Jacopo Sannazaro, poeta ed umanista di spicco dell’umanesimo napoletano , nacque  a Napoli il 28 luglio del 1457 da una nobile famiglia della Lomellina (i Sannazzaro), il cui nome pare  derivasse  da una villa a San Nazaro, nei pressi di Pavia. Essa, stabilìtosi nel Regno di Napoli nel sec. 14º, ed comunque quasi del tutto  estinta alla nascita di Iacopo.

Il padre, Nicola, discendeva da un’antica famiglia pavese, nominata addirittura da Dante   nel Convivio (IV, 29.3). La madre Masella, invece, proveniva da una importante famiglia salernitana.

Nato quindi dall’unione tra la salernitana Masella di Santomango e Cola dei Sannazaro, egli  alla sola tenera età di 5 anni ,dovette purtroppo subire  la prematura scomparsa del padre che portò la famiglia a   dover fronteggiare problemi di stabilità economica .

Peggiorate le condizioni della famiglia  per la perdita di una parte del patrimonio, Sannazaro fu portato dalla madre rimasta vedova  , ancora bambino, nel possedimento di San Cipriano di Piacenza, sulle alture appenniniche, dove rimase fin verso i vent’anni, imprimendo nell’animo quel paesaggio e quelle suggestioni che ritorneranno nelle sue opere.

N.B. Catapultato in un nuovo universo bucolico , il futuro poeta , educato dalla madre, nutrì proprio in questi meravigliosi luoghi  la propria sensibilità, interiorizzando  l’atmosfera e le immagini che ritroverà e trasporrà molti anni dopo nella stesura dell’Arcadia,

Fece ritorno a Napoli nel 1547  dove qui studiò latino e greco  ed iniziò ad inserirsi nei circoli umanistici e corigiani . Inizio a formarsi presso lo Studium, dove fu discepolo  di Giuniano Maio e Lucio Crasso, docenti di poetica e di retorica, presso l’ Ateneo  partenopeo che lo avviano verso studi di matrice umanistica.

Jacopo Sannazaro mostrando  immediatamente una sua singolare attitudine verso queste materie,  finì per frequentare l’esclusiva Accademia di Pontaniana , cioè il principale centro di studi umanistici del Regno di Napoli dove ebbe modo di conoscere poeti come Jacopo de Jennaro e Giovan Francesco Caracciolo ma sopratutto il direttore di quell’Accademia Giovanni Pontano riconosciuto all’epoca  come un  importantissimo umanista  e sicuramente il più imortante letterato della Napoli di quei tempi.

CURIOSITA’:Giovanni Pontano, poeta, umanista  uomo politico di spicco della corte aragonese ,fu l’intellettuale che diede  il nome all’Accademia pontaniana. All’inizio essa venne denominata ” ACCADEMIA ALFONSINA “perche pare fortemente voluta da  Alfonso d’Aragona all’indomani della sua investitura a re di Napoli . Il Sannazzaro divenne presidente di questa importante fondazione culturale dove si riunivano insigni studiosi napoletani per comunicare e scambiarsi i risultati delle loro riflessioni , nel 1471, succedendo ad Antonio Beccadeli detto il Panormita . Durante le riunioni dell’ Accademia che si proponeve di   coltivare le scienze, le lettere e le arti i vari oggetti  oggetti di discussione erano argomenti letterari e filologici, i classici ,  la Bibbia, temi teologici in genere e geografia.

Dopo averlo conosciuto ed aver avuto modo di apprezzare le sue doti umanistiche , il Pontano decide di far  entrare nella famosa ed illustre Accademia Jacopo Sannazzaro  ,assumendo lo pseudonimo classicizzante di Actius Syncerus ( nell’Accademia  era consueto, assunse uno  pseudonimo latineggiante ). Il Sannazaro ebbe così modo di  affermare in questo ambiente di grande cultura tutto il suo talento di letterato colto e raffinato, ottenendo consensi e ammirazione dall’élite culturale partenopea dell’epoca.

Fu quindi a lungo ospite dei conti Cavaniglia, nel palazzo di corte di Montella, (dove  sembra, scrisse la sua Arcadia,)  ispirato dai monti Picentini. Ottenne rapidamente la fama di poeta e dopo aver perso anche la madre e la donna amata, Carmosina Bonifacio, ottenendo   un posto come uomo di corte, decise di  trasferirsi  alla corte del duca di Calabria, che diventerà poi re di Napoli col nome di Alfonso II. In questo periodo di tranquillità economica, il poeta, sotto la spinta degli stimoli culturali di corte, inizia a produrre anche scritti in lingua latina e in volgare: vedono così la luce nel 1480 le prime egloghe,  poi le Rime, e nel 1483 la sua opera più celebre (e più influente nei secoli successivi), l’Arcadia.

