Oggi attraverso una bellissima poesia vi racconteremo di un personaggio che  e’ stato uno dei maggiori poeti e letterati napoletani, nonche’ giornalista, e cantore napoletano . Egli fu un grande poeta innamorato della citta’ di Napoli che cerco’ di vivere e descrivere nei piu’ intimi dettagli frequentando e vivendo per le strade e i vicoli ma anche frequentando assiduamente i piu’ bei salotti culturali della citta’ .
Amante di Napoli e del suo dialetto , scrisse prevalentemente poesie in lingua napoletana , dando un significato ed un calore alle parole , con un’armonia ed espressività che nessun’altra lingua poteva esprimere .

A queso punto avete certamente capito che parliamo di Ferdinando Russo , uno dei più grandi poeti napoletani , che grazie alla straordinaria bellezza del dialetto napoletano,  scrisse numerose poesie dialettali ispirate a soggetti reali della vita di quartiere . Egli scrisse in tal modo pregevoli ritratti delle classi più povere e disagiate di Napoli, indagando sulla malavita e sulla prostituzione, finendo per questo anche dinanzi al magistrato, con l’accusa di offesa alle istituzioni, anche per le sue opinioni critiche nei confronti di Garibaldi unificatore dell’Italia( I suoi scritti erano caratterizzati da forti critiche nei confronti di Garibaldi).

Prima di descrivervi la bella poesia è utile che voi sappiate che la madonna dei mandarini, secondo un’antica leggenda che abbraccia tutto il Meridione e che sembra risalire addirittura al Medioevo, è la patrona dei ladri. Dei mariuoli come si dice dlce nostre  parti.

Secondo questa leggenda  quando i malfattori muoiono, facendo la fila per entrare ed arrivare dinnanzi a San Pietro, custode delle chiavi per entrare in paradiso, la madonna fa cenno loro di nascondersi. Quando poi la fila si dilegua e San Pietro chiude le porte, la Madonna dei mandarini fa entrare le anime che hanno peccato di notte, di nascosto.

Questa leggenda e la stessa poesia di Ferdinando Russo vanno interpretate con un minimo di buon senso . La madonna della leggenda non è infatti una malfattrice, non desidera il male delle persone, né intende tradire la fiducia del Signore. Essa Incarna solo uno spirito materno, permissivo, flessibile. Che è disposta a perdonare anche chi ha sbagliato, se chi ha sbagliato si è pentito. In più, oggetto di questa leggenda sono i ladri. Dunque chi ha rubato, non chi ha ucciso. E probabilmente questo aspetto è vitale per l’interpretazione critica della poesia.

 LA MADONNA DEL MANDARINO di  Ferdinando Russo

Quanno ncielo n’angiulillonun fa chello c’ha da fà,‘o Signore int’a na cellascura scura ‘o fa nzerrà.

Po’ se vota a n’ato e dice:– Fa venì San Pietro ccà!E San Pietro cumparisce:– Neh, Signò, che nuvità?

– Dint’ ‘a cella scura scuran’angiulillo sta nzerrato:miettammillo a pane e acquapecche ha fatto nu peccato!

E San Pietro acala ‘a capae risponne: – Sissignore!Dice Dio: – Ma statt’attientoch’ha da stà vintiquatt’ore!

L ‘angiulillo, da llà dinto,fa sentì tanta lamiente….– Meh, Signò, dice San Pietro,pè sta vota… nun fa niente.

– Nonzignore! Accussì voglio!Statte zitto! Dice Dio;si no ognuno se ne piglia!‘N Paraviso cumann ‘io!

E San Pietro avota ‘e spalle.Da la cella scura scural’angiulillo chiagne e sbatte,dice ‘e metterse paura!

Ma ‘a Madonna, quanno ognunosta durmenno a suonne chine,annascuso ‘e tuttequanteva e lle porta ‘e mandarine.

 

Il significato di questa incantevole bellissima poesia  come poete notare è leggero, sfumato, dolce.

Tutta la scena della poesia si  svolge in Paradiso e racconta di un angioletto che non si è comportato bene. E Ferdinando Russo descrive un Dio quasi simile a quello ebraico, arrabbiato e punitore, non infinito nella sua bontà come invece vorrebbe l’etichetta cattolica.Il Signore ordina a San Pietro di punire l’angioletto chiudendolo in una cella, lasciandolo a pane ed acqua.San Pietro cerca di far ragionare Dio, il quale non vuole sentire ragioni e, mesto,  esegue l’ingrato compito.

