Uno dei  pezzi forti della collezione Farnese esposto presso il nostro Museo Archeologico Nazionale ( MANN ) è la  gigantesca statua in marmo del III sec. d.C. di Ercole in riposo alta 313 cm eseguita dallo scultore ateniese Glicone.

 

Essa fu ritrovata nel 1546,, durante i nuovo scavi scavi avvenuti nel tepidarium delle Terme di Caracalla a Roma, che Paolo III Farnese aveva avviato con l’intento di recuperare materiali per arricchire la nascente Collezione, posta all’interno del suo palazzo.

La statua , come si legge sulla roccia in basso a destra, è la copia dell’originale in bronzo di Lisippo del IV secolo d.C. e raffigura Ercole, eroe greco, in riposo dopo l’ultima fatica nel giardino delle Esperidi.

N.B.. Il capolavoro originale dell’artista di Sicione Lisippo all’epoca provocò imitazioni e copie in tutto il mondo ellenisti-co e romano e ancora oggi ne sopravvivono più di 80. Lisippo, figlio di Lisippo , era originario di Sicione. Plinio pone  la sua maturità artistica (in greco, acmé), nel 328-325 a.C., certamente in coincidenza con Alessandro Magno, di cui Lisippo fu l’artista prediletto e il ritrattista favorito. Autodidatta egli all’epoca con la sua modalità di fare scovolse e rinnovò completamente  arte statuaria greca del Iv secolo che risultava molto difficile da riprodurre per i suoi schemi  Non sappiamo nulla, invece, di Glicone, lo scultore attico che firmò la versione Farnese.

Al momento della scoperta della statua essa si mostrava priva della metà  inferiore delle gambe edell’avambraccio sinistro che vennero poi integrate dal restauro effettuato su di essa dallo scultore  Guglielmo della Porta ( un allievo di Michelangelo )  che le  ricostruì in gesso.

Le gambe originali  quando furono divenne per la statua un bel problema in quanto  nessuno aveva il coraggio di fare la riuscita sostituzione di quelle di Della Porta e  queste restatono pertanto al loro posto fino alla fine del XVIII secolo .Esse furono reinserite solo nel 1787 quando  Carlo Albacini vi pose mano e l’opera  venne trasferita  a Napoli, nell’allora Museo dei Regi Stud (oggi Museo Aecheologico Nazionale di Napoli )

CURIOSITA’:  Una statua gemella, chiamata l’Ercole Latino, è conservata nella Reggia di Caserta e una copia in gesso si trova all’interno della stazione Museo della  metropolitana di Napoli.

Per generazioni l’Ercole è stato posto nella sala d’Ercole del palazzo Farnese di Roma, e con esso, nello stesso palazzo, vi erano collocate anche gran parte delle sculture della collezione Farnese Nel 1787, grazie all’eredità ottenuta da re Carlo di Borbone, figlio di Elisabetta Farnese, l’intera collezione Farnese fu trasferita a Napoli.

Osservando da vicino questo capolavoro di arte ellenica , noterete che il famoso eroe appare stanco e mainconico . Lisippo e di conseguenza Glicone , vollero infatti sottolineare in questa opera la natura mortale di Eracle  e fornì all’eroe un ritratto al quale si guardò per il resto dell’antichità. Il suo corpo come potete vedere appare in precario equilibrio e quasi non potrebbe reggersi senza il sostegno della clava.

Il braccio destro dell’eroe si torce all’indietro fino a portarsi dietro il torso massiccio, come a nascondere enfaticamente qualcosa. Non si può certo pensare a un’arma, perché l’eroe è in riposo, disarmato e a suo agio (la clava serve da appoggio). Solo girando attorno alla statua si può scoprire che si tratta delle mele delle Esperidi, che Eracle ha conquisto ai confini della terra che secondo la mitologia sarebbe stata l’ultima sua fatica.

Ercole ha quindi finalmente completato in questa immagine il suo compito . Ora finalmente è a a riposo ( La leontea (la pelle del leone Nemeo ucciso dall’eroe in una delle precedenti fatiche è ripegata a doppio sotto l’ascella si sinistra e serrata tra il busto ed il braccio dell’eroe ).

