidata all’architetto Dionisio Lazzari che la realizzo’ nel 1673 ponendo nel suo interno il sacro dipinto al quale, per tradizione, si attribuisce il prodigio del dissolvimento di qualsiasi stoffa o velo posto a sua protezione.

In quei terribili anni la devozione verso l’immagine sacra crebbe e si consolidò maggiormente grazie, agli innumerevoli  prodigi, e miracoli concessi dalla Madonna documentate da oltre 2500 lastre votive in marmo, attraverso le quali i fedeli manifestavano la propria riconoscenza alla Madonna per l’aiuto ricevuto. La sua fama si diffuse rapidamente in città e la devozione  alla immagine della Vergine dell’Aiuto si diffuse a macchia d’olio da Napoli a Roma a tal punto che il 24 maggio 1889, su decreto pontificio di Papa Leone XIII, il cardinale Guglielmo Sanfelice, incorono’ l’immagine della Madonna dell’Aiuto.

Il suo interno è a croce greca coperta da una cupola con cassettoni .Alle spalle dell’altare  in marmi policromi si trova l ‘immagine della madonna miracolosa . Meravigliosi appaiono all’ingresso i tre dipinti opera di Gaspare Traversi mentre le atre opere sono state  realizzati da Giuseppe Farina ( Vergine dell’Aiuto ) , Nicola Malinconico ( transito di San Giuseppe )  Giacinto Diano e Francesco Pagano .Belli anche due organi settecenteschi le cui casse sembra che siano state eseguite su disegno di Dionisio Lazzari.

Dopo anni di oblio, la chiesa è stata riportata in anni recenti agli antichi splendori : eecentemente, il 23 novembre 2004 la chiesa di S. Maria dell’Aiuto e’ stata aggregata alla patriarcale basilica di S. Maria Maggiore.  A seguito di cio’ il papa Giovanni Paolo II ha concesso il dono dell’indulgenza plenaria.

 

 

Usciti da questa chiesa portiamoci diritti  in via Donnalbina dove inglobata nel complesso dell’istituto Don Orione possiamo  ammirare la bella chiesa di antica fondazione di  Maria Donnalbina . ,Essa  esisteva infatti già nell’VIII secolo per poi essere ricostruita nel seicento da Bartolomeo Picchiatti e successivamente rimaneggiata da Arcangelo Guglielmelli .

 

La sua fondazione  si può ricondurre  ad Euprassia , figlia del duca di Napoli che si rinchiuse in questo luogo nei primi anni del IX secolo. Successivamente vi si aggiunsero  altre monache Benedettine  provenienti dai soppressi monasteri di Sant’Agata a Mezzocannone e di Sant’Agnello al Cerriglio, che, nel 1563, al momento della sua entrata  nel convento, portarono con loro reliquie di ogni genere, dall’ubiquitaria spina della corona di Cristo alla gruccia di sant’Agnello e finanche un pezzo di grasso di san Lorenzo, che si liquefaceva nella ricorrenza del martire ed una mammella di sant’Agata. Un repertorio che oggi può sembrare stupefacente e fantasioso, ma che all’epoca dava grande prestigio al convento

La chiesa è legata a una storia vissuta dalle tre figlie del barone di Toraldo , vissuto ai tempi di re Roberto d’Angiò che  ancora si racconta tra i vicoli di questa Napoli popolare . Si tratta di una storia , nata dalla fertile penna di Matilde Serao, delle tre sorelle Donna Romita, Donna Regina e Donna Albina . Le tre fanciulle innamoratesi dello stesso uomo, il bel Filippo Capece,  e non potendo averlo, rinunciarono all’amore prendendo i voti e fondando i tre famosi monasteri napoletani che da loro presero il nome:  Donnaregina Vecchia , Santa Maria Donnalbina,e Santa Maria Donnaromita .

L’edificio, tra i più significativi della città, testimonia un importante esempio di arte barocca in città   .L’interno, a pianta con navata unica e quattro cappelle per lato  mostra importanti decorazioni in stucco, ed uno spettacolare soffitto a cassettoni in legno dorato, realizzato da Antonio Guidetti nel quale sono incastonati i grandi dipinti di Nicola Malinconico autore peraltro anche delle tele e pitture poste tra i finestroni della navata raffiguranti i santi dell’ordine benedettino e di un affresco murale sulla controfacciata purtroppo molto rovinato , che rappresenta l’Entrata di Gesù in Gerusalemme. Sulla stessa controfacciata troviamo  un organo del 1699  . La zona absidale ospita uno spettacolare altare, datato 1692 al centro del quale una volta si trovava un quadro firmato dal Simonelli  sostituito poi  nel 1892 da una statua lignea settecentesca raffigurante l’Immacolata, che fu posta in una nicchia realizzata a bella posta. Una trasformazione che non piacque a Benedetto Croce, che dalle pagine di Napoli nobilissima, con lo pseudonimo di Don Fastidio, la definì “qualche cosa tra l’ostrica di Mucchitello e il gelato alla crema”.

