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Il presepe napoletano non è soltanto una semplice rappresentazione della Natività, ma un complesso racconto simbolico della vita, della società e della spiritualità popolare.
Nato dall’incontro tra fede cristiana, tradizioni pagane e cultura quotidiana, esso si distingue per la ricchezza dei suoi personaggi, dei paesaggi e dei dettagli, ognuno carico di significati profondi. In questo scenario, il sacro e il profano convivono armoniosamente: la nascita di Gesù avviene in un contesto realistico e familiare, popolato da artigiani, contadini, venditori e figure allegoriche che riflettono il ciclo della vita e richiamano il mondo reale e il vissuto di un popolo tradizionalmente vissuto nella Napoli del XVIII secolo, epoca in cui questa forma artistica raggiunse il suo massimo splendore.
Il presepe allestito nelle case napoletane raffigura infatti si la nascita di Gesù della Napoli del XVIII secolo dove la Sacra Famiglia convive con artigiani, mercanti, contadini e figure allegoriche che nella loro simbologia riflettono il ciclo della vita e richiamano il mondo reale . Ogni singola statuina, ogni singolo decoro, ogni luogo nasconde una vera e propria simbologia, un significato ben preciso che va oltre la semplice raffigurazione della Natività.
In questo piccolo mondo rappresentato ogni anno, sacro e profano, spiritualità e vita quotidiana si incontrano e si fondono. Paradiso e Inferno, Bene e Male, Pagano e Cristiano coesistono.
Analizzare la simbologia del presepe napoletano significa quindi entrare nel cuore della cultura partenopea, dove fede, tradizione e rappresentazione della realtà si fondono in una visione del mondo profonda e fortemente identitaria.
Tutto ha inizio con la posizione del pastore Benito, che dorme e sogna. A differenza di tutte le rappresentazioni grafiche (fumetti ecc.) in cui le persone che dormono sviluppano il sogno verso l’alto, qui il sogno di Benino si sviluppa verso il basso e consiste nel sognare la nascita della luce da una grotta, dalle profondità terrene; è, insomma, il sogno di una rinascita.
Non è un caso che la grotta dove nasce il Bambino è posta centrale sul piano alla base di quell’asse principale del Presepe costituito da Benino – Grotta – Bambino Gesù,
Antropologicamente, quindi, Benino rappresenta il riposo, “ripascere”, della Grande
Madre Terra che aspetta il ritorno della luce e, quindi, la rinascita. Il sogno si sviluppa verso il basso, verso le profondita della terra, luogo deputato ai defunti che, nel momento del sogno di Benino, sono tornati fra di noi e sono presenti. Inoltre, la luce nasce da una grotta posta nel luogo più protondo della terra e questo è un richiamo sicuramente ai mitrei che come sappiamo , erano ipogei.
Su un piano più simbolico, invece, Benino , rappresenta l’intera umanità, cieca , dormiente e pigra di fronte al divino al quale possiamo avvicinarci solo nei sogni. La sua figura è un riferimento a quanto affermato nelle Sacre Scritture: «E gli angeli diedero l’annunzio ai pastori dormienti». Il suo sogno va quindi inteso come “desiderio””, dell’uomo della nascita del Figlio di Dio, cioè di sé stesso, come rinascita spirituale, mentre il suo risveglio è quindi considerato inoltre come rinascita. Ma state attenti , nella tradizione napoletana, guai a svegliarlo: di colpo il presepe sparirebbe.
Ricordatevi che Benino sul presepe è pastore di pecore, cosi come Gesù è pastore di anime.
Se quindi volete fare un buon presepe dovete contornare il pastorello Benino di 12 pecore che, anche in questo caso, hanno una doppia chiave interpretativa: in una lettura antropologica, rappresentano i 12 mesi dell’anno che sta per iniziare e, quindi, lo scorrere del tempo (vita-morte-vita); da un punto di vista religioso rappresentano invece i 12 apostoli anch’essi legati al ciclo vita-morte-vita perché legati alla vita di Gesù, ma anche alla Sua morte (in quanto artefici della stessa) e alla Sua rinascita con la Resurrezione.
Benino deve essere sempre in compagnia del suo anziano padre, Armenzio. In questo modo
Benino rappresenta l’anno che si approssima ad iniziare, Armenzio quello che volge al termine.
Abbiamo visto, cosi, i due livelli interpretativi: quello antropologico e quello religioso ed entrambi sono accomunati da un aspetto: il ciclo vita-morte-vita.
Infatti, nel primo Benino sogna la rinascita della Terra grazie alla luce (morte-vita produttiva della terra rappresentato dal seme che viene sotterrato, quindi morte, da cui germoglia la pianta che darà i frutti, quindi vita); nel secondo il sogno è incentrato dalla rinascita spirituale dell’uomo grazie alla nascita del Bambino Gesù (morte spirituale- vita).
Quindi per concludere, nessun presepe senza il pastorello benino ha senso di esistere . La sua assenza sul presepe significa non aver fatto il presepe , Egli rappresenta una funzione fondante ai fini della rappresentazione scenica: senza il suo sogno il Presepe non ci sarebbe e quindi rappresenta la figura più importante ed interessante di tutto il presepe napoletano .
La leggenda racconta che tutta la scena raffigurata nel presepe non sia altro che un sogno di Benino, una creazione della sua fantasia onirica. Esso viene infatti rappresentato mentre dorme e solitamente deve essere posto nel punto più alto del presepe proprio perché tutto ciò che si trova sotto è frutto della sua mente. La sua posizione esatta sarebbe, quindi, in cima al presepe dal momento che da lui dovrebbe discendere ogni personaggio ed ogni luogo allegorico mostrato.
Il paesaggio del presepe deve essere sempre rigorosamente di sughero, ma necessariamente montuoso e pieno di sentieri tortuosi, disseminati di pastori che scendono verso la grotta, sempre situata in basso e in primo piano. Questo perchè bisogna scendere nelle tenebre (i sentieri tortuosi) prima di raggiungere la luce, cioè la rinascita rappresentata da Gesù Bambino.
CURIOSITA’: Il “presepe popolare napoletano” (che da Presepe viene chiamato Scoglio) ha una forma conica mozzata alla sommità e rappresenta il naturale ciclo vita-morte-vita.
Dalla sommità alla base ci sono dai due ai tre piani scenografici e prende il nome di Presepe perché in origine questa parola significava recinto, luogo chiuso. Ecco perché fu
accomunato a stalla. Lo Scoglio è appunto un luogo scenografico chiuso che si sviluppa in altezza.
Tutti gli elementi che poi appaiono raffigurati hanno un rapporto di congiunzione tra il mondo terreno e quello divino. Essi rappresentano simbolicamente sul presepe un passaggio che conduce “dall’altro lato”, quindi anche nell’aldilà, nell’ignoto, ed quindi anche un passaggio tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Si dice infatti che la notte di Natale sui ponti si facciano incontri terrificanti: una monaca che mostra la testa del proprio amante decapitato, lupi mannari, fantasmi di impiccati, ecc.
Il fiume che scorre sotto il ponte , rappresenta lo scorrere del tempo (Passato, Presente e Futuro). Il fiume è sempre stato inatti nel tempo un elemento molto importante per le varie civiltà ed un simbolo presente in tutte le mitologie legate alla morte e alla nascita divina ed in questo caso , nella religione cristiana, l’acqua richiama il liquido amniotico, il parto della Madonna, e quindi la nascita della vita ma, allo stesso tempo,potrebbe anche rappresentare l’ Acheronte , il fiume degli inferi su cui vengono traghettati i dannati.
Da questo punto di vista anche il ponte rappresenta un elemento di collegamento fra il mondo dei vivi e quello dei morti . Eso viene posto sul presepe per dare una via di rientro al proprio mondo ai defunti presenti .
Il Mulino , poichè ha pale che girano come il tempo, rappresenta il tempo che rinasce la notte di Natale. Produce inoltre la farina, bianca come la morte, ma anche simbolo della vita, perchè si usa per fare il pane, cibo universale.
