L’Imbrecciata è un quartiere di Napoli il cui nome deriva dal peculiare manto stradale acciottolato che prima ricopriva i percorsi urbani di tutto il quartiere . Il tratto di strada era infatti lastricato per buona parte del suo percorso con dei ciottoli (sassi appiattiti e levigati ) che prendevano il nome di breccia. Esso anticamente era un territorio di proprietà di Alfonso d’Aragona che si trovava fuori dalle mura della città nella zona esterna a Porta Capuana,
Il re aragonese lo regalò a suo figlio Ferrante. il quale lo cedette poi come debito di gioco al religioso Fabio Incarnato. Morto quest’ultimo, l’area finìta dapprima i in mano ad alcuni agricoltori , divenne poi lentamente un quartier emoralmente equivoca. dove erano presenti tanti ladri prostitute e femminielli che frequentavano abitualmente le tante taverne che in quel periodo fiorirono a decine.
Si racconta che’Imbrecciata fosse in quel periodo sopratutto fosse il palcoscenico criminale in cui regnava la violenza di Ciccio Cappuccio, un noto camorrista della zona. Un mediatore che garantiva l’armonia fra le bande rivali e che, manco a dirlo, ovviamente, gestiva il milionario giro di prostituzione.( lui incarnava la figura classica del ricottaro.)
A guastare i piani di Ciccio Cappuccio e di tutto il team malavitoso che regnava incontrastato nella zona, è stato lo Stato Italiano, che dopo l’unità d’Italia, nel 1876 inaugura i casini di Stato e termina l’esperienza di prostituzione nel quartiere dell’Imbrecciata.
N.B. I casini nacquero, in realtà, anche per combattere il dilagare delle malattie veneree conseguenti alla promiscuità scellerata cui il quartiere era abituato, regolandone attività, tariffe, sanzioni e modalità. La prostituzione migrò, dunque, anche in altri quartieri e smise di essere esclusiva del borgo di Sant’Antonio Abate.
Dal Quattrocento all’Ottocento l’imbreciata era quindi un sobborgo considerato in citta come un luogo di perdizione e al tempo stesso molto pericoloso, ma pieno, zeppo di taverne( più che altro erano baracche ) dove ci si poteva ristorare , bere del buon vino ed avere anche la possibilità di andare a donne e sfogare i propri bassi istinti.
CURIOSITA’: Una delle più celebri taverne della Napoli rinascimentale,fu quella quella del Crispano, di proprieta del nobile marchese napoletano Matteo Crispano ,discendente di quella famiglia illustre che vide il suo avo Sergio coprire la presigiosa carica di doge della Repubblica napoletana. .
Matteo Crispano in qualità d ifidato consigliere del re Federico d’Aragona , ricevette in cocessione per se e per i suoi eredi il permesso dell’esercizio d’una taverna in questa zona e inoltre il privilegio di non dover pagare la gabella del terzo del vino che lui stesso controllava come delegato del re.
CURIOSITA’; La taverna del Crispano, era molto famosa in citta e rappresentava per la gente del luogo ma anche dei quartieri limitrofi , il posto ideale per trascorrere qualche ora in allegra compagnia lontani dal centro della citta godendo dell’aria suggestiva della campagna.
N.B. Il grande successo che scuoteva la taverna del Crispano con la sua enorme clientela incitò, nel borgo vicino di S. Antonio, l’apertura di altre taverne come quella dgli Incarnati nella stessa contrada , quelle dei Zingari a Porta Capuana, quella di Porta Capuana presso all’arco omonimo, e in su, verso Poggio Reale le altre dette di Poggio Reale e dell’Acqua della Bufola, tutte prosperanti ancora e notissime fino al decimottavo secolo.
Al tramonto, come scendevano nella zona le ombre della sera i labirintici vicoli degl’ Incarnati e di S. Antonio Abate si popolavano di gente che occupapando i vari tavoli rustici piantati in maniera selvaggia un po ovunque occupavano il vico per buon tratto ( proprio come adesso ) mangiavano , cantavano , ridevano e spesso ballavano al suono della musica.
La luce presente che si rifletteva suelle tavole era solo quella primitiva allora esistente di lucerne attaccate al muro che certo favoriva iltrascorrere del successivo tempo con Bacco e Venere.
Il borgo molto famoso per le sue tavenne in citta era infatti altrettanto famoso per essere il luogo a luci rosse della città a tal punto che nel 1781 l’Imbrecciata fu riconosciuta come l’unico quartiere in cui il meretricio era ufficialmente ammesso. Onde evitare pericolosi sconfinamenti, a metà Ottocento fu addirittura eretto un muro con un solo ingresso sorvegliato dalla polizia, che si assicurava della cessazione di ogni attività entro la mezzanotte. «Chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori» urlava ai clienti dei postriboli una sentinella chiamata simpaticamente”Papà”. La quale ogni notte aveva a che fare con chi si tratteneva oltre gli orari consentiti.