Questa statua rappresenta quindi Ercole, stanco al termine delle fatiche, che si riposa appoggiandosi alla clava, tenendo con la mano destra, dietro la schiena, i pomi d’oro rubati alle Esperidi.  Essa rappresenta al contrario di tante altre immagini della mitologia graca . un Ercole diverso . Un semi-dio, stranamente stanco, e provato.

L’artista ha scelto per il semidio Ercole  di rappresentarne la sua parte umana , quella quindi piu debole e veritiera . L’eroe personificava  nel periodo classico il trionfo del coraggio dell’uomo sulla serie di prove poste dagli Dei gelosi. A lui, figlio di Zeus, era concesso di raggiungere l’immortalità definitiva. Egli aveva il  ruolo di salvatore dell’umanità ma possedendo un lato umano  possedeva anche difetti mortali come la lussuria,  l’avidità la sofferenza,  la debolezza e la stanchezza.

Lisippo con queta sua rappresentazione di Ercole , anticipò ciò che l’uomo, nel tempo, ha cercato sempre di fare. Avvicinarsi, paragonarsi, esaltarsi come un Dio. Oggi come allora, la presunzione dell’uomo, cominciata già ai tempi di Babele, rende la vita illusoriamente programmata, definita, decisa. Poi, stranamente, chissà come, l’imprevedibilità ci sovrasta, ci supera da ogni parte. E allora ci ritroviamo inermi, deboli, limitati, così come Lisippo ha voluto che ci raffigurassimo in Ercole.

Zeus o Dio o chiunque altro avrebbero  potuto creare un uomo migliore e senza difetti , Avrebbe potuto creare uomini perfetti e quindi   un mondo migliore, ma la  realtà era diversa, l’uomo tutto sembrava che un essere perfetto .  Ogni artista dell’epoca  immagiva quindi Zues  come egli voleva e facesse a lui piu comodo .  Cattivo o buono , generoso o vendicativo … a  proprio desiderio e volontà.  Un po’ come ora. Per fortuna nostra, Dio, superando certe fantasie, si è fatto carne e si è posto a noi con tutta la sua misericordia .

Questa immagine di Ercole a riposo rappresenta i tanti uomini di questa societa che con il loro modo di fare si credono Dio e addirittura sperano anche essere anche un po’ più al di sopra di lui.

Nell’immensità sconfinata dello spazio, nella serie dei secoli passati e di quelli che verranno, l’uomo non è che altro che un “punctum” , un punto impercettibile,  e la sua vita è  breve come un sospiro, pronta in ogni momento a sprofonda in un abisso anche se ha accumulato tanto denaro , Questi lo faranno diventare solo l’uomo più ricco del cimitero .

L’uomo come scrisse Seneca è una creatura che nasce debole, fragile, nuda, priva di difese naturali e bisognosa, più di qualsiasi altra, dell’aiuto altrui. Neppure l’istinto le viene in soccorso, non avendo nell’uomo la sicura determinazione che ha negli animali, dal momento che l’intelligenza sembra fatta apposta per scompigliarlo e renderlo malsicuro. “ Egli è fragile di fronte alla malattia e le calamità naturali come alluvioni , uragani o terremoti..

L’uomo come citava Seneca tanti anni fa è  “un semplice  vaso che alla più piccola scossa, al più piccolo movimento va in frantumi. Non ci vuole una grande tempesta per distruggerti: al primo urto, ti sfascerai”

Seneca insomma avvisava l’uomo della sua fragilita tanti secoli fa , ma non aveva capito che questo è sordo e cieco e non ama chi come lui lo avvisa dei suoi errori . Egli considera mpesante, noioso e porta sfotuna colui che parla di queste cose . Preferisce parlare e discutere di cose futili , leggere cose che spingolo alla frivolezza ,alla pausa dal pensiero, e mai alla profondità, o al ragionamento o a dei valori veri. 

Egli è tamente stupido che in cambio di soldi sta addirittura distruggendo il suo stesso ambiente in cui vive inquinandolo continuamente.

Einstein diceva che solo due cose, con certezza, sono infinite: l’universo e la stupidità umana”.

 

 

 

 

 

 

 

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