Il limpiano era  il nome originale di tutta una vasta zona quasi pianeggiante , situata per la maggior parte , fuori le mura della città  ( fuori Porta Reale ),  che si estendeva dal Largo Mercatello ( attuale Piazza Dante ) fino al casale di Antignano sulla collina del Vomero e da Monteoliveto fino al borgo dei Vergini .Era una zona non popolata ( almeno in tutta l’epoca medievale ) , con enormi distese di terre e di giardini appartenenti per lo più al Monastero di S. Severino e Sossio ed in piccola parte ai Monasteri di Monteoliveto e di S. Chiara , dove passava la cosidetta Via Antiniana cioè la principale via di collegamento tra Napoli e Pozzuoli .

 

L’ ampia zona fu  donata in epoca ducale al Monastero di S. Severino e Sossio dall’ultimo duca di Napoli , Sergio VII  . Con l’atto di donazione stilato nel 1130 il duca donava un casale nel territorio detto ” Limpianum “, compreso tra le chiese , poi distrutte di S. Arcangelo e di S. Vito , situate in località Corigliano ( di cui resta il nome nel vico Corigliano alla salute ) e Porta Donnorso ( o domini Ursitata ) costruita prima del Decumano Maggiore , di fronte al lavinaio ( oggi Cavone ).  Il casale è stato poi identificato nella casa colonica di un certo Olimpio.

Nel 400 il famoso poeta e letterato umanista Giovanni Pontano ( segretario di Alfonso d’ Aragona ) modificò  il nome in ” Allompiano ” ( poi Olimpiano )  in quanto  riteneva che in quel luogo un tempo sorgesse , invece,  un tempo , un antico tempio dedicato a Giove Olimpio .

Un tratto della  zona del Limpiano venne poi in seguito all’avanzamento delle mura con la costruzione di Via Toledo e lo spostamento di Porta Reale allo Spirito Santo, inglobata dentro le mura della città . Questa area chiamata ” Limpiano di dentro ”  confinava con i nuovi territori di Biancomangiare  o biancomagnare , che  situati allo Spirito Santo appartenevano inizialmente al duca  Fabrizio Pignatelli di Monteleone .  Questa zona , ricca di meravigliosi giardini e orti  che andava da Santa Chiara all’attuale Pignasecca , era un luogo  molto noto in città dove solitamente  ci si recava per  mangiar bene tant’è che il luogo era noto con il nome di “Biancomangiare” per indicare la salubrità del sito ed una gustosa pietanza locale  a base di crema di latte.

Quando le mura di Napoli furono allargate con il vicerè don Pedro de Toledo, per costruire la nuova via a lui intitolata, fu deciso di spianare tutta la zona del Biancomangiare e la maggior parte dei giardini furono confiscati al Pignatelli a cui rimasero solo quelli nella zona dello Spirito Santo. Egli allora su questo residuo terreno rimastogli fece costruire nel 1574 , un ospizio oggi divenuto dopo tanti rifacimenti  l’Ospedale Pellegrini.

Alla grande spianata di tutti questi  orti  pare che sopravisse soltanto un pino, definito in napoletano pigna. Delle gazze vi nidificarono nascondendovi tutti gli oggetti preziosi che sottraevano dalle abitazioni vicine, finché i  demoralizzati abitanti non provvidero a scacciarle. Il pino progressivamente si seccò conferendo a questa zona il nome di “Pignasecca”.

 

Il Limpiano  cosidetto “di dentro ”  fu ovviamente la prima zona ad essere abitata ma tutto il Limpiano  in epoca vicereale divenne sempre più popolosa a tal punto da assumere le caratteristiche di un borgo. Nel Seicento, infatti , come tutte le aree verdi vicine al centro della città, divenne meta ambita per la fondazione di monasteri, chiese e conventi che richiamarono intorno a loro un numero sempre più crescente di abitanti  trasformando  in assoluto l’ intera zona.  Insieme alla capillare presenza di Ordini ecclesiastici  , grazie anche alla mancanza  di controlli  governativi avvenne quindi  in quel periodo  un totale  sfruttamento intensivo dei suoli che cancellerà nel tempo ogni residuo spazio pubblico libero. Sui terreni non occupati dalle fabbriche religiose, si concentrò sopratutto  l’interesse della borghesia meno ‘possidente’, quella, per intenderci, che non poteva ambire alle proprietà in via Toledo, consentite solo ai patrimoni aristocratici in auge. . Il territorio da quel momento  cominciò sempre più a popolarsi e venne suddiviso in quattro diverse masserie assumendo sempre di più le caratteristiche di un borgo.