Il pozzo invece è un simbolo maligno perchè , in quanto profondo e scuro, è visto come la rappresentazione del diavolo. La bocca dell’inferno o semplicemente l’oscurità in cui ogni uomo può cadere nonostante la salvezza offerta da Dio. Il pozzo nel presepe rappresenta pertanto il collegamento con l’al di là. La porta quindi attraverso la quale i defunti sono presenti fiono all’Epifania .Il pozzo sul presepe rappresenta quindi solo il collegamento tra la superficie e le acque sotterranee da cui, durante la notte di Natale, possono venir fuori gli spiriti maligni, perché è il momento in cui il Male si scatena prima della nascita del Bene. L’acqua a Natale non va mai presa dai pozzi, perché contiene spiriti maligni, provenienti dal centro della terra.
La locanda che nel presepe abbonda di vivande da consumare durante il pranzo di Natale, è in realtà un banchetto funebre, visto che si seppellisce il tempo che muore prima di rinascere. La sua presenza narra del rifiuto delle osterie e delle locande di dare ospitalità alla Sacra Famiglia . Secondo i Vangeli, infatti , quando Maria e Giuseppe arrivarono a Betlemme chiesero ospitalità in parecchie locande e taverne, ma vennero scacciati in malo modo. Avendo quindi negato ospitalità alla Madonna e a San Giuseppe, le taverne sono simbolo del peccato ed il dissacrante banchetto che in esse vi si svolge è simbolo delle cattiverie del mondo che la nascita di Gesù viene ad illuminare. Al tempo della creazione del presepe napoletano, nel XVIII sec., questi luoghi erano inoltre ricettacoli di prostituzione e affari illegali, e per questo motivo la locanda rappresenta nel presepe , i peccati degli uomini.
Per quanto riguarda l’osteria, c’è anche una lettura storica. Infatti, ai tempi in cui nacque Gesù era in corso il censimento in Galilea, per cui tutti i pastori, generalmente nomadi, si recavano in città per essere censiti. È chiaro che, all’epoca, i viaggi erano particolarmente gravosi fisicamente e, quindi, questa massa di persone che arrivava in città aveva necessità di essere rifocillata e di riposare. Potrebbe essere che si sia tenuto conto di questo avvenimento storico nella rappresentazione presepiale della nascita di Gesù.
Ma questa è una chiave di lettura che tiene conto di fattori storici. Nella chiave di lettura più strettamente antropologica l’osteria è sempre una rappresentazione del ciclo vita-morte-vita.
Innanzitutto, già fuori l’osteria la morte terrena è ben rappresentata da pezzi di carne appesi insieme a collane di salsicce. Su questa immagine è interessante sovrapporre l’usanza da parte dei macellai di Vico Equense di esporre pezzi di carne ed animali, quali conigli o capretti, al passaggio della processione del Venerdi Santo per la passione di Cristo, proprio per rappresentare la morte. Ma attenzione: questi stessi pezzi di carne e salsicce, nel presepe, rappresentano anche la vita sia in termini di abbondanza, sia perché servono ad alimentare i due avventori seduti al tavolo fuori l’osteria.
All’interno dell’osteria c’è il forno delle pizze e/o del pane. Qui occorre una precisazione: non è assolutamente una forzatura che nel Presepe ci sia il forno delle pizze come è conosciuto oggi; infatti, se si visitano gli scavi della Chiesa di San Lorenzo, alla fine di Via San Gregorio Armeno, è possibile vedere che già in epoca greco-romana a Napoli c’erano forni come quelli che vediamo oggi nelle più comuni pizzerie, sicuramente avevano la funzione di cuocere cibi diversi da quelli attuali, ma il forno esisteva già.
Il forno presente nell’osteria simboleggia l’antro e, quindi, la morte; le fiamme degli inferi, ma anche la vita del cibo che viene cotto al suo interno.
Altro simbolo di vita sono le botti di vino, cioè del frutto (quindi vita) dell’ultimo raccolto (quindi morte) effettuato prima della sospensione delle attività della terra. Devono essere poste sul fondo del locale che è simile alla grotta, quindi, rappresentano la vita che ritorna dalle profondità terrene. Il forno oltre a rappresentare un mestiere tipicamente popolare è un evidente richiamo alla nuova dottrina cristiana che vede nel pane e nel vino i propri fondamenti, nel momento dell’eucaristia.
- Il vinaio, sempre presente sul presepe ricorda di fatto l’Eucarestia;
La fontana con la donna secondo i vangeli apocrifi rappresenta l’arcangelo Gabriele che avrebbe annunciato alla Vergine la nascita di cristo vicino a una fontana. Nei racconti popolari campani è sempre vicino alle fontane che avvengono gli incontri amorosi e le apparizioni fantastiche.
La presenza di una chiesa, come anche del crocifisso, testimonia invece il fatto che il presepe napoletano è ambientato nel ‘700.
In un presepe fatto come Dio comanda ci devono essere anche sempre presenti dodici venditori , tanti quanti i mesi dell’anno (e anche quanto gli apostoli) . Essi rappresentano l’allegoria dei dodici mesi dell’anno . Gennaio, macellaio o salumiere; Febbraio, venditore di ricotta e di formaggio; Marzo, pollivendolo e venditore di altri uccelli; Aprile. venditore di uova; Maggio, viene rappresentato da una coppia di sposi recanti un cesto di ciliegie e di frutta; Giugno, panettiere; Luglio, venditore di pomodori; Agosto, venditore di cocomeri e angurie . Settembre, venditore di fichi o seminatore; Ottobre, vinaio o cacciatore; Novembre, venditore di castagne; Dicembre, pescivendolo o pescatore.
Apoposto del numero 12 che ricorre nel presepe sia come numero di vebditori che delle pecore di Benino che rappresentano i 12 mesi dell’anno che sta per iniziare, esistono sul presepe anche 12 monaci che rappresentano i 12 mesi dell’anno che sta finendo.
Quindi essi si trovano sono sul ponte, perché stanno andando verso il mondo dei morti . Secondo la vecchia tradizione popolare presepiale essi sono legati sul presepe napoletano al al mondo dei defunti perché sia il saio, sia il cappuccio che indossano sono di colore bianco, colore legato alla morte. Proprio questo loro abito è legato anche alla passione di Cristo che avverrà al termine del ciclo festivo natalizio. Infatti, varie sono le processioni che si svolgono il Venerdì Santo con i fedeli vestiti con saio e cappuccio bianchi. Ad esempio, quella dei battenti a San Lorenzo Maggiore (BN),quella di Procida e sopratutto la processione bianca di Sorrento che si svolge il pomeriggio del Venerdì Santo.
Altre importanti figure allegoriche essenziali che non devono mai mancare sul presepe napoletano perche riflettono il ciclo della vita e richiamano il mondo reale e il vissuto di un popolo tradizionalmente vissuto nella Napoli del XVIII secolo . Esse non solo hanno piano di lettura antropologico,ma assumono anche solo un importante ruolo decorativo :
- Ciccibacc ngopp a bott ( Cicci Bacco sulla botte ), cioè quel personaggo seduto sul carro trainato da un bue che trasporta botti di vino ed è ubriaco. Nonostante egli sia un pagano tra i cristiani è un personaggio tipico del presepe napoletano . La sua origine è molto antica e risale al culto del vino e alle antiche divinità pagane: la sua presenza non è altro infatti che un antico retaggio dell’antica divinità del Dio del vino Dionisio . Una sorte di Bacco napoletano .. Dall’aspetto grosso e dalle guance rosse, nel presepe si presenta spesso davanti alla cantina con un fiasco in mano, oppure come vi dicevo prima è rappresentato seduto che trasporta una carretta piena di botti di vino, preceduto e seguito da un corteo di uomini che con zampogne e pifferi che scandiscono gli orgiastici ritmi dionisiaci. Generalmente poiche esso ci richiama ai riti dionisiaci che contrapponevano la morte alla vita rappresentata dal vino e dall’essere ebbri per i festeggiamenti , esso deve uscire da una grotta , un tunnel o da un anfratto , La scelta della collocazione di questo personaggio sul Presepe non è casuale, ma sta proprio ad indicare la vicinanza tra il sacro e profano e la sottile linea che li separa, l’eterna lotta tra il bene ed il male.
