La nostra città era anticamente divisa in quattro quartieri che si distinguevano con i nomi di Termense , di Palatina , di Montana , e di Nilense .  Ciascuna di esse aveva le sue porte , le sue strade ed i suoi tempi ,ed  un certo numero di edifici pubblici e privati e moltissimi vicoli .

La regione Nilense , rivolta a mezzogiorno , prese questa denominazione da una statua giacente del  fiume Nilo eretta da una comunità egizia stabilitasi a Napoli  da tempi remotissimi e solo per tutelare il loro commercio.

La regione si estendeva dall’odierno sito di San Girolamo e  prolungandosi per San Domenico e San Angelo a Nilo giungeva fino al convento di San Severino .In questa regione vi erano due porte : la Licinia , detta anche Ventosa che si trovava nel sito di S. Girolamo ( allora presso il mare ) e la Cumana , vicino al Tempio di Vesta , nel luogo preciso dove oggi si trova l’odierna guglia di San Domenico .

La  regione  Nilense  o Patriziana  si trovava quindi , giusto per intenderci meglio  tral’attuale  mezzocannone e l’antico porto rinvenuto recentemente vicino al maschio angioino durante gli scavi per la nuova stazione della metropolitana .

In questa zona ,abiatata sin da tempi lontanissimi dagli egiziani per ragioni di commercio, esisteva parte dell’antico porto napoletano che penetrando  infatti per un lembo di mare giungeva fino al colle di San Giovanni Maggiore dove secondo la maggior parte dei grandi storici , si ergeva il sepolcro ed il grande Tempio della dea sirena Partenope .

Nell’attuale Basilica sorta sui resti dell’antico Tempio e sepolcro della sirena , si trova  infatti una strana epigrafe risalente al Medioevo recante la scritta . ominigenum rex aitor/scs + ian/partenopem tege fauste . Le due frasi sono separate da una croce iscritta in un cerchio tra le parole SNS e IAN , ovvero a San Gennaro , affinchè protegesse l’antico sepolcro di Partenope ?

CURIOSITA’: Nel sottosuolo della chiesa di San Giovanni Maggiore tra i tanti oggetti che si scoprirono in occasione della sua fondazione , furono anche ritrovati alcuni stanzoni sotterranei adorni di marmo e con bellissimi pavimenti a mosaico in cui era presente  tra l’altro una  statua alata femminile con trecce annodate e vari ruderi di antica struttura greca .

Nella regione Nilense  caratterizzata oggi dalla significativa presenza della statua del Nilo, detta il ” corpo di Napoli “, risiedeva in epoca greco-romana , una colonia alessandrina che crebbe in  numero elevato sopratutto  ai tempi di Nerone , perchè l’imperatore apprezzava molto le loro modulate adulazioni e quindi  fece  in modo da far giungere nel luogo quanti più alessandrini possibili .La gente del luogo non era affatto infastidita, anzi ,  fin dagli albori, i napoletani tendevano ad accogliere usi e costumi di altre popolazioni, soprattutto se questi erano portatori di buona fortuna come gli  alesssandrini .

CURIOSITA’: I primi coloni erano mercanti che si stabilirono in zona con il solo iniziale scopo di vigilare e tutelare sui propri negozi e sul loro commercio, ed una volta insediatisi nel tempo in maniera stabile  portarono ovviamente con loro anche i loro costumi , le proprie abitudini , ma sopratutto le loro divinità , che come vedremo erano ricche di preziosi misteri . 

L’intera zona , che prese la denominazione “Nilense ” da una statua giacente del fiume Nilo , cominciava dall ‘ odierno S. Girolamo e prolungandosi per i quartieri di San Domenico grande , di Sant’Angelo a Nilo e del Salvatore,  giungeva poi fino al convento di San Severino e Sossio e l’attuale chiesa di San Giovanni a Mare .Praticamente come vedrete , tutta la zona che rappresenta buona parte del nostro centro storico e che di conseguenza era anche il tratto della città dove vi erano maggiormante ubicati i templi dedicati alle antichità egiziane .

L’intera zona era anche il luogo  che ogni anno vedeva tenersi la  festa alla sirena Partenope che avveniva con grandi   libgioni e sacrifici di buoi che venivano offerti alla dea . La sua memoria veniva ogno anno onorata con delle corse che avvenivano lugo untratto di strada , chiamato ” corso Lampadico “che iniziava dal Ginnaio in zona Forcella ed attraversando la regione Nilense finiva  al sepolcro della dea sul colle di San Giovanni Maggiore .Si trattava delle famose corse lampadifere che altro non erano che pagani giochi funebri e solenni , celebrati di notte , al chiarore di fiaccole ardenti portate da nudi giovanotti .

La statua in onore del dio Nilo , , un’entità fluviale, quindi figlia dell’oceano ,   venne eretta , nel periodo greco-romano ,  dalla colonia Alessandrina  proprio nello stesso luogo dove attualmente si trova ,  in memoria della loro patria lontana .  La statua , che affettuosamente i napoletani chiamano il ” corpo di Napoli ” si trova infatti  ancora oggi nel piccolo spiazzale  ,denominato   Piazzetta Nilo, che come avrete modo di vedere è situato nel decumano inferiore , lungo  la via Spaccanapoli  . Essa fu  eretta come gia vi abbiamo detto dagli Alessandrini che duemila anni fa si stanziarono con abitazioni e botteghe in questo punto della città denominato Regio Nilensis  e rappresenta oggi la manifestazione visiva dell’anima egiziana che in qualche modo è poi entrata a far parte del patrimonio genetico della nostra città.

