Francesco De Sanctis è stato uno scrittore e critico letterario italiano, molto noto a noi tutti  per la sua opera sulla letteratura italiana del XIX secolo, ma è anche un personaggio  da molti ricordato nel mondo politico  per  essere stato il primo Ministro della Pubblica Istruzione della storia d’Italia.

Nacque nel 1817 a Morra Irpina, in provincia di Avellino, da una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Nel 1826 si trasferì a Napoli per frequentare il ginnasio privato di uno zio paterno, Dopo aver completato gli studi liceali, iniziò gli studi giuridici ma presto iniziò a trascurarli per seguire la scuola del purista Basilio Puoti sul Trecento e sul Cinquecento, lezioni che il marchese teneva gratuitamente nel suo palazzo nell’attuale  Piazza Dante  .

A Napoli in quel periodo, in quanto capitale del regno, giungevano  da quindici a ventimila studenti, ma poichè la laurea non era necessaria per ottenere un lavoro  e la stessa non era neanche difficile da  ottenere, il mondo giovanile era alquanto disinteressato alla cultura . I concorsi non tenevano conto ne della laurea , ne del voto conseguito  e di conseguenza non rappresentavano certo una delle mete da raggiungere.  La conseguenza di tale mancanza di ingegno e stima del sapere , fu un livello di  ignoranza presente nel popolo e nella maggior parte dei cittadini mai forse salito ad un livello cosi alto .

Tutto questo però non  valeva per i ceti sociali  medio- alti dov’erano condensate  in quel periodo tutte le forze intellettuali del paese . Essi infatti accorrevano in massa dove il livello degli studi era più alto e i principii più larghi, e sotto questo aspetto a farla da padrone erano proprio le scuole private ed in particolare quella tenuta da Basilio Puoti . Qui i giovani intravedevano tutto ciò che c’era di vivo e di nuovo nella cultura nazionale.

Nacque cosi in questo ambiente scolastico privato del Puoti quell’amore disinteressato della cultura che ancora oggi rappresenta  il maggior titolo di gloria per una generazione, nonchè  il segno più chiaro di una ristorazione filosofica e letteraria: in Napoli in quel periodo la cultura divenne perfino un’arma politica e uno strumento di opposizione. In città era infatti  vietato parlar di libertà, ed il sistema governativo pur di deculturizzare il popolo per renderlo meno capace di ragionare, pensare , ragionare e quindi magari capace di ribellarsi aveva affidato la cultura prevalentemente nelle mani dei seminari che certo non  parlava di di civiltà e di progresso. In questi posti la laurea non era difficile ottenerla e se vogliamo non era neanche tanto necessaria in società.

Ma ecco avvenire nella nostra città il grande miracolo …

Quello che ancora oggi , io ogni giorno mi aspetto da questa città.

Quello che ogni giorno mi auguro per il bene ed il futuro dei nostri luoghi e dei nostri figli.

I giovani studenti , riunitisi in città  da quindici a ventimila, svilupparono da soli ,  il desiderio “disinteressato” della coltura , e l’amore  per la scienza.

Napoli, capitale alla francese, dov’erano condensate tutte le forze intellettuali del paese, divenne un centro culturale dove si fecero lentamente largo nuove forze liberali che il governo almeno inizialmente sottovalutò . Esse furono l’anticamere di movimenti ben piu forti che animarono ed armarono nuove forze intellettuali.

La gioventù usciva dalle scuole con la coscienza della sua superiorità sopra quelli che erano i pubblici uffizi, considerati i più ignoranti, e si sentiva sempre più separata da un governo “incivile” e “oscurantista”.

Il governo di loro non se ne incaricava e meno il governo “se ne incaricava”, e più queste forze operavano e producevano. Questa fu la prima battaglia della nuova generazione contro il passato, in nome del progresso, della civiltà, della coltura, e la battaglia fu vinta senza cospirazioni e senza violenze, per la sola forza della pubblica opinione.

