Negli anni Trenta e Quaranta , per volere del regime fascista , vennero eseguiti nella nostra città  dei forti interventi urbanistici ed architettonici che  al di là dei percorsi ideologici e delle prese di posizione in campo politico , portarono  alla realizzazione di importanti edifici che ancora oggi , a distanza di anni , svolgono un importante ruolo  in città  sia dal punto di vista prettamente funzionale che da un  punto di vista puramente  estetico.

Che possa piacere o meno , infatti , a dispetto di un passato ormai andato  ( ricordiamoci che la nostra città  combatté  da sola e per prima in tutta Italia  contro i tedeschi per ben quattro giorni  ( dal 27 al 30 settembre 1943)  per liberare la città’ dal regime nazista  ) rifacendosi all’idea di “ripristino dei fasti dell’impero” , venne infatti inaugurata a Napoli , durante  quegli anni  la stazione della cumana di Piazzale Tecchio (recentemente rinominato Piazzale Giorgio Ascarelli), realizzata  in gran parte Piazza Giacomo Matteotti ed innalzati imponenti edifici come l’ex Casa del Mutilato,  il Palazzo delle Poste ed il Palazzo della Questura (tutti su Piazza Matteotti).

Mussolini occupò le stanze del Potere in Italia, proprio quando l’Italia ancora scontava gravi criticità lasciata dalla crisi profonda della Prima Guerra Mondiale. A Napoli i programmi che avrebbero dovuto avviare la ristrutturazione e l’ampliamento della città rimasero in parte incompiuti e quelli compiuti si fermarono alle carte, disegni,  e soli progetti,  che uniti al deficit economico del Comune di Napoli , rappresentarono una brillante occasione per il duce di riproporre la forza del Fascismo.

Mussolini fece prontamente nascere  nel 1925, l’Alto Commissariato per Napoli e per la Provincia, a cui venne  affidata la gestione dell’amministrazione  per le opere del Porto di Napoli,  il risanamento del rione  San Giuseppe-Carità,  la riqualifica dei vari stabilimenti  industriali , le case operaie e popolari, la definitiva bonifica delle aree un  tempo paludi nella zona orientale della città  , la spianata del Campo di Marte assediata dalle piste dell’aeroporto militare Ugo Niutta. Ed ancora: il tratto della direttissima Napoli-Roma interessata dalle stazioni sotterranee costruite nel pieno del centro storico  , l’ammodernamento della Cumana e delle due funicolari de Vomero e di buona parte della collina dei Camaldoli a partire dalla zona dell’Orsolona e cappella Cangiani .

A Napoli , come in tutto il territorio italiano , il fascismo , nel perenne tentativo di disseminare il territorio della Patria di edifici simbolo della rinascita della romanità, richiamò da tutta Italia giovani architetti affinchè  realizzassero un’architettura di stato fatta di opere moderne nella tecnica, nello stile, nella forma, e  nel volume  secondo uno stile che verrà  battezzato ” Barocco geometrizzato “,

Le città italiane più importanti Napoli compresa , che venne pomposamente definita da Mussolini ” Regina del Mediterraneo ”  (in un suo  discorso tenuto al San Carlo  ) , vennero  tutte caratterizzate da  costruzioni con strutture gigantesche  fatte con materiali solidi e di grande effetto estetico in cui risaltassero nicchie , statue, aquile imperiali, fasci e stemmi.

La città , con un taglio risanatore , basato sullo sventramento ed il rifacimento urbanistico di vecchie strade e quartieri ,  stravolta da cantieri , vide il sorgere di nuova  opere pubbliche che almeno inizialmente non destarono molto interesse nella classe intellettuale napoletana che vedevano tali opere come sola forma di propaganda ed imposizione del regime ( Benedetto Croce , Roberto Bracco, Adriano Tilgher,  Gino Doria, Fausto Nicolini, e la stessa Matilde Serao, che difese strenuamente, il palazzo Donn’Anna, a rischio di demolizione) .

Questo nuovo modello di  architettura con  i suoi simboli , venne pertanto gìà in epoca fascista , nella nostra città , mal vista e  giudicata e vissuta  quasi come una sorta di riluttanza al dispotismo del duce.