Una intera zona , chiamata la Costigliola ,venne popolata di monasteri femminili e maschili mentre un’intera area che si estendeva fino alla” Infrascata “(oggi  S. Rosa ) venne utilizzato come territorio di caccia ai numerosi conigli che popolavano la zona . In essa venne costruita una residenza di caccia aragonese, detta la Conigliera , voluta da re Alfonso II d’Aragona  ( oggi  inglobata nel  palazzo nobiliare Muscettola di Leporano  del XVI secolo ) che venne considerato difettoso perchè mancante di giochi d’acqua e con poca aria ( per le cattive condizioni della zona ) . Il palazzo passò alla morte del re aragonese ai principi di Leporano .

 

Sul promontorio ” sopra il museo sorse invece con il suo  portale in pietra grigia, realizzato da Francesco Solimena , la chiesa di San Giuseppe dei Vecchi . La chiesa, insieme al monastero, venne costruita nel 1616, per volontà di padre  Andrea Cavallo,  sul suolo acquistato dove tempo prima  sorgeva il palazzo di Francesco Carafa. La chiesa divenne subito molto frequentata e, dopo qualche anno (1634), i monaci affidarono all’architetto Cosimo Fanzago la costruzione di un edificio più ampio che venne poi restaurata a seguito dei danni subiti dal  terremoto del 1732 da Nicola Ta gliacozzi Canale .

Gli edifici costruiti nel nuovo territorio , in origine presentavano un piano unico, ma, nel corso del tempo, vennero sopraelevati fino a cinque piani per far fronte alla carenza cronica di abitazioni per una popolazione in crescita costante; gli stessi spazi verdi di raccordo con la collina di San Martino e Sant’Elmo e gli orti che delimitano tutta l’area vennero a poco a poco fagocitati da nuove costruzioni. Unica eccezione per lungo tempo fu via Salute e la zona dell’Infrascata, risparmiate dal cemento e ricordate per orti e aria salubre (da cui i toponimi delle strade), con ville e giardini a terrazze aperti sul golfo e sporadiche masserie circondate da campi coltivati .

Lentamente , in questo meraviglioso territorio agricolo , silenzioso e spesso panoramico sul mare  tra meravigliosi giardini e ricchi vigneti che circondavano  nobili e modeste casine, incominciarono a sorgere  chiese e conventi sparsi a macchia d’olio ( Infrascata perchè aperta tra i campi ) Molte persone dal centro della città insieme a numerosi pellegrini spesso si recavano in questa zona per venerare la reliquia sacra del ” piede di S. Anna che si trovava nella cappella del  seicentesco Palazzo dei Principi Tocco  di Montemiletto .  Per visitare la veneratissima reliquia di Sant’Anna ( oggi  conservata nel Duomo di Napoli) portata a Napoli   dalla Grecia da un membro  della famiglia  Tocco ,  si riuniva un tempo , lungo i gradoni dove si trova il palazzo Montemiletto ( gradoni di Sant’Antonio ) ,  una grande miriade di fedeli .

 

Furono eretti nella zona , per concessione di un suolo da parte della famiglia Coppola , proprietaria di una delle quattro masserie  numerosi edifici religiosi : All’ apice della salita Pontecorvo fu costruito   il convento e la chiesa di Gesù e Maria (poi ospedale) . Essa Fu fondata su un suolo donato da Ascanio Coppola al padre Domenicano Paolino Bernardini che ne iniziò la costruzione. Inizialmente la chiesa non era cosi grande e solo pochi anni più tardi rispetto alla data di fondazione e per concessione di lasciti e rendite di Ferdinando Caracciolo, conte di Biccari e duca d’Airola, la chiesa fu ampliata.  La facciata fu realizzata su disegno di Domenico Fontana ed al suo interno  sono ancora presenti , nonostante i numerosi saccheggi ,meravigliose opere  d’arte che portano la firma di Bernardo Azzolino , i fratelli Bartolomeo e Pietro Ghetti, Belisario Corenzio, Gaetano D’Agostino , Giovan Bernardo Lama , Giuseppe Gallo , ed infine Paolo De Majo .