Ma, in piena notte, quando nessuno guarda, la Madonna va a consolare il piccolo angelo e gli porta i mandarini.

L’immagine della Madonna in questa poesia è completamente opposta a quella di Dio. Appare quasi come un rapporto fra due genitori, il padre severo e la mamma indulgente. Una mamma che concepisce la possibilità di errore e perdona. Ma lo fa in silenzio, si potrebbe dire quasi “per dispetto“, senza montare scenate, disobbedendo persino al Signore.

Pe la madonna in qiesta poesia ,chi ha commesso peccato, persino chi lo ha fatto, è meritevole di mangiare i mandarini, anche se chiuso nella gabbia per decisione del Signore.

Questa teoria non sarebbe neanche contraria agli insegnamenti di Gesù, il quale sosteneva che il medico abbisogna di recarsi al capezzale del malato e non del sano. E dunque proprio chi ha commesso il peccato, anche se può apparire paradossale, necessita di aiuto e sostegno.

Chi è senza peccato scagli la prima pietra.O scagli anche il primo mandarino…

 

E’ arrivato adesso il momento di scoprire chi era Ferdinando Russo

Innanzitutto bisogna sottolinera che egli  era ritenuto ai suoi tempi, un personaggio bizzarro e ai limiti dello stravagante e non era benvisto dagli altri letterati contemporanei che non gli risparmiavano critiche e battute pungenti. Addirittura, Salvatore Di Giacomo lo riteneva indegno di frequentare il Gambrinus poiché girava spesso vestito di stracci per inoltrarsi, di notte, tra le bettole di marinai, criminali e povera gente della Marina; in realtà , il poeta amava presenziare assiduamente anche proprio al Gran Caffè e ad altri salotti intellettuali, ma di giorno, suscitando lo sdegno della borghesia.

La plebe  partenopea con il suo dialetto è stata la protagonista assoluta della sua attività  di giornalista, descritta anche con simpatia in alcune sue canzoni sfrontate ed impertinenti (oltre che in poesie ritenute indecenti e scabrose per il linguaggio utilizzato ed i temi trattati),

In perenne competizione con Salvatore Di Giacomo, e vittima di giudizi negativi anche di Benedetto  Croce, Ferdinando Russo incontrò invece il favore di Giosuè Carducci che, giunto a Napoli nel 1891 assieme all’allieva Annie Vivanti, volle conoscerlo personalmente.

CURIOSITA’ : Durante un pranzo con il poeta maremmano Russo fece eseguire da alcuni posteggiatori la sua serenata ‘Scetate’ suscitando l’estasiata ammirazione della Vivanti che improvvisamente scoppiò a piangere. Carducci ingelosito si allontanò con la ragazza e non volle più vederlo.

Come quindi avete certamente già intuito , Ferdinando Russo , nel panorama degli intellettuali napoletani della sua epoca era  una di quelle personalità  controverse a cui, però, era  difficile rimanere indifferenti: poeta e giornalista, si mise in mostra  soprattutto in quanto autore di anche irriverenti e divertenti che, ai suoi tempi, sono state oggetto di polemiche e scherno.

CURIOSITA’ : Personaggio poliedrico Ferdinando Russo nel 1891 tra la folla che lo acclamava volo’ su Napoli, a 3600 metri di altezza, con il pallone aerostatico Urania e di ritorno dalla straordinaria esperienza scrisse il poema ‘’N paravise’.

Spesso la sua presenza nel noto caffe’ Gambrinus , arredato in stile liberty , diveniva motivo di scontri e dibattiti . Si ricorda a tal proposito anche la scommessa fatta con Gabriele D’Annunzio , quando entrambi si ritrovarono ad un tavolino del famoso caffè Gambrinus da sempre ritrovo di poeti ed artisti . In questa circostanza proprio per una piccola sfida- scommessa fatta con D’annunzio nello scrivere versi in dialetto napoletano nacque quasi per gioco,  ” A vucchella ““, poi musicata da Francesco Paolo Tosti ed entrata di diritto nella storia della canzone napoletana.

N.B .Il brano è stato poi interpretato e portato al successo da famosi personaggi come Enrico Caruso , Luciano Pavarotti e Roberto Murolo.

