L’obelisco, dal greco obeliskos, nasce nell’antico Egitto come elemento architettonico celebrativo in onore del dio Sole o di un Faraone mentre nei secoli scorsi nel mondo cattolico era pratica comune installare un obelisco –egizio in prossimità delle basiliche, in modo da essere facilmente avvistate dai pellegrini. Quelli di origine partenopea sono l’evoluzione delle macchine di festa di legno e carta, che il popolo innalzava ed incendiava con i fuochi d’artificio, nelle piazze, in occasione delle feste religiose e civili.e la loro forma ricorda le costruzioni di legno e cartapesta che da secoli venivano portate in processione in diverse parti della Campania, come ancora oggi accade a Nola durante la Festa dei Gigli.
L’obelisco certamente più famoso nella nostra città è quello presente in Piazza del Gesù .
Alto 30 metri, esso fu eretto dai Gesuiti grazie a una colletta pubblica voluta da Padre Pepe. Il lavoro scultoreo (la statua poggia su una guglia marmorea) fu di Matteo Bottigliero e Mario Pagano. Sulla sommità è posta la statua della Madonna dell’Immacolata , interamente di rame che l’8 dicembre di ogni anno riceve l’incoronazione con una corona di fiori ,da parte dei vigili del fuoco, come segno di devozione della città nei riguardi della Vergine.
Se ci avviciniamo all’obelisco, possiamo notare che sul marmo, sono posti dei strani simboli ed una faccia di scheletro che sono state nel tempo all’origine di una antica leggenda popolare che si è raccolta intorno all’obelisco. Si racconta infatti da tempo di alcune figure blasfeme, insieme a quella della morte, scolpite insieme a quelle mariane, che sembrerebbero mostrarsi solo in alcuni momenti della giornata, con il gioco di luce ed ombre, o in certe visuali creati dalla prospettiva.
L’immagine della morte con la falce apparirebbe guardando la statua da dietro e un’ antica leggenda vuole addirittura che chiunque riuscisse, semmai , a vederne l ‘ immagine di faccia ne acquisti in cambio l’ immortalità.
Lo strano fenomeno sembra spiegarsi con uno strano effetto ottico che si può notare solo in alcune ore della giornata, soprattutto verso sera all’imbrunire, che rendono la statua grottesca: osservando la statua da dietro infatti si noterà che ella avrà il velo increspato. Aguzzando la vista, con un gioco di prospettiva la statua sembrerà del tutto diversa: il velo coprirà, come un cappuccio, una figura simile alla Morte che brandisce la classica falce ;l’immagine delle Madonna nasconde quindi un segreto, o forse è solo suggestione.
In alcune ore del giorno, specialmente con la luce del tramonto o dell’alba, l’aspetto della statua cambia alla vista. Il drappo non sembra più coprire la Vergine, ma una figura scheletrica che regge una falce: la Morte.
L ‘obelisco di San Domenico, che si trova al centro della omonima piazza fu invece commissionata dai Padri Domenicani e dagli eletti del popolo come ringraziamento per essere scampati all’epidemia di peste del 1656 . Scolpito da Francesco Antonio Picchiatti, deve il suo rivestimento e le decorazioni in marmo a Cosimo Fanzago che disegnò anche la forma piramidale della guglia , mentre Lorenzo Vaccaro e suo figlio Domenico Antonio terminarono l’ opera e le decorazioni realizzando anche la scultura in bronzo di San Domenico in cima all’obelisco.
Sotto la guglia furono trovati nel secolo scorso reperti dell’antica Porta Puteolana o Cumana ( perchè conduceva a Pozzuoli o a Cuma ).
L’Obelisco di Portosalvo, l’ultima eretta in ordine di tempo a Napoli, si trova appena fuori la chiesa cinquecentesca di Santa Maria di Portosalvo all’altezza dell’Immacolatella, alla biforcazione di Via Marina e Via De Gasperi. L’obelisco in piperno, a quattro facce e culminante in una croce, fu eretton ella piazza di Portosalvo, da cui prende il nome, nel 1799 per celebrare la restaurazione borbonica e la fine dell’esperienza giacobina della repubblica napoletana in seguito alla quale i Borboni tornarono a controllare la città.
L’obelisco è caratterizzato da alcune effigi dove è possibile notare la presenza di San Gennaro e Sant’Antonio, che furono i protagonisti nel periodo repubblicano di una strana vicenda tra il politico e il religioso veramente molto curiosa.