Il  monumento raffigura il dio Nilo che giace sdraiato possente e muscoloso, col il viso arricchito da una saggia barba lunga che inbraccia una cornucopia adornata con fiori e varia natura, simbolo della fertilità e dell’abbondanza , il fianco appoggiato su di un sasso ed i piedi su una testa di coccodrillo.L’immagine è poi completata da una sfinge , sulla quale il Dio si appoggia .
La scultura, ha subito nel corso dei millenni varie “peripezie” sparendo per un certo periodo nel XV secolo, perdendo la testa nel XVII secolo (poi ricostruita dagli amministratori dell’epoca); malgrado tutto oggi la statua è ancora lì dove la vollero gli Alessandrini più di duemila anni fa.


La scultura come vedete non riflette  certo il modello iconografico della tradizione egiziana più antica , in base al quale Hapi , il Nilo era raffigurato come un uomo barbuto , con il ventre sporgente e un seno femminile , a simboleggiare il suo ruolo insieme fecondante e fertile .

Nel  nostro caso infatti , la scultura  è una personaificazione del fiume che rientra nei canoni della statuaria ellenistica che pur se allontanandosi dal disegno originario , ne ripropone comunque lo schema simbolico . Non a caso quando fu ritrovata , priva di testa , durante la demolizione di una parte del monastero di Donnaromita ( nel quale era inglobata ) nel XV secolo , si ritenne che inizialmente che fosse una figura femminile , a causa di una certa mollezza del suo corpo e dei giocondi bambini che l’attorniavano . In realtà questi cinque  bambini , che circondavano la statua , avrebbero dovuto invece essere sedici pigmei e simboleggiare solo la massima altezza che le acque del fiume potevano raggiungere  .  La massimo altezza che il fiume al sorgere della Luna Nuova dopo il solstizio d’estate poteva raggiungere  era appunto di 16 cubiti , e rappresentava per il popolo gioia e benessere mentre il minimo era di 5 cubiti ed era presagio di carestia e catastrofi .

L’idea della fertilità nella nostra statua è stata comunque simboleggiata da una ricca cornucopia .

Ma la  principale divinità che gli egiziani di Napoli comunque adorarono non fu la statua del Dio Nilo  , ma la dea Iside , il cui santuario si trovava proprio nella regione nilense , forse proprio nei pressi  del  monumento del Nilo , all’inizio della via Pignatelli , dove il ritrovamento di grossi quadroni di pietra fanno pensare che essi siano le  fondamente del Tempio  ( nelle vicinanze è stata inoltre ritrovata un’epigrafe dedicata ad Iside e al dio  Apollo ) .

Secondo altri invece il Tempio è da ricercare nei sotterranei del palazzo fatto erigere al Largo Corpo di Napoli da Antonio Beccadelli , detto il Panormita , esponente di spicco dell’Umanesimo napoletano , durante il regno di Alfonso V d’Aragona . Il palazzo sorge lateralmente alla statua del Nilo , in un tratto di strada che veniva chiamata ” de bisi ” , dal napoletano “mpsisi ” ( appisi ) perchè vi passavano , provenienti dalle carceri della Vicaria , i condannati all’impiccagione prima di andare al supplizio.

Secondo molti altri invece l’antico Tempio di Iside era preesistente nel luogo dove poi è stata costruita poi la famosa cappella del principe di Sansevero

Il Tempio della Pietà, ossia la Cappella San Severo, infatti per molti è stata proprio edificata probabilmente sull’area sacra di un preesistente luogo di culto dedicato alla dea Iside,  e secondo gli stessi autori essa proprio per questo motivo è  ritenuta ancora oggi , come in tempi antichi  un sito iniziatico pregno di simbologia esoterica.

La stessa statua raffigurante la “Pudicizia” sembrerebbe far riferimento a Iside velata e parrebbe essere collocata nello stesso punto geografico dove in precedenza era disposta la statua della divinità egizia.

La scultura situata nel bel mezzo della cappella de la Pudicizia velata,  fu fatta costruire in onore della madre del principe morta in giovane eta ‘ , all’ eta’ di soli 23 anni ( Cecilia Gaetani dell’ Aquila d ‘Aragona). La statua e’ opera dello scultore veneto Antonio Corradini : Essa rappresenta una bellissima donna con il capo ed il corpo ricoperti da un sottilissimo velo attraverso il quale traspaiono le belle ed eleganti sembianze della giovane .
La statua del Disinganno , invece, posta di fronte alla Pudicizia e’ dedicata al padre ( Antonio de Sangro ) e’ invece opera di Francesco Queirolo e raffigura un uomo nell’ intento di liberarsi da una rete( il padre da uomo di mondo , divenne sacerdote) . Essa vuole significare la redenzione del padre , il quale dopo una vita dissoluta , vuole uscire ” dall’ inganno terreno ” per convertirsi finalmente alla fede .

La dea Iside era in quei tempi una delle divinità più famose in tutto il bacino Mediterraneo e la dea più popolare dell’antico egitto  ed I mercanti egiziani ovviamente   non mancarono di portare  con loro anche  i   misteriosi  riti i molto noti tra gli egiziani . Essi avevano al seguito numeroso devoti e per omaggio ad essi e ad Iside , costruirono in luogo  una statua della dea all’interno  di un tempietto . Il santuario doveva essere  molto  somigliante a quello  di Pompei : esso era costituito  da un cortile , nel quale erano esposti gli ex-voto dedicati alla dea e le are per i sacrifici , e dal Tempio vero e proprio , all’interno del quale erano collocati i simulacri delle divinità . Nel luogo più interno e segreto del Tempio doveva invece essere costruita l’immagine della Dea , che solo i sacerdoti e gli iniziati potevano contemplare .

I riti religiosi che gli egiziani portarono con loro nella nostra città furono diversi ma quelli più famosi furono  certamente quelli dedicati a Iside ma paradossalmente erano anche i più segreti: essi venivano infatti celebrati solo dagli adepti, per lo più Alessandrini, e spesso venivano celebrati di nascosto  ( possiamo certamente sostenere che essi hanno influenzato più di ogni altro culto nel passato la cultura della nostra città  ).

