Al corso Vittorio Emanuele, che rappresenta una delle strade più panoramiche di Napoli, sorge ad un certo punto, un antico monastero del cinquecento che appare incastonato nella collina di San Martino.
Un gioiello nascosto di enorme valore storico e religioso che corrisponde ad un Convento francescano cinquecentesco, oggi trasformato in un magnifico albergo denominato Hotel San Francesco al Monte.
Il corso Vittorio Emanuele fu costruito tra il 1853 e il 1860 ed è attualmente la strada più lunga di Napoli con i suoi 5 km di curve e panorami attraversando la città a metà collina da Mergellina a piazza Mazzini.
La sua costruzione fu voluta da Ferdinando II di Borbone per collegare a mezza costa la nuova zona di espansione della città (Chiaia e Piedigrotta) con la Infrascata (attuale Salvator Rosa) e quindi con la zona del Museo e Capodimonte.
Il nome originario era corso Maria Teresa in onore della regina seconda moglie del re (la prima era stata Maria Cristina di Savoia).
L’opera venne realizzata nel pieno rispetto del paesaggio poichè il sovrano decise di tutelare l’area con un editto che vietava ogni costruzione verso il mare (quindi sul lato sinistro della strada) imponendo il rispetto del panorama; questa restrizione riguardava già dal 1841 le zone di Capodimonte, Mergellina, Posillipo e Coroglio e fu quindi estesa anche al corso Maria Teresa.
Dopo la conquista garibaldina e l’annessione al regno del Piemonte il nome venne cambiato in corso Vittorio Emanuele ( sigh! ).
E’ infatti questo un altro di quei tanti nomi che i piemontesi hanno cambiato alle nostre strade e piazze e credo che sia arrivata finalmente l’ora … che qualcuno si dia da fare per ridare i vecchi nomi alle nostre strade senza che siano necessariamente … Sabaude.
Il corso divenne poi anche un’apprezzata area residenziale sia per il panorama e l’aria buona sia perchè avvantaggiato dello sviluppo delle tre funicolari finalizzate a collegare il Vomero al centro storico.
In questa via, in una delle sue tante curve, ad un certo punto ci imbattiamo nell’antico monastero del cinquecento di Santa Lucia al Monte, oggi trasformato nell’Hotel San Francesco al Monte.
La data di fondazione del monastero risale al XVI secolo e sin da allora le sue stanze sono state frequentate da personaggi di grande spessore religioso, dediti alla contemplazione, alla meditazione e alla preghiera, che hanno dato lustro e valore spirituale al luogo. Alcuni di essi sono stati addirittura collocati tra i santi e i beati e questo ha fatto sì che l’intero Convento acquisisse l’appellativo di “fucina di santi“.
Ricordiamo in particolare due frati che hanno fatto la storia di questo monastero divenuti all’epoca molto famosi a Napoli ed in altre città.
Il primo era il frate Francesco di Sant’Antonio, che ebbe fama di grande religioso e si dice, addirittura, avesse parlato con la Madonna del Conforto e compiuto miracoli, tra cui la resurrezione.
Mentre il secondo, addirittura assai più famoso del precedente, fu San Giovanni Giuseppe della Croce, nominato poi santo patrono di Ischia.
Egli operò nel convento con grande spirito di carità e fu soprannominato l’oracolo di Napoli. Come già detto fu molto famoso e amato in città al punto che molti racconti dicono che venne un periodo in cui molti fedeli strappassero i lembi del suo abito per conservarli come reliquie.
Lo storico e antico monastero risalente al XVI secolo ha la peculiarità di essere stato in parte costruito scavando nella collina di San Martino in un’area allora isolata detta “la montagna” .
Il monastero ebbe origine da una prima unica cella scavata nella roccia da Frate Agostino da Miglionico dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, detti anche Barbanti per la loro fluente barba.
Il frate francescano scavò la sua cella nel fianco della collina di San Martino, che successivamente fu poi trasformata prima in una piccola chiesa, Santa Lucia Vergine e Martire e poi in un Convento chiamato “di Santa Lucia al Monte “.
Il convento francescano del 500 ha conservato nel tempo quasi per intero la sua antica struttura e nonostante oggi sia stato adattato e convertito in una suggestiva struttura alberghiera panoramicissima, conserva immutati alcuni ambienti della struttura originaria in cui è possibile ammirare frammenti di affreschi, antiche maioliche e splendide decorazioni.
Nel progetto di adattamento e trasformazione dell’antico convento in un magnifico hotel sono stati infatti preservati con sapienza ambienti suggestivi e artisticamente rilevanti quali la Cappella di San Giovan Giuseppe della Croce (santo patrono di Ischia), la Sala del Forno e il Refettorio affrescato.
Visitando il luogo si respira ancora l’atmosfera del Convento francescano dove i vari ambienti sono intervallati da angoli suggestivi, affreschi, piccole cappelle e lunghi corridoi dalle cui pareti si accede a piccole stanze ( ex celle ) con sopra affrescate immagini sacrali che continuano a conferire al luogo una storica “religiosità”.
Possiamo trovare cunicoli scavati nel tufo e vedere in alcuni angoli della struttura oggetti del passato che riportano alla mente particolari momenti della storia conventuale, come il pozzo che ricorda lo sfortunato periodo in cui il Convento patì la sete, e il forno, che si collega alle lunghe notti trascorse a fare il pane per dar da mangiare agli affamati che qui cercavano rifugio.
Tra le varie, tante, vecchie celle presenti ne troviamo una particolarmente famosa: è quella dove Giovan Giuseppe della Croce visse gli ultimi dodici anni della sua vita.
Secondo la leggenda fu proprio in questa celletta che si verificò il famoso “miracolo delle albicocche” attribuito al santo.
Si narra, infatti, che una donna in stato interessante gli si rivolse umilmente esprimendo il desiderio di assaggiare delle albicocche, introvabili però in quel periodo invernale. Costui, allora, le donò una piantina dalla quale nacquero ben presto i tanto agognati frutti nonostante non fosse quella la stagione adatta.
Si scoprì poi che intorno a lui questi frutti crescevano anche durante l’inverno ( fuori stagione ) e questo episodio condusse alla sua beatificazione nel 1789.
La sedia in legno presente all’interno della cella dove egli era solito sedersi per pregare all’indomani della beatificazione divenne oggetto di culto e si cominciò a credere che avesse il potere di proteggere le donne incinte che vi si sedevano.