I giovani disertando una istruzione pubblica oscurantisca e poco liberale si rifugiarono quasi tutti in quelle scuole dove a fare il  da padrone del campo,vi erano sopratutto un  livello degli studi  più alto e dei  principi culturali più larghi . Essi rinnegarono quei studi   pedanti o empirici ed incominciarono a frequentare dei corsi (peraltro gratuiti ) dove erano presenti nuove idee e nuovi modelli  di  cultura nazionale. Tra questi capeggiava la scuola di lingua italiana che Basilio Puoti teneva in maniera gratuita  a Palazzo Bagnara dove abitava con la famiglia.,

Era una,  scuola di lingua italiana, libera e gratuita, , dove da indagini raccolte , il Puoti educava i giovani, in senso puristico, al solo studio severo dei classici antichi e dei trecentisti. Era una scuola che molti giovani di oggi definerebbero ” pesante ” ma era quella più frequentata dai giovani di allora in quanto  riconosciuta per coscienza  superiore a tutte le altre e sopratutto a quelle pubbliche universitarie .

 

 

La presenza del  Puoti con la scuola ed i suoi insegnamenti in città ,  fu forse  una delle prime vere battaglie fatte da una nuova generazione contro il passato .Una battaglia vinta senza cospirazioni e senza violenze, ma con la sola cultura ed in nome del progresso , della civiltà, e della libertà .

 

La scuola di Puoti come vi abbiamo accennato era gratuita a tutti i giovani  e questo fatto straordinario attirò alcune delle migliori menti del futuro , fra cui  lo stesso Francesco De Sanctis che all’epoca era giusto  un ventenne  giunto a Napoli dalla remota provincia irpina , e Luigi Settembrini noto a tutti noi, per le sue prose e per il forte impegno profuso nel Risorgimento italiano.

I due intellettuali e patrioti napoletani, considerate da tutti  come due figure esemplari del nostro Risorgimento,sono sicuramente quelli che tra gli allievi del grande maestro hanno a noi lasciato nelle loro memorie il ritratto del Puoti e del suo metodo, all’interno di un vivace affresco della vita culturale della Napoli borbonica.

In questo ambiente intellettuale il nostro giovane De Santis ebbe modo di conoscere anche un giovane  Giacomo Leopardi. di cui ebbe grande stima e a cui successivamente  dedicò molti suo ilavori letterali rielaborando alcuni suoi  scritti  pubblicati postumi, e alcuni ricordi autobiografici.

Nel capoluogo partenopeo  Francesco De Santis visse intensamente gli anni della giovinezza, divenedo  allievo prediletto del suo maestro Puoti al fece più volte ricorso anche per questioni non scolastiche. Fu infatti proprio il Puoti a distoglierlo da un matrimonio che il De Sanctis stava per combinare con una giovane napoletana, figlia di un avvocato che vantava grandi ricchezze, ma che era invece poco più che nullatenente.

Assillato da problemi economici egli comunque in quel periodo, non disdegnò anche i lavori più modesti, ad esempio come copista presso un noto avvocato della città, ma ben presto seppe imporsi all’attenzione dell’ambiente intellettuale, come rinnovatore del pensiero e della critica letteraria assumendo una parte attiva alla vita culturale napoletana di quegli anni. Gia  nel 1839 iniziò infatti a tenere un corso di lezioni a vico Bisi, ora via Nilo, passando poi alla Scuola Militare di via San Giovanni a carbonara.

La sua attività politica in città fu ugualmente intensa, e dopo aver aderito ai moti insurrezionali del 1848, lasciò momentaneamente Napoli per raggiungere Cosenza e fare il precettore. Qui scrisse i suoi primi “Saggi critici”, prefazioni all’Epistolario leopardiano e alle “Opere drammatiche” di Schiller.

Due anni dopo, venne arrestato e recluso a Napoli nelle prigioni di Castel dell’Ovo, dove rimase prigioniero per un anno. Durante questo periodo studiò Hegel, apprese il tedesco e tradusse una delle sue opere, approfondendo anche la sua ideologia mazziniana. Nel 1853, fu espulso dal Regno dalle autorità borboniche e fatto imbarcare per l’America.