- Zi’ Vicienzo e zi’ Pascale, sono i due compari, e rappresentano il vizio e la morte. Zi’ Vicienz’ è simbolo del Carnevale e della morte (nella cultura popolare il carnevale prendeva il nome di Vincenzo). Zi’ Pascale è il simbolo della Pasqua e della resurrezione. Spesso sono detti “I SanGiovanni” in riferimento ai due solstizi, quello invernale del 24 dicembre e quello estivo del 24 giugno. Entrami quidi possiamo dire che sono la personificazione del Carnevale e della Morte . Al Cimitero delle Fontanelle a Napoli esiste un cranio indicato come a ” Capa e’ zi’ Pascale “,al quale si attribuivano poteri profetici , a cui le persone si rivolgevano per chiedere consigli sui numeri da giocare al lotto .
- Il cacciatore e il pescatore: sono due figure legate al fiume. Il pescatore è posto nella parte alta del corso d’acqua con le canna da pesca in mano oppure senza canna, vicino al banco del pesce per la vendita del pescato: rappresenta la vita. Il cacciatore, invece, è generalmente posto nella parte alta del corso d’acqua mentre imbraccia un fucile: esso rappresenta la morte. Insieme simboleggiano il ciclo vita: sono collegati alla dualità del mondo celeste e di quello dell’Ade: pescatore in basso-inferno, cacciatore in alto-mondo celeste .Il pescatore inoltre nel presepe ricorda simbolicamente San Pietro , pescatore di anime . Ricordiamo a tutti che Il pesce fu il primo simbolo dei cristiani perseguitati dall’Impero Romano e l’anticonismo , cioè il divieto di raffigurare Dio, applicato fino al III secolo comportò la necessità da parte dei cristiani di usare dei simboli per alludere alla Divinità. Venne in questo caso scelto “in codice” il simbolo di un pesce per indicare Cristo . La parola greca ἰχθύς, ichthýs, (che significa appunto “pesce”) che venne usata nei primi secoli del cristianesimo, durante le persecuzioni, per alludere a Dio sono un acronimo di “Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore. Talvolta il pescatore lo ritroviamo in alcuni presepi anche mentre pesca in un lago. Ora tutti ricordere che il lago nella mitologia greca e poi romana ha sempre rappresentato la porta porta di ingresso all’Ade , e quindi al mondo de morti e il pescatore rappresenta quindi in questo caso il solito punto di unione fra mondo dei vivi e quello dei defunti. e nella nostra città nella località flegrea sia Virgilio che Omero maggiormente evocano il culto dell’oltretomba, perché il lgo d’Averno fu ritenuta l’ingresso all’Ade.
Dalle sue sponde egli ci racconta che si innalzavano fumi densi, mentre dalle sue acque scure venivano fuori esalazioni di gas che non permettevano neanche agli uccelli di volarci sopra. Intorno era circondato da colline rivestite con folti e scuri alberi così da formare tenebre boschi che erano consacrati a un’antica divinità che fu chiamata con diversi nomi: Proserpina, Ecate, Giunone e Averna. Per questo motivo gli antichi credevano che fosse lì il regno dei morti, l’Ade, dove Odisseo incontrò l’indovino Tiresia e dove il pio Enea poté rivedere il defunto padre Anchise, accompagnato dalla Sibilia, e Orfeo provò a riprendersi Euridice incantando Plutone.Venne quindi identificato dagli antichi come lo specchio d’acqua cantato da Omero e da Virgilio e tutti credevano che quello specchio d’acqua, nato da un antico cratere ormai spento, celasse la porta di ingresso agli inferi. Il luogo appariva ricco di paura e mistero poichè oltre al lago nero su cui non potevano volgersi in volo gli uccelli, questo era anche il luogo dei vaticini della Sibilla, delle misteriose grotte abitate dai Cimmeri e della inestricata e inesplorata foresta sacra a Proserpina. Come vedete tutto torna…. - Il monaco,sempre presente sul presepe viene letto nel presepe napoletano in chiave dissacrante, come simbolo di un’unione tra sacro e profano .
- La zingara, generalmente di colore nero, è un pastore particolare , una giovane donna, con vesti rotte ma appariscenti, capace di prevedere il futuro, compreso ovviamente anche la passione di Gesù . In passato si pensava che le zingare potessero predire il futuro e, per questa capacità particolare la sua figura è stata spesso associata alla Sibilla Cumana che co in suoi vaticini guida le scelte dell’uomo per sconfiggere il male .Se invece consideriamo la religione non dovrebbe neanche esserci visto che stregoneria o astrologia sono arti osteggiate dalla dottrina cristiana eppure anche questo personaggio ha un particolare significato allegorico . Secondo la leggenda una sibilla aveva infatti predetto la nascita di Cristo. .Essa viene tradizionalmente rappresentata nel presepe napoletano con un bimbo in braccio o con un cesto contenente di arnesi di ferro, un pinza , dei chiodi ed un martello, cioè degli utensili di metallo normalmente usati per forgiare i chiodi della crocifissioni, perciò segno di sventura e dolore.Ma ad una più attenta osservazione e riflessione non è un personaggio negativo se consideriamo che è proprio nel supplizio della croce che si realizza la salvezza offerta da Gesù. Potremmo quindi considerare quella esta solo come ricca di elementi che annunciano il martirio di Cristo.
- I PUTTI: sono posizionati sulla grotta. Sono una derivazione degli amorini greci e, spesso, sono accompagnati dai Cherubini, piccole teste di bimbi alati.
- Stefania, è una giovane vergine che, saputo della nascita di Gesù , si incamminò verso la Natività per adorarlo. Venne però bloccata dagli angeli che vietavano alle donne non sposate di recarsi a visitare la Madonna (i tabù religiosi del popolo ebraico, infatti, vietavano alle zitelle di accostarsi alle partorienti ed alle puerpere) Stefania, però, anche se ripetutamente “respinta dagli angeli ”non si arrese: prese una pietra, l’avvolse in un drappo di fasce come se si trattasse di un bambino e, fingendosi madre riuscì ad ingannare gli angeli, . Dopo un lungo cammino , giunge il giorno dolo la nascita del Redentore alla grotta al cospetto di Gesù e della Madonna . Alla presenza di Maria, si compì a quel punto un miracoloso prodigio: la pietra starnutì si trasformò in un bambino, che ebbe nome Stefano (Santo Stefano ), il cui compleanno si festeggia il 26 dicembre, cioè il giorno dopo di Natale . Da quel giorno il 26 dicembre, si celebra la festa di Santo Stefano, che poi fu il primo martire cristiano del 1° secolo, diacono della comunità apostolica di Gerusalemme, lapidato per aver rimproverato ai giudici di aver fatto uccidere Cristo. Secondo un’altro racconto , Stefania era invece sì una donna sterile che con lo stratagemma della pietra riuscì ad entrare nella grotta, ma in questo caso nessuno starnuto. Maria, secondo quest’altra leggenda, vedendo Stefania, infatti, le sorrise predicendole che il giorno seguente avrebbe avuto un figlio, come poi accadde.
- Le lavandaie: sedute davanti ai secchi mentre lavano i panni, in ginocchio rappresentano le levatrici che hanno assistito alla nascita di Gesù e prestato aiuto alla Madonna . I teli che hanno usato per pulire il Bambinello sono miracolosamente puliti e immacolati a simboleggiare la verginità di Maria e l’origine miracolosa di suo figlio ( esse stendono panni candidi, che rappresentano la verginità di Maria). Da un punto di lettura religioso la lavandaia rappresenta colei che lava i panni sporchi della Madonna a seguito del parto . mentre da un punto di vista antropologico, lei è un pastore benefico la cui tinozza serve a ridare vita ai panni sporchi che, se non lavati, sarebbero non più utilizzabili, quindi, morti.