Un rito tanto misterioso incominciò ovviamente ad attrarre la curiosità di tutti e sopratutto dei romani e possiamo con certezza affermare che da  quel momento i riti egiziaci legati ad Iside incominciarono  a diffondersi e proliferare anche a Napoli  e successivamente a Roma .Il suo culto duro’ migliaia di anni e si diffuse sia nel mondo ellenico che in quello romano dove nonostante all’inizio fosse ostacolato, dilagò con gran fervore in tutto l’impero . Qui , il suo culto subi’ comunque una metamorfosi e si trasformo’ in un culto misterico per i legami della Dea con il mondo ultraterreno  . I sacerdoti che gestivano il tempio di Iside erano molto ammirati tra i piu sapienti greci e le loro dottrine ricche di simboli ed enigmi influenzò molto i sapienti maestri greci che presto considerarono l’Egitto come il depositario di tutti i culti e tutte le scienze ,mentre i loro misteri legati al culto divennero presto appannaggio quasi esclusivo di quasi tutte le scuole esoteriche ed iniziatiche.

N.B.  Sorella e sposa di Osiride, il suo nome, Iside, significa antico ed era chiamata anche Maat, che significa Conoscenza o Sapienza.

Iside  , originaria del Delta, era  la grande Dea della maternità e della fertilità e ha rappresentato per secoli la forza di una donna che ama e che soffre per tale amore , combatte e vince la morte per riportare il suo amato alla vita, e può pertanto con altrettanta facilità abolire la morte per i suoi seguaci pieni di fede . La sua devozione al marito  Osiride fu tale che lei potè salvarlo dalla morte per ben due volte, ricomponendone i pezzi e restituendogli la vita. Essa ha quindi rappresentato per secoli la compagna ideale , l’anima gemella per eccellenza . Ella Insegno’ alle donne  come convivere con gli uomini istituendo il matrimonio e In Egitto proteggeva le madri dei bambini ammalati

La Dea insieme ad Osiride , diede luogo ad una vera e propria religione a sfondo misterico riservata a pochi eletti e fu la base su cui molti alchimisti basarono la loro ricerca dell’immortalità e  la capacità di sopravvivere dopo la morte . I riti e le cerimonie della religione di Iside e Osiride avevano un carattere pubblico e popolare , ma la conoscenza dei suoi misteri era riservata agli iniziati , e questi erano vincolati da un severo impegno al segreto . Ancora oggi , a distanza di tanti anni , non abbiamo ancora ben chiaro in cosa esattamente consistessero questi misteri . Essi sono infatti restati tali , porporio grazie al segreto che gli iniziati in maniera rigida conservavano . L’impegno che vincolava gli iniziati al segreto è infatti l’unica ragione per cui non ha consentito ai numerosi storici che hanno approcciato il problema di giungere a delle descrizioni esaurienti di questi misteri .

CURIOSITA’ : I misteri di Iside , più ampiamente diffusi , costituivano i cosidetti ” piccoli misteri ” , mentre quelli di Osiride , riservati ad una cerchia più ristretta di iniziati , erano considerati ” i grandi misteri ”

Nei rituali pubblici celebrati in suo onore, nella festa della fertilità, e nel mese di Hathor, (novembre) erano portati in processione un fallo, rappresentante Osiride, e un vaso pieno di acqua che lo precedeva.

La coppa e il fallo sono gli eterni simboli della generazione che ricorrono sempre. Li troviamo nei riti primitivi – la torcia, che è chiamata l’uomo, e la coppa in cui penetra, che è detta la donna. Il foro nella terra al centro dell’accampamento in cui ogni soldato romano gettava la sua lancia; il calice del santo graal, nel quale era conficcata una lancia che faceva gocciolare eternamente sangue, la sacra fonte battesimale fertilizzata dall’immersione della candela accesa.

A Napoli  il culto domestico di Iside , era fortemente presente ed ha lasciato nei secoli un segno tangibile nella cultura napoletana. Lo si può riconoscere nel ferro di cavallo che spesso accompagna il corno per i riti scaramantici. Il ferro di cavallo, infatti, non è altro che l’icona delle corna di Iside e dell’immagine arcaica che indica il ventre materno e la mezza luna, che sono i simboli della fertilità della donna.

 

A Napoli  il culto domestico di Iside , era fortemente presente . Essa era  venerata come ‘ la mamma ‘ per eccellenza . La dea che allatta un bambino in una posa simile a quella della Madonna della Seggiola di Raffaello, che appare in sogno e ascolta le preghiere dei fedeli e che ha a che fare con un mito che parla di resurrezione.
Le testimonianze del culto domestico della Dea presenti in Campania sono innumerevoli al punto che possiamo considerare la Campania , la regione prima in Italia con un numero di templi dedito alla Dea . « Centri come Benevento vantavano qualcosa come quattro templi a Iside chiamati Isei .

La più’ grande testimonianza giunta a noi della diffusione nel mondo romano del culto egizio della dea Iside e’ comunque senza dubbio rappresentato dal tempio di Iside a Pompei eretto tra la fine del II e l’inizio del I secolo a.c.
Assai danneggiato dal terremoto, il tempio fu ricostruito dopo il 62 a.c., ed è stato rinvenuto in ottimo stato di conservazione, adorno di stucchi, statue e dipinti, e con tutta la suppellettile per il culto ancora al suo posto.
Numerosi affreschi provenienti dal tempio di Iside sono conservati presso il Museo archeologico nazionale di Napoli, dove è anche esposto un plastico che ricostruisce l’originale struttura del tempio.
Altro poco conosciuto Tempio di Iside si trova a Marechiaro . La Chiesa di Santa Maria del Faro, fu infatti costruita a Marechiaro sulle rovine di un precedente tempietto della Dea Iside, denominata poi Dea Fortuna. La famiglia Mazza nel 1600 aveva collocato una grande lapide nella nicchia di un’antica rovina romana sotto la chiesa, in riva al mare, con l’attestazione della presenza in quel luogo di un antico tempietto dedicato alla Dea Iside – Fortuna; purtroppo la preziosa iscrizione venne frantumata e dispersa come diabolica. Tuttavia possiamo ritrovarla nell’opuscolo del Guiscardi (Napoli, 1906).