 

N.B  L’ Arcadia è un prosimetro pastorale costituita da dodici prose e altrettante egloghe, Essa  è la descrizione di feste, riti, giochi pastorali, d’una vita rinascimentale vagheggiata fuori delle pratiche necessità. Considerata un’opera di squisita eleganza, ricchissima di reminiscenze dai classici greci, latini,e  italiani , essa conobbe una straordinaria fortuna, e costituì il modello per il romanzo e la favola pastorale dei secoli successivi, in Italia e all’estero .

 

Il Sannazaro che alla corte aragonese riceveva dal sovrano una cospicua rendita , identificava  in Federico l’ideale di sovrano umanista e, ammirandolo e stimandolo moltissimo, gli restò fedele fino alla morte. Egli  fu molto fedele al re Federico d’Aragona mantenendo anche durante l’invasione straniera  la più leale fedeltà ai suoi signori: alla caduta definitiva della monarchia aragonese (1501), vendette alcuni suoi feudi e addirittura seguì il suo re in esilio in Francia nel momento in eglli  fu costretto a fuggire.

La sua dedizione al  sovrano  venne comunque compensata da Federico d’Aragona nel 1497 con il dono di un terreno a Mergellina  sul quale egli fece costruire la sua abitazione, una torre e due  chiese .

 

 

 

 

 

 

In esilio il poeta ebbe comunque l’occasione di avvicinarsi ulteriormente allo studio dei classici.

Solo quando nel 1504 il re Federico muore ,  il Sannazaro, libero dal suo vincolo di fedeltà, fece ritorno a Napoli ,  vive ndo così in prima persona il successo scaturito dalla pubblicazione dell’Arcadia, avvenuta in quello stesso anno.

Da quando fece ritorno a Napoli fino all’anno della sua morte,, il Sannazaro condusse  una vita abbastanza ritirata nella villa di Mergellina, ricevuta in dono anni prima dall’adorato re Federico. Egli in questo periodo intrecciò  una lunga rete di rapporti con molti  intellettuali italiani, dimostrata per esempio dal rapporto epistolare con  Pietro Bembo , e concentrò la sua attivutà poetica sulla produzione di testi latini: di questi anni sono infatti gli Epigrammata, le Elegiae  e le Eclogae piscatoriae ,dove il mondo pastorale è trasposto nella dimensione marittima dell’atmosfera di Mergellina,e della Baia di Napoli .

N.B. Se l’Arcadia , come poi vedremo fu riscritta in fiorentino, non mancano nella produzione del nostro umanista opere in volgare napoletano . Nei testi dell   Ecloghe piscarie  i protagonisti non sono i tipici pastori bucolici, ma i classici pescatori napoletani. che  in un  carattere comico   venivano spesso messi in scena durante feste di corte.

La sua opera più celebre di questa sua ultima fase produttiva fu tuttavia il De partu Virginis (il parto della vergine)che venne pubblicata nel 1526 dopo circa un ventennio di elaborazione . Il  poemetto in esametri latini nasce dall’idea ardita di fondere assieme la poesia epica classica ed un episodio biblico, quale, appunto, il mistero della nascita di Cristo e la  maternità di Maria.

L’opera, stilisticamente splendida,  fu  comunque molto contestato dai contemporanei (tra i quali  Erasmo da Rotterdam ) ma assieme al coevo poema Christias di Marco Gerolamo Vida  , verrà a essere considerato nel tempo , uno dei primissimi esempi della grande stagione epica rinascimentale ormai alle porte.

Secondo molti studiosi , fu proprio nella sua magniifica villa a Mergellina che il Sannazzaro si dedicò  a questa sua opera da cui deriva il nome della chiesa che egli decise poi d donare insieme alle proprietà circostanti ai Padri Servi di Maria, assegnando loro una rendita annua di 600 ducati, con l’impegno di completare una piccola  seconda chiesa, ornare l’esterno della chiesa di giardini e statue ma sopratutto erigere un monumento funebre alla sua morte, avvenuta poi l’anno seguente.

CURIOSITA’: La costruzione della chiesa superiore, fu interrotta anni prima da una terribile epidemia di peste ed anche per l’abbandono della città da parte del Sannazzaro per gli eventi bellici venutisi a creare tra la Francia e la Spagna che portarono nel 1528 durante l’assedio francese il principe Filiberto d’Orange a saccheggiare la villa, abbattere la torre e trasformare la villa in un accampamento militare. Secondo molti studiosi di storia pare sia stato proprio questo episododio  a far decidere a  Jacopo Sannazaro, di dare  in dono ai Servi di Maria il suo  podere a Mergellina.