L’architettura immobiliare fascista nella nostra città  nonostante tutto fu comunque destinata poi a caratterizzare una intera area del nostro centro oggi considerata da tutti la vera “city” (cioè la sede del settore terziario della città) ed  è particolarmente visibile nell’ edificio del Palazzo delle Poste , nel Palazzo degli Uffici della Provincia entrambi presenti in Piazza Matteotti  , nel il Palazzo degli Uffici Finanziari e quello della Questura che si trovano invece nella vicina  Via Diaz ed infine nell’ex casa del Mutilato tra Piazza Matteotti e Via Diaz .

Tutte queste opere come vedremo furono erette nell’area dell’ex malsano rione  San Giuseppe-Carità, demolito negli anni trenta con tutti i suoi vicoli pregni di miasmi e di umidori , per bonificare un’ area  cittadina caotica , da tempo al centro di molti progetti e proposte di riqualificazione urbanistica  che per vari motivi ogni volta tardavano ad avviarsi . In zona erano presenti sin dall’ottocento  due dei molti mercati di commestibili istituiti per la città: il primo, ricavato nell’area conventuale di Monteoliveto (nel giardino del convento, dove i francesi impiantarono il primo orto botanico della città) , sorgeva presso il largo della Carità. ( crollò sotto il peso della cenere durante l’eruzione del Vesuvio del 1906 ) mentre   il secondo, sorgeva dietro il Palazzo Montemiletto , presso il ponte di Tappia, in vico Bei Fiori e Belle Donne.

Con l’avvento del fascismo le tante proposte e  teorici progetti divennero finalmente realtà ed il lavori di demolizione e riqualificazione dell’intera area videro  finalmente il loro inizio negli anni trenta  con un ritmo e una velocità incredibili: nel 1932 venne definitivamente  demolito l’intero complesso di San Tommaso d’Aquino con annesso chiostro (che però era già da tempo adibito ad usi civili)  insieme al’ ex-monastero che caratterizzavano la toponomastica di buona parte della zona settentrionale del rione. Nel  1934  venne poi demolita anche la chiesa di San Giuseppe Maggiore .

Nella zona di San Tommaso sorsero il palazzo dell’Intendenza di Finanza, ed il palazzo dell’Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale (in seguito sede della BNL), nonchè il palazzo Fernandez, ( meglio conosciuto come palazzo della Standa ) , il palazzo dell’Hotel Oriente , la Casa del Mutilato  e la Questura .Per dar luogo al nuovo progetto dell’intera area venne infine  demolito il Palazzo Sirignano  e costruito al suo posto un imponente edificio per accogliere la Banca d’Italia  Si aggiunsero infine  due palazzi su via Toledo destinati entrambi ad uffici e abitazioni.

Nell’area detta dei Guantai Vecchi (a ridosso del monastero di Monteoliveto) sorsero il Palazzo Troise  ( definito da Mussolini ” un paracarro ” per la sua strana forma ) ed il Palazzo delle Poste .

Il Palazzo Troise , per la sua strana forma sul prospetto da via Medina non dava degna visione del palazzo delle poste, e a dir di molti non piacque molto al duce al punto che  il podestà Giovanni Orgera s’industriò affinché si avviassero le pratiche per una demolizione dell’edificio. Il palazzo tuttavia non fu demolito per motivi economici. La funzione positiva del palazzo, determinante anche nelle motivazioni per non procedere a demolizione, è quella di mascherare il gran dislivello tra la superficie della piazza e la sottostante via Monteoliveto tantoché alla sinistra del palazzo è stata poi aperta una scalinata.

Più a nord, nella zona della Corsea, presso il largo della Carità, furono completati  il palazzo dell’Ente Autonome Volturno ed  il palazzo dell’INA, , mentre il Palazzo della Provincia fu invece fu costruito sulla nuova piazza Matteotti .

Nel 1935 venne aperta la  via Armando Diaz (denominata come prolungamento di via Guglielmo Sanfelice in quanto in un breve periodo dell’epoca fascista ad Armando Diaz era stata dedicata l’attuale via Monteoliveto) sostituendo l’antica direttrice formata da vico Carrozzieri a San Tommaso, piazza e scesa San Tommaso e vico San Giuseppe . Il nuovo asse stradale scorreva nell’area dei due edifici religiosi abbattuti e verrà completata dai palazzi dell’Intendenza di finanza e da quello dell’Istituto fascista della Previdenza Sociale, in seguito della Banca Nazionale del Lavoro.

