Nella Napoli antica, nella zona dei decumani, si ergeva sul luogo della chiesa di Santa Maria Maggiore, accanto al campanile della Pietrasanta, il Tempio di Diana che per secoli ha attirato in questa zona i fedeli della dea cacciatrice.
Il campanile fino a qualche tempo fà era considerato maledetto dal demonio perchè di notte i gremiti di un maiale posseduto scuotevano gli animi degli abitanti riempendo la zona di terrore. In realtà si trattava di racconti di leggende lontane, di quando, nonostante da tempo fosse accettata la fede cristiana, il popolo continuava di tanto in tanto a praticare culti al limite con quello pagano e fino a tutto il seicento si continuava a svolgere in questo luogo ogni mese di maggio una grande festa conosciuta come “gioco della Porcella“.
Si trattava di una reminiscenza dei sacrifici di maialini dedicati a Demetra, dea della terra che aveva il suo tempio poco lontano vicino Piazza San Gaetano. D’altronde, durante il Medioevo, era consuetudine uccidere un maialino o una scrofa nella cattedrale principale di una città o paese.
L’edificazione della chiesa di Santa Maria Maggiore fu voluta dal vescovo di Napoli Pomponio con il preciso obiettivo esorcistico di scacciare una volta per tutte il diavolo che si presentava sotto forma di un abominevole porco terrorizzando i passanti di turno.
La cappella Pontano fu invece costruita dove sorgeva un tempietto dedicato al dio Pan.
Ovviamente come per tutti i tempi pagani anche il Tempio di Diana aveva i suoi sacerdoti o meglio le sue sacerdotesse (solo esclusivamente donne) che erano chiamate janare.
A dispetto infatti dell’assonanza con il dio Janus o Giano, il termine Janara sta per seguace di Jana, cioè di Diana, la dea della caccia e della luna.
Per questa sua ultima natura lunare la dea era la protettrice di quelle sacerdotesse, temute e rispettate esperte nella ‘magia del fare‘ che poi perderanno nel tempo l’antico prestigio diventando quelle che noi conosciamo come streghe.
Queste sacerdotesse, riunite in confraternite, erano depositarie di un sapere astronomico e religioso senza tempo e si tramandavano in maniera ereditaria antichi culti e pratiche occulte di magia.
Nel tardo Medioevo si incominciò a designare queste donne come possedute dal diavolo che non mancavano di servire con riti magici. Esse con l’aggravante di aver rifiutato Dio si dedicavano all’esercizio della stregoneria grazie ai loro poteri occulti con l’unico intento di servire il maligno Belzebu’.
Si cominciò quindi a considerarle delle streghe da combattere e da distruggere.
Bisogna subito ricordare che nel mondo antico, le donne anziane erano depositarie dei segreti delle erbe terapeutiche e velenose, che venivano tramandati di generazione in generazione da figure sacrali o sacerdotesse, oppure da contadine analfabete. Donne in grado di distinguere le piante e le erbe necessarie per preparare infusi per calmare i dolori, per curare le malattie dei bambini, o per realizzare incantesimi e fatture contro il malocchio.
La figura femminile era quindi preposta già da tempi antichi alla preparazione di porzioni diciamo ‘magiche’ per l’epoca, a cui spesso si associavano poi la preparazioni di pozioni d’amore, filtri e bevande inebrianti.
Le sacerdotesse di Diana erano anche esperte ostetriche, e praticavano gli aborti attraverso infusi di erbe, come il prezzemolo e il ritrovamento di oggetti simili a raschietti ha fatto supporre l’ipotesi che nell’antichità venisse praticato da queste esperte donne anche l’aborto con raschiamento dell’utero.
Le janare (a questo punto streghe) erano un pò diffuse ovunque in Campania, anche se i maggiori luoghi di ritrovo delle streghe sono stati poi identificati: a Massalubrense nella penisola Sorrentina, dov’è presente una località conosciuta come Prete Janche, cioè Pietre Bianche e la città di Benevento.
Benevento è per antonomasia conosciuta come la città delle Streghe o Janare.
La leggenda delle streghe di Benevento ebbe risonanza amplissima in tutta Europa e, l’albero del “noce stregato”, ipoteticamente situato in una località chiamata Ripa delle Janare, nei pressi del fiume Sabato, divenne il più famoso del mondo.
Tre erano le tipologie di streghe a Benevento: ‘a janara, ‘a zoccolara, e ‘a manolonga.
La storia vuole che queste streghe di Benevento si raccogliessero attorno ad un noce magico, in un rito magico detto Sabba. Prima di avviarsi le streghe si preparavano al sabba cospargendosi il petto con un unguento gelosamente conservato sotto il letto o nel camino, dopodiché uscivano volando sulle proprie scope di saggina, al suono dell’antico adagio: “Sotto l’acqua, sotto ‘u viento, sott’ a noce ‘e Beneviento” . Giunte in una località chiamata Ripa delle Janare, le streghe una volta reso omaggio al capo (assomigliante ad un grosso cane o ad un caprone) si davano poi al rituale.
Ai sabba sotto al noce prendevano parte streghe di diversa provenienza.
Questi consistevano in banchetti, con spiriti e demoni sotto forma di caproni o gatti. Il banchetto veniva consumato intorno a “’na tavola longa longa”, carica di dolci, vini ed altre cose prelibate. Seguiva la danza cui le streghe partecipavano con grida, imprecazioni e fracasso infernali culminanti in vere e proprie orgie. Qualcuno a tal proposito ha avanzato l’ipotesi che il misterioso unguento fosse una sostanza allucinogena.
