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Il quartiere di Barra grazie alla vicinanza con il fiume Sebeto risultava nel periodo romano essere  un territorio molto fertile , dove sorgevano antiche ville rustiche  . I  greci ed i romani vi si stanziarono per permettere agli schiavi di addestrarsi e tutta la zona era considerata un luogo tranquillo chiamato TRESANA ( cioè tre volte sana ). Con la fine dell’Impero Romano, questo territorio cadde però progressivamente in un graduale abbandono, e le terre un tempo fertili divennero nel tempo paludose. Nel primo periodo del Medioevo, re Carlo Id’Angiò dopo averla bonificata  donò tutta la terra  alla nobile famiglia De Coctis per saldare loro un debito . Da quel momento l’intera area vide  il risorgere dell’agricoltura e la  costruzione sempre maggiore  di piccole ville con torri che diede all’intera zona il soprannome di , Barra de Coczi.

Nel periodo aragonese andarono a costituirsi nel territorio sopratutto due piccoli villaggi chiamati Sirinum, e Casavaleria  (attuale zona chiamata S.Maria del Pozzo)  che andarono  aumentando quando nel periodo aragonese per razionalizzare gli orti , fu realizzato un sistema di canalizzazione delle acque che faceva capo al ” fosso reale ” voluto da re Ferrante  . Grazia poi ad una serie di esenzioni fiscali nell’intera  area si svilupparono le arti della lana e della seta e nel corso degli anni  avvenne poi  l’unificazione dei vari villaggi di tutta la zona in un unico grande casale chiamato Barra di Serino . Nei due secoli del viceregno spagnolo il casale per non passare sotto controllo feudale, rimase in mano al demanio “riscattandosi”, coprendo cioè la spesa per rimanere Casale Regio. la qual cosa portò i contadini della zona a vivere un grande periodo di prosperità  sviluppatosi nella loro cultura agricola , basata sulle feste e le ricorrenze religiose principalmente intorno alla  congrega della chiesa Ave Gratia Plena, conosciuta come chiesa di S.Anna, ( patrona di Barra) .

 

Per capirne il significato basta  pensare per esempio che il tempo per la semina era santo (l’uva di fine luglio era chiamata infatti: “uva di Sant’Anna”). In questa cultura contadina, il santo diviene non solo il protettore del paese, ma anche il simbolo e l’orgoglio a cui si è legati particolarmente  (la devozione e il culto di Sant’Anna sono da allora rimasti  elementi centrali della cultura e della vita dei barresi ) .Giunsero in quel periodo nel luogo i monaci domenicani ed il mercante mecenate fiammingo Gaspar Roomer che qui fece edificare la sua meravigliosa villa di rappresentanza .

Purtroppo l’eruzione del Vesuvio nel 1631 e la terribile peste del 1656 diedero all’intera zona un duro colpo portando l’intero borgo di Barra e le aree limitrofe ad un lungo periodo di decadenza a cui venne posto fine solo con la costruzione della Reggia di Portici fortemente voluta del re Carlo di Borbone e sua moglie Maria Amalia .Questa costruzione di fatto portò ad una vera rivalutazione di tutta l’area vesuviana e quella che un tempo era la strada regia delle Calabrie si trasformò di fatto  nel miglio d’oro . Un tratto di strada la cui lunghezza misurava esattamente un miglio secondo il sistema di unità di misura in uso nella prima metà del Settecento ricco di magnifiche ville vennero costruite e disposte spesso in successione in modo da costituire una compatta cortina di fabbriche, tutte allineate tra loro secondo un rigido schema, patrocinato direttamente dalla Casa reale, e secondo un asse ideale che collegava il Vesuvio al mare.

Il percorso intendeva collegare idealmente il palazzo Reale di Napoli con il la nuova residenza estiva dei sovrani localizzata nel palazzo reale di Portici .  Il re per meglio valorizzare la sua residenza estiva e accrescere tutta la zona sancì il privilegio dell’esenzione fiscale; vantaggio che allettò la nobiltà e il clero partenopeo a stabilirsi nella campagna vesuviana o lungo la zona costiera ai piedi del Vesuvio. Il risultato fu che una volta costruita la reggia di Portici molte famiglie gentilizie per essere vicine ai sovrani, costruirono anch’esse lussuose e magnifiche ville. Il prestigio della presenza della dimora reale, il fascino delle vestigia dell’antichità, e la bellezza del luogo che tanto piaceva ai sovrani, fecero sì che l’intera corte napoletana e molti altri nobili, decidessero, per essere vicine ai sovrani, di trasferirsi nel luogo facendosi costruire lussuose ville cortigiane con giardini rococò e neoclassici da architetti del calibro di Luigi Vanvitelli, Ferdinando Fuga, Ferdinando Sanfelice, Domenico Antonio Vaccaro, e  Mario Gioffredo.

Venne alla luce in questo modo un complesso architettonico unico al mondo per quantità e bellezza; Ville di delizia, residenze suburbane lontane dalle città, costruite per il solo piacere della nobiltà nei periodi di villeggiatura che fecero meritare appunto  il nome di Miglio d’Oro al tratto di strada che costeggiava le nobili costruzioni.