Al centro di tutto questo progetto venne aperta la grande Piazza Matteotti , inizialmente chiamata piazza della nuova posta poi piazza Duca d’Aosta con i suoi maestosi ed imponenti edifici  del Palazzo delle Poste , degli Uffici della Provincia  , degli Uffici Finanziari , della Casa del Mutilato  e della vicina  Questura .

La realizzazione dell’imponente  Palazzo delle Poste avvenne nell’ambito dell’opera di risanamento del rione Carità e la sua costruzione durò dal 1928 al 1936, anno in cui venne inaugurato. I suoi progettisti furono gli architetti Giuseppe Vaccaro e Gino Franzi che, come per nuovi i palazzi che stavano sorgendo in quella zona, si adeguarono alle esigenze “monumentali” e razionaliste del regime fascista. Per la costruzione dell’edificio vennero utilizzate lastre di marmo nere e bianche che, con grande precisione e maestria, si compongono assieme a i telai di acciaio degli infissi.
La facciata si sviluppa lungo una linea curva, al cui centro è posto il portale d’ingresso principale, raggiungibile attraverso una scalinata. Inoltre, su Via Monteoliveto e in via del Chiostro, si aprono due ingressi secondari, di cui il primo utilizzato anche dai veicoli. All’interno troviamo un grande vestibolo, in cui è posta la scultura di Arturo Martini dedicata ai Caduti, dominato dai ballatoi dei piani superiori, dai quali si raggiungono i vari uffici.

 

Il Palazzo degli Uffici della Provincia fu invece progettato  dagli architetti Marcello Canino  e Ferdinando Chiaromonte e per la  sua realizzazione, vennero usati lo stesso stile e gli stessi materiali che il Canino aveva già usato per edificare il palazzo degli Uffici Finanziari, ovvero mattoni e travertino. La facciata principale che affaccia sulla piazza è rivestita  in travertino e laterizio .Al centro si apre l’ingresso a tutt’altezza riprendendo il prospetto del  Palazzo delle Poste mentre il maestoso portale è in bronzo con bassorilievi. Lo schema della facciata è impostato su di un basamento in pietra calcarea sul quale si aprono cinque ordini di finestre, mentre l’attico è coronato da un cornicione in pietra calcarea, così come il basamento del palazzo. In alto troviamo la scritta “Provincia”, con il cavallo storico simbolo della città di Napoli. della città ai cui lati si trovavano delle scritte, poi eliminate, inneggianti a Vittorio Emanuele  III e a Benito Mussolini. si accede all’androne che conduce allo scalone monumentale e dietro si apre il cortile. quest’ultimo a fare da elemento principale della facciata. Su di essa si apre il portale, che presenta un pannello in bronzo, originariamente decorato con un bassorilievo raffigurante la Marcia su Roma.
Il palazzo è ancora oggi spesso chiamato e noto anche con l’appellativo con cui fu inaugurato nel  1963  durante il regime fascista: Palazzo della provincia, la struttura fu infatti progettata per dare una nuova sede istituzionale alla ex Provincia di Napoli . Nel luglio 1944 in seguito alla caduta del regime, sia la piazza (ex piazza duca d’Aosta) che il palazzo furono dedicate alla memoria dell’onorevole  Giacomo Matteotti  assassinato il 10 giugno 1924  da una squadra fascista .

 

Il palazzo degli Uffici Finanziari di  Napoli venne costruito tra il 1933 e il 1937 dall’architetto napoletano Marcello Canino tra il Palazzo della Banca Nazionale del Lavoro ed il Palazzo Matteotti prendendo il posto del complesso di San Tommaso d’Aquino. Il progetto rientrava nell’ambito della riqualificazione del rione Carità che, in quegli anni, vide nascere numerosi nuovi palazzi.
La facciata principale, in via Diaz, presenta, per ragioni di spazio, un portale concavo, mentre quella dal lato opposto, in via Cesare Battisti, è di forma semicircolare. Ciò dona una particolare pianta di forma absidale all’edificio, che si innalza per sette piani di mattoni e travertino, con finestre uguali in ogni lato. Le scale, infine, sono di vario tipo: si va da quelle che anticipano l’ingresso principale a quella semicircolare che parte da uno dei due giardini, fino a quelle elicoidali all’interno. Le facciate laterali, su via Guglielmo Oberdan e via Fabio Filzi, sono identiche sia nelle decorazioni sia nella simmetria dei portali laterali realizzati in grigliato di travertino.

