Non tutti sanno che la fama del sorbetto nacque a Napoli ad inizio settecento .
A ricordarcelo è sopratutto un certo Antonio Latini, che tra il 1692 ed il 1694 , pubblicò ne“Lo Scalco alla moderna”, un trattato di cucina , che metteva in evidenza quanto il sorbetto era diffuso in citta e sopratutto quanto i napoletanti si erano specializzati nella produzione di sorbetti
.«Qui in Napoli pare ch’ ogn’uno nasca col genio e con l’istinto di fabricar Sorbette».
Il signor Antonio Latini non era uno chiunque , egli era in quel periodo uno che di cibo ne capiva . Egli era addirittura il capocuoco a Napoli del viceré Francisco de Bonaviedes e fu solo a pochi anni dalla sua morte; che egli decise di scrivere un trattato di cucina in cui racchiuse tutta la sua esperienza sul campo, tra Roma, le Marche e Napoli. Particolare attenzione fu posta alla cucina napoletana, compresi i sorbetti, tra cui la ” Sorbetta lal latte ““una caraffa e mezza di latte, mezza d’acqua, tre libbre di zucchero, once sei di cedronata o cocuzza trita”. È un sorbetto cui si aggiungeva il latte, ovvero l’antenato del gelato.
N.B. Il limone è stato il primo elemento con cui è stata fatta la granita per il semplice fatto che l’acido citrico è un ottimo strumento di conservazione . Prima della seconda metà del settecento i sorbetti erano quindi delle bevande senza aggiunta di latte e uova . Questi prodotti vennere infatti aggiunti solo in un secondo momento.
Tutti impazzivano a Napoli per questa bevanda ghiacciata formata da acqua, mescolata con succo di limone e zucchero .I napoletani la consumavano in tutte le occasioni … anche in chiesa e Napoli in Europa era nota per essere una citta affollatissima in cui si consumavano ogni giorno cibi e bevande ghiacciate in gran quantità.Tutti erano infatti intenti a gustare sorbetti, spumoni, coviglie e pezzi duri (ghiaccioli ante-litteram) che, insieme alle limonate ghiacciate, rendevano Napoli famosa come la città dei “gelati sorbetti”,
Il sorbetto divenne quindi una vera maestria dei napoletani, e nel settecento a Napoli era una bevanda molto diffusa . Gli stessi francesi notoriamente molto critici nei confronti di qualsiasi cucina che non fosse la loro , arrivarono ad ammettere che i napoletani erano bravissimi nel fare i sorbetti.
N.B. Nel seicento , quando ancora non esistevano macchine del ghiaccio e macchinari moderni di refrigerazioni , i viaggiatore del gran tour , restavano spesso sorpresi nel passeggiare per le vie del centro di Napoli , nello scoprire come in citta esisteva una vera e propria economia del freddo ,
CURIOSITA’: Nel XVI secolo Bernardo Buontalenti introdisse l’uso dell’uovo nella crema fiorentina chiamata anche ” gelato buontalenti”.
Nel settecento ( 1775 il medico Filippo Baldini professore di Medicina presso la Regia Università di Napoli e medico di corte, pubblicò a Napoli il trattato De’ Sorbetti, primo libro scientifico in cui furono esaltate le proprietà benefiche di alimenti ghiacciati.Egli in questo suo scritto distingueva tre tipologie di sorbetto: quello subacido, alla frutta; quello aromatico, alla cannella, al cioccolato, al caffè; e quello lattiginoso, in cui era aggiunto il latte.
La produzione e il consumo del sorbetto e del gelato continuarono in quegli anni a crescere e i produttori ispecializzandosi poerarono alla nascita della figura del “sorbettaro” e del “gelataro”.