- La meretrice: Simbolo erotico per eccellenza, contrapposto alla purezza della Vergine si colloca nelle vicinanze dell’osteria, in contrapposizione alla Natività che è alle spalle.
- Il Pastore della Meraviglia: posizionato in prossimità della Grotta, ha le braccia e la bocca spalancate perchè assiste con stupore alla nascita di Gesù. In lui c’è tutta la meraviglia della scoperta del divino, l’incontenibile sorpresa dell’uomo che viene in contatto con qualcosa di immenso. Per alcuni sarebbe lo stesso Benino ‘risvegliato’ nel suo stesso sogno.
- I Mendicanti, Zoppi e Ciechi: non dovrebbero mai mancare su un presepe. Essi rappresentano le anime del Purgatorio che chiedono preghiere ai vivi. Nelle festività, specialmente a Natale, nessuno dovrebbe dimenticare una preghiera per le “anime pezzentelle”.
- L’inseparabile coppia di zampognari che al suono della zampogna e della ciaramella annunciano al mondo la buona novella della venuta di Gesù Bambino sulla Terra, sono anche essi ,quei pastori che non devono mai mancare sul presepe . Essi rappresentano una presenza fissa del presepe napoletano, e vengono generalmente posti nelle immediate vicinanze della “capanna” o “grotta” della Sacra Famiglia. Lo zampognaro, tradizionalmente identificato come un pastore o un contadino è il suonatore di zampogna, uno strumento musicale arcaico a fiato molto diffuso in Italia centro-meridionale, e molto simile alla cornamusa con il quale però non va confuso ( la differenza riguarda sopratutto il numero di canne melodiche) .Generalmente i zampognari sono rappresentati nel presepe in coppia : uno suona la zampogna e l’altro la ciaramella , uno strumento a fiato simile all’oboe, ma composto di canne .Ancora oggi a Napoli è possibile talvolta vederli con l’arrivo del Natale (in particolare durante il periodo della Novena dell’Immacolata Concezione e del Natale) . Essi percorrono le vie cittadine, in abiti tipici, suonando motivi natalizi tradizionali, quali ad esempio Tu scendi dalle stelle di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori.
- CURIOSITA’: Nel presepe del 700 , i zampognari sono tra i personaggi fissi del presepe che vengono di solito posizionati di fronte alla grotta per celebrare la nascita di Gesù bambino . Questo dimostra quanto la figura dello zampognaro sia una figura fondamentale della tradizione natalizia napoletana .Essi rimanevano in città per nove giorni allo scopo di annunciare la nascita del Salvatore , esibendosi nelle tradizionali canzoni natalizie e nelle antiche Novene da sempre considerate di buon auspicio . I nove giorni della durata della Novena hanno un alto valore simbolico e di devozione ;i nove giorni della durata della novena, richiamano infatti i nove mesi della gravidanza di Maria .
- Pastori e Pecore: rappresentano il “gregge” dei fedeli che incontra Dio grazie alla guida avveduta dei pastori, i sacerdoti.
- I Re Magi simboli di un antico esoterismo devono esserci sempre presenti sul presepe ma in lontananaza dalla grotta .Essi sono ovviamente un altro elemento essenziale del presepe perché, così come Benino apre l’Ouroboros del Presepe e, quindi, il ciclo vita-morte-vita con il suo sogno, allo stesso modo i Re Magi lo chiudono con il loro arrivo alla fine di un lungo viaggio .Il Vangelo però non parla del loro numero, che la tradizione ha fissato a tre, in base ai loro doni, Oro , Incenso e Mirra , cui è stato poi assegnato un significato simbolico. Le soluzioni estetiche adottate per il posizionamento dei Magi sulla scena sono molteplici, spesso originali ma tutte artisticamente valide. Tradizionalmente quindi si è stabilito che i re Magi sono tre : il vecchio che cavalca un cavallo nero ; Gasparre il giovane , che momta un cavallo bianco ; Melchiorre il moro , col suo cavallo fulvio . I tre diversi colori dei cavalli ,uno bianco come il sole nascente, uno sauro rossiccio come il sole al tramonto e uno nero come la notte , rappresentano le tre fasi del giorno: mattina, mezzogiorno e sera. Essi rappresentano il viaggio notturno della stella cometa che si congiunge con la nascita del nuovo “sole-bambino”. In questo senso va interpretata la tradizione cristiana secondo la quale essi si mossero da oriente, che è il punto di partenza del sole, come è chiaro anche dall’immagine del crepuscolo che si scorge tra le volte degli edifici arabi . Quando dopo la notte giungono al cospetto di Cristo, che rappresenta il sole che risorge, i tre Re rappresentano il mondo e il tempo che si ferma per la nascita del figlio di Dio. . In origine però erano rappresentati in groppa a tre diversi animali, il cavallo, il dromedario e l’elefante che rappresentano rispettivamente L’Europa , l’Africa e l’Asia .Infatti, i tre re vengono da oriente, cioè da dove sorge il sole, la luce. Arrivano alla grotta all’epifania. Ed è proprio la congiunzione dei tre re, rappresentanti il sole che sorge, con il Bambino Gesù, che rappresenta il sole che rinasce, che chiude il ciclo rappresentato dal
Presepe.
In particolare: Baldassarre è il Mago moro e rappresenta l’Africa e la notte.
Gaspare è il Mago giovane e rappresenta l’Asia e il giorno.
Melchiorre è il Mago vecchio e rappresenta l’Europa e l’aurora.
Inoltre, i re magi portano dei doni che rapprsenta una simbologia beneagurante nel chiedere alla Grande Madre Terra di essere proficua nei raccolti a venire. Quindi anche i doni, oro, incenso e mirra,sono legati al ciclo vita-morte-vita.Infatti, l’oro è il dono riservato ai Re. Da un punto di vista religioso, Gesù è il Re dei Re; da un punto di vista antropologico, l’oro è collegato al Sole che è l’astro più importante in quanto dà la vita.
Ma oltre questo, come riporta Roberto De Simone, l’oro è anche collegato alla morte.
Infatti, mettendolo in relazione con il Sole, è un metallo splendente che si trova sottoterra.
Quindi può essere il Sole dei morti o il Sole morto che continua a splendere. L’incenso è la testimonianza di adorazione alla sua divinità, Gesù per i cristiani, il dio sole per egizi, greci, romani. La mirra è, invece, legata al culto dei morti. Per Gesù viene portata perché egli è
umano,Essi in groppa a dei cammelli , guidati dalla stella cometa si dirigono verso la grotta per dare i loro doni al Redentore .Si trattava di sapienti con poteri regali e sacerdotali che montando tre cavalli di colore diverso , simboleggiano il viaggio dell’astro che, come i Magi, inizia il suo cammino a Oriente. .e per me vanno posti lontani dalla capanna . I re magi sul presepe non sono infatti altro che la prima attestazione di uomini religiosi di un’altra cultura che adorano Gesù e come vi dicevo devono necessariamente essere posti lontano dalla grotta perché’ simbolicamente devono giungervi solo all’Epifania .


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Ed ecocci finalmente giunri al punto centrale del presepe : il BAMBINO GESU’ E LA GROTTA
Credo sia chiaro che la figura di Gesù Bambino sia, in entrambi i piani di lettura, la nascita della luce. Quindi la sovrapposizione con i riti pagani dedicati al “Dio Sole” da parte del cristianesimo.