 

Il Palazzo della Questura , era anticamente chiamato ” della Corsea ” ,  per essere la nuova sede della Questura , che fino al 1940 , anno di inaugurazione del Palazzo , aveva sede , fin dall’unità d’Italia nel Palazzo San Giacomo , e solo per un breve periodo nel Palazzo Caracciolo in Via Carbonara. .   Esso fu realizzato tra il  1935 ed il 1940  sempre nell’ambito della ricostruzione del rione Carità.

Il palazzo non presenta  l’architettura spettacolare  che al contrario sono tipici dei  palazzi di origine fascista che si ergono nella zona attorno Piazza Matteotti ,  essendo caratterizzato da un semplice rivestimento in marmo. Ciononostante ha in comune con questi la monumentalità che dimostra nelle imponenti dimensioni che emanano un forte senso di severità.

La facciata principale è su via Diaz ed è visibile da piazza Matteotti. Sulla sommità è presente la scritta QVESTVRA ricalcando i caratteri prettamente latini. Erano inoltre presenti ai lati del portale due rilievi in marmo raffiguranti i fasci littori. che furono  eliminati all’indomani della caduta del fascismo e  sostituiti dalla  ruota dentata  della Repubblica, realizzata in bronzo e posta sul lato sinistro del portale.

Il portale mantiene l’unica traccia del regime, dal momento che presenta quattro paia di fasci littori incisi su una disposizione di quattro cornici su tre file. Una quarta fila, superiore alle altre e sempre divisa in quattro cornici, è occupata da quattro aquile fasciste, ognuna delle quali è alloggiata in ogni cornice.

Un ingresso architettonicamente secondario perché più piccolo, ma più adoperato come accesso al palazzo è quello che affaccia su Via Medina . Un terzo ingresso è situato in via Guantai Nuovi, la strada interna al rione e parallela a via Medina.

 

 

La ex Casa del Mutilato che si trova tra Piazza Matteotti , via Guantai Nuovi e via Diaz (dove è situato l’ingresso) venne eretto tra il 1938 ed il 1940  ed inaugurato poco dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale .Il suo progetto fu affidato a Camillo Guerra che per questioni stilistiche di  realizzare un ingresso decentrato per fronteggiare l’imponente Palazzo delle Poste .

L’atrio d’accesso è caratterizzato dallo scalone monumentale sormontato dalla statua della  Vittoria (tematica ricorrente nel periodo fascista) ed un salone per assemblee  che mostra un apparato decorativo in onore del partito fascista  con temi quali il lavoro, la vittoria, la marcia su Roma e la conquista della Libia e le aquile romane (simbolo dell’impero) nel Salone d’Onore. Le facciate sono interrotte da un sequenza di setti binati in piperno   mentre ai lati dell’ingresso, posti a delimitazione del portale, ci sono due blocchi, ancora in piperno,

Di architettura fascista sono anche ,  il palazzo del Banco di Napoli in Via Toledo ed il Palazzo della  Banca Nazionale del Lavoro in Via A. Diaz .

 

Il rifacimento di via Caurducci ,via Dei Mille,  via Filangieri, e Via Chiaia, dal suo ponte fino al palazzo della Prefettura a piazza del Plebiscito.Ma è sopratutto di architettura fascista tutto il complesso fieristico della Mostra d’Oltremare di Fuorigrotta e la stazione cumana di Piazzale Tecchio

 

La  Mostra  d’Oltremare si estende si estende su una superficie di 720 000 metri quadri comprendente edifici di notevole interesse storico-architettonico, oltre a padiglioni espositivi più moderni, fontane (tra cui la monumentale Fontana dell’Esedra )   un acquario tropicale, giardini con una grande varietà di specie arboree e un parco archeologico.  Essa rappresenta insieme alla Fiera del Levante di Bari  è una delle principali sedi fieristiche italiane e sicuramente  la maggiore del mezzogiorno.

