Pollena Trocchia oggi è un comune singolo di Napoli che rientra nel Parco Nazionale del Vesuvio ma prima della famosa eruzione del vesuvio del 1631 esso come tale non esisteva in quanto al suo posto vi erano due distinti antichi casali rispettivamente chiamati uno Pollena e l’altro Trocchia .
L’area dove essi ancora sorgono ( anche se fusi insieme ) era un tempo una zona caratterizzata da un clima mite ed un terreno estremamente fertile che si estendeva dal fiume Sebeto fino alla sommità del monte Somma definita “territorium plagiense“,
Il luogo attirò per le sue benefiche caratteristiche fin da tempi antichi l’insediamento di antichi popoli come etruschi , sanniti , oschi che qui dimorarono fino all’acquisizione del Campo Romano da parte dei Romani, che fecero di tutta l’area una bella zona di villeggiatura.
Nel 1631 , una tremenda catastrofica eruzione del Vesuvio vide grandi fiumi di fango bollente provenienti dal Monte Somma colpire i due villaggi seppellendo completamente Trocchia e causando gravissimi danni a Pollena. Da quel momento Trocchia divenne un centro di minore importanza rispetto a Pollena, finché nel 4 maggio 1811 con la riforma urbanistico-amministrativa del re Gioacchino Murat , i due casali confluirono in un comune unico riportante entrambe le denominazioni.
N.B. La riforma in verità unì i due casali in un comune unico insieme a Massa di Somma ( qui il detto proverbiale napoletano: “Massa, Pollena e Trocchia: tre paesi e una sola parrocchia“. ) Solo in epoca fascista Massa di Somma venne poi separata dalle altre due, costituendo un comune a sé stante.
Secondo molte persone locali Il proverbio probabilmente non corrisponde a verità , in quanto i due comuni a partire dalla fine del settecento avevano già le proprie chiese: San Giacome Apostolo a Pollena, costruita nel 1790 e la Santissima Annunziata a Trocchia, della seconda metà dell’Ottocento.
Il nome Pollena deriva dal culto del Dio Apollo a cui era dedicato un importante Tempio presente nell’epoca preromana e romana , mentre invece l’origine del nome di Trocchia deriva dal latino trochlea, che significa carrucola, torchio. Questo ha molta attinenza con la produzione di un famoso vino che si produceva nel villaggio di Trocla ( Lacryma Christi del Vesuvio ) che rese molto rinomato il luogo.. La trochlea infatti , non sarebbe altro che l’attrezzo usato per produrre il vino. Secondo altri invece, Trocchia deriverebbe dall’antico nome latino ‘Introchia’, per cui sarebbe rimasto nel dialetto l’espressione “figlio ‘e ‘Ntrocchia” per indicare persona scaltra ed intraprendente.
Il borgo antico di Trocchia (risalente, in alcuni punti, anche a quattro secoli fa) ha un notevole interesse storico ed urbanistico. Esso in passato era considerato un prestigioso luogo di villeggiatura che attirava molte famiglie nobiliari e facoltose. Ancora oggi , infatti , soprattutto nel borgo antico di Trocchia, vediamo presenti numerosi palazzi e ville nobiliari. Tra essi, si ricordano per il loro stato di conservazione e per la loro importanza, Palazzo Pistolese (già palazzo Capece Minutolo), Villa dei Marchesi Cappelli, Villa Caracciolo-Ruoppolo, Villa Gala-Trinchera e, in particolare, Palazzo Cappabianca. Quest’ultimo era di proprietà di Donna Olimpia Cappabianca in Gala, la quale, non avendo eredi diretti, lasciò in eredità l’abitazione alle Suore di Sant’Anna, affinché si realizzasse un Orfanotrofio. Le suore hanno gestito l’Istituto fino al 1968, quando per mancanza di fondi cedettero il palazzo al Comune.
Il monumento comunque fonte di maggiore attrattiva è la lapide dedicata a Gaetano Donizetti il grande musicista bergamasco, che soleva soggiornare nelle contrade di Trocchia e che, all’ombra di un ulivo secolare (detto da allora Ulivo di Donizetti), pare compose le prime note della celebre opera Lucia di Lammermoor .