Dopo le riunioni le streghe seminavano il terrore. Si credeva che causassero aborti, deformità nei neonati, facessero dispetti, facendo trovare le criniere dei cavalli intrecciate. Ancora oggi nei paesini del beneventano circolano voci secondo le quali le streghe rapiscano dalle culle i neonati, per passarseli tra di loro e riportarli infine al loro posto.
Il rituale di carattere erotico-orgiastico ebbe grande diffusione popolare. Fino a quando fu bandito, nel 139 a.C..
In seguito il culto proseguì in forma misterica ed esoterica.
La pianta del noce era considerata “Simbolo di fertilità” (si evince dal termine glans, ghianda, da cui deriva anche la parola “glande”) in quanto gli antichi romani vedevano anche una somiglianza tra i testicoli ed il mallo (il guscio) della noce. Le noci venivano usate per scherzi nuziali: durante il corteo venivano gettate sul marito, oppure (secondo Virgilio) lanciate dallo sposo stesso.
L’albero di noce era anche sacro a Dionisio ed anche nei rituali pagani della celebrazione dei Misteri Dionisiaci, le sacerdotesse del dio, cioè le Menadi, chiamate anche Baccanti, celebravano danze sfrenate ed estatiche attorno ad un albero di noce.
La chiesa locale non poteva però accettare che tutto questo si svolgesse sotto i suoi occhi, e approfittando di una delle periodiche guerre tra Longobardi e Bizantini il vescovo del periodo: San Barbato fece tagliare il Noce di Benevento. Ma lo stesso albero pare che più’ volte sia ricresciuto nonostante più volte tagliato continuando ad essere il luogo preferito dalle streghe per i loro Sabba.
Il rito sembra avere origini similitudini lontane importate dalle dominazioni locali.
In particolare il tutto sembra probabilmente legato al periodo in cui la città di Benevento venne conquistata dai Longobardi.
I longobardi infatti, che celebravano il culto di Wotan, padre degli dei, con un rito orgiastico presso il fiume Sabato, erano usi appendere ad un albero sacro la pelle di un caprone. Successivamente i guerrieri, correndo a cavallo intorno all’albero, gareggiavano per colpire la pelle con le frecce, la quale poi veniva strappata a brandelli e mangiata.
Questi particolari riti celebrati presso il fiume Sabato, sono stati probabilmente all’origine dell’idea dei riti delle streghe.
I Longobardi inoltre adoravano un serpente d’oro (probabilmente legato alla dea Iside, che era dominatrice dei serpenti).
Nonostante che la sua immagine venga spesso confusa con lo stereotipo della strega cattiva, la janara è, in realtà, il simbolo della vita vissuta in armonia con la natura, ossia in sintonia con la madre Terra. Si ritiene che le ultime vestali del tempio di Iside e Diana a Benevento, scacciate dalla città, furono costrette a vivere nei boschi della valle del fiume Sabato, e siano le progenitrici delle janare, le quali conoscevano il ciclo dei pianeti, e i rimedi fito-terapici.
Secoli fa, quando non esistevano ospedali o ambulatori medici, era proprio a loro che si rivolgevano le genti locali per essere curate.
Non si conosceva l’identità delle janare: esse di giorno potevano condurre una esistenza tranquilla senza dare adito a sospetti. Una Janara poteva essere una persona normale, magari anche sposata, in grado di frequentare le messe domenicali.
Di notte, però, dopo essersi cosparse il petto del suo unguento magico, esse avevano la capacità di spiccare il volo a cavallo di una una scopa costruita con saggina essiccata.
Il luogo prediletto per prendere il volo era il Ponte Janara, costruito sopra il Torrente Janara. In fondo al torrente, si trova un grande masso sotto il quale l’acqua che scorre ha creato un piccolo lago. In questo lago si creano inaspettatamente dei gorghi che risucchiano tutto ciò che si trova in acqua. Questo vortice poi scompare improvvisamente, così come è apparso. Il suo nome è “r’ wurv d’ ‘r nfiern“, cioè il “gorgo dell’inferno” e secondo la tradizione esso sarebbe un passaggio attraverso il quale si può discendere agli Inferi, come l’Averno.
Nelle campagne incominciò a diffondersi la paura per le streghe e si cercò di trovare un rimedio utile per allontanarle.
Presso gli usci si ponevano quindi scope o sacchetti con grani di sale, in modo che, se la janara riusciva ad entrare, sarebbe stata costretta a contare i fili della scopa o i granelli di sale, senza poter venire a capo del conto. L’alba sopraggiungeva a scacciarla, poiché non si accorgeva del passare del tempo, impegnata nell’insulsa operazione. Gli oggetti posti a tutela delle porte infatti avevano ed hanno insite virtù magiche: la scopa per il suo valore fallico, oppone il potere maschile e fertile a quello femminile e sterile della janara; i grani di sale sono portatori di vita, poichè un’antica etimologia connette sal (sale) con Salus (la dea della salute).
La persecuzione delle streghe iniziò con le prediche di San Bernardino da Siena, che nel XV sec. predicò pesantemente contro di esse, ed in particolare contro quelle di Benevento. Egli le indicava come causa di sciagure e sosteneva la tesi secondo la quale dovessero essere sterminate. Nel 1486 fu pubblicato il Malleus Maleficiarum, che spiegava come riconoscere le streghe, come processarle ed interrogarle con torture atroci. Proprio attraverso tali torture furono raccolte diverse confessioni, nelle quali si parlava di sabba a Benevento, di voli, e della loro pratica. Dopo avere estorto a queste povere donne la falsa verità di comodo che volevano sentire e la ancora più falsa confessione di pratiche stregonesche e magia nera esse erano poi puntualmente mandate al rogo o al patibolo.