La storia incomincia quando un giorno del lontano ottobre del 1709 un contadino residente tra Resina ( Ercolano ) e Portici di nome Ambrogio Nocerino soprannominato Enzechetta , decise di scavare un pozzo nel suo giardino per meglio irrigare il suo orto . Mentre scavava vide improvvisamente affiorare alcuni frammenti di alabastro e antichi marmi. Ignaro della scoperta, e non sapendo che farsene egli recatosi a Napoli li vendette ad un artigiano che in quel periodo era impegnato come marmoraro alla costruzione di alcune cappelle di varie chiese napoletane ( egli intendeva usare quei marmi per ornare alcune cappelle gentilizie ),.
L’artigiano lavorava spesso per il principe d’Elboeuf, comandante delle armate austriache a Napoli che era solito affidargli vari lavori . Un giorno il Principe come era solitamente fare passò presso la bottega dell ‘artigiano. Egli in quel periodo era alla continua ricerca di decori di pregio per abbellire la propria residenza allora in costruzione al molo del Granatello sulla marina di Portici . Da esperto cacciatore di opere d’arte quale egli era, immediatamente notò gli antichi marmi riposti in un angolo chiedendo spiegazioni in merito alla sua provenienza. Una volta saputo del ritrovamento dei reperti, e accertata la veridicità della notizia, comprò non solo i marmi ed il silenzio del contadino , ma immediatamente anche il terreno di Enzechetta dove decise ovviamente di continuare le operazioni di scavo. A quei tempi l’archeologia non esisteva e chiunque munito di pala e piccone poteva fare il bello e il cattivo tempo scavando e portando a casa preziose opere d’arte.
Fu così dunque che nel 1709, raccolta un po’ di manodopera locale per i successivi cinque anni, il Principe d’Elboeuf indisturbato ,sotto la direzione dell’ architetto Giuseppe Stendardo effettuò una serie infinita di scavi che portarono alla luce un tempio rotondo sostenuto esternamente da 24 colonne di alabastro fiorito, e giallo antico, e nell’interno da altrettante colonne dello stesso marmo tutto ornato di statue, fra le quali una di Èrcole, e l’ altra creduta di Cleopatra, (le statue furono inviate dal Principe a Vienna al Principe Eugenio di Savoia) . Egli tenne per sè parte dei marmi e delle statue, che furono usate in gran parte per ornare la sua bellissima e sontuosa villa di Portici , ed in parte invece pensò di regalarle a diversi personaggi nobili o di spicco d’Europa ; alcune furono inviate al Principe Eugenio di Savoja (sette statue di scultura greca ) e altre al re Lodovico di Francia (.Moltissimi i capolavori che trafugò e portò via in Francia, Germania e Austria. Tantissime invece le opere d’arte che divennero merce di scambio ). Ma mentre il principe faceva i fatti suoi a Resìna, qualcuno osservava le sue mosse. Il re Carlo infatti venuto a sapere di questi regali comandò al Principe e a chiunque altro di cessare immediatamente l’opera furtiva . il principe fu improvvisamente richiamato a Vienna e i lavori furono subito sospesi .Carlo di Borbone indignato dei “furti” del d’Elbeuf ordinò che si cominciassero gli scavamenti per “regio conto ” e affidò quindi al Bonucci il compito di scavare l’antica città con metodo e rigore. Il re aveva infatti ben capito in maniera lungimirante fin dalla visita alla villa del principe d’Elboeuf che tutti i ritrovamenti archeologici della zona , passati sotto la sua proprietà e protezione avrebbero solo portato ricchezza e lustro al suo regno.
Seppure inconsapevolmente il Principe dal fondo del pozzo , scavando secondo la tecnica degli ingegneri militari dei cunicoli orizzontali portò alla luce i resti del proscenio dell’antico teatro della città di Herculaneum con 2.500 posti (Pompei ne aveva 5.000) il primo edificio in assoluto ad essere scoperto dell’antica città di Ercolano, sepolta dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. assieme a Pompei, Stabia e Boscoreale
Le tecniche di scavo iInizialmente prevedevano la realizzazione di pozzi, che consentivano di raggiungere il livello antico; da dove poi si procedeva con lo scavo di gallerie sotterranee. L’ operazione era complessa e pericolosa, dovuta al costante rischio di crolli e per questo motivo gli scavi furono successivamente interrotti ( per paura di crolli alle abitazioni circostanti ) ed il sito venne erroneamente riconosciuto come il Tempio di Giove
Il Governo impedì dunque a questo punto il proseguimento degli scavi. Questa sospensione per altro non fu che temporaria; giacché il Re Carlo III, nel 1738, ordinò che si continuasse lo scavo incominciato dal Principe d’Elbeuf. Affidò gli scavi all’ingegnere Roque Joaquin de Alcubierre che rinvenne due statue, di cui una in bronzo ,varie colonne e capitelli e molteplici pezzi di marmo policromo, che furono tutte riutilizzate per abbellire la Reggia borbonica di Portici allora in costruzione : chiamato a corte l’esperto Marcello Venuti questi , esaminati tutti i vari reperti, giunse alla conclusione che quella struttura non era il Tempio di Giove ma l’antico Teatro di Ercolano.