Si fermò però a Malta e si rifugiò infine a Torino dove svolse un’intensa attività letteraria, cosa che portò avanti anche negli anni trascorsi a Zurigo.

N.B. La sua passione politica e culturale non si spense neanche con l’esilio, dapprima a Torino e poi a Zurigo, ove tenne anche dei corsi di lezioni.

Nel 1860 conobbe Giuseppe Mazzini e dopo l’Unità d’Italia, entrato nel governo provvisorio di Garibaldi a Napoli, fu poi tra i primi deputati al Parlamento Italiano ad essere eletto come primo ministro dela Pubblica ’Istruzione del periodo post-unitario, conservando l’incarico nei gabinetti Cavour, Rattazzi e Cairoli. In questo suo impegno lavorò intensamente e lottò contro le prime dilaganti forme di trasformismo, di ingiustizia e di corruzione, senza mai perdere di vista gli interessi della sua terra, e conservò pure immutato il suo forte accento meridionale. 

Dal 1872, tornò a Napoli in qualità di docente di letteratura comparata all’università: si dimise nel 1876 per motivi politici e accettò un nuovo incarico ministeriale. Finita anche quest’altra parentesi governativa, tornò nuovamente a Napoli dove si dedicò a rielaborare gli scritti su Giacomo Leopardi, pubblicati postumi, e alcuni ricordi autobiografici.

Negli anni in cui visse a Napoli il De Sanctis cambiò molte case, passando da via del Formale, a via San Potito, a via Rosario a Portamedina e a larghetto San Pellegrino e San Paolo. Una sistemazione definitiva la trovò solo nel 1863, quando convolò a nozze e la moglie portò in dote anche la casa di vico San Severo. Questa sarebbe diventata la sua abitazione definitiva, dove visse per vent’anni fino alla morte. Durante questo periodo, De Sanctis visse una vita molto intensa, dedicandosi alla scrittura e all’attività politica. Egli fu anche un attivo membro della Camera dei deputati, rappresentando la circoscrizione di Ariano Irpino.

Pur essendo molto impegnato nella vita pubblica, De Sanctis soffriva di una malattia agli occhi che lo costrinse a rimanere bendato al buio per ore. Nonostante questo, egli deciso a continuare la sua attività politica nella sua natia circoscrizione di Arianno Irpino , si presentò alla folla sicuro e determinato, parlando senza fare uso degli occhiali e cercando di smentire le voci insistenti che lo davano malato ed incapace di affrontare nuovamente l’attività politica. Tuttavia, nonostante l’entusiasmo della folla che pure lo applaudì acclamante, egli  non fu rieletto e addolorato decise quindi di  ritirarsi nella sua abitazione di vico San Severo, dove visse il resto dei suoi giorni chiuso da allora nel silenzio delle mura domestiche. : qui restava per ore bendato al buio, per curare il male agli occhi che lo affliggeva, e qui  lo abbandonarono definitivamente le forze fisiche ed intellettuali nel 1883 morendo, ma lasciando un’eredità culturale e letteraria di grande importanza per la città e per l’intera nazione. Egli èinfatti oggi  considerato uno dei maggiori rappresentanti della letteratura italiana del XIX secolo e la sua opera è ancora oggi studiata e apprezzata da critici e studiosi di tutto il mondo.

N.B. La sua opera più famosa dal titolo ” Storia della letteratura italiana”, rappresenta  ancora oggi un punto di riferimento per gli studi letterari in Italia.

CURIOSITA’ : Morra Irpina, oggi si chiama Morra De Sanctis in suo onore.