Nella parte periferica del comune di Pollena invece in una stretta stradina della zona extraurbana denominata Musci sorge , stretta tra discutibili e nuovi edifici dalla brutta edilizia la masseria detta “La Murata”. . Essa fu acquistata nel 1738 da Achille Bartolomeo Zamparelli, che grazie alla sua amicizia col re borbone Carlo III, riuscì ad acquistare dal Barone Jacuzio non solo l’edificio ma anche il titolo nobiliare di barone di Pollena e Trocchia. Accanto alla masseria si erge una cappella con sacrestia.
La tarda unione dei due borghi , avvenuta come abbiamo visto solo nel 1811, ha portato i napoletani ad ignorare per molti successivi anni la reale esistenza dell’attuale comune . Ancora oggi può capitare di chiedere indicazioni per Pollena Trocchia ad un cittadino napoletano, e ritrovare di fronte a noi espressioni perplesse, se non ilari o addirittura contrariate, di chi si sente preso in giro.
Ancora oggi , infatti , molti napoletani ignorano la sua reale esistenza e pensano che Pollena Trocchia sia sinonimo di paese immaginario . Una sorta di “isola che non c’è”.
Pollena Trocchia invece esiste ed esiste fin da tempi antichissimi come testimoniano numerosi reperti archeologici rinvenuti nel suo sottosuolo . Questi , come molto spesso accade in tutta l’area vesuviana, sono venuti alla luce durante la costruzione di nuovi edifici
Quando la prima volta essi furono ritrovati , durante la costruzione di un Parco per abitazioni civili ( Parco Europa ) non vennero considerati dai costruttori come un importante tesoro per tutta la comunità locale , ma solo uno scomodo intralcio per i proseguimenti dei lavori . Essi dopo aver cercato di distruggere quanto si stava scoprendo (sono ancora visibili in alcuni punti i segni lasciati dalla pala meccanica), furono poi costretti a fermare i lavori per l’intervento della Soprintendenza Archeologica che notificò il sito .
Il funzionario della sovraintendenza in quella prima fase interpretò il sito come i magazzini di una villa rustica romana costruita dopo l’eruzione che distrusse Pompei e poi smantellata in parte in età borbonica per costruire il teatro San Carlo di Napoli .
A tal proposito bisogna dire che mentre si procedeva nel 1749 all’attività di scavo ad Ercolano , nel fare un saggio nella zone di Pollena , furono ritrovate alcune antiche strutture ed alcune monete romane .Deciso quindi di continuare gli scavi , vennero portate alla luce un bellissimo pavimento in parte fatto di mattoni ed in parte fatto in marmo ed un altro fatto con mosaico. L’Alcubierre che allora dirigeva i lavori , in quella circostanza ebbe cura di prelevare non solo i reperti archeologici rinvenuti, ma anche, cosa abbastanza singolare se paragonata al modo di procedere per Ercolano, di smontare anche il paramento in laterizio dei muri. Essi vennero tutti trasportati al palazzo reale di Napoli, per la costruzione del teatro San Carlo ( 36 carichi, che corrispondono secondo i calcoli dello stesso Alcubierre a circa 18000 mattoni ) .
Secondo un calcolo empirico , tale quantità dovrebbe corrispondere a circa 136 metri quadri di parete con doppio rivestimento in laterizio e quindi, immaginando una parete di circa 3×3 m, ad almeno 5 ambienti.
Il sito , nonostante l’importante scoperta archeologica venne poi abbandonato a se stesso e senza alcun controllo da parte delle autorità competenti venne ovviamente nel tempo trasformata in una discarica abusiva di materiale edilizio e rifiuti vari. gestito dalla camorra. . La piccola recinzione provvisoria, posta al centro del sito, venne parzialmente divelta e piantato al suo interno per copertura un albero , mentre al suo interno venne smaltito di tutto .
L’intera area è rimasta in questo stato fino al 2006, quando grazie all’Apolline Project , una preziosa associazione di archeologi che da anni opera nell’intera zone vesuviana , non solo è stato riscoperto il sito, ma si sono anche avviate le necessarie attività di bonifica dell’area e dello scavo archeologico .