Caratterizzata da un prezioso parco arboreo, con alberi d’alto fusto e specie mediterranee e tropicali, importate negli anni ’40 dalle terre d’Oltremare, la mostra  rappresenta oggi  il parco al centro della Città di Napoli, dove cittadini e turisti possono fruire di una straordinaria area monumentale del ‘900, sicura e innovativa per vivere il tempo libero, lo sport e la cultura .

 

La Mostra, nata come Triennale d’Oltremare, fu ideata come “Esposizione Tematica Universale”, insieme al parco dell’Esposizione Universale di Roma (poi  EUR ), ed allestita nel 1937  per ospitare una manifestazione diretta a celebrare l’espansione politica ed economica dell’ Italia fascista  sui mari e nelle cosiddette terre d’oltremare.

La scelta della sua edificazione ricadde sull ‘attuale area  di Fuorigrotta oltre che  per la configurazione pianeggiante,del luogo anche per   la vicinanza al mare ed alle zone archeologiche di Cuma ed Averno . Secondo i  i promotori quest’area poteva assolvere meglio di qualunque altro luogo la funzione contemporanea di polo turistico e commerciale.

Il progetto, in questo modo, si poneva storicamente nell’ambito del più ampio programma per il rilancio della città che Mussolini aveva enunciato sotto lo slogan “Napoli deve vivere” ed aveva articolato nei famosi 5 punti elencati ai cittadini napoletani nel 1031 : “Agricoltura, Navigazione, Industria, Artigianato, Turismo”.

Inevitabilmente, la costruzione della Mostra influenzò tutto l’ambiente urbano circostante, che, se subì la demolizione dell’antico casale agricolo di Castellana, vide però la realizzazione di un vero e proprio centro direzionale e residenziale, il cui fulcro diventava il moderno Viale Augusto, asse viario a due carreggiate separate da una larga aiuola centrale con palme e pini, strada dall’andamento leggermente ed impercettibilmente curvo, idonea a condurre fino al piazzale d’ingresso alla Mostra.

Per costruire tutta la struttura occorsero appena sedici mesi. Realizzata su oltre 1.000.000 di m², constava di: 36 padiglioni espositivi; un palazzo degli uffici; un’arena all’aperto dalla capienza di più di 10.000 persone; due teatri; una piscina olimpionica; ristoranti e caffè; un parco divertimenti, un parco faunistico ed un acquario tropicale; una preesistente zona archeologica d’epoca romana, inclusa all’interno del perimetro. La Mostra , insomma , riproponeva nel suo assetto architettonico le caratteristiche delle colonie d’Oltremare – in un contesto di evidente propaganda imperiale del regime .

Inaugurata ufficialmente il 9 maggio 1940  , dall’on. Vincenzo Tecchio , allora presidente della Mostra , terminò appena un mese dopo, a causa dell’inizio della  II guerra mondiale  e dei susseguenti bombardamenti che la colpirono con il 60% degli edifici che subì ingenti danni. Tale imprevisto evento determinò la totale chiusura dell’area, che fu lasciata in totale stato di abbandono alla fine del conflitto, a causa di motivi economici ma anche di tipo ideologico.

Nel 1948 l'”ente Mostra Triennale delle Terre Italiane d’Oltremare” fu trasformato in “ente Mostra d’Oltremare e del Lavoro Italiano nel Mondo”, iniziando la ricostruzione per la riapertura che avvenne nel giugno del 1952 . La nuova funzione dell’ente fieristico venne inizialmente identificata in quella di organizzare mostre documentarie sulle attività ed il lavoro italiano nel mondo, nonché in quella di perseguire finalità idonee alla promozione ed alla valorizzazione economica e turistica della città. Il fallimento economico della manifestazione, provocò un aggravamento della situazione finanziaria già molto precaria, che risultò irrimediabilmente compromessa e causò l’annullamento di tutti i progetti intrapresi.