CURIOSITA ‘; Celebre prostituta dell’Imbrecciata, nel Seicento, fu Bernardina di Pisa, bellissima e scaltra donna che fu moglie di Masaniello. Caduta in disgrazia dopo la fallita rivolta – fu invitata a corte dalla viceregina, davanti alla quale, vestita elegantemente, per non rinnegare il suo popolo si ribattezzò “duchessa delle sarde” – fu costretta, secondo quanto scritto da Salvatore Di Giacomo a guadagnarsi da vivere concedendo il corpo. Di lei si presero beffa i soldati spagnoli, che approfittando della sua condizione abusavano senza pagar-la, spesso percuotendola. Aveva soli ventitré anni, Bernardina, quando la vita le voltò le spalle. Morì con grande sofferenza a trentuno, nel 1656, contraendo la peste. Non aveva amici, tantomeno protettori. Anche perché solo nell’Ottocento capitò che le meretrici finissero sotto l’influenza di sfruttatori o esseri abietti, i cosiddetti “ricottari” – e la ricotta, nella parlata dei camorristi dell’epoca, era sinonimo di sperma.
Il luogo peraltro era anche citato da Gustave Flaubert, l’autore di Madame Bovary, che aveva visitato Napoli nel 1851 scrivendo : “ Napoli è affascinante per la quantità di donne che ci sono. Un intero quartiere è abitato da prostitute che stanno davanti alle loro porte; è una vera e propria suburra. Quando si passa per la strada, arrotolano le loro vesti fino alle ascelle per mostrarvi il culo, per avere due o tre soldi.”
L’imbrecciata era un tempo, un luogo quindi paradossalmente molto noto in tutta Europa e rappresentava spesso una sorta di meta obbligatoria del peccato per i giovani rampolli nobili o borghesi che desiderassero godersi la vita e per completare la formazione culturale in Italia .
In passato i giovani rampolli di aristocratiche famiglie europee per conoscere il mondo e arricchire le proprie conoscenze erano soliti partire per il Grand Tour . Si trattava di un lungo viaggio nei luoghi più significativi d’Europa ed in particolare dItalia, considerato allora, un importante momento di completamento della propria formazione culturale , storica e letteraria. finì per rappresentare un importante momento per ognuno di loro, nel passaggio dalla giovinezza al mondo adulto. Durante il viaggio, infatti il giovane , passando il suo tempo in giro per i vari luoghi turistici aveva modo di conoscere come oggi succede con l’Erasmus la vita al di fuori della sua famiglia ,migliorando in generale il loro bagaglio culturale di base , imparare nuove lingue, studiare e conoscere l’arte , l’architettura e la storia di antiche gloriose città’ europee migliorando in assoluto il loro bagaglio culturale di base
Napoli era insomma non solo un luogo ricco si storia e cultura dove scoprrire. le rovine di Pompei, di Ercolano e dei Campi Flegrei che in più offrivano la possibilità di studiare anche i fenomeni naturali legati alla sua attività vulcanica , ma anche un luogo considerato allora come la capitale mondiale del piacere sessuale.
N.B. Le testimonianze arrivano senza troppi problemi ad inizio ‘500 quando è documentata la concentrazione di postriboli ( case di prostituzione, bordelli )nella zona del Borgo di Sant’Antonio ad opera di Don Pedro De Toledo.
Figuratevi ora dei giovani che nel pieno del loro picco testosteronico giovanile giungevano a Napoli per visitare luogi di arte e cultura ma venivano contemporaneamente messi a conoscenza che in un quariere denominato ” imbrecciata”esisteva il primo quartiere a luci rosse del mondo …
L’imbrecciata era un luogo in cui si ritrovano tra il XV e il XIX secolo, molte taverne dove cibarsi bere e divertirsi ma anche un luogo molto famoso dai clienti dove trovare molti bordelli ,e tante prostitute , a tal punto che a fine ‘700, Ferdinando I di Borbone, emanò addirittura un editto con il quale consacrava la zona al meretricio e autorizzava nonchè concentrava la prostituzione dell’intera città solo in quella zona. Ferdinando II, nel 1855, come abbiamo visto , se mise ‘a coppa costruendo un muro per isolare i clienti che cercavano piacere e sollazzo, in cambio di denaro.
La nostra città in quel periodo godeva purtroppo quindi come avete potuto capire anche del triste primato di essere in Europa una delle capitali europee della prostituzione. non solo femminile ma anche maschile.
CURIOSITA’: All’interno di questo rione, c’era anche un viale tutto frequentato da omosessuali e travestiti, che prendeva il nome di Vico Femminelle. Il vico si chiama, ora, Via Pietro Antonio Lettieri.
Il “femminéllo”, nonostante il trucco pesante, l’abbigliamento femminile spesso non propriamente raffinato, le movenze e le tonalità caricaturali, è una figura molto rispettata nella nostra città , sopratutto nei quartieri popolari , dove il terzo sesso è sempre stato non solo tollerato ma rispettato nel suo ruolo e mostrato senza pudore. Accettati da sempre nel loro genere, in tutto e per tutto dalla tollerante società napoletana,non è detto che debbano per forza prostituirsi. Facendo parte del tessuto sociale cittadino essi sono addirittura considerate delle persone che portano fortuna. Per questa ragione è invalso l’uso (sempre nei quartieri popolari) di mettergli in braccio il bimbo appena nato e scattargli la foto; oppure farlo partecipare a giochi di società quali la tombola.