Curiosita’: È’ da notare inoltre che in città esistono due chiese dedicate ad una monaca ed eremita  egiziana nata ad Alessandria d’Egitto nel 344 , venerata come santa dalla Chiesa cattolica :  le chiese dedicate a Santa Maria Egiziaca, si trovano una sulla collina di Pizzofalcone, ( una delle chiese basilicali della città) e l’altra  monumentale e barocca nella zona di  Forcella .

Inoltre varie pratiche pagane che ricordavano quelle egiziane venivano praticate in molti luoghi della città’ , uno su tutti “il Cimitero delle Fontanelle”, una necropoli pagana dove veniva usato un sistema di inumazione che ricorda quello della mummificazione: fino al 1700 le inumazioni erano fatte in nicchie a forma di sedia in cui il cadavere veniva deposto seduto, “in posizione faraonica”.

Questo culto delle divinità egizie , quando nel corso dei secoli la chiesa cattolica prese il sopravvento sulle altre diffuse religioni , miti o credenze ,  non erano ben accette dalla religione ufficiale , ed  insieme ad altri culti paralleli  ( come il Dio Mitra ) dovevano necessariamente sparire e proprio per questo la statua del Dio Nilo ricca di fogli di carta che chiedevano grazie alla divinità, monete , capelli e qualsiasi cosa pur di convincere il Dio Nilo ad aiutare quella gente bisognosa , fu decapitata e spodestata e perduta per secoli. Finché nel Medioevo non fu ritrovata ma mancante, oltre che della testa, anche di vari altri pezzi tra cui le teste del coccodrillo e della Sfinge solo da poco ritrovati.

N.B. : Il povero filosofo Giordano Bruno,che studio’ e prese i voti nel convento di San Domenico , ricordiamo che fu condannato a morte per eresia dalla Chiesa perché, tra l’altro, sosteneva che la religione cristiana fosse diretta emanazione di quella egizia. Bruno inoltre affermava che la religione magica egiziana fosse l’unica vera religione .

Nel XVII, per amore del Neoclassico, furono  per fortuna eseguiti numerosi restauri alla statua  che hanno portato alla ricostruzione della statua  come la vedete  oggi.
Esa nel 1667 la statua fu posta su quello che viene chiamato “sedile” di marmo, recante una scritta in latino che in grandi linee racconta le vicissitudini vissute da questo pezzo importante di storia e cultura partenopea.

CURIOSITA’: La statua ha subito di recente un ‘ importante restauro con il ripristino definitivo della piccola testa di sfinge marmorea , trafugata oltre 50 anni fa e recuperata lo scorso dicembre in Austria.

La regione Nilense con il suo alone di mistero legato al culto egizio, attirò in essa nel diciottesimo  famosi esponenti  della tradizione alchemico – ermetica riconducibile ai culti egizi , come   Giuseppe Balsamo , conte di Cagliostro , fondatore in Francia di una massoneria di Rito Egizio che abito’ a Napoli per qualche anno intorno al 1773 , portando con se teorie iniziatiche che si ispiravano tutte all’antico Egitto .

In verità pare che il Cagliostro per qualche strano motivo fosse non solo venuto in possesso del famoso Codice Egizio , dettato millenni anni fa ed applicato nei templi egizi , ma addirittura fosse  riuscito a  a decifrarlo nei suoi messaggi occulti ,in maniera da renderlo almeno comprensibile per gli addetti ai lavori . Nella sua scrittura , nelle sue figure e nei suoi caratteri  il codice , attraverso la fugura di Caglisotro dettò misteriosi segreti concetti alchemici del tempo   lasciando ai futuri iniziatici i messaggi occultati nella pietra, nelle note musicali, nell’arte e nella scrittura di testi letterari.

Cagliostro, dichiarando che la sua arte sia da attribuirsi all’influenza proveniente dagli insegnamenti di un filosofo napoletano, lasciò fortemente  intendere che la sua evoluzione esoterica era senz’altro  riconducibile alla tradizione partenopea, ai culti egizi e al triangolo magico napoletano trasmessogli da un grande  ermetista, alchimista e studioso di esoterismo egizio.

Il personaggio in questione non poteva essere altri che il famoso Principe di Sansevero reputato, da molti studiosi, il punto nodale cui giunge l’Arcano Sapere, in altre parole, la Sapienza Iniziatica generata dall’Antica Tradizione. Secondo tali specialisti, utilizzando questa Sapienza con una consistente purezza di cuore e di pensiero, il Principe sembrerebbe riuscito ad avvicinarsi alla “Grande Opera Alchemica”.

La ” conoscenza ” iniziatica della forza energetica e l’importanza dei triangoli energetici ebbe quindi tra i pricipali protagonisti oltre che il grande alchimista e studioso di esoterismo egizio Sansevero anche il  conte Cagliostro . Essi capirono l’importanza del santuario energetico ed i nodi di forza che collegavano i vari punti dando luogo a  fantastici flussi di energia che caratterizzavano alcuni punti della nostra città .  Loro in particolare cercarono più di ogni altro alchimista del tempo , di sfruttare al massimo l’energia  in cui la Terra, assieme all’acqua, sarebbe un centro energetico ricco di potenza nonché sacro e certamente capirono prima di ogni altro  alchimisti del loro tempo che nei triangoli napoletani aleggiavano strane forze e che essi rappresentavano dei “luoghi di potere ”  in cui un essere umano attraverso determinati riti può manifestare capacità extrasensoriali, diventando talmente sensibile da poter giungere in diretto contatto con il trascendente .