L’elemento dissonante rispetto alle altre forme di presepe è che qui Gesù non nasce in una stalla con mangiatoia come quello di San Francesco ma in una grotta all’interno della quale , oltre al Bambino, ci sono chiaramente Giuseppe e Maria e il Bue e l’Asinello , i quali simbolicamente, rappresentano il Sole e la Luna. Anche Giuseppe, in quanto maschio, ha una connotazione solare, mentre Maria, al contrario, ha una connotazione lunare in quanto femmina e legata alla Luna tramite il ciclo mestruale. Proprio per questo, Giuseppe ed il bue vanno posti alla destra guardando la grotta, quindi al proprio est, dove sorge il sole. Ma il Sole e la Luna altro non sono che rappresentazioni simboliche della vita e della morte in questo caso collegate alla luce ed al buio.
Allo stesso modo, fuori la Grotta ci sono gli zampognari: uno giovane che suona ciaramella ed uno anziano che suona la zampogna. Anche qui è chiaro il riferimento al ciclo vita-morte-vita sia per l’età anagrafica dei due personaggi, sia perché quello anziano suona uno strumento costruito con le budella di pecora, quindi dopo aver ucciso l’animale, a rafforzare il carattere apotropaico di questa figura.
N.B. Spesso può capitarvi di vedere alcuni presepi che differisce dalle rappresentazioni presepiali classiche perchè che pongono la nascita di Gesù sulle rovine di un tempio pagano, volte a simboleggiare la vittoria del cristianesimo sul paganesimo e, in senso più ampio, la vittoria su Roma ed il suo Impero.
Il Presepe Popolare Napoletano non è quindi come evete avuto modo di leggere, semplicemente “vuttà quatt’ pasture”. Non è una scena da decorazione, né una rappresentazione superficiale della Natività. Parlare di questo presepe significa immergersi in una stratificazione di cultura, storia e simboli che attraversa secoli e civiltà, fino ad arrivare al nostro presente.
Con l’Editto di Milano del 313 d.C., l’imperatore Costantino riconosce il cristianesimo come religione dell’Impero. Ancora non si converte personalmente, ma con il Concilio di Nicea del 325 d.C. viene redatto il Credo, documento politico che diventerà preghiera universale e mezzo di pacificazione religiosa. Inizia così un processo di sovrapposizione culturale: templi pagani diventano chiese, dèi vengono sostituiti dai santi, e le feste pagane più radicate vengono reinterpretate e integrate nel nuovo calendario cristiano.
Una di queste feste era la festa della luce, il Sol Invictus, legata al ciclo eterno vita–morte–vita, simbolizzato dall’Ouroboros. L’umanità, da sempre, ha segnato il passaggio dalla morte alla vita attraverso la luce: con l’equinozio d’autunno la terra entra nel buio, le giornate si accorciano, i raccolti terminano, e si celebrano i defunti. I contadini lasciavano riposare la terra, permettendo al trifoglio e al pascolo di nutrire e fertilizzare i campi. È il tempo della morte apparente, ma anche della rigenerazione.
Con il solstizio d’inverno, il 21 dicembre, le giornate si allungano e la luce ritorna. La nascita di Gesù viene posta proprio in questo momento: il Bambino nasce come luce nel buio, sovrapponendo la Natività alla festa del Sole. L’Epifania, la manifestazione di Dio, diventa singolare, perché solo Dio può manifestarsi in una religione monoteista. La Candelora, quaranta giorni dopo, celebra la presentazione al Tempio, ancora una volta allineando rito e ciclo naturale.
In questo contesto prende forma il Presepe Popolare Napoletano, diverso da quello francescano o dalle Natività poste sulle rovine dei templi pagani. Il nostro presepe ha radici più antiche: affonda nei culti di Mithra, nei mitrei sotterranei di Napoli, negli antri oscuri collegati ai Campi Flegrei, all’Ade, e alla Crypta Neapolitana. La grotta, cuore del presepe, è luogo di morte e rinascita, collegamento tra il mondo dei vivi e quello dei morti, simbolo della ciclicità della vita.
Le figure del presepe raccontano questo mondo. I pastori, liminali, vivono tra la notte e il giorno, custodi dei greggi e testimoni della luce nascente. L’oste rappresenta il profano, il piacere, l’eccesso, ma anche la concretezza della vita quotidiana. Il pescivendolo e il macellaio incarnano la vita che passa attraverso la morte, mentre la lavandaia ripete gesti ciclici che purificano e ricordano il ritmo dei giorni. Gli zampognari, con la loro musica, segnano il passaggio verso il sacro, richiamando i rituali antichi dei pastori e delle stagioni.
I Re Magi simboleggiano i viaggiatori e gli iniziati: cercano il divino e portano doni che richiamano potere, sacralità e mortalità. La grotta non è solo ambientazione: è la caverna ipogea, il ventre della Terra, spazio sacro dove vita e morte si incontrano. E infine la Natività: Gesù nasce nel quotidiano, tra mestieri, rumori, e gesti umani. Il sacro non elimina il profano, ma lo attraversa e lo trasforma, mostrando che la luce nasce sempre nel mondo reale, tra le mani degli uomini e i cicli della natura.
Il presepe è uno scoglio: struttura chiusa, conica, sviluppata in altezza. Dal piano più alto a quello più basso racconta il ciclo vita–morte–vita. I numeri 3 e 8 ritornano come simboli di perfezione, eternità e rinascita. La luce segna il divino, l’acqua purifica e rigenera, il fuoco riscalda e trasforma. Tutto è collegato, in un intreccio inestricabile di sacro e profano, di mito e quotidiano, di antico e contemporaneo.
In questo modo, il Presepe Popolare Napoletano diventa molto più di una rappresentazione: è un rito continuo, una mappa simbolica della vita, un ponte tra passato e presente, tra il cielo e la terra, tra la morte e la rinascita.
Per un buon napoletano che si rispetti il presepe è da sempre non solo quella “base”, costruita da uno scheletro in sughero e in cartone poggiato su una tavola di legno dove sistemare i pastori …
Abbiamo visto in questo articolo come il Presepe Popolare Napoletano sia la rappresentazione in chiave ancestrale/antropologica, del ciclo vita-morte-vita con la presenza dell’eterno dualismo fra Bene e Male, Vita e Morte, Acqua e Fuoco, Giorno e Notte, Luce e Buio, Sole e Luna, Uomo e Donna, Religione e Laicismo.
In quale altra città del mondo, se non a Napoli, questo dualismo poteva avere una simile rappresentazione perpetuatasi nei secoli e con richiami tanto profondi?
Napoli è la città simbolo del dualismo, del Pieno (la città di superfice) e del Vuoto (le caverne costrutie la citai Del Bianco e del Nero (si pensi alla maschera di Pulcinella), etc.
Ma Napoli è anche la città che, dalla sua fondazione, ha stratificato non solo le strade mantenendo intatto l’impianto urbanistico del centro storico, ma addirittura gli usi, i costumi e la cultura che lì si aveva dall’epoca greca.
Napoli è anche la città dove, ancora oggi, la cultura è figlia della commistione di quella degli antichi egizi, degli antichi greci e, in parte, anche dei romani.
Ecco perché il Presepe ha prima l’appellativo di “Popolare”, perché viene da usi, costumi e
tradizioni che hanno formato un Popolo dalla fondazione della Città, che ricordiamo a tutti avvenne 2800 anni fa e non 2500 annifa come ingiustamente il nostro comune afferma.
Solo calandosi in quella che è la naturale stratificazione culturale, simbolica oltre che architettonica, rappresentata da Napoli, potrete capire ed apprezzare il presepe napoletano.
Solo allora potrete finalmente capire il vero significato di quel finale della famosa commedia di Natale in casa Cupiello, che avviene prima che cali il sipario : in questa scena Luca ha il tempo di chiedere trasognato per l’ultima volta “Tommasi’, te piace ‘o Presebbio?”, e il figlio, che “è il solo a comprendere tutta la tragedia” gli risponde finalmente “Sì” sancendo in tal modo la sua crescita
.In quel «sì, mi piace ’o presepio» si compie una riconciliazione silenziosa: il presepe diventa simbolo di un ordine cercato, fragile ma necessario, in cui l’uomo ritrova senso, appartenenza e speranza, accettando la tradizione come spazio profondo di umanità condivisa.