I francesi e i giacobini napoletani per cercare legittimazione del loro potere, presso il popolo, utilizzarono il prodigio dello scioglimento del sangue di San Gennaro, e consacrarono questo santo martire come protettore della loro causa, mentre l’esercito della Santa Fede del Cardinale Ruffo si affidava alla protezione di Sant’Antonio, come nuovo patrono della città ormai sotto assedio giacobino.
Il 13 giugno, festività di Sant’Antonio da Padova, l’esercito della Santa Fede entrò a Napoli, sconfiggendo i giacobini e sancendo la fine dell’esperienza rivoluzionaria napoletana. Tale episodio sancì ancor di più il legame con il “nuovo” Santo.
I reali dei Borbone però, nonostante la vittoria, non riuscirono a rinunciare alla figura di San Gennaro, a cui erano sempre stati molto devoti, pertanto continuarono a considerarlo ancora una volta come il patrono e protettore della città, senza però trascurare Sant’Antonio ed ecco perchè giustificata la doppia effige dei due santi sull’obelisco di Portosalvo.
La guglia dell’Immacolata di Materdei si trova invece nell’omonimo quartiere della città, in uno slargo in via Ugo Falcando. La costruzione dell’ obelisco alto 10 metri, viene attribuita a Giuseppe Astarita che la scolpì in piperno e marmo bianco in tipico stile barocco. costruita che presenta i tipici caratteri dell’arte barocca. Essa è sormontata da una statua con la Madonna e il Bambino (che a sua volta sostiene un libro) realizzata intorno al 1470 da Domenico Cagini.
Prima di essere collocata nella posizione attuale, il monumento era situato nel chiostro dell’ex Conservatorio della Concezione. Poi, nel 2003, la guglia fu sottoposta a restauro e, l’anno successivo, collocata in via Ugo Falcando, ma la statua originale fu trattenuta nel Museo Civico di Castel Nuovo e sostituita con una copia.
L’obelisco di San Gennaro alto 24 metri fu voluto a seguito dell’eruzione del Vesuvio del 1631e costruito tra il 1645 e il 1660 ad opera di Cosimo Fanzago .L’opera barocca, fu commissionata a Cosimo Fanzago, dalla Deputazione del Tesoro di San Gennaro in ringraziamento per lo scampato pericolo durante l’eruzione del Vesuvio del 16 dicembre 1631, che per 20 giorni mise sotto scacco la città dopo 130 anni di inattività. Il vulcano risvegliatosi dopo tanti anni di inattività per intere settimane eruttava fango rovente e lapilli, frammisto a cenere e lava, mettendo in ginocchio per l’ennesima volta i paesi alle sue pendici: come Resina, Portici, Ottajano, e Torre del Greco.
Il fenomeno non dava cenno a placarsi e tra il popolo serpeggiava una crescente paura ogni giorno più forte. Gli antichi storici napoletani narrano addirittura che l’eruzione fu di una così grande intensità da oscurare con le sue fiamme ed il suo fumo la luce del sole.
Il popolo napoletano, era terrorizzato da questa grande eruzione e temeva fortemente che i materiali vulcanici oramai arrivati quasi alle porte della città potessero andare oltre e raggiungere le loro case. Nessuno sembrava capace di fermare questa volta l’arrabbiato vulcano e non restava altro quindi che rivolgersi all’ unica forza che speravano potesse contrastare la terribile forza distruttrice del Vesuvio : la fede in San Gennaro,il protettore della città che mai li aveva traditi. Fiduciosi nella protezione del Santo Patrono, allestirono una processione per invocare l’intervento del Santo il quale, si narra, si manifestò tra i raggi del sole facendogli illuminare la Cattedrale e poi benedisse la Città A seguito di questo prodigio, il popolo sempre più numeroso si avviò in processione verso il Vesuvio nell’intento di fermare la discesa di lava .
Il vescovo di Napoli Francesco Boncompagni guidava la processione portando inizialmente per la città le reliquie del santo e una volta raccolto con se quasi tutto il popolo in processione incominciò a dirigersi verso il Vesuvio e la sua lava. Il Santo ancora una volta non tradì Napoli e a voler credere a varie testimonianze dell’epoca all’avanzare della processione con innanzi le reliquie del Santo ,il grande fiume di lava incandescente , inizialmente incominciò a rallentare e poi miracolosamente a deviare il suo percorso allontanandosi da Napoli. per infine fermarsi del tutto.( Una antica leggenda narra che San Gennaro una volta portato in processione di fronte alla lava ne abbia fermato il corso con il solo gesto delle tre dita ).