 

La zona dell’Abside  contiene inoltre una serie di opere decorative compresa la cupola ed in parte purtroppo perdute  dell’attività di Francesco  Solimena nell’ultimo decennio del Seicento. Sono dipinti che testimoniano il passaggio del Solimena dai modi barocchi e pretiani a soluzioni compositive nelle quali palpabile è il gusto classicista. Nella seconda cappella di destra troviamo anche due santi datati 1736  dipinti da Domenico Antonio Vaccaro.

 

Nel 1891 la chiesa divenne sede della confraternita dell’Immacolata del Terz’Ordine di San Francesco, dal momento che la loro piccola omonima chiesa sarebbe stata abbattuta per l’apertura di via Guglielmo Sanfelice durante il cosiddetto risanamento . La confraternita in quel’occasione  fece trasferire nella sua nuova sede il monumento funebre del compositore Giovanni Paisiello (che era loro confratello), scolpito in stile neoclassico da Angelo Viva nel 1816 e oggi visibile a sinistra dell’ingresso.

La chiesa di Donnalbina nelle sue forme eleganti e preziose che possiamo ammirare appartiene a quei piccoli gioielli dell’arte napoletana purtroppo difficilmente visitabile per anni  da parte di tutti noi essendo stata riaperta al pubblico solo di recente. Dal 1942 il monastero è affidato alla Congregazione di Don Orione, che svolge meritorie iniziative a favore di portatori di gravi handicaps fisici e psichici.

Dopo aver visto questo piccolo capolavoro , dobbiamo assolutamente recarci nella vicinissima via intitolata al musicista e cantautore Pino Daniele ( ex  Vico Donnalbina  ) dove sula facciata di un palazzo , all’angolo della strada è stata installata la riproduzione di una chitarra e poco lontano si trova un graffito  a lui dedicato . L’autore è il writer Zemi.

 

Vicoli magici dove il mitico Pino Daniele ha avuto regalato dai suoi genitori la sua prima chitarra e  che ispirarono le sue canzoni più note come il basso in cui viveva sua nonna in vico Candelora, la mitica donna Concetta, nella cui crocchia di capelli raccolti a chignon (il tuppo niro) “ci stanno tutt’e paure”,  oppure  la casa di via Santa Maria La Nova 32, che più tardi acquisterà per la sua famiglia, dove scrisse “Napule è .

Le viuzze ed i vicoli ricchi di umanità e storia ma anche gli stessi slarghi di sofferenza e nobili palazzi ,che finora abbiamo attraversato sono gli stessi dove in un ambiente popolare si andava inserendo un’alta aristocrazia ,  e sono anche gli stessi vicoli  che hanno ispirato il grande cantautore napoletano Pino Daniele nei suoi magnifici primi album. che ha poi cantato nsieme  ai suoi storici compagni di musica come James Senese , Tony Esposito e Tullio De Piscopo .

Sono questi infatti gli stessi vicoli di Furtunato che teneva ‘a roba belle , ‘nzogna ‘nzogn  , il quale non era altro che Fortunato Bisaccia che in quei vicoli passava negli settanta e ottanta sommergendoli di profumo con la sua cesta  piena  di taralli ‘nzogna ( sugna ) e pepe .

Un po piu avanti ci troveremo  nella suggestiva  piazza di Santa Maria La Nova dove si trova l’omonimo complesso monumentale costituito dalla  bellissima chiesa, dalla Sagrestia, dall’Antico Refettorio e da due chiostri, (   il Chiostro Maggiore e quello Minore ).
Tutto il complesso Complesso Monumentale di Santa Maria la Nova fu costruito per volontà di Carlo D’Angiò nel 1279, come risarcimento per la  chiesa ed il convento francescano confiscati e abbattuti  per far posto alla costruzione di Castel Nuovo  (Maschio Angioino).