La Mostra fu di nuovo chiusa, se non per alcuni spazi ed alcuni periodi; ciò dette avvio, soprattutto a partire dagli  anni sessanta , ad un lungo ed inesorabile processo di spoliazione e decadimento, caratterizzato dall’uso parziale e improprio di molte strutture, dall’incuria delle zone a verde e, in particolare, dai danni provocati dall’occupazione dei suoli su cui vennero arbitrariamente insediati gli sfollati del terremoto del 1980   senza alcun rispetto per l’opera, all’insegna di una diffusa condizione di degrado, che raggiunse l’apice all’inizio degli anni novanta .

Dal gennaio 1999  il prezioso complesso fieristico, parte integrante del patrimonio storico-artistico della città, poté assurgere a nuova vita. L’Ente nel 2001 diviene ‘”Mostra d’Oltremare Spa”, nuova società di gestione, partecipata da Comune di Napoli, Regione Campania, Provincia di Napoli e Camera di commercio di Napoli , e ha dato inizio ad un sensibile programma di riqualificazione e valorizzazione, congiunto a un progetto di sviluppo economico-aziendale.

L’intera area fieristica è stata sottoposta ad un’opera di profonda ristrutturazione che l’ha riportata nuovamente al livello di polo fieristico di interesse nazionale ed internazionale ed ora si sta per completare la sistemazione del nuovo Parco della cultura e del tempo libero, che, accanto al Parco Archeologico, al Parco Congressuale ed a quello Fieristico, rappresenterà uno dei quattro ambiti, quello più nuovo e innovativo, in cui si dividerà la Mostra in futuro.

Per concludere ricordiamo che sia  il complesso Torre Ranieri sulla collina di Posillipo che la villa Oro a via Orazio sono anch’essi un’edilizia di matrice fascista così come la realizzazione dei giardini del Molo Siglio sotto la Galleria della Vittoria ( fascista pure questa, assieme al frontone ) . Sono inoltre da ricondurre al periodo fascista  buona parte del borgo Santa Lucia a Mare , il ponte d’accesso a Castel dell’Ovo presso il Borgo Marinari e la Stazione Marittima.

Il regime fascista con l’obiettivo di conferire  alla città di Napoli un ruolo preminente nel commercio marittimo del Mediterraneo , ritenendo inadeguata la stazione marittima , decise di costruire  una nuova stazione marittima, più ampia e moderna che fu inaugurata nel 1933.

La sua costruzione comportò la distruzione dell’antico molo grande e del suo braccio, il molo San Gennaro, ma specialmente dell’altrettanto antica e famosa lanterna del molo. Il nuovo molo, allargato per costruirvi sopra l’edificio, fu intitolato al ministro dei lavori pubblici  Luigi Razza ,  denominazione scomparsa all’indomani della caduta del regime.

La vecchia stazione marittima, dopo aver perso la prima funzione, divenne sede della Capitaneria di porto fino alla seconda guerra mondiale quando fu gravemente danneggiata dai danni di bombardamenti ed esplosioni e sostituita nel dopoguerra dall’attuale edificio della Capitaneria e dell’Autorità portuale.

La nuova stazione , con due corpi di fabbrica collegati tra loro , appare come  una struttura monumentale composta da due ali di circa 182 metri ciascuna. La decorazione dell’esterno consiste in dodici medaglioni in  pietra di Trani . Di questi dodici, otto raffigurano vari luoghi geografici e, ovviamente Napoli . Dei rimanenti quattro, due rappresentano la navigazione per mare e quella aerea, mentre altri due rappresentano un piroscafo e una nave romana. Vi sono quattro  metope in bronzo che rappresentano  Castore e Polluce  e la ricchezza del commercio marittimo, oltre ai classici cavalli di bronzo.

L’edificio fu realizzato attraverso la costruzione di tre piani trasversali. Al di sotto di questi si apre un varco, inizialmente predisposto allo stazionamento dei treni che provenivano dalla ferrovia di collegamento tra la stazione ferroviaria e il porto, oggi dismessa.