La morte del Sannazaro arrivò ne 1530  e i lavori di realizzazione della tomba in cui il poeta chiese di essere sepolto , cominciarono nel 1536 .  Secondo alcuni fu lo stesso poeta a disegnare il proprio sepolcro, tant’è che  Bevedetto Croce  nel1892  scriveva:

«Quella mescolanza di sacro e profano ch’è tanto caratteristico della poesia del Sannazaro, quella pienezza di fede religiosa nel Cristianesimo e di fede estetica del paganesimo, raggiungono un’espressione plastica in questo monumento sepolcrale

L’opera venne commissionata allo scultore frà Giovanni Angelo Montorsoli (dell’ordine dei Padri Serviti)la cui firma è presente nella zoccolatura del sacello, ma secondo altri pare sia opera  del napoletano Girolamo Santacroce.

Tomba di Jacopo Sannazzaro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il monumento funebre marmoreo è ospitata in una cappella nella parte absidale della chiesa degli Olivetani a Napoli (ora nota come Santa Maria del Parto a Mergellina), e ricorda   nelle forme il colombarium in cui si narra fosse ospitata lla tomba di Virgilio a  a cui il Sannazaro viene paragonato

La  cappella e’ meravigliosamente  decorata con un ciclo di affreschi di Nicola Russo, mentre il monumento ricavata da blocchi di marmo di Carrara ,possiede un incredibile basamento che  venne realizzata dei fratelli Pietro e Bartolomeo Ghetti dove  nella parte centrale . retto da due putti, si trova un epitaffio  scritto da Pietro Bembo .
La tomba è ornata da soggetti profani e strane decorazioni, tra cui un teschio cornuto, due amorini, le armi ed il suo stemma,
L’opera suscitò all’epoca non poche polemiche, a causa della presenza di elementi tipicamente pagani, come le rappresentazioni di Apollo e Minerva sulla base e per questo motivo un viceré spagnolo minacciò di rimuoverlo, ma i frati, per evitare ciò, fecero scolpire sotto le figure di Apollo e Minerva i nomi biblici di David e Judith.

CURIOSITA’: Nella chiesa superiore , nella  prima cappella a destra è collocata una delle opere più significative di Leonardo da Pistoia, la famosa tavola nota come “Il Diavolo di Mergellina” o “San Michele che calpesta il Demonio” che riporta alla leggenda della vittoria del vescovo di Ariano, Diomede Carafa, sulla tentazione di una nobildonna napoletana identificata in donna Vittoria d’Avalos.

San Michele che calpesta il demonio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il quadro di Leonardo da Pistoia raffigurante San Michele da sempre è considerato come il “diavolo di Mergellina” poichè rappresenta un giovane bellissimo che calpesta un demonio dalla testa di una donna; una leggenda vuole che questa tela sarebbe l’allegoria della vittoria sulla tentazione del vescovo di Ariano Diomede di Carafa, divenuto in seguito Cardinale, del quale si sarebbe innamorata Vittoria d’Avalos, aristocratica dama napoletana, novizia per qualche anno del convento di Sant’Arcangelo a Baiano, a Forcella, noto per l’allegra condotta delle varie consorelle.

Vittoria d’Avalos si invaghì del giovane Diomede Carafa e per vincerne il cuore si rivolse alla fattucchiera Alamanna affinchè le procurasse un filtro d’amore.Una volta ottenuto il filtro, la fanciulla confezionò con esso delle saporite zeppulelle che offrì in dono al prelato. Iniziò così la passione e il desiderio per la bella Vittoria, di cui Diomede non riusciva a capirne la ragione fino a quando incominciò a sospettare di essere rimasto vittima di un sortilegio e deciso a porvi rimedio si rivolse ad un suo amico frate esperto in cose occulte.

Il frate fa dipingere da Leonardo Grazia, detto da Pistoia un quadro in cui San Michele ( di cui lui era devoto ) trafigge un demone con le fattezze di Vittoria e lo cosparge di acqua Santa e uno speciale balsamo preparato per l’occasione contro l’incantesimo.
L’opera che pare abbia compiuto il miracolo, mostra la seguente iscrizione: Fecit victoriam alleluia (vittoria allude chiaramente al nome della fanciulla).

L’episodio ha dato vita nel corso dei secoli al detto popolare “si bella è nfama comme o riavule e Margellina.

CURIOSITA’: Quando durante il decennio francese (1806-1815) vennero soppressi tutti gli ordini religiosi, la stessa sorte purtroppo tocco  anche il convento dei Frati Servi di Maria, mentre le case ubicate sotto la chiesa divennero di proprietà privata del famoso impresario musicale Domenico Barbaja che ospitò per un lungo periodo Gioacchino Rossini, l’epicureo compositore che qui dava sfogo alla sua passione per le belle donne e alla buona cucina. Nel 1812 la chiesa venne affidata ad una “Confraternita del SS. Rosario” e solo nel 1971 ritornò agli attuali Padri Serviti.