Gli scavatori inoltrati ancora una nel pozzo, trovarono poi nella profondità di 80 palmi, dapprima un’iscrizione lapidaria, ed alcuni frammenti di statue equestri di bronzo. Proseguendo poi gli scavi orizzontalmente, rinvennero altre statue di marmo, ed alcuni altri frammenti; ma poi la scoperta più rimarchevole, che si fece, fu quella del gran Teatro di Ercolano, dove si vuole che stesse radunato il Popolo, mentre succedette la terrìbile eruzione del Vesuvio.
L’illuminato sovrano Carlo di Borbone intuì subito che la scoperta di Ercolano era un potente veicolo di promozione e di propaganda del suo territorio – nonché del prestigio per la sua casata – e si affrettò a far preparare bozzetti e stampe dei gioielli che man mano venivano fuori per diffonderli nelle varie corti europee. Spinto dal successo, dopo qualche anno il sovrano decise di dare nuova linfa agli scavi di Pompei, altra grandiosa città sepolta da pomici eruttive e lapilli.
Iniziarono così le prime pubblicazioni e mappature del sito di Ercolano , introducendo nuove tecniche di scavo a cielo aperto” che sfruttavano la luce del sole riducendo il rischio di cedimenti. I primi interventi si devono all’intervento di Karl Jakob Weber, il quale, nel 1750, cominciò ad indagare la cosiddetta Villa dei Papiri. Altri a Francesco La Vega ed Infine nel 1927 all’archeologo Amedeo Maiuri.
Il successo dei scavi portò alla luce un numero enorme di reperti archeologici da oltrepassare di gran lunga le aspettative dei sovrani a tal punto che nello spazio di sei o sette anni fornirono al re delle Due Sicilie un museo Ercolanense da far invidia a qualunque potentissimo monarca. In questo modo si rese, per cosi dire, alla luce una intera città piena di abbellimenti, teatri, templi, pitture o statue, marmi e bronzi, nascosti nel seno della terra da oltre milleseicento anni. che divenne una delle mete preferite del Gran Tour da parte dei giovani rampolli dell’aristocrazia europea.
Il Principe come gia detto , fu improvvisamente costretto a lasciare Napoli perchè richiamato a Vienna ed in seguito al suo repentino abbandono decise di vendere la sua enorme villa , nel 1716 , al Duca di Cannalonga , don Giacinto Falletti che affidò a Pietro Vinaccia la sua ristrutturazione .La villa maestosa aveva una facciata di circa 115 metri .ed era caratterizzata da una bella coppia di rampe ellittiche simmetriche , poste a cavalcavia della grande terrazza a sua volta delimitata da una elegante balaustra in marmo , che conduceva al primo piano nobile caratterizzati da due portali in marmo e piperno .
La bella dimora del Principe a Portici realizzata da Ferdinando Sanfelice fu la prima delle 122 ville vesuviane del Miglio d’oro . Si racconta che Re Carlo e sua moglie Maria Amalia di Sassonia furono costretti a riparare sulla costa porticese da un forte nubigragio che li sorprese in navigazione nel golfo. La coppia reale fu accolta a Villa d’Elboeuf dal duca, e rimase talmente impressionata dalla bellezza della lussuosissima dimora e dei dintorni, da ordinare poi la costruzione della Reggia di Portici che divenne residenza estiva di corte. Tale evento dette il via all’edificazione del resto delle ville del Miglio d’Oro, in quanto i nobili napoletani scelsero sempre più numerosi le coste vesuviane per edificare le proprie magioni di campagna e mantenere così il contatto con la coppia reale anche quando lasciava la capitale.