E come alle fine non condividere le ultime parole di Luca (e della commedia) : “Ma che bellu Presebbio! Quanto è bello!”
STORIA DEL PRESEPE
Il presepe ha secondo molti origini medievali risalenti a san Francesco d’Assisi. L’idea di far rivivere in uno scenario naturale la nascita di Gesù bambino , venne al santo dopo aver assistito a Betlemme , nel natale del 1222 alle funzioni per la nascita di Gesù. Francesco rimase talmente colpito che, tornato in Italia, chiese al Papa Onorio III di poter ripetere le celebrazioni per il Natale successivo. A quei tempi le rappresentazioni sacre non potevano tenersi in chiesa, così il Papa gli permise di celebrare una messa all’aperto. Fu così che,per la prima volta , la notte della Vigilia di Natale del 1223 , in un bosco presso Greccio in Umbria , San Francesco allestì il primo presepe vivente della storia: i frati con le fiaccole illuminavano il paesaggio notturno e all’interno di una grotta fu allestita una mangiatoia riempita di paglia con accanto il bue e l’asinello, ma senza la Sacra Famiglia.
Il primo presepe con tutti i personaggi , compreso la Sagra Famiglia ed i re magi , risale, invece, al 1283 per opera di Arnolfo di Cambio . Questo presepio , costituito da otto statuine lignee , è, ancora oggi, conservato nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma.
Da quel momento, quindi dal XIII secolo, si diffuse in maniera sempre più frequente l’uso di fare il presepe in occasione delle feste natalizie fino a diventare nel corso dei secoli , uno dei simboli più espressivi del Natale sopratutto nel Regno di Napoli
Nel corso del Cinquecento incominciarono a comparire accanto alla scena classica della Sacra famiglia alcuni piccoli primi mutamenti. Oltre al bue ed all’asinello, incominciarono infatti a comparire anche altri animali come il cane, la capra e le pecore, oltre a due pastori, e tre angeli. A dare un forte impulso all’ammissione sul presepe anche di personaggi secondari.ed incrementare la cultura popolare del presepe fu certamente anche la figura San Gaetano di Thiene che in quel periodo giunse a Napoli .
Egli , grande amante del presepio , viene ancora oggi indicato come l'”inventore” del presepe napoletano e come colui che diede inizio alla tradizione di allestire il presepe nelle chiese e nelle case private in occasione del Natale. Un suo particolare presepio allesstito nell’Ospedale degli Incurabili ebbe molto successo e popolarità in città . Il presepio più famoso però fu quello realizzato realizzato dai padri Scolopi nel 1627 alla duchessa. La chiesa degli scolopi lo smontava ogni anno per rimontarlo il Natale successivo: anche questa fu un’innovazione perché fino ad allora i presepi erano fissi.
Nel seicento il presepe allargò il suo scenario. Non venne più rappresentata la sola grotta della Natività , ma anche il mondo profano esterno: in puro gusto barocco , si diffusero le rappresentazioni delle taverne con ben esposte le carni fresche e i cesti di frutta e verdura e le scene divennero sfarzose e particolareggiate. Si cominciò quindi a rappresentare la gente del popolo: i mercanti, gli artigiani, i fruttivendoli , il pescivendolo , il panettiere e qualche paesaggio scenografico diverso come le montagne con le greggi, ed il corteo dei magi. Le modifiche apportate alla scena della natività , inserendo nel presepe anche alcuni personaggi della vita quotidiana che non c’entravano con la sacra famiglia, diede al presepe una nuova meravigliosa scenografia che riscosse un enorme successo non solo tra il popolo ma anche e sopratutto nell’alta aristocrazia .
Il presepe , in questo perioso , acquisì una propria teatralità , arricchita dalla tendenza a mescolare il sacro con il profano, e rappresentare in ogni arte la quotidianità che animava piazzette, vie e vicoli. Apparvero nel presepio statue di personaggi del popolo come i nani, le donne con il gozzo, i pezzenti, i tavernari, gli osti, i ciabattini, ovvero la rappresentazione degli umili e dei derelitti: le persone tra le quali Gesù nacque . Particolarmente significativa fu l’aggiunta dei resti di templi greci e romani per sottolineare il trionfo del cristianesimo sorto sulle rovine del paganesimo, secondo un’iconografia già ben radicata in pittura.
L’arte presepiale divenne talmente diffusa, da portare ad avere in società una figura professionale ( figurinaio ) cioè un artista specializzato nella creazione delle statuine che si dedicarono completamente alla costruzione del presepe. Il principale artista di questa nuova arte presepiale in città fu certamente Michele Perrone . Grazie a lui i manichini conservarono testa ed arti di legno, ma furono realizzati con un’anima in filo di ferro rivestito da abiti di stoffa che consentì alle statue di assumere pose sempre più plastiche. Le statuine furono squindi costituite da manichini snodabili di legno, che inizialmente fatti a grandezza umana finirono poi lentamente per poi ridursi attorno ai settanta centimetri.
Ma Il secolo d’oro del presepe napoletano è stato sicuramente il settecento , quando per merito della fioritura artistica e culturale presente in città anche i pastori cambiarono il loro sembiante. I committenti in questo periodo non erano più solo gli ordini religiosi, ma anche i ricchi e i nobili. il presepe napoletano iniziò quindi a uscire dalla chiese dove era stato oggetto di devozione religiosa per incominciare ad entrare nelle case dell’aristocrazia e divenire oggetto di un culto ben più frivolo e mondano nelle regge dei nobili.
Il re Carlo di Borbone , aveva una vera passione da partecipare personalmente e coinvolgere famiglia e corte nella realizzazione e vestizione di pastori e nel montaggio dell’enorme presepe del palazzo reale. Salito al trono di Spagna, portò con se un grandissimo presepe e alcuni famosi artigiani e dando così inizio anche in Spagna ad una tradizione d’arte presepiale. Sotto l’influsso del re, nobili e ricchi borghesi gareggiarono nell’allestire impianti scenografici giganteschi e spettacolari, in cui il gruppo della Sacra Famiglia fu sopraffatto da un tripudio di scene profane che riproducevano ambienti, situazioni e costumi della Napoli popolare dell’epoca.
Nobili e borghesi gareggiarono tra loro per allestire presepi sempre più ricercati nel tentativo di attrarre le attenzioni della corte reale . Giuseppe Sammartino , forse il più grande scultore napoletano del 700 , diede vita con la sua bravura ad una vera e propria scuola di artisti del presepio divenendo molto famoso e ricercato in città più per questa sua dote che per quello di scultore ( vi ricordo che fu l’autore del famoso Cristo Velato della Cappella San severo ).
Furono investiti da parte di molte nobili famiglie ingenti capitali per assicurarsi i “pastori” più belli e la collaborazione degli artisti più rinomati; il sacro evento divenne pretesto per far sfoggio di cultura, ricchezza e potenza. Le statue, dalle teste modellate in terracotta dipinta e con occhi di vetro, gli arti in legno, il corpo in stoppa con un’anima di fil di ferro che ne garantiva la flessibilità, erano vestite di tessuti di pregio come le stoffe di San Leucio e, quelle che impersonavano personaggi di rilievo, agghindate con gioielli in materiali preziosi, perle e pietre preziose. A realizzare le armi, gli strumenti musicali, i vasi preziosi e gli altri minuti ornamenti dei personaggi del corteo dei re magi vennero chiamati argentieri e gioiellieri famosi . Le frutta e le cibarie esposte nei banchetti o consumate nelle taverne erano realizzate in cera colorata.
