Giovanni Antonio Summonte , un personaggio oggi a molti sconosciuto ,è stato un importante letterato e storiografo napoletano.
Egli nacque a Napoli forse nel 1538 o nel 1542 dal notaio Gianvincenzo, stretto collaboratore dell’omonimo umanista Pietro Summonte,e grande discepolo del letterato Giovanni Pontano
Da una recente biografia fatta sulla sua persona sappiamo che egli fu sposato con Giulia De Vito, da cui ebbe cinque figli e visse nella strada dei calzettai, dove nel 1569 acquistò una casa di proprietà del monastero dei Ss. Pietro e Sebastiano.
La sua vera principale attvitita che svolse per tutta la sua vita fu comunque quello di .mercante di seta,con la quale legò la sua fortuna economica ma comunque svolse con grande passione per tutta la vita una intensa attivita di ricercatore, storico e politico.
Tramite la sua attività di mercante egli si avvicinò alla realtà delle compagnie e congregazioni laiche, aggregandosi alle quali gli artigiani partecipavano a un sodalizio religioso e allo stesso tempo cercavano di rafforzare la loro posizione sociale.
Entrato con il tempo a a far parte di compagnie, confraternite e congregazioni laiche, egli lentamente migliorò la propria posizione sociale, curando almeno inizialmente la gestione del conservatorio napoletano dei SS. Filippo e Giacomo che come sappiamo ospitava le giovani povere delle famiglie di mercanti di seta.
In quell’epoca infatti le maggiori prestigiose confraternite presenti in città , risentìvano molto dell’indirizzo accentratore della politica spagnola. Pertanto alcune di esse esse furono sottratte a tutta quella nobiltà che si mostrava ostile e riottosa nei loro confronti e affidata nei loro vertici a soli soggetti di diversa estrazione sociale di provata fedeltà e dotati di specifiche competenze giuridiche.
Giovanni Antonio Summonte con la sua esperienza maturata durante la gestione del conservatorio dei SS. Filippo e Giacomo , era ben visto dal governo spagnolo che gli conferi’ tal proposito il delicato compito di fondare le confraternite dello Spirito Santo e dei Bianchi dello Spirito Santo, esercitando nelle stesse le funzioni di governatore e mastro economo dei lasciti ereditari dei confratelli che, accumulandosi negli anni, permisero la costituzione del Banco dello Spirito Santo nel 1591.
N. B.Il Banco assieme a quello del Monte di pietà (1539) e ad altri cinque, costituirono le nuove istituzioni finanziarie del Regno.
L’ esperienza maturata in queste associazioni offrì poi al Summonte la possibilità di entrare anche nel sistema politico della capitale.
Nel 1585 e nel 1598 fu infatti eletto capitano della piazza di Porta Caputo, una delle 29 piazze o ottine di Napoli in cui erano divisi il territorio e l’amministrazione della città mentre nel 1597 divenne tesoriere del Seggio del Popolo.
CURIOSITA’: I capitani, di nomina viceregia, potevano considerarsi ufficiali del re con compiti precisi e importanti (dall’ordine pubblico alla custodia delle porte cittadine, dal vettovagliamento nei periodi di carestia al controllo annonario, dalle cause di cittadinanza all’espulsione dalle piazze, dalla vigilanza sulla peste all’elezione dei governatori della Ss. Casa dell’Annunziata (dal 1617).
L’impegno politico-istituzionale lo avvicinò a illustri personaggi del seggio e della cultura giuridica napoletana, come Francesco Imperato, giurista, capitano e consultore del seggio medesimo, Giulio Cesare Capaccio, segretario, e i più giovani giuristi Bartolomeo Chioccarello e Francesco De Pietri, futuro segretario dell’Accademia degli Oziosi.
Fu in questo clima culturalr che egli quindi scrisse il suo capolavoro”Historia della città, e Regno di Napoli, pubblicata inizialmente a Napoli nel 1601 e destinata a suscitare un aspro dibattito politico-storiograficoche si sviluppo negli ambienti giuridici e culturali napoletani sulle prerogative del popolo nel governo politico, sulle riforme istituzionali e sulla questione giurisdizionale
Nella sua opera l’autore sosteneva che la classe dirigente napoletana, molto stratificata e variegata nelle sue cariche nobiliari, non era educata al sentimento della coesione sociale. L’aristocrazia cittadina , secondo quanto sostenuto dal Summonte era un ceto molto stratificato, composta di baronaggio feudale, nobiltà di seggio e nobiltà fuori seggio o fuori piazza.