A colpire sopratutto i reali e sopratutto la regina fu l’incredibile numero di preziose opere d’arte presenti nella villa con i quali il Principe aveva abbellito il proprio palazzo provenienti dagli scavi di Ercolano, di Portici e forse anche di Torre del Greco. Molte colonne in marmo e sicuramente moltissimi bronzi adornarono le balconate.
Il re e la regina una volta decisa la costruzione di una residenza estiva in quel luogo incominciarono quindi i lavori nel 1738 e alla sua realizzazione lavorarono ingegneri, architetti e decoratori, da Giovanni Antonio Medrano ad Antonio Canevari, da Luigi Vanvitelli a Ferdinando Fuga; per la decorazione degli interni operarono, Giuseppe Canart, Giuseppe Bonito e Vincenzo Re, mentre per i bei giardini e per il parco fu chiamato Francesco Geri. Per accedere alla Reggia dal mare, nel 1773 fu anche costruito il porto del Granatello.
Il sito prescelto da re Carlo sopratutto per motivi paesistici e per le adatte risorse alla caccia, si rivelò nel tempo ricco di antichi reperti archeologici e ad ogni scavo della terra, necessario per costruire la reggia emergeva continuamente qualche meraviglia del passato provenienti dalle città sepolte di Ercolano e Pompei. Tutte queste opere furono poi sistemati nelle stanze della Reggia formando con il tempo una delle raccolte più famose al mondo che diedero vita poi all’Herculanense Museum, inaugurato nel 1758 che divenne meta privilegiata del Grand Tour.
Il progetto della costruzione della Reggia di Portici fu affidato prima ad Antonio Medrano e successivamente ad Antonio Canevari . Nel vasto disegno architettonico furono inglobati i nobili casini del conte di Palena , del Principe di Caramanico, e del Principe di Santobuono con i loro giardini ; il palazzo Mascabruno con il bosco fu destinato ad accogliere la Cavalleria mentre il palazzo Valle ospitò il personale di corte. Il risultato finale fu una deliziosa residenza estiva edificata tra aranceti e limoni , immersa in un lussureggiante territorio che dalle pendici del Vesuvio terminava al Granatello con la peschiera ed un forte per la protezione dal mare denominato ” bagni della Regina” . Un piccolo edificio neoclassico a due piani ed un tempietto che fungeva da piccolo molo per le imbarcazioni reali fortemente voluto successivamente poi da Ferdinando IV che fece anche costruire un viale che metteva direttamente in comunicazione la Reggia con la villa.
Nel 1742 per una cifra di 5250 ducati fu poi acquistata da re Carlo anche la lussuosa villa d’Elboeuf al Granetello con i suoi 177 busti di marmo ed altri reperti provenienti dai scavi di Ercolano che divenne una sorte di dependance della Reggia in quanto era attigua alla riserva di pesca del Granatello dove Carlo amava pescare.
Un’idea di quello che poteva essere presente come reperti archeologici possiamo farcela solo attraverso gli appunti di un diario archeologico rinvenuto appartenente all’archeologo Giulio Minervini scritto nel 1862 quando già purtroppo dell’arredo di casa d’Elbeuf era rimasto assai poco. Il palazzo del principe dopo la sua dipartita venne infatti ( non ebbe figli ) abbandonato e fu saccheggiato più volte.
Giulio Minervini, nelle pagine del Bollettino archeologico italiano, così scrive: Le quattro statue di marmo che restavano nel casino del Principe d’Elbeuf, due delle quali erano dentro le nicchie sotto la scala che corrisponde al mare, e l’altre due sotterrate sono state portate al R. Palazzo di Portici. Una di quest’ultime e divisa per mezzo alla cintura. Si è trasportata dal palazzo d’Elbeuf una statua di Èrcole rotta in più pezzi, de’ quali mancano alcuni, e propriamente la testa e le mani; la quale statua fu cavata nel Teatro, ed è molto simile a quella detta alli 4 novembre. Varii pezzi di marmo con iscrizione che dice VIR-EPVLONVM, 25 cofani di diaspro, giallo antico, africano, rosso antico. Sei lastre grandi cipollazzo due o tre palmi in circa di larghezza e di lunghezza chi più e chi meno. Tutti tali pezzi servivano d’ornamento alle nicchie dove stavano le dette statue. Tre cofani di picciola cornice di marmo che stava nello stesso sito. Dove si son trovate le tre statue dette di sopra, si è incontrato un pezzo di marmo che tiene le seguenti lettere: VIR- QVINQ-THEATR-C. . Varii pezzi di marmo con lettere, i quali uniti formano queste parole: L-ANNIVS L FMAMMIANVS – RVFVS-II-VIR – QVINQ • THEATR • C = VMISIVS • P • F-AR
Il declino della Villa d’Elboeuf cominciò proprio nel 1839 con la costruzione del tratto ferroviario Napoli-Portici, primo d’una rete che successivamente avrebbe collegato Napoli ai comuni di Nocera e Castellamare, sotto il regno di Ferdinando IV di Borbone.