Francesco De Santis morì esattamente il 29 dicembre 1883, e il 4 gennaio dell’anno successivo ebbe un funerale memorabile. Come atto di omaggio il suo corpo fu imbalsamato, ma rimase poi insepolto e dimenticato per nove anni in una cappella del cimitero di Napoli; nel 1892 la vedova, Maria Teresa Arenaprimo, dispose la sepoltura in una bella tomba con un busto marmoreo ed una lapide dettata da Giovanni Bovio. Nello stesso periodo anche il Comune di Napoli fece realizzare un degno monumento funebre al De Sanctis, con busto opera di Raffaele Belliazzi e lapide dettata da Bonaventura Zumbini. 

Quando oggi vi trovate quindi a passeggiare nel  cuore della nostra Napoli antica  a pochi passi dalla Cappella Sansevero e da Piazzetta Nilo e magari per puro caso vi trovate ad imboccare quella stretta via che un tempo si. chiamava Vico San Severo ma oggi  si chiama  via Francesco De Sanctis, fermatevi un momento .

Fermate un solo piccolo momento della vostra vita frenetica e dedicate solo un piccolo sguardo a quella lapide sulla facciata della casa in cui egli ha abitato . Cercate per un solo attimo di dedicare un pensiero  al critico, storiografo e politico che qui abitò, e ha reso illustre la nostra città ,

Anche questo è la nostra città . Sopratutto questo è la nostra città .

Quella lapide rappresenta la memoria di questo grande uomo.

Il suo significato, così come quello della lapide posta al civico n 31 di via San Biagio ai Librai ,  lungo la via spaccanapoli, posta sulla  la casa dove nacque Giambattista Vico e quella posta ai piedi dello scalone in pietra del Plazzo Filomarino in ricordo del grande Benedetto Croce, è quello di mantenere vivo il ricordo dei grandi uomini che hanno contribuito a rendere grande la nostra città.

Queste lapidi sono la memoria storica della nostra città !

Esse rappresentano il  persistere allo scorrere del tempo, della nostra storia . Si tratta di oggetti di un valore enorme perchè sono simboli intrisi di storia e cultura .

Esse mantenendo vivo il ricordo di questi grandi uomini,  ricordano a tutti noi e ai posteri la nostra origine e la nostra vera identità.

Sono loro la vera fotografia della nostra città e non certo il cuoppo di zeppole e panzarotti o alici friiti che  avete appena comprato in quel vicino ex vascio .

La cultura e gli uomini che l’anno resa protagonista sono la vera immagine di questa nostra città e non certo ‘ O cuopp, O Murales e Maradona, le vele di Scampia di Gennaro Savastano o lo stile  gomorra del vestire di ” sangue blù con barba lunga ,capelli rasati sulle tempie, e tre croci tatuate sul lato destro del collo ,

E’ Francesco De Sanctis il vero unico ” immortale ” e  non certo il Ciro della nota fiction . Lui il rispetto della storia se l’he conquistato con la cultura e dopo la sua morte fu degnatamente commemorato in tutta la nazione e addirittura  Morra Irpina in provincia di Avellino, il paese in cui egli nacque, mutò il proprio nome in Morra De Sanctis in suo onore.

Può un uomo di tale spessore essere dimenticato nelle nostre passeggiate lungo il centro storico ? Possibile che nella nostra città tutti conoscano i protagonisti della serie Gomorra e quasi nessuno sappia o conosca Francesco De Santis ?

Possono essere non citati Benedetto Croce e Giambattista Vico da coloro che oggi si improvvisano guide turistiche della nostra città ?

Possibile che la vita e la storia ma sopratutto quanto  e quello che  essi hanno rappresentato nella nostra città non lo conosca più quasi nessun giovane adolescente ?

Per non parlare poi di quelli adulti ……..

Il nostro centro storico non è  quello che oggi  le varie agenzie di turismo vi vogliono invitare a visitare solo per assaggiare ìl cuoppo  di zeppole e panzarotti , così come i quartieri spagnoli non sono solo il Murales di Maradona o il luogo ricco di locali dove mangiare piatti classici della cucina partenopea . 

Il nostro centro storico è un luogo di cultura che è stato dichiarato dall’Unesco nel 1995 Patrimonio dell’umanità. E’ un luogo che ha ricevuto tale nomina perche è riuscito nel corso dei secoli a conservare un impianto urbanistico storico fieramente difeso dalle omologazioni architetturali tanto di moda nel resto del mondo .