Ferdinando Russo conobbe Gabriele D’Annunzio , quando quest’ultimo  nel  1892  lavorava presso la redazione de “Il Mattino“.  In  quella circostanza  il  collega  Ferdinando Russo, autore di canzoni napoletane che sembra lo abbia sfidato a comporre  liriche in dialetto napoletano ( difficoltà risiedeva  nel fatto che il poeta era abruzzese ). Si ritrovarono così dopo poco tempo ad un tavolino del famoso caffè Gambrinus  per mettere in atto la sfida.

CURIOSITA’: Il famoso caffè Gambrinus ,famoso in tutto il mondo e  da sempre ritrovo di poeti ed artisti , si trova in Piazza Trieste e Trento all’ angolo con via Chiaia. Esso conserva nel suo interno stucchi, statue e quadri delle fine 800 realizzati da importanti artisti napoletani ;tra queste vi sono anche opere di Gabriele D’Annunzio e Marinetti.
Nato nel 1860 sono passati nelle sue sale dorate i personaggi illustri d’ogni tempo e paese diventati poi clienti affezionati , come : Gabriele D’Annunzio – Ferdinando Russo – Benedetto Croce – Matilde Serao – E . Scarfoglio – Eduardo Scarpetta – Toto’ e i De Filippo – Ernest Hemingway – Oscar Wilde – Sean Paul Sartre – i reali di casa Savoia – e tanti altri .

Ferdinando Russo ,di origini borghesi,  nacque a Napoli il 25 novembre del 1886 da Cecilia De Blasio e Gennaro Russo che era  un  ufficiale del dazio. Egli  seguendo la sua passione per il giornalismo , abbandono’ gli studi da giovanissimo ed entro’ come correttore di bozze alla ‘Gazzetta di Napoli’ per poi fondare successivamente un suo periodico ‘Prometeo’, che ebbe però vita breve.

Lasciato il lavoro al giornale entrò come impiegato al Museo Nazionale, senza mai però abbandonare l’attività giornalistica, poetica e letteraria.
In questi anni, l’artista iniziò diverse collaborazioni che lo portarono a scrivere alcuni dei suoi brani più famosi. Avviò una fortunata collaborazione con Salvatore Gambardella, un musicista di grande bravura pur senza aver mai studiato musica, con cui scrisse brani destinati a restare immortali

.La vera notorietà la raggiunse con i bellissimi versi del 1887 di ‘Scetate’, un’appassionata serenata musicata da Mario Costa, che divenne un vero e proprio inno degli innamorati di Napoli.

Con il musicista Rodolfo Falvo scrisse invece “Tammurriata Palazzola” e dopo aver incontrato Vincenzo Valente produsse “Manella mia” e “Serenata a Pusilleco”. Ma il sodalizio più proficuo fu quello con Emanuele Nitti, da cui nacque “Mamma mia che vò sapè”.
Fu apprezzato autore di circa un centinaio di macchiette tra cui ricordiamo ‘Il cantastorie’ e ‘O pezzente ‘e San Gennaro’, e ‘L’elegante’.

Le sue pubblicazioni poetiche più importanti sono “Poesie napoletane”, “Villanelle napoletane” e la postuma “Suspiro ‘e Pulcinella” ma è ricordato anche per la sua critica all’Unità  d’Italia e allo Stato Unitario, tanto che si ritrovò in più di una occasione in tribunale per accuse di vilipendio delle istituzioni.

Nel 1911 fu anche chiamato a dirigere la Poliphone, casa editrice musicale tedesca che aveva sede a Napoli.

Morì improvvisamente nel 1927, nella sua casa di Via Cagnazzi, una piccola area del quartiere Stella incastrata tra Sanità , Capodimonte e Corso Amedeo d’Aosta, un tempo nota come contrada Pirozzolia: sulla scrivania rimasero incompiuti i versi di una nuova canzone.

Dopo la sua morte fu ricordato da una lapide dettata da Carlo Nazzaro nei pressi del porto, andata poi distrutta assieme all’edificio su cui era murata. Recentemente nei pressi del porto una copia è stata ricollocata nello stesso luogo in ricordo di uno dei più illustri cantori dell’anima napoletana.

Oggi riposa al cimitero di Poggioreale insieme a tanti altri personaggi come Viviani, E.A. Mario, Benedetto Croce, Enrico de Nicola, Francesco de Sanctis, Salvatore di Giacomo, Vincenzo Gemito, Saverio Mercadante, Ernesto Murolo,  e Antonio Niccolini che hanno portato alto il nome di Napoli nel mondo.

 

 

 

 

 

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