Da questo momento il presepe oltre ad essere considerato un elemento tradizionale natalizio si traformò , grazie a monumentali opere in marmo o legno e piccoli preziosi pastori firmati da eccellenti artisti dell’epoca , in una vera e propria arte pregiata. Il presepe assunse una sua configurazione ben precisa: le figure furono realizzate con manichini in filo metallico ricoperto di stoppa, le teste e gli arti inizialmente fatte in legno dipinto, vennero poi gradualmente sostituite da terracotta policroma.
Incominciarono a comparire come abbiamo detto, manichini di legno con arti snodabili e vestiti di stoffa che potevano così assumere le più svariate posizioni . E’ questo il periodo in cui il presepe napoletano raggiunge il suo più alto splendore. , favoriti da scultori napoletani che nel 700 raggiunsero una tale bravura e maestria che resero il presepe una vera e propria opera d’arte.
La meraviglia delle scene costruite con dovizia e ricchezza di particolari, la perfezione dei volti dei pastori e delle figure umane ed animali in generali, creavano nei visitatori stupore e questo era ricercato dai proprietari alla volte anche a scapito della sacralità mai persa però nelle intenzioni degli architetti e dei loro artigiani.
Il presepe di questo secolo è un nuova forma di spettacolo dove troviamo spaccati di vita quotidiana che riflettono la cultura dell’epoca, gli storpi e i diseredati rappresentati non senza sarcasmo, l’opulenza dei nobili orientali e delle loro corti a simboleggiare i privilegi dei nobili, l’osteria con l’avventore e l’oste a rappresentare la bonomia del popolo. Il tutto con una ricchezza inaudita attraverso sete e stoffe, gioielli, ori ed argenti che dovevano dimostrare il proprio status socio-economico. Luoghi di queste rappresentazioni non furono solo le chiese ma anche le stanze dei privati, chiaramente più facoltosi, che attiravano un pubblico numeroso e di ogni estrazione sociale . Il presepe andò quindi lentamente a perdere progressivamente la sua misticità per trasformarsi sempre di più in una rappresentazione profana diretta ad affermare, anch’esso il prestigio della famiglia.
Lo stupore dei nobili spettatorii invitati nelle case patrizie ad ammirare il presepio con la finezza dei particolari e lo sfarzo nelle scene , aumentava non solo l’ orgoglio dei loro committenti ma anche e sopratutto il loro prestigio personale.
I presepi erano formati da figure lignee di grandezza quasi naturale , prive di accessori che potessero distrarre dall’importanza dell’evento sacro che rappresentavano , ed erano immagini solenni che invitavano alla religiosità e alla preghiera .
Le statuette realizzate dai migliori artigiani arrivarono a costare delle vere fortune: si calcola addirittura l’equivalente di un mese di stipendio di un funzionario di corte. Famiglie nobili giunsero a rovinarsi pur di realizzare presepi che potessero competere in magnificenza con quello reale, e meritare -nel periodo natalizio- la visita del sovrano. Paradossalmente, quando i creditori arrivavano al pignoramento dei beni di queste famiglie troppo prodighe nelle loro spese presepiali, proprio quei piccoli capolavori costituivano una delle principali voci nei verbali degli ufficiali giudiziari.
N.B. Ancora oggi a Napoli , alcuni bravi artigiani producono su ordine di committenti pezzi presepiali e pastori di gran pregio che hanno costi elevatissimi .
Nacquero , grazie a ricchi nobili in questo periodo , numerose importanti collezioni private come quelle del principe Emanuele Pinto, e quello del principe di Ischitella
Nella prima metà dell’800 la moda e conseguentemente la passione dei presepi incominciò lentamente a finire per poi tramontare definitivamente . Le grandi collezioni private incominciarono a smembrarsi, mentre i grandi presepi sontuosi e di alto costo , andarono scomparendo per essere sostituiti lentamente da quelli con più piccoli pastori di pregiata fattura..
Nel Novecento questa tradizione è gradualmente scomparsa, ma ancora oggi grandi presepi vengono regolarmente allestiti in tutte le principali chiese del capoluogo campano e molti napoletani lo allestiscono ancora nelle proprie case cercando e comprando i migliori pezzi nel famoso quartiere di San Gregorio Armeno dove questa tradizione viene portata avanti con tecniche tramandate di generazione in generazione.
Dei grandi pezzi degli antichi pastori , oggi rarissimi e preziosissimi ma difficili da trovare restano a noi alcune grandi opere come una statua della Madonna , oggi conservata nel Museo di San Martino , donata insiema a tutto il presepe , dalla Regina Sancia d’Aragona ( moglie del re Roberto d’Angiò ) alle suore clarisse della Chiesa di S. Maria del presepe ad Amalfi , un bellissimo presepe di Pietro e Giovanni Alemanno composto da 12 statue ed il presepe di Antonio Rossellino visibile a Sant’Anna dei Lombardi .
Ma non possiamo certo dimenticare anche i presepi costruiti nelle chiese dell’Annunziata e di S. Eligio e sopratutto quello più famoso di Giovanni da Nola presente nella chiesa di S. Maria del Parto .
Il presepe napoletano oggi da noi è anche espressione di arte . In città ce ne sono alcuni di una bellezza straordinaria, che oramai fanno parte della nostra storia. Tra questi abbiamo il famoso Presepe Cuciniello, nel Museo di San Martino, il Presepe del Banco di Napoli , più conosciuto come “Il presepe del Re” conservato a Palazzo Reale a Napoli , la bellissima collezione Catello per la maggior parte oggi presente al Museo di Capodimonte ed infine il famoso presepe che i sovrani Borbonici fecero allestire nella bella reggia di Caserta .
Il primo è stato realizzato utilizzando i personaggi dei pastori donati dall’architetto Michele Cuciniello, che li aveva ereditati dal padre. Il presepe napoletano fu realizzato componendo varie scene, dette scene madri, tra cui le migliori sono senza dubbio la Natività, la Taverna e l’Annuncio. I pastori che lo compongono sono stati realizzati dai maggiori artisti del ’700.
Il secondo, invece, comprende 210 figurine di pastori e 144 accessori vari, provenienti da presepi smontati e in larga parte venduti o dispersi agli inizi dell’Ottocento. La maggior parte dei pastori risalgono al Settecento e molti sono opera di grandi scultori napoletani. La scena è ricca di personaggi, situazioni e particolari della realtà quotidiana dell’epoca. La scenografia è quella che caratterizza il presepe napoletano, con la Sacra Famiglia posta sul classico scoglio di fronte ai resti di un tempio pagano, la Taverna e il ricco insieme di personaggi presi dai racconti biblici (come i Re Magi) o dalla tradizione popolare napoletana (come gli zampognari, i mercanti, il panettiere o il maniscalco).
Il terzo è invece una incredibile e bellissima raccolta di pastori settecenteschi fatta con le preziosi mani dei migliori artisti dell’epoca , come il Sammartino , il Somma , i Vaccaro , Vassaro , Gori , Mosca e tanti altri . Al Museo di Capodimonte , nei meravigliosi appartamenti reali si possiamo ammirare il gruppo presepiale con la Gloria degli Angeli, ma sopratutto quello con la scena dell’Elefante, dove è presente un grande elefante che si ispira a quello in carne e ossa donato a Carlo di Borbone nel 1742 dal Gran Visir , il cui scheletro è conservato nel Museo Zoologico dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.
Come sapete l’elefante prese parte a diverse sfilate, suscitando la meraviglia della popolazione locale di Portici e debuttò nel 1743 al Teatro San Carlo di Napoli nell’opera Ezio di Pietro Metastasio , espressione del gusto per l’esotico tipico della metà del XVIII secolo.
Il quarto invece è il presepe di Corte che si trova nella bella sala Ellittica della Reggia di Caserta . Esso rappresenta uno dei più belli esempi di arte presepiale fatta con pezzi in terracotta risalenti al XVIII secolo dove i pastori erano posti sul cosiddetto scoglio, una struttura di base in sughero sulla quale venivano organizzate scenograficamente le diverse scene della raffigurazione della Natività ; l’Annuncio ai pastori, l’Osteria, il viaggio dei Re Magi e le scene corali con pastori e greggi.