La regione Nilens , fu un luogo volutamente scelto dai sacerdoti che si dedicavano ai rituali dedicati ad Oside nella nostra città . Esso fu scelto sopratutto per la presenza del Taglina , un piccolo fiume che scorreva un tempo  in questo luogo e  convogliava acqua nella Vasca Sacra del Tempio , attraverso la quale si poteva poi dar seguito alle abluzioni che precedevano i riti sacri.

Il Taglina , secondo i sacerdoti , non era un semplice corso di acqua . Essi , infatti , si resero subito conto che il fiumicello era  un catalizzatore di energie ed un luogo di forze e per tale motivo decisero che l’altare per i sacrifici fatti in onore di Iside , fosse eretto proprio sulle sue sponde .

I sacerdoti , in epoca romana,  affascinati dai misteri del cielo e insieme devoti agli dei dell’Olimpo,  collaboravano molto con esperti architetti per conoscere i maggiori punti di convergenza delle energie cosmiche e sappiamo anche con certezza che nel corso dei secoli , il luogo da loro cercato nella nostra città si è sempre più affermato trovarsi  in una particoalre  area triangolare i cui vertici erano e sono tutt’ora la chiesa di San Domenico Maggiore , la statua del Nilo e la famosa cappella di Sansevero.

Questi tre punti formano un triangolo dentro il quale aleggiano strane forze. Molti storici sudiosi  lo hanno definito come un  ” luogo di potere ” in cui un essere umano attraverso determinati riti può manifestare capacità extrasensoriali, diventando talmente sensibile da poter giungere in diretto contatto con il trascendente . L’area infatti , circoscritta dal congiungimento di questi tre vertici del centro antico di Napoli, oltre a celare meravigliosi gioielli del patrimonio artistico cittadino, pare sia anche  caratterizzata da misteriosi avvenimenti che sembrano scaturiscano proprio dal flusso di forze energetiche che percorrono il luogo.

Il triangolo dove è completamente contenuta la regione Nilens , sarebbe  determinante nel mondo , per alcuni studiosi , per la sopravvivenza della terra stessa in quanto creerebbero con la loro energia dei luoghi di forza  in cui la Terra, assieme all’acqua,  abbia dei pilastri  energetici sacri e ricchi  di potenza  capaci di dare stabilità ed equilibrio al mondo intero .

Un ” Luoghi di forza” della terra quindi , dove si sommano, più che in altre zone delle componenti magnetiche naturali, dovute alla composizione delle rocce o del terreno che permettono l’avverarsi di alcuni fenomeni particolari normalmente attribuiti alla volontà divina. Un luogo di forze ed energie , come vedremo , spesso utilizzata nel passato per fini materiali dalla comunità egizia, che qui è rimasta grazie ad un arcano lascito della tradizione iniziatica e sapienziale, imperniata sulla spiritualità egizio – alessandrina.

Gli  antichi sapienti sacerdoti sapevano riconoscere dal colore della vegetazione, o dalla assoluta mancanza della stessa, dalla diversa disposizione delle pietre, quei particolari ” luoghi delle forze” sui quali si sarebbe potuto operare per ottenere il fenomeno magico” e dopo accurati studi  innalzarono questa zona geografica ad una potente area di forza e di potere dove potersi dedicare al culto di Iside e praticare le loro  scienze esoteriche egizie .

La fusione dei loro misteri e credenze con la spiritualità del luogo portò alla formazione di una tradizione esoterica di tipo egizio-italica che, grazie all’opera di circoli iniziatici segreti, si sarebbe poi tramandata dall’epoca romana sino ai giorni nostri.

In seguito infatti diversi studiosi di esoterismo ritenendo   quest’area, un vero e proprio “centro cosmico” atto a legare il cielo alla terra e capace quindi di  custodire arcani fenomeni ,come un “luogo eccelso” capace di sprigionare vibrazioni cosmiche e magnetiche.

Un ” triangolo magico napoletano “delimitata da  tre poli energetici, definibili come condensatori ricchi di energia vitale che grazie alla particolare morfologia terrestre, le sue rocce , la diversa disposizione delle pietre ,il diverso colore della vegetazione oppure l’assoluta mancanza della stessa ,  il sotteraneo  magico fiume Taglina , rappresenterebbe  un luogo nel cui interno , grazie ad antichi riti  ,sarebbero custoditi   molti dei simboli massonici legati agli antichi egizi ed preziose “cosmiche  forze energetiche ” attraverso le quali , in passato  si sarebbe potuto operare per ottenere  l’avverarsi di alcuni fenomeni particolari normalmente attribuiti alla volontà divina, e definiti per alcuni “magici ”

I tre vertici del triangolo ,  un tempo collegati tra loro mediante misteriosi cunicoli sotterranei, testimoniano gli studi oltre che il transito spirituale e fisico di personaggi metastorici dal grande spessore esoterico. Il trait d’union che li congiunge è rappresentato da una sorta di consistente ed ermetico codice egizio. Diversi esperti di scienza ermetica, quali  Giordano Bruno , il Conte di Cagliostro , Tommaso Campanella , Luigi D’Aquino dei Caramanico, Giovanbattista della Porta, Tommaso d’Aquino , il Principe di San Severo e tanti altri , hanno certamente percorso chissa quante volte quei stretti cunicoli sotteranei alla ricerca di approfondimenti, percezioni, intuizioni, occulti esperimenti e  rituali particolari nel tentativo di  pervenire al sovrannaturale, e  ascendere quindi verso l’infinito.