Per “Miglio d’oro” in verità inizialmente in passato si intendeva un tratto di strada rettilineo tra Ercolano e Torre del Greco, ricco di ville  gentilizie, mentre successivamente, il concetto di Miglio d’oro si estese poi anche ai comuni di Portici e di San Giorgio a Cremano.che videro il proliferare nella zona ricche dimore d’èlite  per la villeggiatura di buona parte della nobiltà napoletana .Questo allargamento ha di conseguenza creato un equivoco in quanto non si può parlare di “miglio” per un territorio allungato su ben quattro miglia.

A tal proposito Barra fu tra i posti più ambiti dai signori del tempo ed ancora oggi , nonostante il traffico caotico, la speculazione edilizia degli anni passati e la fastidiosa incuria  di cui talvolta siamo costretti ad essere passivi spettatori , non è difficile osservare tra una strada e l’altra , incastonate tra i palazzi di cemento alcune belle antiche ville. Tra queste la bella casa di campagna del famoso artista  Francesco Solimena che quì mori nel 1747 ( fu sepolto nella chiesa di San Domenico, sita in Corso Sirena ) ,  la grande bella villa Bisignano con i suoi affreschi di Aniello Falcone , villa Filomena col suo parco scomparso, villa Amalia appartenuta al barone Covelli , villa Giulia ( delizia di San Nicandro ), villa Letizia,, villa Salvetti, villa Mastellone villa Sant’Anna, villa Diana, villa De Cristofaro, , villa Spinelli di Scalea,  villa Pignatelli di Monteleone e villa Finizio dimora del grande archeologo Bernardo Quaranta .

 

 

Nell’ottocento in seguito alla micidiale epidemia di Colera del 1836 venne realizzata nella cupa di Sant’Aniello il cimitero dei colerosi dove tra gli altri fu tumulato l’ideatore dell’osservatorio vesuviano Macedonio Melloni

 

Di fede borbonica, Barra non partecipò al plebiscito del 1860 e dopo l’unità d’Italia rimase comune autonomo fino all’epoca fascista dove fu poi aggregata a Napoli . Grazie ai lavori di risanamento , simili a quelli avvenuti a Napoli avvenne la costruzione del Corso Bruno Buozzi, la piazza De Franchis e il corso 4 Novembre.

 

Purtroppo a causa delle legge speciale per Napoli del 1904 che istituiva  nella zona nord del comune, l’area  industriale,  avvenne nel luogo la costruzione  di  raffinerie, e innumerevoli depositi, che trasformarono l’intera area in rioni dormitori  caratterizzati da fenomeni di edilizia operaia e popolare, su cui come un colpo finale fini per abbattersi anche  il famoso terremoto del 1980 che portò, come tutta la periferia est, l’intera zona nel degrado e nella piaga della criminalità organizzata.

Molto sentita a Barra, fin da settecento come abbiamo detto è la devozione per Sant’Anna .  Il 26 luglio nel giorno a lei consacrato che corrisponde secondo la cultura contadina al tempo della semina , la statua di Sant’Anna , opera di Giuseppe Picano, viene portata in processione per le strade del centro storico tra canti e preghiere dei cittadini che rievocano e vivono così  una tradizione  contadina che ha le sue radici in una cultura agricola basata sulle feste e le ricorrenze religiose dove  il santo diviene non solo il protettore del paese, ma anche il simbolo e l’orgoglio a cui si è  particolarmente legati. Accade così che l’ultima domenica di luglio una solenne processione si snoda tra le vie principali del centro storico di Barra e la statua settecentesca di Sant’Anna viene portata a spalla da numerosissimi cullatori sulla tradizionale Barca in cartapesta, accompagnata da un’enorme folla e da una banda musicale che suona l’antico inno creato in suo onore e musicato dal maestro Raffaele Passaro all’inizio del XX secolo.  Per questo antichissimo culto e la parrocchia Ave Gratia Plena è stata elevata nel 2010 a Santuario diocesano di Sant’Anna .

 

Al 1822 risale invece la festa dei Gigli, che, portata da Nola, fu istituita perché gli obelischi di legno non fossero portati in giro durante la festa di Sant’Anna in quanto festa non propriamente cristiana  sembra che  affondi le sue radici nel puro paganesimo .Pare infatti  che le antenate dei gigli secondo alcuni studiosi, non fossero altro che le falloforie greche , cioè antiche processioni propiziatorie svolte in onore di Dionisio e Priapo nel cui rituale alti falli di legno ( la forma dei gigli potrebbe esserne un’eredità ) accompagnati da canti rituali venivano , proprio nel periodo piena  dei raccolti e della vendemmia , condotti in campagna . Al termine della cerimonia veniva spruzzato sui campi , una pioggia di acqua mista a succo d’uva e miele  quale rappresentazione del seme in grado di offrire abbondanza di raccolto . Secondo altri  studiosi invece pare  che all’origine di questo rito molto antico vi sia quello delle divinità Cibele e Attis , propiziatrici di buoni raccolti. La cerimonia pagana in questo caso prevedeva il trasporto di un pino , issato e conficcato di  continuo a terra , per creare un clima orgiastici-fecondante