 

APPROFONDIMENTO

Il territorio corrispondente al vecchio rione  San Giuseppe-Carità, era un tempo chiamata ” territorio di Santa Marta ” ,  e si trovava  fuori la cortina delle mura che chiudeva  ad ovest la città ,  nella regione di Donnalbina ,  a ridosso dell’ampia zona delle Corregge , dette anche Corree ( cioè i finimenti dei cavalli che in questo luogo  gareggiavano ) . L’intera zona era uno dei possedimenti terrieri dei domenicani del Monastero di San Pietro martire  e prendeva  il nome da una confraternita,  ( quella della Disciplina di Santa Marta,)  che qui aveva sede, insieme ad un ospedale,  nel lontano 1373 .

Quando Carlo d’Angiò subito dopo la conquista del regno di Napoli , trasferì ‘ la capitale del regno da Palermo a Napoli ,egli stabilitosi
inizialmente a Castel Capuano , scelse di costruire un nuovo castello  fuori le mura della citta’ , in prossimita’ del mare , prospiciente il largo delle corregge ( attuale via medina ) , dove sorgeva una chiesa intitolata ‘Santa Maria del Palazzo’ : Carlo d’Angio’ indennizzo’ i frati francescani e concesse loro un’area nella cinta urbana , dove i frati eressero una nuova chiesa che fu chiamata Santa Maria ” la Nova ” per distinguerla dalla precedente dedicata all’Assunta che, assieme al convento sul mare, furono abbattute per far posto al Castel Nuovo. ( Maschio Angioino ).

Intorno al nuovo castello ed alla corte angioina trasferita nella nuova residenza , incominciarono a nascere sempre più nuovi edifici di nobili e ricchi aristocratici che pur di stare accanto al re non lesinarono di costruire satelliti nuovi palazzi  nobiliari in tutta la zona .

Nella vicina  zona , successivamente nel periodo aragonese Ferrante d’Aragona  pose nel territorio di Santa Marta ( rione Carità ) una cavallerizza, la cui memoria fu mantenuta nel nome di un vicolo della zona dei Guantai,  ( vico Cavallerizza vecchia,)  esistito fino agli anni cinquanta del  XX secolo.

Nello stesso periodo Aragonese , l’intera area , senza alcun controllo edilizio , vide il proliferare di un numero enorme di abitazioni che costruite senza nessun ordine , sopratutto a ridosso delle Corregge , conferì alla zona un aspetto caotico e confusionario ,a dispetto della zona  più ad ovest che rimase invece  non edificata dal momento che era di proprietà della certosa di San Martino. I molti edifici , strettamente uniti gli uni agli altri conferirono alla zona una serie di stretti vicoli  che furono i protagonisti del nome dato al luogo. La  definizioni di Corsea erano infatte  legate a qualcosa di stretto, angusto e assai poco igienico. Oggi l’antica conformazione è stata completamente cancellata e l’unica testimonianza ancora presente di questi stretti e bui è l’antico  vico Medina, (anticamente definito vico Sghizzitiello,)  che mantiene l’antico aspetto da più di cento anni: il motivo per cui è arrivato fino a noi è da ritrovare nel fatto che divide i settecenteschi palazzi Giordano e Caramanico  , che non sono stati toccati dalle modifiche urbanistiche. La sua strettezza ci può dare un’idea delle effettive dimensioni degli altri vicoli che insistevano nella zona.

Dopo la metà del cinquecento, in seguito all’abbattimento delle mura aragonesi, alla creazione di via Toledo lungo il vecchio fossato e all’avvio della costruzione dei quartieri spagnoli, si cominciò però  a costruire anche nella zona ad ovest, ma solo su azione nobiliare: è il caso del palazzo che il magistrato Egidio Tapia si fece costruire su un suolo di proprietà dei monaci della certosa, anche se la volontà del magistrato sollevò un gran polverone giudiziario dal momento che inizialmente il suolo non risultò inizialmente essere proprietà dei frati (sarà il conseguente processo ad appurarlo).

Urbanisticamente, la Corsea e i Guantai Nuovi erano un vero e proprio prolungamento degli adiacenti quartieri spagnoli, con la differenza che questi presentavano e presentano tuttora una disposizione degli edifici a scacchiera, con le strade che si intersecano in maniera ortogonale. L’asse principale era via Guantai Nuovi, che grosso modo esiste ancora oggi nel tracciato diviso in due toponimi: via Guantai Nuovi appunto e via Cervantes.