E’ stato dichiarato dall’Unesco con questa denominazione perchè era  stato considerato un Patrimonio dell’umanità unico …   un impianto urbanistico che in nessuna altra parte del mondo di puo oggi osservare .

Ma se continuiamo come oggi stiamo facendo turismo, presto , tra non molto tempo, saremo uguali a tanti altri centri storici di molte città europee.

Oggi l’arte e la storia millenaria che rivive nei nostri monumenti del centro storico , vengono ogni giorno svilite da un’insana quanto scadente invasione di fast food, bar , barretti da 2 euro a Spritz , commercio indiscriminato di zeppole , panzarotti e cuoppi , o caratteristici ex vasc tutti  trasformati  in ristoranti o attività di dubbio gusto come kebabbari e negozi di souvenir made in China. 

Lo stiamo riempendo di turismo mordie fuggi e stiamo facendo arricchire chi non sa nemmeno in quale storica strada ha impiantato la sua attività commerciale ma  così facendo stiamo  lentamente trasformando il nostro centro storico  perdendo di vista le vere motivazioni di tale nomina. 

I nostri antichi decumani a differenza dei mutamenti sociali, delle omologazioni culturali di tante altre città’ senza lasciarsi influenzare da  ciò che avveniva altrove , aveva conservato intatti nel corso dei secoli i suoi monumenti e sopratutto  la sua architettura unica al mondo . Le sue chiese , i suoi palazzi , i suoi stretti e misterioso vicoli , i suoi vasci , erano stati considerati dall’ Unesco delle vere e proprie opere d’arte  

Percorrere questi luoghi ha segnato di fatto per lungo tempo il posto dove incontrare dal vivo la cultura napoletana  . Erano queste le motivazioni che avevano portato ad avere l’ambiziosa targa esposta in Piazza del Gesù da parte dell’Unesco . Avevano premiato un luogo che con la sua caratteristica morfologia urbana porta con sé cultura, artigianato, e mito . Avevano premiato Il resistere  nel tempo degli antichi vasci , delle vecchie tradizioni artigianali e sopratutto l’anima del luogo . 

La sua forza per secoli è stata quella di conservare intatte le sue radici , conservare immutati la quasi totale parte dei suoi storici edifici ed il nostro compito era quindi solo quello di proteggere , salvare e valorizzare questo patrimonio, sopravvissuto già per miracolo ai vari tentativi di sventramento intrapresi fra gli anni Settanta e Novanta in nome della “riqualificazione”, della «bonifica sociale» . 

Il nostro compito era facile . 

Noi alla fine , dovevamo solo proteggere l’insieme della sua struttura urbanistica come si era venuta lentamente a comporre  nei secoli:  non dovevano fare altro che  tutelare qualcosa che i nostri avi ci avevano precedentemente lasciato in eredità .  Dovevamo solo proteggere il livello culturale di questi luoghi e provvedere ad esaltarne il suo valore inespresso .

E invece NO ! 

Noi , il nostro centro storico , lo abbiamo voluto omologare al resto di tutte le altre città. 

Lo abbiamo voluto destinare alla avvilente e invadente monofunzione di rivendita di alcolici e renderlo quindi uguale a tante altre  città turistiche . 

L’unica vera cosa che veramente  non dovevamo fare per essere ancora unici e meritare quella targa , era proprio quella di omologarci a tante altre città riempendo il nostro centro storico di piccoli locali dove avviene ogni sera fino a notte inoltrata la vendita incontrollata ed il consumo di superalcolici. 

Bastava insomma solo non esportare il modello della malamovida napoletana in un centro storico che per l’Unesco era il luogo di identità e valore di una capitale universale della cultura e dell’arte, di integrazione sociale e multietnica. 

Destinare questo luogo alla sola avvilente e invadente monofunzione di rivendita di alcolici era una prospettiva terrificante di omologazione alla bruttezza e all’impoverimento intellettuale. 