L’area interessata allo scavo si è vista trovarsi adiacente ad un vecchio lagno borbonico, ora trasformato in via Vasca Cozzolino che cadeva un tempo , nella proprietà della vicina Masseria De Carolis .
Gli scavi iniziati nel 2007 , hanno finora permesso di identificare almeno 14 ambienti di un grande complesso termale di origine romana . . Questo edificio, costruito sopra le ceneri dell’eruzione che distrusse Pompei nel 79 d.C., è probabilmente databile al II secolo d.C.
Essi quindi non sono assolutamente granai, come si pensava inizialmente ma ambienti termali . Gli archeologi hanno infatti identificato fornaci per riscaldare l’aria e l’acqua di bellissimi ambienti termali. con resti di pavimenti riscaldati .
Si ritiene che tra la fine del IV e gli inizi del V secolo il sito cessò di essere usato , in quanto i i suoi pavimenti vennero rimossi per essete probabilmente riutilizzati altrove. Nel 472 il sito coperto da un’eruzione vesuviana, venne parzialmente distrutto per essere poi di nuovo abitato, come dimostrano alcune strutture trovate ad una quota più alta. L’area venne poi nuovamente e definitivamente sepolta dalle successive eruzioni del 505 e 512 d.C.
L’accesso al sito avviene attraverso una rampa che costeggi gli ambienti di servizio il cui accesso era in antico riservato ai soli schiavi che lavoravano nelle terme. Nel sito è oggi possibile ammirare il prefurnio grande, dove l`acqua che serviva per le terme veniva riscaldata e si produceva l’aria calda che veniva poi immessa nei vari ambienti. e quello più piccolo adiacente ad esso su cui sono visibili li segni inferti dalle ruspe . Alle sue spalle vediamo invece la carbonaia, che doveva funzionare da deposito per il combustibile (probabilmente carbone) utilizzata per alimentare le grandi fornaci del prefurnium.
Possiamo anche ammirare gli ambienti riscaldati ( il calidarium ) , quelli a temperatura più bassa ( il frigidarium, ) , e la sauna ( il laconico ). nonchè i vari vuoti nelle pareti e nei pavimenti, che permettevano il passaggio dell`aria calda che circolava nei vari ambienti.
CURIOSITA’:
Le terme, che ebbero origine nel mondo greco, durante il periodo romano svolgono un`importantissima funzione sociale e culturale. Erano aperte a tutti, a prescindere dal sesso, dall’età e dal rango sociale (gli stessi schiavi potevano usufruirne dopo essersi dedicati alla cura dei loro signori) e tutti vi si recavano, compreso l`imperatore e la sua famiglia. Si presentavano quindi come un vero livellatore sociale. Ad accrescerne la popolarità contribuiva anche la convinzione che fossero ottimo alleato per la salute, erano infatti sovente raccomandate dai medici.
Nel sito sono state inoltre rinvenute tre sepolture e diversi resti umani (di circa 9 individui). Queste sepolture integre sono di bambini. Quella forse più antica appartiene ad un maschietto di circa sei anni, ed è stata ritrovata nel prefurnio piccolo. Vicino ai suoi resti era una moneta dell’imperatore d’Oriente Marciano (450-457 d.C.): questo ci permette di capire che il piccolo dovette essere seppellito in quel periodo o poco dopo. Sul suo corpo sono stati poi trovati resti di vinaccioli e di un maialino, il che fa pensare che fosse stato consumato un pasto in onore del piccolo.
Le altre due sepolture si trovavano invece nel cortile e si crede siano contemporanee a quelle del bambino di sei anni, ovvero appartenenti tutte alla fase di abbandono della villa.
Si tratta in questo caso di due neonati, forse gemelli, seppelliti in anfora. Questo tipo di sepoltura era abbastanza comune in antichità, soprattutto tra le fasce più povere della popolazione. Si riutilizzava infatti un oggetto posseduto, in questo caso un’anfora, che veniva tagliata in due, e richiusa dopo che il corpo era stato adagiato al suo interno.