Su un terreno con un piccolo casale di proprietà un tempo di Gianfrancesco di Sangro, acquistato poi dai frati cappuccini fu eretto il convento e la chiesa ( dedicata all’Immacolata ) dei padri Cappuccini , detto anche di S. Eframo Nuovo  ( per distinguerlo dall’altra sede storico dei cappuccini chiamata  Sant’Eframo vecchio  che era  localizzata sotto il monte all’apice dell’omonima strada in zona Ponti Rossi.

Il nuovo convento situato  all’inizio della Salute ( divenuto poi sede dell’Ospedale ) fu costruito  sul un territorio acquistato dai Frati Minori Cappuccini grazie ai lasciti onerosi di Fabrizia Carafa e sarà il primo insediamento immobiliare a carattere religioso nell’area anticamente detta di Fonseca . Esso fu per lunghi anni usato come convalescenziario, cioè una sorta di monastero infermeria, capace di offrire soggiorno a scopo terapeutico per le rinomate qualità climatiche del colle. In seguito all’espulsione dal Regno dei Frati Cappuccini avvenuta nel 1865, il complesso conventuale infermieristico fu poi sequestrato dalla gendarmeria e utilizzato per molti anni come caserma, prima che divenisse tristemente noto come l’ospedale psichiatrico giudiziario Sant’Eframo o ancora ed anche l’OPG di Materdei .

Grazie a fondi donati dal Mercante Gaspare Roomer di Anversa, molto devoto a Santa Maria Maddalena de’ Pazzi,( religiosa fiorentina canonizzata nel 1669 ) vennero costruiti anche il  convento e la chiesa di S. Maria Maria Maddalena de Pazzi o del Sacramento  ( oggi visibile in  Via Salvator Rosa ). La chiesa venne costruita, insieme al convento, nella prima metà del XVII secolo per ospitare le suore Carmelitane dopo che queste furono costrette ad abbandonare il monastero del Santissimo Sacramento. Essa ha purtroppo subito nel corso dei secoli numerose modifiche che ne hanno modificato l’aspetto seicentesco della struttura, della quale rimase solo il portale in piperno (un tempo decorato con ori e affreschi).
Il monastero, soppresso nel 1806 dai francesi, venne utilizzato come magazzino per la paglia e, solo dopo il ritorno dei Borboni (1815) ne fu ripristinato l’uso religioso. Successivamente, fino al 1927 il convento fu usato come ospedale militare. L’edificio fu nuovamente restaurato nel 1932, occasione in cui la chiesa venne rivestita di marmo bianco di Carrara.
All’interno sono custoditi affreschi attribuiti a Giovanni Battista Benaschi e, sull’altare maggiore, la tela di Paolo Finoglio raffigurante le Sante Maria Maddalena, la Penitente, e Maria Maddalena de’ Pazzi che adorano il Santissimo Sacramento.

 

Venne anche costruito il complesso, composto dalla chiesa e da un antico ospedale di S. Maria della Pazienza edificata da Annibale Cesareo ,  denominata anche “Cesarea” in onore del suo fondatore, Annibale Cesareo che, alla morte, venne sepolto proprio all’interno della struttura. Questa chiesa è collegata al ricordo di Padre Pio a Napoli e famosa in città per il fatto che in essa nel 1917 , il soldato-prete futuro Padre Pio  celebrò ben 34 messe .

Il soldato Francesco Forgione  ( futuro Padre Pio )  all’età di 28 anni , prestò infatti ,durante la prima guerra mondiale , servizio  militare a Napoli . Fu in verita soldato dapprima negli Ospedali militari di Benevento e di Caserta , e solo successivamente militare  alla Trinità Maggiore ( oggi in disuso ) tra il Corso Vittorio Emanuele e Spaccanapoli . Venne poi assegnato alla Caserma Sales  ( oggi liceo Vico ), accanto appunto alla chiesa della Cesarea . Nel 1915 venne poi inviato in convalescenza per un anno  per problemi polmonari  ed una volta tornato addirittura ricoverato al Policlinico per gli stessi problemi . Ricevuta l’autorizzazione papale a celebrare messe  nell’autunno del 1917 , ne celebrò ben 34 come già detto nella chiesa della Cesarea .  Subito dopo fu di nuovo ricoverato per forti febbri per poi ritornare a Pietralcina per indossare il saio francescano . Nel marzo del 1918 giunse quindi per l’ultima volta a Napoli dove venne riformato definitivamente per grossi problemi ai polmoni .

