Il palazzo Orsini di Gravina oggi sede della Facoltà di Architettura dell’Universita’ Federico II , è considerato da molti come il maggior esempio di architettura rinascimentale napoletana con ispirazione Toscana . 

Ubicato  in via Monteoliveto 3, esso risale ai primi anni del cinquecento , ed esattamente al 1513, quando Don Ferrante orsini, duca di Gravina, acquistò un primo appezzamento di terreno dalle monache del monastero di Santa Chiara pagandoli poco più di cento ducati . 

A questo, nel 1547, si aggiunse un’altro appezzamento di terreno comprata sempre dalle stesse religiose, che permise al nobile di cominciare i lavori per la costruzione del proprio palazzo.

NB: Gli  Orsini erano gli esponenti di  un ramo della nota famiglia romana , che decise di stabilirsi  a Napoli già dal XIII secolo. 

Il progetto e la realizzazione del palazzo , secondo alcune fonti   sono dovute ad un certo architetto Gabriele d’Agnolo mentre a Giovan Francesco di Palma si deve invece la realizzare di alcune targhe con i simboli della famiglia e le imposte delle finestre.

La prima parte dell’edificio ad essere completata fu la facciata principale, che, al piano terra presentava un alto bugnato nel quale si aprivano quattro piccole finestra ad entrambi i lati dell’ingresso. 

Il piano nobile, invece , era caratterizzato da dieci pilastri con capitelli dorici che si alternavano alle finestre in marmo bianco sormontate da nicchie con ghirlande di frutta e fiori in cui erano posti dei busti- ritratto . 

Il cortile interno, invece, aperto sul retro e confinante con il giardino di Santa Chiara, presentava dei portici con arcate sorrette da pilastri decorati da tondi in marmo nei quali erano raffigurate i simboli della famiglia Orsini: l’orso, la rosa, lo scudo bardato e il putto inginocchiato. 

 

 

Il piano superiore replicava lo stesso schema, con la differenza che tra gli archi vennero incastonati i busti di alcuni rappresentanti illustri della nobile famiglia, come Pier Gian Paolo Orsini dei conti di Monapello, Pier Francesco Orsini capitano della Chiesa, Giovan Antonio Orsini principe di Taranto e Raimondo Orsini.

Nel 1549 Ferdinando Orsini morì, lasciando il palazzo in eredità al figlio Antonio, che provvide ad ultimare l’immobile completando il  tetto ed alcuni abbellimenti. 

Nel 1672, dopo vari passaggi, l’edificio arrivò a Domenico Orsini, il quale beneficiò della rinuncia del fratello Pier Francesco, divenuto papa col nome di Benedetto XIII. 

In seguito, nel secolo successivo, la proprietà passò a Benedetto Orsini che affidò a Mario Gioffredo la realizzazione del bel portale ancora oggi visibile che venne eseguito tra il 1762 e il 1782 in collaborazione col marmoraro Luva.

 

Nello stesso periodo vennero effettuati degli affreschi da Giuseppe Bonito, Francesco de Mura e Fedele Fischetti.

CURIOSITÀ’ : Tra la fine del seicento e la metà ’ del settecento il palazzo fu occupato da vari esponenti della famiglia, tra cui il fratello del Papà Benedetto XIII e Benedetto Orsini, cardinale e ambasciatore del re in Vaticano . 

Il XIX secolo fu un periodo poco felice per l’edificio in quanto nel 1799, a causa dei debiti, la famiglia orsini perse la proprietà dell’immobile che fu definitivamente espropriato e consegnato ai creditori nel 1837 . Il palazzo venne così acquistato per 38000 ducati dal conte dei Camaldoli Giulio Cesare Ricciardi, che ne affidò il restauro all’architetto Nicola d’Apuzzo che trasformò radicalmente la struttura tanto da subire le aspre critiche degli intellettuali e dei politici dell’epoca .

Ma  il nuovo proprietario avendo ricevuto ricevette il consenso del re Ferdinando II , proseguì indifferente per la sua strada: vennero così eliminati per realizzare dei balconi , i busti sulle finestre presenti al piano nobile  e venne poi costruito un ulteriore piano. 

Al piano terra, invece, vennero realizzate nuove aperture per dare posto a delle botteghe nella facciate principale ed eliminate tutte le insegne e le scritte che si riferivano alla famiglia Orsini. 

Il palazzo , in seguito , durante tutto il periodo della rivoluzione fu requisito e affidato in mano francesi al generale Thiebault, che lo utilizzo’ come sua  abitazione . 

Successivamente, però, nel 1848, il palazzo venne devastato e quasi completamente distrutto da un incendio appiccato il 15 maggio durante i moti rivoluzionari.

Il suo restauro avviato in seguito all’acquisizione di pubblica utilità’ stabilito  per decreto reale , fiu affidato per riattarlo , nel 1849 , nelle mani dell’architetto Gaetano Genovese, il quale aggiunto il quarto piano è rifatto il soffitto , dopo aver rivestito  in piperno i basamenti delle facciate laterali dell’edificio, mirò sopratutto a sistemare gli interni per ricavarne uffici , provvedendo in ogni caso al prezioso restauro e recupero di alcuni importanti affreschi . 

In seguito ai lavori il cortile, venne chiuso e vennero ricostruite le scale su entrambi i lati della corte. Tutto ciò eliminò praticamente qualsiasi traccia del progetto rinascimentale originario, e questo duro’ almeno fino al 1936, anno in cui venne ultimato un ulteriore restauro che eliminando il secondo piano ed i suoi i balconi, e riportando gli antichi busti all’interno dei tondi, ridiiede al palazzo parte della sua antica forma originale . 

Curiosità : Prima dell’unità’ d’Italia il palazzo divenne sede dell’ufficio delle Tasse , e dopo l’unificazione fu adibito ad ufficio postale dove vi lavoro’ tra le tante persone anche la famosa Matilde Serao come telegrafista ed E. A. Mario come impiegato delle poste.

 

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