La sua grata di accesso ( Camera Caritatis ) , considerato il luogo di massima caduta di energia , a questi cunicoli sotterranei ,  si trova sotto il monumento dell’obelisco di San Domenico . La grata , che si trova dislocata  alle spalle e all’esterno dell guglia di San Domenico ,era il posto dove nel lontano 700 , attraverso i corridoi sotterranei ,  gli altri adepti  massonici raggiungevano il luogo segreto ed eseguivano i propri riti

Particolarmente poi studiato da  Giordano Bruno, Il Principe Raimondo e il Conte di Cagliostro ,  esisterebbe, secondo questa pratica, una  sorta di santuario energetico   fatto di messaggi occultati nella pietra, nelle note musicali, nell’arte e nella scrittura di testi letterari che porterebbero alla vera conoscenza .

Questo santuario energetico , rappresenta un luogo ricco di potenza dove  grazie al confluire di energia  viva , avvengono normalmente strani fenomeni paranormali .

Curiosita’: A proposito delle pietre e della sua sua diversa disposizione , nella nostra città , a partire dal 500 ,  la pavimentazione delle  strade cittadine e delle stesse piazze venne realizzata  con delle caratteristiche pietre laviche che hanno la forma di  piccoli blocchetti  cubici ,  detti ” Basoli ” o ” Sanpietrini ” , ma che i napoletani chiamano anche con il termine più colorito di ” cazzimbocchi “.Essi , di colorito nero , secondo un simbolismo alchemico potrebbero svolgere un importante ruolo nel triangolo magico .

Gli antichi alchimisti hanno da sempre affermato che la loro preziosa materia primitiva , di aspetto umile e oscuro  , si trovava sotto gli occhi di tutti , anche se nessuno la vedeva  , che poteva  essere comprata a poco prezzo e che veniva  ” calpestata con i piedi ” .

I nostri Sanpietrini , utilizzati nel tempo per lastricare le nostre strade potrebbero quindi tranquillamente essere identificati per la forma ed il colore se ci fate caso ,  proprio con questa materia prima e quindi svolgere un importante ruolo esoterico nei nostri due grandi triangoli magici presenti in citta .

Essa era probabilmente  la pietra base che con il suo aspetto nero,  attraverso sofisticati procedimenti alchemici , poteva dar luogo al luminoso oro della famosa pietra filosofale .

L’associazione della preziosa pietra con il nome sanpietrino è solo dovuto al aftto che  San Pietro ha gettato le basi per la chiesa cristiana e il suo nome è associata a questa pietra perché anche essa rappresenta la base di un qualcosa poi divenuto estremamente grande .
Lo stesso potenziale quindi della piccola pietra nera che attraverso determinati sofisticati procedimenti alchemici , poteva dar luogo a qualcosa di estremamente grande come la famosa pietra filosofale .

 

 

I misteri legati alla dea Iside restano  come vedete  sono i più importanti  segreti di Neapolis. La dea era identificata con la luna, quindi solo conoscendo la forza trascinante dei riti lunari praticati per lungo tempo dalla comunità di alessandrini presente a Napoli in epoca romana – rituali notturni legati al nascere e al tramontare della luna – si può capire il grande amore dei napoletani per la luna e la notte.

 

 

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Nella regione Nilense , pressi il Tempio di Partenope sul colle di San Giovanni Maggiore , presso il mare , si ergeva un tempo anche un altro Tempio pagano dedicato da Adriano ad Antinoo, il giovane e bellissimo amante dell’Imperatore Adriano morto annegato durante una crociera sul Nilo.     L’imperatore , che amava con eccessivo trasporto il giovane Antinoo, dopo averne lungamente pianto la perdita , fece innalzare in sua memoria numerosi templi in vari luoghi dell’ Impero e destinò al suo culto numerosi sacerdoti .Il Tempio di Napoli era uno dei piu belli per magnificenza .

CURIOSITA’:  Sulla tragica morte di Antinoo, annegato nelle acque del Nilo a soli diciannove anni e sulle cause che hanno portato al  tragico evento, ancora oggi, a distanza di tanti anni sono aperte tutte le possibilità: incidente, omicidio o addirittura sacrificio volontario.
Sappiamo con certezza solo che il  ” suicidio-sacrificio ” di Antinoo sconvolgerà in seguito  la mente dell’imperatore Adriano.  A sublimazione del suo grande dolore egli fece un Dio del suo divino amante. Per prima cosa cambiò il nome della città di Besa (dove era morto Antinoo) in quello di Antinopoli e la ingrandì con numerosi edifici, vi eresse un tempio e vi istituì un culto.
In tutto l’Impero si dedicarono templi e statue ad  Antinoo e nella sua bellissima villa di Tivoli, dove sono state rinvenute decine di statue, busti, e simulacri di Antinoo; creò un vero e proprio santuario dedicato al giovane amante.

Il culto e la divinità di Antinoo si estinse poi in seguito alla morte  di Adriano .

Bisogna inoltre ricordare che nel luogo dove oggi si trova il palazzo Casacalenda , esisteva prima al suo posto la chiesa di Santa Maria alla rotonda sorta sul peesistente Tempio di Vesta . Il sontuoso edificio , come solitamente era solito fare per i templi dedicati a questa Dea , per rappresentare l’universo , aveva una forma rotonda ed era decorato con marmi molto preziosi e ricercati , preziose sculture ed eleganti colonne ricche di pregevoli iscrizioni .

Negli scavi che si operarono successivamente in questo luogo per la costruzione del palazzo , furono rinvenuti a diverse profondità molti antiche reperti archeologici tra cui una bella statua della Dea Vesta con la benda , un gran fonte antico di marmo per l’acqua lustrale , un tripode ed altri oggetti di culto della Dea .