Un medico di allora racconta a proposito della sua malattia : ……le sue famosi febbri che facevano saltare i termometri , le misteriose emottisi ….sembravano malattie che facevano impazzire i medici , ma erano invece, fenomeni mistici, con i quali il Padre liberava alcuni malati dalle malattie , accollandosele lui e soffrendo in vece loro …..

Nel 1606 fu anche costruito nel luogo in precedenza occupato da Palazzo Pontecorvo , il convento e la chiesa di San Giuseppe delle scalze grazie all’ opera di cinque monache Teresiane . La facciata e la controfacciata di questa chiesa rappresentano  uno splendido barocco del famoso  architetto Cosimo Fanzago mentre nel suo interno , commissionato dalle suore Teresiane a Luca Giordano, si trovava una delle sue principali e più importanti opere . Una enorme e magnifica  tela che era collocata  sull’altare maggiore  ritraente La sacra Famiglia e la Visione dei Simboli della Passione ( datato 1660, siglato“L.G” ) considerata importantissima ai fini dell’iconografia classica e teologica, poiché  testimonia l’ondata di misticismo che pervase gli Ordini Carmelitani e Francescani all’indomani della terribile peste del 1656 che decimò il popolo napoletano. La tela , è importante anche perchè perché di essa ne esiste ancora oggi  anche una copia francese, a Saint-Etienne, in omaggio al conte di Peñoranda, vicerè di Napoli, dal 1658, nonché protettore dell’Ordine delle Carmelitane.

 

Il luogo divenne anche la sede delle cosiddette “Fosse del Grano” che altro non erano che l’antico stipo in cui veniva conservato il grano della città posto proprio al di sotto delle mura cittadine in modo da poterlo difendere in caso di attacco; la sua funzione rimase attiva sino al 1852, anno in cui fu abolito il monopolio del cereale. Al suo posto venne costruita, sulla collina della Costagliola ,  la chiesa di San Potito insieme al suo  complesso monastico, abitato dalle suore basiliane, poi benedettine (  la parte del monastero, in cui vi è un bel chiostro panoramico, è stato successivamente destinato a caserma dei Carabinieri ).  La chiesa dotata di un’unica navata con tre cappelle malgrado le varie spoliazioni di opere d’arte subite nel tempo, conserva nel suo interno una Madonna  realizzata da Luca Giordano , un’Immacolata dipinta da Giacinto Diano , ed  un bel quadro di Andrea Vaccaro, che ritrae la Vergine tra i Santi Antonio e Rocco .

Nella seconda metà del 500 , Fabrizio Pontecorvo fece cambiare il nome di Olimpiano ( come in seguito veniva chiamata l’intera zona )  in quello di Pontecorvo , sebbene riferito soltanto a quella strada ed a quel luogo dove egli ebbe vari palazzi. Egli giunto  a Napoli in epoca vicereale acquistò in questa zona dei suoli prima da alcuni monaci e poi anche dalla famiglia Coppola proprietaria di una delle masserie per costruirvi appunto dei lussuosi palazzi . La ricca e potente famiglia dei Pontecorvo ( famiglia cancellata dall’epidemia di peste del 1656 ) diede inizialmente avvio alla costruzione del bel palazzo di famiglia Pontecorvo, che diede poi il nome a tutto il borgo ed alla strada.
La strada venne chiamata via di Pontecorvo ed ebbe di li’ a poco un’ importanza strategica grazie al fatto che al suo interno passava la principale via di collegamento tra Napoli e Pozzuoli, la cosiddetta via Antiniana che seguendo lo stesso percorso dell’ antica via Appia, scavalcando la collina del Vomero permetteva di raggiungere Soccavo-Fuorigrotta e da li Pozzuoli. Detta collina , nella parte bassa , era chiamata della ” Costigliola ” (  ora S. Potito ) e ai suoi lati discendeva il lavinaio  ( Cavone ) , detto anche la via della lava . La zona sovrastante la Costigliola si chiamava   ” Infrascata ” ( oggi via Salvator Rosa ) perchè a dire di molti era per tutto il suo percorso ricoperta da frasche o da rami d’albero .

 

 

 

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