La “Festa dei gigli” che  si tiene ogni anno a Barra , durante l’ultima domenica di settembre.è una delle più grandi attrattive caratteristiche di Barra. Nel corso della settimana precedente la domenica, nei vari rioni, allestiti dai comitati partecipanti, si svolgono folkloristiche manifestazioni. dove obelischi di legno e cartapesta a forma piramidale sono fatti danzare tra una via e l’altra a suon di musica similmente a quanto avviene a Nola , città dalla quale il rito pare sia stato importato.

Certo … diciamo che la festa dei gigli di Nola ha dimensioni ciclopiche, le altre due hanno dimensioni più contenute… ed infatti un antico detto dice… “la Festa dei gigli a Nola nasce, a Brusciano cresce e a Barra muore.
Ma non lo dite ai barresi … guai a scherzare con la loro festa …. essi la considerano la loro festa, quella dei ricordi d’infanzia, ed ecco perché ciascun barrese questa domenica cerca di esserci.

La manifestazione, vede protagonisti le paranze dei rioni del quartiere (le due principali si chiamano Mondiale e Insuperabile) che in un affascinante antico rito si sfidano tra di loro nella realizzazione di imponenti strutture scenografiche , a chi fa il giglio più bello e chi lo spettacolarizza meglio diventando in questo modo il cuore pulsante di una festa che è al tempo stesso spettacolo popolare e rito identitario.
La prima domenica successiva al 22 settembre, è il giorno in cui il grande evento raggiunge il suo momento culminante … un giorno quindi da non perdere se volete assistere alla sfilata di complessi macchinari di legno e cartapesta, alti oltre 25 metri, che portati a spalla da volontari vengono fatti “ballare ” al ritmo incalzante della musica, offrendo uno spettacolo di grande partecipazione popolare.
Un evento simbolo della cultura partenopea e appuntamento irrinunciabile per migliaia di cittadini e turisti che arriva dopo un mese di celebrazioni, spettacoli e processioni che rendono omaggio a una tradizione capace di resistere al tempo e di rinnovarsi di anno in anno.
Le persone del luogo attendono un intero anno per questo grande evento capace di coinvolgere migliaia di persone che include un fittissimo programma di appuntamenti che animano il quartiere e attirano visitatori da ogni parte d’Italia e del mondo,
L’ affascinante evento rappresenta infatti il culmine di una festa che si tiene per tutto il mese di settembre tra fede, musica e spettacolo e rappresenta nel suo folklore non solo un momento di grande spiritualità e aggregazione ma anche un’importante attrazione turistica che valorizza il patrimonio culturale e le tradizioni di un quartiere che unisce persone di ogni età e provenienza.

La Ballata non è un evento breve: dura intera giornata e prosegue fino a tarda notte. Nella maggior parte dei casi, i Gigli fanno ritorno al punto di partenza solo nelle prime ore del mattino successivo, spesso tra l’una e le cinque di notte.I Gigli nel loro caratteristico percorso storico presente fin dal 1954  percorrono, Via Serino, Corso Bruno Buozzi e Via Luigi Martucci (questo circuito rotatorio, dà la possibilità allo spettatore di rimanere fermo ad un posto e veder sfilare davanti a sé tutti i Gigli).

La “ballata” inizia verso le ore 11, poi c’è la pausa per il pranzo e termina a notte inoltrata. Non di rado la festa prosegue anche fino alle prime luci dell’alba.

N.B.Questa lunga durata è una delle caratteristiche più affascinanti della festa: i Gigli non smettono di ballare fino a quando non ritornano “a casa”, chiudendo il cerchio simbolico con la comunità che li ha costruiti.

Nel corso de decenni i gigli di Barra hanno comunque assunto una loro tipicità locale arrivando essi a pesare ben 25 quintali . I gigli di legno ricordando  il nome del quartiere vengono chiamati barre o barrette mentre le assi di legno attraverso le quali il giglio viene manovrato e sollevato dai cultori ( che di solito sono 128 divisi in paranze ) si chiamano ‘e varre .

La Ballata dei Gigli di Barra ,è un evento da non perdere per che ama tradizioni e folklore. Ancora oggi , a distanza di tanti anni, è uno degli eventi più attesi a Napoli, capace di trasformare l’intero quartiere in un palcoscenico di festa e tradizione tra fede, musica e spettacolo.

La Festa dei Gigli di Barra con i suoi imponenti Gigli in legno e cartapesta che vengono portati portati a spalla lungo le strade di Barra in un percorso che dura un’intera giornata, accompagnati da musica , devozione e migliaia di persone, rinnova ogni anno il suo ruolo di grande patrimonio immateriale partenopeo, capace di unire passato e presente e di confermare Napoli come capitale della tradizione viva e condivisa.

 

 

 

 

 

 

 

 

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