Vesta era la dea del focolare, o più precisamente, del fuoco che arde su un focolare rotondo. Essa forse è la meno nota fra le divinità dell’Olimpo e  fu raramente rappresentata da pittori e scultori con sembianze umane, ma era comunque  tenuta in grande onore e a Lei venivano destinate le offerte migliori che i mortali presentavano agli dèi.   La sua presenza si avvertiva nella fiamma viva, posta al centro della casa, del tempio e della città. Il suo simbolo  era un cerchio e poichè  I suoi primi focolari erano rotondi anche  i suoi templi ebbero la stessa forma . Il sacro fuoco di Estia ardeva sul focolare domestico e nei templi. La dea e il fuoco erano una sola cosa e univano le famiglie l’una all’ altra, le città-stato alle colonie. Estia era l’anello di congiunzione spirituale fra tutti loro.

Il focolare di Estia, di forma circolare, con il fuoco sacro al centro, ha là stessa forma del mandala, un’immagine usata nella meditazione come simbolo di completezza e di totalità. Un punto centrale  della nostra personalità quindi al quale tutto è correlato e rappresenti  un importante fonte di energia per diventare ciò che vogliamo ed assumere poi , in relazione al mondo esterno la  forma caratteristica della propria natura.

Una forma interna di amore e luce che ci da una forte sicurezza  di essere ( del  Sé  ) che metaforicamente, in questo caso , scaldate e illuminate da un fuoco spirituale,  scaldano anche  coloro che amiamo e con cui condividiamo il focolare e ci tiene in contatto con chi è lontano.

Estia rappresentava  l’archetipo della famiglia ed  il punto fermo che dava  senso  a qualsiasi attività.  Il  punto di riferimento che  ognuno  nella consueta agitazione della vita quotidiana  sapeva di avere  ben saldo  in mezzo al caos del mondo esterno .  Quando Estia era  presente nella personalità di una donna, la sua vita per gli antichi greci acquistava un senso.

Estia, in quanto dea del focolare, era  l’archetipo attivo nelle donne che consideravano le occupazioni domestiche un’ attività significativa e non semplicemente ‘le faccende di casa’. Con Estia, la cura simbolica del focolare  ed il prodigarsi dell’attendere alle cure domestiche , da parte di una donna , non era un ruolo sminuente la figura femminile ma al contrario la sua esaltazione , in quanto il principale artefice con  lo svolgere le proprie mansioni quotidiane casalinghe ,di quella che era l’unione familiare . Il vero ed indiscusso anello sulla cui presenza ruotava la famiglia . Il perno importante che  con la sua saggezza era capace di tenere unitia una intera famiglia . L’immagine di una donna che senza fretta , smistava e ripiegava la biancheria, rigovernava i piatti e metteva in ordine la casa , al contrario di oggi ,  era nell’antica grecia prima e presso gli antichi  romani poi , l’agognato luogo con il suo focolare dove ogni soldato reduce da una battaglia desiderava tornare. Era il luogo dove la dea  Estia era  presente.

La donna che si occupava della casa , associata alla figura di Estia , era ben felice di svolgere questo ruolo  e non le pesava perchè consapevole della sua importanza sociale , anzi la faceva sentire  socialmente importante e la rendeva sicura di se.

 

Prendersi cura della casa e del focolare domestico equivale per la donna a prendersi cura della propria famiglia e questo la faceva sentire bene ed importante in società . Con un ruolo sociale importante essa si sentiva realizzata e sicura di se.

Ad essa come alla  dea Estia andavano infatti i più alti onori. Quando per qualsiasi motivo i valori femminili legati al suo archetipo venivano  dimenticati e disonorati, l’importanza  della famiglia come santuario e sorgente di calore, diminuiva  o andava perduta.

Estia con i valori che essa rappresentava  ha perso nel tempo valore ed è stata dimenticata. I suoi simbolici fuochi sacri non vengono oggi  più custoditi e ciò che rappresentava non è più onorato. Quando i valori femminili legati al suo archetipo vengono come spesso oggi accade dimenticati , rifiutati o  disonorati, l’importanza  della famiglia come santuario e sorgente di calore, diminuisce o va perduta ed accade poi  contemporaneamente  che scompare anche il seguente senso di  legame con gli altri  abitanti di una città, di un paese o della terra,  che avevano , almeno tanto tempo fa , il bisogno di sentirsi uniti da un vincolo spirituale comune.

L’importanza di Estia  presso i Greci era connessa col legame profondo che univa tutte le stirpi di una stessa nazione: quelli che andavano a colonizzare terre straniere, come simbolo del legame che mantenevano vivo con la madrepatria, portavano con sé il fuoco dell’altare pubblico eretto in onore della dea.

Presso i Romani fu molto venerata .  La divinità corrispondente a Estìa era Vesta e ad essa  andavano dedicati i i più alti onori.

  

Ovviamente anche a Roma  Vesta era la dea protettrice e  custode del focolare domestico, della pace e della prosperità .Anche qui il suo fuoco sacro univa tutti i cittadini in un’unica famiglia. Essa  era venerata dalle singole famiglie, ma a Roma ebbe grande importanza anche  un suo culto pubblico che aveva  luogo presso il focolare dello Stato, nella rotonda “aedes Vestae” (tempio di Vesta) del Foro, dove la Dea era venerata come “Vesta publica populi Romani” . Il tempio fatto costruire nel  Foro romano , dal re Numa Pompilio  era una piccola costruzione a pianta circolare e su di esso vegliavano le vregini sacerdotesse Vestali.  Le  solenni rituali cerimonie che in esso si svolgevano erano molto antiche e duravano dal 7 al 15 giugno, culminando nel giorno 9 ((Vestalia sacra) . Esse  consolidavano  il particolare legame fra la rassicurante divinità e la popolazione.