La popolarità di cui gode ha sempre fatto sì che la sua presenza fosse necessaria in alcune manifestazioni tradizionali, tra queste, la più conosciuta è la tombola Vajassa (detta scostumata) in cui la figura del Femminiello è deputata all’estrazione del numero come portafortuna nella buona riuscita del gioco natalizio. Questa rituale estrazione dei numeri della Tombola costituisce senz’altro una delle più caratteristica espressioni della tradizione popolare napoletana . In questa , Il panariello spinto dalla mano degli dei o chi per esso , esprime attraverso la figura del femminiello che, a sua volta, utilizza il codice della Smorfia, le storie dai numeri che escono .
La tradizione della “ Tombola Vajassa” ,esiste ( e resiste ) da secoli nei quartieri popolari di Napoli . Ad essa possano partecipare esclusivamente donne e/o femminielli. Il gioco avviene generalmente in un “basso”, e fino a qualche anno fa gli uomini potevano assistere al gioco purché essi restassero rigorosamente alla porta o a guardare dalla finestra senza accedere in alcun modo nella stanza dove si svolgeva la tombola ( oggi comunque in alcune Tombole Vajassa possono partecipare anche gli uomini ).
Il gioco procede in modo rumoroso, sboccato, canzonatorio. Generalmente è il femminiello che tira a sorte i numeri proclamandoli ad alta voce secondo il significato della smorfia napoletana . Il numero sorteggiato può anche non essere annunciato in modo palese; infatti, basandosi sulla smorfia napoletana, al posto del numero egli può semplicemente dire il suo significato più diffuso e risaputo, che i presenti immancabilmente conoscono ed intendono.
Il divertimento della tombolata con i femminielli è dato proprio dalla “smorfia”: infatti, man mano che i numeri escono, il femmenèlla concatena in una sequenza logica e cronologica i relativi significati, creando una storia che si forma dalla casualità del sorteggio e dalla sua fantasia : è un “evento” che il femmenèlla ricorda man mano che esso si sviluppa e che viene commentato rumorosamente con divertimento o con finto scalpore dagli stessi femminielli e soprattutto dalle donne presenti al gioco.
Il linguaggio utilizzato in questa spettacolarizzazione del gioco della tombola , è quanto di più fantasioso e colorito si riesce a immaginare, senza alcun pelo sulla lingua e ovviamente senza limiti alla fantasia ma soprattutto alla volgarità …. ma i doppi sensi e le continue allusioni sessuali rimangono . Il bravo Femminiello riesce comunque a farlo senza mai scadere nel volgare esprimendosi in un dialetto napoletano che risulta comprensibile a tutti, perfino dai tanti stranieri oggi sempre più presenti .
Tra gli altri riti celebrati dai femminielli, famosi sono anche quelli dello Spusalizio mascolino, la Covata dei femminielli e la Figliata dei femminielli.
Nel primo, due femminielli si uniscono a nozze in forma privata, poi i novelli consorti si ritiravano in camera dove consumavano il matrimonio.
Con la Covata, mentre la donna partorisce, il marito mima a sua volta il parto, imitando le doglie con pianti e grida e ricevendo per questo tutte le attenzioni normalmente riservate alla partoriente. Col tempo il femminiello sostituisce il marito e, con la sua presunta carica di positività, è di buon auspicio alla neo mamma e al neonato.
Il cosiddetto rito della “figliata dei femmenelli” invece consiste nella simulazione, dietro un velo, del parto da parte dei femmenelli, con tanto di doglie ed è oggi considerato un rito apotropaico di buon auspicio.
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Quest’ultima tradizione è descritta in un mirabile capitolo de La pelle di Curzio Malaparte e si svolge ancor oggi in altre zone della città, come i Quartieri Spagnoli. , ma sopratutto spesso rappresentat da un grande arista come Peppe Barra che tra l’altro ha dedicato all’imbrecciata la celebre canzone Aitano in cui un travestito esercitava il mestiere dipingendosi la faccia da Pulcinella.
CURIOSITA’:A causa della sua diversità, la figura del femminiello assume anche poteri vaticinanti. Pensiamo alla scostumatissima tombola che si tiene nel periodo natalizio e che a Napoli ha la sua massima espressione nell’attore Gino Curcione. Il fascino di questi personaggi, nell’ultimo trentennio, ha rapito intellettuali e artisti: i femminielli sono protagonisti ne La gatta Cenerentola (1976) di Roberto De Simone o del romanzo Scende giù per Toledo(1975) di Giuseppe Patroni Griffi attraverso la figura di Rosalinda Sprint, che si strugge tra prostituzione e innamoramenti. Il boom dal punto di vista culturale è negli anni Ottanta, grazie alla Nuova Drammaturgia Napoletana e alle opere di autori come Annibale Ruccello.