Santa Maria la Nova sorse inizialmente  in stile gotico con il quale rimase per ben tre secoli fino alla sua quasi totale demolizione .Tra le cause che determinarono la demolizione della chiesa angioina vanno ricordati i vari  terremoti del 1456 , 1538 ,1561, 1569, e del 1588 , ma in misura maggiore , lo scoppio della polveriera di Castel S.Elmo , colpita da un fulmine nel dicembre del 1587 , che la danneggiò gravemente.

Il 17 agosto del 1596 nella chiesa avvenne dinanzi agli occhi di tutti ,una guarigione miracolosa a favore di un povero storpio dalla nascita, che fu attribuita alla Madonna delle Grazie il cui ritratto si trova in chiesa .Questo miracoloso episodio portò a generose offerte da parte di numerosi fedeli ( tra cui numerose famiglie aristocratiche ) per il rifacimento della chiesa che avvenne nel 1596.
La chiesa con la sua bella facciata rinascimentale , preceduta da una scalinata con balaustra marmorea ,mostra un bel portale affiancato da due colonne di granito sormontato da un’edicola in cui è raffigurata la Vergine ( di autore ignoto ).

Nel suo interno  possiede numerose opere di rilievo come l’altare maggiore realizzato da Cosimo Fanzago ed il soffitto a cassettoni in legno dorato impreziosito da importanti opere pittoriche .Si tratta di 64 tavole di diverse dimensioni incassate in una carpenteria dorata di diversi ed importanti autori come il Santafede, Corenzio , Curia ,Imparato, Rodriguez , e del Malinconico .

Dinanzi all’altare maggiore sul pavimento si trova la lapide sepolcrale di Giovanna d’Aragona, la seconda moglie di Ferrante d’Aragona .

Nell’abside troviamo dipinti quattrocenteschi che furono restaurati da Belisario Corenzio ed un bel coro ligneo del 1603. Nella cappella a destra dell’altare maggiore possiamo ammirare un crocifisso ligneo , opera di Giovanni Merliani da Nola .

Il suo interno e’ arricchito inoltre da una tavola con un San Michele ( Marco Pina da Siena ), un Ecce Homo in legno ( Giovanni di Nola ) ,ed una natività in bassorilievo ( Girolamo Santacroce ) in una cappella.

La cappella di maggiore suggestione è senz’altro quella di San Giacomo della Marca di Annibale Caccavello dove possiamo notare nella volta dei bellissimi affreschi di Massimo Stanzione  , ma in  una delle prime cappelle sulla destra possiamo  ammirare anche dei dipinti di Luca Giordano che affrescano una originale cupola .


Dalla chiesa si accede a due suggestivi chiostri :  il più piccolo ospita affreschi legati alla vita di S. Giacomo della Marca attribuiti a Simone Papa e diversi monumenti sepolcrali, tra cui quello ipoteticamente attribuito a Vlad III, alias Conte Dracula.
Il chiostro con la sua bella torre dell’orologio in maiolica , e’ circondato da  un porticato con colonne doriche e mostra al centro un pozzo marmoreo .

Dal lato del chiostro piccolo si accede agli ambienti della Sagrestia riccamente decorata e dell’antico Refettorio , abbellito da un affresco del Bramantino : la salita al Calvario.
Il Chiostro Maggiore e’ detto di San Francesco per il presente ciclo di affreschi dedicati al santo ed è caratterizzato da una pianta quadrata con nove arcate per ciascun lato sorrette da colonne ioniche in marmo bianco


All’interno del complesso  è presente il Museo A.R.C.A. dal 2006, Museo d’Arte Religiosa Contemporanea.

All’esterno del complesso di santa Maria La Nova invece ,  dietro la  grande palma , Pino Daniele sedeva e iniziava a suonare le sue prime chitarre, incontrandosi con amici di scuola come Enzo Gragnaniello, e discuteva poi  con Gianni Battelli mentre si dirigeva verso il conservatorio per raggiungere Rino Zurzolo.

A pochi passi c’era il Diaz, istituto di Ragionieria che ha frequentava con Peppe Lanzetta. «Napule è ’a’ camminata, inte ’e viche miezzo all’ate».