CURIOSITA’ : L’uso della neve sull’isola è antichissimo: i vescovati più importanti del Medioevo, ovvero Palermo, Catania e Monreale, hanno usato per anni la neve conservata dai monti nelle rispettive diocesi. La tecnica della ghiacciaia, usata per conservare a lungo ghiaccio e neve, è stata messa a punto addirittura dai Sumeri, importata in Italia grazie alle dominazioni Greche e infine perfezionata con l’Impero Romano. In Sicilia sono state trovate alcune delle ghiacciaie più grandi e antiche del mondo (sulle Madonie e sull’Etna) costruite proprio secondo le pratiche e metodologie del mondo antico greco-romano. I nivieri siciliani raccolgono la neve fresca dall’Etna, monti Iblei e Nebrodi e la conservano in delle costruzioni di pietra nelle grotte vulcaniche( le neviere ) fino all’estate,
Prima di concludere il nostro articolo vorrei sottolinaere la piccola differenza che esiste tra la famosa grattachecca romana e la granita .
Essi pur essendo due dolci freddi al cucchiaio, simboli delle estati italiane, devo purtroppo farvi notare che la grattachecca non è una granita. Anche se facciamo fatica a distinguerli, anche se molti usano i due sostantivi come se fossero sinonimi, in realtà sono completamente differenti l’uno dall’altro.
La preparazione della grattachecca infatti differisce molto dlla sua gugina siciliana.
Tipica dei chioschi sul lungotevere, dove nasce come street food all’inizio del Novecento, viene preparata da oltre un secolo seguendo sempre la stessa ricetta: prendete un grosso blocco di ghiaccio e raschiatelo con una pialla creando del ghiaccio tritato, aggiungete uno sciroppo a piacimento o una spremuta di frutta fresca e il gioco è fatto. Il nome d’altronde non può essere più esplicativo: la prima parte è “grattare” , la seconda è “checca” che in romanesco arcaico si riferiva al grosso blocco di ghiaccio utilizzato per refrigerare e conservare gli alimenti.
La granita siciliana è invece molto più complessa: contiene zucchero, acqua, e ha bisogno di una bassissima temperatura per ottenere un composto denso. Nella preparazione della granita è molto importante che la gelatura avvenga per gradi mantenendo in movimento il composto, in modo che l’acqua non si separi sotto forma di cristalli di ghiaccio insipidi dall’aroma zuccherato. Il contenuto degli zuccheri non deve oggi inoltre superare il 20% del peso del composto finale. In pratica con questa tecnicala granita viene congelata e continuamente mescolata mantenendo la freschezza ma ammorbidendosi al tempo stesso.
CURIOSITA’: La granita siciliana vera e propria, ovvero quella morbida e cremosa, che non presenta dei pezzettini di ghiaccio al proprio interno, arrivacomunque solo alla metà del Cinquecento grazie al processo di mantecazione nel pozzetto. Durante il XVI secolo viene infatti scoperto un nuovo modo di usare la neve: i siciliani la uniscono al sale marino e la neve raccolta passa da ingrediente a refrigerante dando vita al pozzetto, un tino di legno con all’interno un secchiello di zinco, che può essere girato con una manovella. L’intercapedine viene riempita con la miscela di neve e sale, il tutto viene posto in un letto di paglia che isola il pozzetto dal resto del mondo. La miscela congela il contenuto del pozzetto per sottrazione di calore, mentre il movimento rotatorio impedisce la formazione di cristalli di ghiaccio troppo grossi.
Un’altra svolta arriva nel corso del 1900, secolo in cui il pozzetto viene sostituito dalla gelatiera moderna. Per la definitiva esplosione commerciale del prodotto dobbiamo però aspettare il 1961: l’ingegnere napoletano Salvatore Cortese progetta e brevetta il primo granitore verticale, con completa esposizione del prodotto, segnando il passaggio definitivo dalla produzione manuale della granita a quella elettromeccanica. Con questa invenzione, che vediamo ancora oggi in tutti i bar d’Italia, la granita esce prepotentemente dalla Sicilia e dell’Italia Meridionale più in generale, per arrivare a conquistare tutta la penisola.
ARTICOLO DI ANTONIO CIVETTA