Scampato il grave pericolo da Napoli. a seguito di questo prodigio San Gennaro fu dichiarato ancora una volta il più grande santo tra quelli del paradiso e per ringraziarlo si decise di erigergli un monumento nel luogo dove per tradizione si svolgevano , con addobbi, luminarie e rappresentazioni sacre di musica e teatro i festeggiamenti esterni al Duomo dedicati al Santo Patrono ,Una piccola piazzetta antecedente l’accesso laterale alla Cappella di San Gennaro, presente nel cuore di Napoli in cantiere proprio in quel periodo , dove tutti i cittadini la potessero vedere e sentirsi proprietari. ( In questo luogo si crede fosse esistito in epoca Romana il Tempio di Giove o di Nettuno ).
A commissionare la costruzione del monumento per ringraziare il Santo del prodigio fu “La Deputazione del Tesoro,” l’organo rappresentativo del popolo napoletano che oggi come allora tutela la Reale Cappella del Tesoro di San Gennaro.
La processione di fronte alla furia del Vesuvio ci viene ancora oggi ricordata da Micco Spadaro in un suo celebre dipinto
L’obelisco in ringraziamento per lo scampato pericolo dell’eruzione del Vesuvio del 1631 fu eretto nel 1636 dai committenti della Deputazione del Tesoro ed Il progetto fu affidato a Cosimo Fanzago , una delle firme più illustri della straordinaria stagione barocca napoletana. Questi terminò la costruzione nove anni dopo, anche se, per il sopraggiungere di vari contrasti, l’opera poté dirsi ultimata solo nel 1660.
La Guglia è un capolavoro barocco in marmo di Cosimo Fanzago e rappresenta ancora oggi un monumento di culto per i fedeli e per i tanti turisti che affollano continuamente il luogo.
L’opera in marmo bianco e cipollino è composta da una base ,con balaustra che ospita una sorta di colonna quadrangolare dove si trova una scultura della sirena Parthenope, simbolo della città, che in una cornice abbracciata regge uno scudo recante parole di gratitudine della città al santo .Da essa parte un decoratissimo capitello ad di sopra del quale quattro putti recano, in marmo o in bronzo, gli attributi del santo: le ampolle, il bastone pastorale, la mitra, la stola, il libro, la penna. Sulla sommità del monumento si innalza la statua in bronzo di San Gennaro, opera dello scultore Tommaso Montani destinata inizialmente alla Cappella del Tesoro (dove rimase dal 1621 fino al 1645 ) e poi collocata in cima alla guglia.
Il basamento un tempo incorporava un autoritratto del Fanzago, pure in marmo, oggi al Museo di San Martino.
La realizzazione dell’opera fu interrotta più volte – il 1600 fu un secolo particolarmente turbolento per la città, tra l’eruzione, la rivolta di Masaniello, un’epidemia di peste – e fu ultimata solo nel 1660.
Da non dimenticare che nella nostra città abbiamo anche le Fontane Obelischi che furono costruite nel 1788 in Piazza Mercato da Francesco Securo, su incarico Ferdinando IV in occasione dei lavori di restauro e abbellimento della piazza che era stata appena danneggiata da un incendio.
Dall’artista furono costruite due fontane, che avevano il duplice scupo ornamentale da un lato e pratico dall’altro , in quanto capace di fornire l’acqua necessaria alle attività del mercato ed eventualmente abbeverare gli animali. Le fontane, che suggeriscono una chiara ispirazione all’arte egizia, mescolata a divers elementi della cultura classica, furono poste una sul lato est e un’altra sul lato ovest della piazza .
Entrambe a forma di obelisco piramidale, decorato da teste di leone, fiori e festoni, appoggiato su un basamento in piperno dove si trova la fontana e da cui partono i sostegni per le quattro sfingi ornamentali che fanno da cornice ai getti d’acqua. Come per la scultura antica del “Corpo di Napoli”, anche in questo caso ci troviamo di fronte a elementi scultorei più volte purtroppo rimaneggiati nel corso del tempo. Anche essa infatti ha dovuto con il tempo munire di nuove teste le otto piccole sfingi decapitate.