Il giudizio di Summonte sulla feudalità e le varie famiglie aristocratiche del Regno, che egli la riteneva arroccata nelle sue prerogative, era chiaro e severo. Dal tempo dei Normanni quel ceto privilegiato (detentore di poteri giurisdizionali su terre e persone) e parassitario possedeva «l’util dominio dell’uno, e l’altro Regno» e continuava a «suggere il sangue de’ poveri popoli» (Historia, II, p. 36).
Questa sua posizione antifeudale innescò una polemica con Tommaso Costo , segretario presso molte famiglie illustri del Regno , il quale biasimò Summonte per aver rivelato con «così fatto veleno […] cose occulte e preiudiciarie […] a famiglie pregiatissime e grandi»
Il Summonte infine nella sua opera ,dopo aver parlato «sinceramente» «delle antiche, e recenti gabelle» e aver molto favoreggiata la cospicua, e distinta Assemblea popolare, finì per esortare con coraggio tutti i nobili fuori di piazza e senza rappresentanti nell’amministrazione della capitale ad unirsi al popolo per rafforzarlo rispetto alla nobiltà di seggio.
Il popolo, quindi,secondo il Summonte avrebbe dovuto proseguire nella sua storica funzione di governo, unendosi alle migliori forze del ceto aristocratico, com’era accaduto in occasione della resistenza vittoriosa contro i tentativi di introdurre l’Inquisizione spagnola nel 1510 e nel 1547.
Per questi motivi egli fu ovviamente accusato di aver istigato il popolo alla ribellione, arrestato subito dopo la pubblicazione del primo tomo, sottoposto a torture e costretto a riscriverlo.
CURIOSITA’:Secondo una tradizione, accolta dal suo biografo settecentesco Scipione di Cristoforo nella Vita premessa all’edizione del 1748, il Summonte incarcerato per sospette posizioni eretiche e antigovernative nella sua opera, sarebbe addirittura morto mentre attendeva a correggere la sua Historia con apposite giunte scritte su cartigli.
Una volta rimesso in libertà, efli fu sorvegliato durante le successive pubblicazioni dell’opera e pare che tale avvenimenti abbiano poi convinto il Summonte a non pubblicare l’ultima parte dell’opera per evitare ulteriori problemi
.«Le leggi della buona amicitia vogliono che alle volte facciamo contra il proprio volere, e desiderio …
La vicenda editoriale di tutta l’opera fu difatti tormentata fin dal suo nascere, ed anche se in effetti non si ha certo riscontro della persecuzione patita dallo storico nei documenti indagati, alcuni dubbi circa la vera sostanza di quanto scritto e contenuto nella prima e la seconda parte dell’Historia che furono solo successivamente pubblicate dal tipografo Giovan Giacomo Carlino, non sembra sia quella originale scritta e pensata dall’autore. Alcuni esemplari della stessa edizione del tomo I presentano una dedica e una data di pubblicazione diverse, mentre la la seconda e turbolenta edizione del 1675 ad opera dell’editore francese Antonio Bulifon venne addirittura inserita nell’Indice dei libri proibiti con l’accusa di monarcomachia il 21 aprile 1693 . Stessa cosa potremmo pensare della terza e ultima edizione dell’opera pubblicata da Raffaele Gessari in sei volumi solo quarant’anni dopo.
Oltre alla Historia restano a noi di Summonte un Manuale divinorum officiorum, quae juxta ritum Sacrosanctae Romanae Ecclesiae recitantur in omnibus solemnitatibus…, apud Io. Iacobum Carlinum, & Antonium Pace 1596, e un inedito Sommario et breve relatione delli Vescovi et Arcivescovi di Napoli, che sino a questo tempo et anno del 1598 et mese d’Aprile s’è possuto aver notitia. Raccolto dal molto virtuoso, et divoto Gio: Antonio Summonte Cittadino Napoletano, custodito nella Biblioteca nazionale di Napoli.
Dopo aver trascorso gli ultimi anni della sua vitala vita in maniera poco serena, il nostro storico Giovanni Antonio Summonte morì a Napoli il 29 marzo 1602