La Malamovida , oggi tanto diffusa nel nostro centro storico , quella che oggi apparentemente reca benessere economico , tra non molto tempo sarà proprio quella che invece il nostro turismo lo distruggerà .  I suoi effetti negativi si misureranno sui tempi lunghi e vedrete che il contraccolpo con il tempo si avvertirà. 

Dobbiamo eliminare quanto prima possibile la MALAMOVIDA , dal nostro centro storico prima che questa , complici il comune e la sovrintendenza , presto distruggerà definitivamente tutti i nostri antichi decumani .  

Tutelare e valorizzare le ricchezze del nostro centro storico non è solo un dovere istituzionale, ma anche un impegno morale di tutti noi . È necessario assumersi questa responsabilità nei confronti delle generazioni future, affinché il nostro patrimonio culturale sia un elemento che non sia dimenticato nel tempo .

Tutto questo noi lo dobbiamo proprio ai  giovani e i giovani  successivamente ai loro  figli .Abbiamo il dovere di salvaguardia dei nostri beni storici, artistici, archeologici e culturali .

La sola cultura è l’unica vera risposta ai problemi di Napoli, anche se ultimamente la classe intellettuale napoletana è assente. Della chiusura dell’Istituto di Studi Filosofici di Napoli se ne è forse saputo nulla?”.  Qualcuno conosce il giorno in cui verrà a tutti noi riaperta la maestosa biblioteca dei Girolamini ? Oppure la piccola ma magniifica  Pinacoteca,della Certosa di San Martino  che raccoglie opere indicative della storia della pittura napoletana dei secoli XVII e XVIII (Caracciolo, Micco Spadaro, Pacecco de Rosa, Mattia Preti, de Mura, Traversi ,  Ruoppolo, Recco, Belvedere, Pitloo, Giacinto Gigante, Vervloet, Morelli, Michetti).

La sola cultura potrà rendere la nostra città migliore ed i nostri ragazzi delle persone migliori capaci di  distinguere il bene dal male .

La sola cultura potrà far capire ai molti dei ragazzi cha abitano questa città che il camorrista non è uno fico e non bisogna emularlo vestendoti con la magliettta nera indossando  la collanina color oro . Non bisogna emularlo tatuandoti tutto il corpo e facendoti poi crescere la barba stile ” Gomorra “.

Con la sola cultura forse riusciremmo a far capire ai giovani ragazzi di certi quartieri che gli pseudo-cantanti che inneggiano alla delinquenza e danno addosso ai pentiti di rimanere liberi, andrebbero arrestati. I ragazzini ascoltano queste canzoni, guardano quello che la tv offre , conoscono  il “Grande fratello” e osservano  “Uomini e donne” . Questa è subcultura.”

Una decadenza culturale che avvolge i nostri ragazzi e viene da tutti giustificato come il progresso del nuovo . L’ignoranza funzionale della nostra società sempre più volutamente deculturizzata e quindi facilmente al servizio di un immiserimento della politica, non più intesa come alta ed altruistica missione al servizio della collettività, bensì come mezzo per il conseguimento prioritario di gratificazioni personali, oggi è da  tutti giustificata ed appare a questa società come  il vero e unico rimedio all’inaridimento spirituale.

Sembra quiasi una legge costante della civiltà occidentale, che quante volte essa compia un balzo avanti, debba prima come ripiegarsi su se stessa, risalire alle origini, approfondire le basi sulle quali si eleva, fino a raggiungere le radici del proprio essere.”

Il nostro Francesco De Santis non puo essere dimenticato dalla nostra città .

Egli va costantemente ricordato nella sua targa esposta nel nostro centro storico ma sopratutto nelle nostre scuole .

La nostra città oggi più che mai ha bisogno di uomini di cultura .

Abbiamo oggi più che mai bisogno di una nuova realtà culturale aggregante : “le lingue precedono le spade” aveva scritto Tommaso  Campanella  evocato, non casualmente, dal  De Santis .

 

 

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