Per concludere ci piace raccontarvi una fantasiosa ma suggestiva teoria recentemente venuta alla ribalta ,  secondo cui  , per alcuni studiosi , nel chiostro di Santa Maria La Nova , , esiste una tomba gentilizia del 400 , che appartiene alla famiglia Ferrillo che pare sia imparentato addirittura con il famoso ‘Conte Dracula”( per la storia Dracula Tepes) .
Il marmo che appartiene alla tomba di Ferrillo , ( il genero di Dracula secondo questi studiosi ) pare sia  ricco di riferimenti che fanno supporre al suo interno la presenza non tanto delle spoglie del povero Ferrillo ma addirittura i resti del Conte Dracula Tepes passato alla storia come DRACULA .
Sui bassorilievi c’e la rappresentazione di un drago , (Dracula ) e ci sono due simboli di matrice egizia mai visti su una tomba europea . Si tratta di 2 sfingi contrapposte che rappresentano il nome della citta’ di Tebe , che gli egiziani chiamavano Tepes.
In quei simboli c’e scritto ” Dracula Tepes ” (il nome del Conte Dracula ).

Nel 1476 , il conte Vlad Tepes Dracula , che appartiene all’ordine del dragone come il re Ferrante d’Aragona , scompare durante una battaglia contro i turchi e viene dato per morto . I turchi a quel punto incominciano una vera e propria persecuzione contro gli sconfitti e gli eredi del Conte che cercarono rifugio e protezione verso luoghi piu’ sicuri .
Una delle figlie del conte ,di nome Maria che aveva appena sette anni , per proteggerla dalla persecuzione dei turchi viene inviata nel regno di Napoli alla corte di Ferdinando d’Aragona .
Maria era la primogenita del Conte che pare una volta giunta a Napoli , proprio per non lasciare tracce del suo passato , cambio’ il suo nome e si fece chiamare Maria Balsa .
La storia difatti narra di una giovane principessa slava giunta a Napoli e vissuta alla corte di Ferdinando d’Aragona adottata da una donna napoletana . Di lei si sapeva solo che fosse l’erede a un trono importante ma nessuno conosceva il nome del suo nobile genitore e ne lei osava rivelarlo .

Ora se noi esaminiamo l’etimologia del nome Balsa , secondo alcuni studi deriverebbe da ” Balcana” e ricordiamo che tale nome lo scelse proprio Maria Balsa .
Una ipotesi ancora piu suggestiva invece afferma che “Bal o Balaurn “e’ il nome che nell’antico rumeno indica il drago (nome che ancora oggi resiste nel folclore locale ) mentre
il suffisso ‘Sa ‘ sarebbe l’attuale ‘Son ‘ , che significa figlio nella lingua inglese.
Quindi BAL -SA , vorrebbe dire : figlia del drago !

Maria Balsa sposo’ Giacomo Alfonso Ferrillo e fece fondere il suo stemma (quello del drago ) con il blasone della nobile famiglia napoletana .Successivamente si trasferi’ al seguito del marito in Lucania , in quanto ottennero in regalo i territori di Acerenza in Basilicata .
Rimasero comunque nonostante la lontananza molto legati a Napoli , tanto che alla loro morte vennero ufficilmente seppelliti a Napoli .
Ora ( e qui comincia il bello ) secondo nuovi studi il Conte Dracula , non mori’ in battaglia ma venne fatto prigioniero dai turchi e la figlia Maria pago’ un forte riscatto per liberarlo dalla sua prigionia . Una volta riscattato e liberato , lo porto’ con se in Italia e alla sua morte avvenuta per cause naturali lo fece poi seppellire a Napoli.
Quindi la tomba di Ferrillo non contiene le spoglie dei due coniugi ma quelle del crudele Conte Dracula ( noto come Vlad l’ impalatore) .
La tomba dei coniugi invece pare invece trovarsi nella cattedrale di Aceranza in una splendida cripta .
Nella cripta che si trova di fronte all’altare e a Gesu’ , si puo’ osservare un fregio che raffigura Maria Balsa e il marito, e poco distante da loro una figura inquietante di un anziano con la barba a punta e i denti aguzzi che volta la faccia al tabernacolo .
Nella Cattedrale ritroviamo anche una serie di opere in cui Maria Balsa narra la sua storia . La troviamo dipinta in veste di Santa mentre schiaccia un drago che ha nel volto le fattezze del padre quasi a riscattare il torbido passato familiare .
Su una tomba del chiostro di Santa Maria La Nova poco distante da quella del Ferrillo o meglio di Dracula e’ presente la tomba di Andronica Commena , la donna che avrebbe ospitato e adottato Maria Balso a Napoli .
Sulla sua tomba e’ inciso a chiare lettere un nome : Maria .

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