Dopo l’accennata urbanistica del periodo fascista che vide la nascita di Piazza Matteotti , l’intera zona dovette subire nel più buio periodo edile napoletano , la nascita di moderni edifici che mal si conciliavano con il paesaggio urbano circostante (cosa che i palazzi fascisti riuscirono in parte a mantenere) e dalle altezze spropositate.

Furono purtroppo cancellati la  storica Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini , il Teatro dei Fiorentini,  il mercato di commestibili di vico Bei Fiori e Belle Donne, il secondo palazzo di Egidio Tapia e il famoso ponte che lo univa all’ originario  (divenuto col tempo proprietà dei Tocco di Montemiletto) e altri palazzi di valore degni di maggior rispetto .

Da citare infine la demolizione dell’hotel Isotta & Geneve, pesantemente danneggiato dai bombardamenti della guerra, che sorgeva alla fine di via Medina davanti alla questura. La sua demolizione ha permesso a via Medina di terminare direttamente al quadrivio di Monteoliveto.

Ma le attenzioni sull’antico rione non trovano pausa e recentemente , nel 1988 , venne realizzato all’incrocio tra via Ponte di Tappia e via San Tommaso d’Aquino , frutto della nuova arte contemporanea ” il grande mulino a vento ” di Iannis Kounellis.

Oggi , l’intera zona , viene considerata la vera city (cioè la sede del settore terziario della città) della città ed appare  profondamente divisa in due zone .

La prima , quella realizzata  durante gli anni trenta e caratterizzata dai palazzi di architettura monumentalista  situati attorno al fulcro costituito da piazza Matteotti.

La seconda parte, a sud della linea via Diaz-via dei Fiorentini, presenta i chiari aspetti dell’architettura del dopoguerra, essendo stata ricostruita nell’arco degli anni cinquanta. Unica eccezione è il blocco costituito dai gemelli palazzi della Banca d’Italia e dell’INA, che pur essendo coevi agli altri edifici per realizzazione, mostrano un aspetto che è più legato alla zona di ricostruzione fascista.

Tra i palazzi di questo periodo sono da segnalare:

  • L’Ambassador’s Palace Hotel : il discusso grattacielo simbolo della Napoli moderna che dal  1957  entra di prepotenza nella visione panoramica e non solo della città;
  • il grattacielo della SME  -ENEL in via Roberto Bracco, realizzato dall’architetto Renato Avolio De Martino  che può essere considerato il primo grattacielo della città;
  • il  palazzo dell’Hotel Oriente , nato dall’intervento fascista di Ferdinando Chiaromonte, ma ricostruito nel dopoguerra, mostra un aspetto sobrio rispetto alla magnificenza e alla singolarità degli altri palazzi che affacciano su via Diaz;
  • il  palazzo del Renaissance Hotel Mediterraneo  al ponte di Tappia (altra opera di Chiaromonte);
  • il palazzo Motta su Via Toledo all’angolo con via San Giacomo, progettato dall’ingegnere Vincenzo Gentile per la Società Ferlaino-Giugliano e detto così per la presenza storica ai locali del pianterreno di un famoso bar Motta non più esistente;
  • l’edificio ICE-SNEI in via Cervantes, opera del 1955  di Ennio Passarelli, che vi implementò un androne aperto a guisa di galleria commerciale.

Le uniche opere architettoniche superstiti alla ricostruzione degli anni cinquanta sono la  Chiesa di Santa Maria Incoronata , unico edificio storico che trasse beneficio dagli interventi del dopoguerra perché fu finalmente liberata dal palazzo che da secoli si ergeva su di essa, la  chiesa di San Giorgio dei Genovesi , la chiesa dei Santi Pietro e Paolo dei Greci ed i Palazzi  Giordano e Caramanico.

Pochi sono anche gli antichi toponimi superstiti: via San Tommaso d’Aquino, via dell’Incoronata, via ponte di Tappia, via Guantai Nuovi, via dei Fiorentini. il cuiIl toponimo si riferisce alla comunità dei Fiorentini che s’insediò nella chiesa oggi non più esistente,

 

 

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