La prima ferrovia d’Italia rappresentò di sicuro motivo di vanto per la dinastia borbonica e per tutto il Regno delle Due Sicilie, che vide successivamente la costruzione del cantiere ferroviario di Pietrarsa, uno dei primi grandi complessi industriali d’Italia che s’aggiunse al già prestigioso cantiere navale di Castellamare di Stabia. Purtroppo però questa infrastruttura fu costruita parallelamente all’andamento della costa, in prossimità del litorale stesso, privando, di fatto, la villa del suo magnifico parco .
Successivamente, a seguito dell’Unità d’Italia nel 1861, tutti gli immobili e beni borbonici, compresa Villa d’Elboeuf, andarono a far parte del patrimonio della famiglia reale dei Savoia. In seguito, nel più totale disinteresse per i siti partenopei, la storica villa fu venduta alla famiglia Bruno che la divise fra tanti affittuari
Le successive deprivazioni e privatizzazioni dell’edificio, il susseguente abusivismo edilizio della seconda metà del Novecento e l’attuale stato di incuria e abbandono, hanno poi oggi reso la bellissima Villa d’Elboeuf un triste rudere pericolante senza più alcuna traccia dell’antico patrimonio artistico che possedeva.
Il Principesco Palazzo , dal 1971 dichiarato come tutte le ville del miglio d’oro , dall’UNESCO patrimonio dell’Umanità , nonostante i 25 miliardi di lire di fondi europei messi a disposizione del Patto Territoriale del Miglio d’Oro , versa oggi inspiegabilmente ancora completamente abbandonato all’incuria . Negli ultimi anni è stato depredato di ogni bene al punto che oggi l’unico elemento architettonico, ancora rimasto a caratterizzare la villa, è rappresentato dalle due scalinate ellittiche, che in strazianti condizioni, collegano il palazzo con la spiaggia, e portano , al piano nobile, in una piazzola un tempo delimitata da una prestigiosa balaustra in piperno e marmo bianco, anch’essa barbaramente saccheggiata come tutto il resto
Le grandi scalinate d’accesso sono infatti state depredate delle balaustre in marmo, e molti degli interni sono in rovina a causa di intemperie ed incendi. Il tetto, realizzato con una struttura portante in legno, è crollato in diversi punti. Diverse pareti interne sono state abbattute e molti locali sventrati in seguito ad atti di sciacallaggio mirati a depredarne il rame dei cavi elettrici. La struttura è stata usata più volte da senzatetto come rifugio.
Solo di recente Villa d’Elboeuf, è stata venduta all’asta dal tribunale di Napoli per soli 4 milioni di euro al miglior offerente ovvero ad una cordata di imprenditori, intenzionati a farne un condominio di lusso . Ma nel mentre si approvano e si iniziano i lavori di restauro e di riqualificazione.nei labirinti della goffa e lenta amministrazione il pericolo di crollo della sventrata struttura cresce ogni giorno in maniera sempre maggiore e sorge sempre di più l’amara consapevolezza che sia troppo tardi per la struttura restituirle il prestigio d’un tempo. Le condizioni del Monumento sono drammatiche !
Ma di questa vicenda quello che più resta come amaro in bocca per non essere riusciti – istituzioni in primis – è dare alla villa una destinazione pubblica.
Cosa diversa invece per il sito dei scavi dell’antica Ercolano che dopo aver vissuto dopo la caduta della monarchia borbonica un periodo di lunga stasi ed abbandono sembra oggi rivivere una seconda giovinezza .
Durante la seconda guerra mondiale esso fu utilizzato come rifugio antiaereo ed oggi i possiamo ancora vedere nel luogo dove gli abitanti di Resina si rifugiavano durante i bombardamenti i vecchi attacchi per l’elettricità ormai arrugginiti e alcuni cunicoli ostruiti da pietre e materiali di risulta.