Come patrona del focolare dello Stato, Vesta era invocata in caso di pubbliche calamità e si attribuiva grande efficacia alle preghiere delle vestali.

CURIOSITA’: Augusto, nel 12 a.C., a seguito della sua nomina a Pontefice Massimo, fondò presso la sua abitazione, sul Palatino, un nuovo tempio di Vesta.

Il tempio principale della dea era una piccola costruzione a pianta circolare fatto costruire nel  Foro romano , dal re Numa Pompilio e le  solenne
festività  di Vesta (Vestalia sacra), che  si celebravano  il 9 giugno consolidavano  il particolare legame fra la rassicurante divinità e la popolazione.

Le Sacerdotesse di Vesta erano le  Vestali , che godevano di grandissimo prestigio in quanto incarnavano la verginità e l’anonimato della Dea ed  In un certo senso, ne erano la rappresentazione umana, la sua  immagine vivente, al di là di ogni raffigurazione scolpita o pittorica.

Le fanciulle scelte come vestali venivano portate al tempio in età molto giovane, per lo più quando non avevano ancora sei anni. In origine due, divennero quattro e infine sei o sette. Esse venivano tutte scelte dal Pontefice Massimo all’interno di un gruppo di 20 bambine di età compresa fra i 6 e i 10 anni appartenenti a famiglie patrizie .  Tutte vestite allo stesso modo, con i capelli rasati come neo iniziate, qualunque cosa le rendesse distinguibili e riconoscibili veniva eliminata. Vivevano isolate dagli altri, ed erano onorate e tenute a vivere come Estia ma in compenso godevano di onori e privilegi ignoti alle comuni donne romane: erano le uniche che potevano fare testamento, potevano testimoniare senza giuramento e avevano il diritto di chiedere la grazia per il condannato, a patto che quest’ultimo non fosse un loro conoscente.

Il loro  compito principale  era di mantenere sempre acceso il fuoco sacro a Vesta nel tempio circolare: il suo estinguersi era considerato un segno di sventura e colei che si fosse resa colpevole di tale negligenza sarebbe stata gavemente punita.

Le Vestali avevano l’obbligo rigoroso di vivere in castità durante il tempo del loro sacerdozio che durava trent’anni: dieci per la preparazione, dieci per l’esercizio del ministero e dieci, infine, per la formazione delle nuove giovani. Trascorso questo periodo potevano rientrare in famiglia e anche  sposarsi.

A loro veniva imposto di conservare la verginità per tutto il periodo del loro sacerdozio e se malauguratamente durante tale periodo  venivano meno alla verginità le conseguenze erano atroci. I rapporti sessuali della vestale con un uomo profanavano la dea, e come punizione la vestale veniva sepolta viva in una piccola stanza sotterranea, priva di aria, con una lucerna, olio, cibo e un posto per dormire. La terra soprastante veniva poi livellata come se sotto non ci fosse niente. In tal modo la vita della vestale (personificazione della fiamma sacra di Estia) che cessava di impersonare la dea veniva spenta, gettandovi sopra la terra, come si fa per spegnere la brace ancora ardente nel focolare.

CURIOSITA’ :   Nel periodo repubblicano le vestali facevano parte del collegio dei pontefici. Il Pontefice esercitava una forma di “patria potestas”, nella quale non interferivano di regola né il popolo né i magistrati. Il loro compito più importante era quello di non far spegnere il fuoco sacro della città. Nel caso questo si fosse estinto o la vestale avesse perso la verginità, quest’ultima poteva essere fatta seppellire viva dal pontefice. Il collegio delle vestali sopravvisse insieme al culto di Vesta fino alla fine del paganesimo.

Estia fiorisce nelle comunità religiose, specialmente là dove si coltiva il silenzio.
Gli ordini contemplativi cattolici e le religioni orientali la cui pratica spirituale si basa sulla meditazione fornivano  un buon ambiente per le donne Estia.
Le vestali e le suore avevano  in comune questo modello archetipico. Le giovani donne che entravano  in convento rinunciavano alla precedente identità. Il loro primo nome viene cambiato e il cognome non viene più usato. Vestivano come già detto  tutte allo stesso modo,  si sforzavano di praticare l’altruismo, vivevano  una vita di castità e  dedicavano quella vita al servizio religioso.  Entrambe le discipline mettono in primo piano la preghiera o la meditazione.

A differenza delle altre divinità, Estia non era quindi come vedete per gli antichi greci nota per i miti e le rappresentazioni che la riguardavano: la sua importanza stava nei rituali simbolizzati dal fuoco. Nessuna  abitazione né tempio in epoca greca erano consacrati fino a che non vi aveva fatto ingresso Estia, che, con la sua presenza, rendeva sacro ogni edificio. Era una presenza avvertita a livello spirituale come fuoco sacro che forniva illuminazione, tepore e calore.

Perché una casa diventasse un focolare, era necessaria la sua presenza. Quando una coppia si sposava, la madre della sposa accendeva una torcia sul proprio focolare domestico e la portava agli sposi, nella nuova casa, perché accendessero il loro primo focolare. Questo atto consacrava la nuova dimora.
Dopo la nascita di un figlio, aveva luogo un secondo rituale estiano. Quando il neonato aveva cinque giorni, veniva fatto girare intorno al focolare, come simbolo della sua ammissione nella famiglia.
Allo stesso modo, ogni città-stato greca, nell’ edificio principale, aveva un focolare comune dove ardeva un fuoco sacro. E in Ogni nuova comunità che veniva fondata si portava il fuoco sacro dalla città di origine per accenderlo nella nuova.
Così, ogni volta che una coppia o una comunità si accingevano a fondare una nuova sede, Estia li seguiva come fuoco sacro, collegando la vecchia residenza con la nuova, forse come simbolo di continuità e di interdipendenza, di coscienza condivisa e d’identità comune.

 

 

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