I sovrani Borbonici , grandi amanti dell’arte presepiale fecero allestire l’ultimo loro presepe nella Sala della Racchetta facendo addirittura affrescare il soffitto a simulazione della volta celeste .
CURIOSITA’ ; Il grande elefante fu donato al re Carlo dal sultano Mahmud ed il re e la regina furono molto compiaciuti di avere questo strano ( per l’epoca ) ed atipico animale ed orgogliosi lo fecero più volte condurre al loro cospetto .
I reali orgogliosi lo facevano spesso esporre al popolo e consapevoli di essere gli unici ad averlo ordinarono al pittore Giuseppe Bonito l’esecuzione di un dipinto dove fosse ritratto l’elefante . Il re Carlo invio’ poi il quadro in Spagna a suo padre Filippo V.
Il prezioso elefante visse fino al 1756 nel parco reale di Portici , curato e coccolato , affidato alle cure di un caporale babilonese che ogni tanto lo portava a passeggio tra le vie della città’ dandosi grande importanza .
L’elefante finì per essere introdotto anche nel presepe reale dove sostitui’ un dromedario e la nuova scena presepiale si può’ ancora oggi ammirare nel presepe presente al Museo di Capodimonte dove il piccolo elefante viene considerato un pezzo unico nel suo genere per rarità ed eleganza .
Il vero pachiderma alla sua morte fu invece imbalsamato e mandato alla Reale Università’ degli Studi dove ancora oggi è’ visibile al Museo di zoologia.
Finiamo il nostro articolo nel ricordarvi una delle più belle pagine scritte sul presepe da parte di uno degli uomini più illustri che il tempo ha dato alla nostra città . Parliamo ovviamente del grande amato e purtroppo da poco tempo compianto LUCIANO DE CRESCENZO:
“O PRESEPE”
«Il presepe» dice il professore «per noi napoletani è una cosa veramente importante, lei ingegnere scusi preferisce il presepe o l’albero di Natale?»
«Il presepe, ovviamente.»
«E ne sono contento per lei» mi dice il professore stringendomi la mano. «Veda, gli esseri umani si dividono in presepisti ed alberisti e questa è una conseguenza della suddivisione del mondo in mondo d’amore e mondo di libertà ma questo è un discorso lungo che potremo fare un’altra volta, oggi invece vi vorrei parlare del presepe e dei presepisti»
«Forza professò » dice Salvatore. «Parlateci del presepe che qua stanno i ragazzi vostri!»
«Dunque , come vi dicevo, la suddivisione in presepisti ed alberisti è tanto importante che, secondo me, dovrebbe comparire sui documenti d’identità come il sesso ed il gruppo sanguigno. E già per forza, perché altrimenti un povero dio rischierebbe di scoprire solo a matrimonio avvenuto di essersi unito con un cristiano di tendenze natalizie diverse. Adesso sembra che io esageri, eppure è così: l’alberista si serve per vivere di una scala di valori completamente diversa da quella del presepista. Il primo tiene in gran conto la Forma, il Denaro e il Potere; il secondo invece pone ai primi posti l’Amore e la Poesia.»
«Noi qua in questa casa» dice Saverio, «siamo tutti presepisti, è vero professò?»
«No, non tutti. Mia moglie e mia figlia, ad esempio, come quasi tutte le donne, sono alberiste.»
«Ad Assuntina piace l’albero di Natale» dice sottovoce Saverio.
«Tra le due categorie non ci può essere colloquio, uno parla e l’altro non capisce. La moglie vede che il marito fa il presepe e dice: “Ma perché invece di appuzzolentire tutta casa con la colla di pesce, il presepe non lo vai a comprare già bello e fatto all’UPIM?”. Il marito non risponde. E già perché all’UPIM si può comprare l’albero di Natale che è bello solo quando è finito e quando si possono accendere le luci, il presepe invece no, il presepe è bello quando lo fai o addirittura quando lo pensi: “Adesso viene Natale e facciamo il presepe. Quelli a cui piace l’albero di Natale sono solo dei consumisti, il presepista invece, bravo o non bravo, diventa creatore ed il suo vangelo è “Natale in casa Cupiello”.»
«Io l’ho visto professò e mi ricordo di quando Eduardo dice: “Il presebbio l’ho fatto tutto da solo e contrastato dalla famiglia”.»
«I pastori» continua Bellavista. «Debbono essere quelli di creta, fatti a mano, un poco brutti e soprattutto nati a San Gregorio Armeno, nel cuore di Napoli, e non quelli di plastica che si vendono all’UPIM, e che sembrano finti; i pastori debbono essere quelli degli anni precedenti e non fa niente se sono quasi tutti un poco scassati, l’importante è che il capofamiglia li conosca per nome uno per uno, e sappia raccontare per ogni pastore nu bello fattariello: “Questo è Benito che non teneva voglia di lavorare e che dormiva sempre questo è il padre di Benito che pascolava le pecore sopra alla montagna e questo è il pastore della meraviglia” e a mano a mano che i pastori escono dalla scatola, c’è la presentazione. Il padre presenta i pastori ai figli più piccoli, che così ogni anno, quando viene Natale, li possono riconoscere e li possono voler bene come a persone di famiglia. Personaggi della vita, anche se storicamente inaccettabili come ‘O monaco e ‘O cacciatore c’o fucile.»
«Professò, po’ ce sta ‘o cuoco, ‘a tavulella cu’ e’ ddoie coppie assettate, ‘o mellunaro, o’ verdummaro, chille ca venne ‘e castagne, ‘o canteniere, ‘o chianchiere (Il cuoco, la tavola con le due coppie sedute, il venditore di cocomeri, il verdumaio, quello che vende le castagne, il vinaio, il macellaio).»
«Ebbè,» dice Salvatore a pure a quell’epoca si doveva faticare fino a notte tarda per poter campare»
«E poi ci sta ‘a lavannara (la lavandaia),» continua Saverio «‘o pastore che porta ‘e pullastre, ‘o piscatore che pesca overamente nell’acqua vera che scende da dentro all’enteroclisma messo dietro al presepe.»
«Papà mio,» dice Luigino, «quelli un poco scassati li riusciva sempre a mettere in maniera tale che poi nessuno si accorgeva se tenevano un braccio o una gamba di meno; mi diceva: “Luigì, adesso papà trova una posizione strategica per questo povero pastoriello che ha perduto una coscia”, e lo piazzava dietro a una siepe o dietro a un muretto, e poi mi ricordo che avevamo un pastore che ogni anno si perdeva qualche pezzo, tanto che alla fine ci rimase solo la testa e papà la piazzò dietro a una finestrella di una casetta. Papà le casette le faceva con le scatole delle medicine e poi dentro ci metteva la luce, e quando, durante l’anno, io mi dovevo prendere una medicina, per esempio uno sciroppo che non mi piaceva, allora lui prendeva lo scatolino e mi diceva: “Luigì, questo scatolo ce lo conserviamo per quando viene Natale, che cosi ne facciamo una bella casetta per il presepio, tu però bell’ ‘e papà devi finire prima la medicina che ci sta dentro, se no papà la casarella come la fa?”»
«E poi, quando veniva la mezzanotte,» continua Salvatore «ci mettevamo tutti in processione e giravamo per tutta la casa cantando “Tu scendi dalle stelle”. Il più piccolo della famiglia avanti con il bambino Gesù, e tutti quanti dietro con una candela accesa tra le mani.»
«O’ presepe! L’addore (odore) d’a colla ‘e pesce, ‘o suvero (il sughero) pe fa ‘e muntagne, ‘a farina pe fa ‘a neve…»
Bellissimo vero ?
Io credo che quella statuina sul presepe al lui dedicata se la sia proprio meritata













































