Poco dopo la scomparsa del poeta, nel 1530, appare una raccolta di alcuni suoi scritti “Sonetti et canzoni” che furono pubblicate e Napoli e Roma . Molte di queste rime di chiaro stile petrarchesco , caratterizzate da uno stile molto bello, da un perfuso clima di malinconia e da accenti accorati di singolare tenerezza. pare siano dedicate a Cassandra Marchese , il  suo grande amore  teneramente amato  anche se già sposata. Tuttavia le nozze di questa donna fallirono, e ne fu richiesto l’annullamento ufficiale alla Santa Sede e Sannazaro fece di tutto per aiutare la sua amata ad ottenerlo. L’annullamento fu concesso nel 1518 per il sommo piacere dei due amati.

Queste bellissime Rime del Sannazzaro, che uscirono lo stesso anno di quelle del Bembo, vennero a costituire, involontariamente quasi, proprio assieme alle Rime del Bembo la base del vasto fenomeno del  petrarchismo che pervaderà l’Europa per vari secoli.ed  ebbero quindi anch’esse un impatto fondamentale nella letteratura futura.

Come mostra la seconda versione dell’Arcadia, anche il Sannazaro, autonomamente dal Bembo, doveva aver lentamente optato per il toscano trecentesco come opzione linguistica valida per tutta la penisola italiana. Le Rime del Sannazaro, quindi, che uscirono lo stesso anno di quelle del Bembo, vennero a costituire, involontariamente quasi, proprio assieme alle Rime del Bembo la base del vasto fenomeno del petrarchismo che pervaderà l’Europa per vari secoli.

L’opera comunque più importante di Jacapo Sannazaro resta l’Arcadia che mista di prose e versi  ebbe un  grande successo e risonanza fino al Settecento: in essa si  definisce in modo nuovo il carattere mentale e spirituale degli antichi modelli pastorali  creando in questo modo la base per tutta l’ambientazione e i temi della letteratura pastorale europea.

Nella sua prima edizione dell’Arcadia (1485), Sannazaro mise insieme dieci brani in prosa, legati ad altrettante ecloghe (alcune erano già state composte in gioventù). Nel 1504 ci fu poi una seconda edizione  dell’opera, revisionata dal punto di vista linguistico ed ampliata dove egli la scleta ben precisa di eliminare dal testo tutte le forme del volgare napoletano  poiché  mirava  a raggiungere il più ampio pubblico delle corti italiane, al di là del ristretto ambito della corte aragonese. Decide quindi per ottenere lo scopo  di modellare sia la sua prosa che i suoi versi sulla lingua del  fiorentino letterario  di Petrarca e Boccaccio., anticipando in tal modo le idee di uniformità della lingua letteraria italiana.

Protagonista dell’Arcadia di Sannazaro è Sincero, l’ alter ego dell’autore, che racconta di aver lasciato Napoli per fuggire dalle pene d’amore e di aver raggiunto l’Arcadia ,l’antica  regione della Grecia, idealizzata come  locus amoenus. Qui Sincero  se ne sta in compagnia di altre pastorelle e pastori conducendo una vita molto semplice, suonando e cantando.

Il mondo dei pastori è quello stesso della corte aragonese e dei suoi circoli intellettuali, ma trasferito altrove, in un paesaggio fresco ed incontaminato. Sincero  racconta un mondo dalla natura incontaminata, dove tra prati soleggiati e animali di ogni tipo, si muovono divinità pagane   come Pan e Apollo ma anche satiri , ninfe, e poeti pastori  i che con canti e danze rallegrano il lavoro nei campi.

É un mondo di sogno, ma in continuo rapporto con molti aspetti della realtà. Non mancano ovviamente nell’opera riferimenti autobiografici e personaggi contemporanei mascherati da pastori che fondono la finzione letteraria con la realtà quotidiana .  Come sotto-trame ci sono diversi episodi di amore, magia caccia, in cui si colgono allusioni al panorama culturale napoletano contemporaneo.

Il viaggio di Sincero  per l’Arcadia, ad un certo punto, prende però una svolta: guidato da una ninfa, egli infatti penetra nella profondità del mondo  raggiungendo  il fiume Sebeto e riemergendo subito dopo  nella sua città: Napoli dove il  protagonista, dopo aver ricevuto la notizia della morte della donna tanto amata, con queste parole saluta i lettori:

“Conciossiacosaché chi non sale, non teme di cadere; e chi cade nel piano, il che rare volte addiviene, con picciolo ajuto della propria mano senza danno si rileva. Onde per cosa vera ed indubitata tener ti puoi che chi più di nascoso e più lontano dalla moltitudine vive miglior vive; e colui tra’ mortali si può con più verità chiamar beato, che senza invidia delle altrui grandezze, con modesto animo della sua fortuna si contenta”.

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