Oggi finalmente dopo che per lungo tempo l’antico Teatro Romano di Herculaneum è stato purtroppo chiuso al pubblico, grazie alla nuova direzione è di nuovo visitabile anche se con un numero limitato di accessi. Si accede ad esso percorrendo gli stessi cunicoli scavati dai suoi scopritori ai tempi dei Borbone . I visitatori si potranno poi affacciare sul grande pozzo di luce -aria realizzato nel 1865 e dall’ alto potranno ammirare le gradinate della media cavea. Attraverso la scalinata potranno poi accedere al piano dell’orchestra, dove ammirando il proscenio, e salendo sul pulpitum, potranno osservare il pozzo di Enzechetta, dove ebbe origine lo scavo e visitare le due estremità del teatro, ovvero i tribunalia, le tribune di onore degli ospiti illustri e i magistrati che sulla sella curule assistevano agli spettacoli. Qui due iscrizioni ancora in situ celebrano due personaggi eminenti legati alle sorti del teatro, quella di Appio Claudio Pulcro e Marco Nonio Balbo. Ancora il percorso permetterà ai visitatori di poter ammirare pitture in ottimo stato di conservazione e, ritornati al proscenio, si percorrerà ancora un cunicolo che li porterà al secondo ambulacro, un corridoio interno che serviva per la distribuzione del pubblico direttamente sulle gradinate e dove è ancora possibile osservare le firme dei viaggiatori del Grand Tour, che dalla fine del ‘700 e durante l’800, poterono ammirare per primi le vestigia del Teatro antico. Il percorso è studiato come un viaggio nel tempo capace di creare un’atmosfera suggestiva e senza effetti multimediali”
Il Principe d’Elboeuf
Il sovrano del Granatello Emmanuel Maurice de Lorraine = Emanuele Maurizio di Lorena, figlio di Charles de Lorraine, terzo duca d’Elboeuf, e della sua seconda moglie Élisabeth de La Tour d’Auvergne nacque a Parigi, il 30 dicembre 1677. Egli è stato certamente uno dei più grandi predatori d’arte della nostra terra ma è passato paradossalmente alla storia come l’iniziatore degli scavi archeologici che hanno portato alla scoperta dell’antica città di Ercolano.
Fu avviato fin da piccolo alla vita militare, dove ben si distinse nell’esercito francese acquistando la fama di prode . Nel 1706 passò al servizio dell’imperatore austriaco Giuseppe I d’Asburgo in qualità di luogotenente generale della cavalleria.
Questo sua azione suscitò il risentimento del sovrano francese Luigi XIV che contrariato lo fece processare per diserzione e condannare all’impiccagione in effigie . Nel 1707 giunse a Napoli come generale della cavalleria, al seguito dell’esercito imperiale, austriaco per sconfiggere le truppe del regnante di Spagna Filippo V di Borbone ed una volta conquistato il vicereame, pensò bene di stabilirsi a Napoli.
Visse a Napoli in quanto dignitario di corte ma predilesse gli ozi della costiera ed in particolare della città di Portici dove vicino al mare egli nel 1711 acquistò dai frati francescani Alcantarini un casino, contiguo al Convento de’ Frati di San Pietro d’Alcantara che poggiava su un’area nel luogo detto Granatello. La sua idea era quella di trasformare il rustico in una bellissima residenza privata sul mare con un annesso porticciolo e per far questo commissionò il progetto al famoso architetto napoletano Ferdinando Sanfelice .
Il risultato fu l’edificazione di una bellissima villa con un panorama bellissimo che dai balconi del primo piano si apriva sul mare del golfo. Il principe e la sua vita sono legate anche alla storia archeologica della nostra terra. In breve la sua dimora al mare divenne un vero e proprio museo. Qui, tra queste stanze furono raccolte le più straordinarie opere d’arte provenienti dagli scavi della vicina Ercolano.
Nel 1719 tornò in Francia dove riprese possesso dei propri titoli e possedimenti. Egli designato principe non era destinato a diventare duca essendo il più giovane dei cinque figli maschi di suo padre ma visse talmente a lungo da sopravvivere alla morte dei suoi fratelli maggiori e dei suoi nipoti ( morti durante la guerra di successione spagnola ) finendo per acquisire il titolo di duca d’Elbeuf nel maggio del 1748 che mantenne fino alla sua morte avvenuta a Parigi, il 17 luglio 1763 all’età di 85 anni
Sposato due volte da nessuna delle due unioni ebbe figli e alla sua morte gli succedette suo cugino di secondo grado Carlo Eugenio di Lorena.