Quando il re Carlo di Borbone e sua moglie Maria Amalia di Sassonia, si recarono in visita presso la villa del duca d’Elboeuf, rimasero talmente affascinati dalle numerose opere d’arte presenti che abbellivano la dimora provenienti dagli scavi di Ercolano nonchè favorevolmente impressionati dalla bellezza del luogo, a tal punto che decisero di costruire nel luogo , un palazzo reale da adibire a residenza estiva ufficiale.
L’illuminato sovrano Carlo di Borbone intuì subito che la scoperta di Ercolano era un potente veicolo di promozione e di propaganda del suo territorio , nonché del prestigio per la sua casata e ben presto, sopratutto quando venne a sapere che molte delle opere ritrovate erano andate in regalo a diversi personaggi nobili d’Europa come per esempio il Principe Eugenio di Savoja (sette statue di scultura greca ) od il re Lodovico di Francia comandò a chiunque altro di cessare immediatamente gli scavi e ordinò che si cominciassero gli stessi solo per “regio conto ” affidando quindi al Bonucci il compito di scavare l’antica città con metodo e rigore.
Il re aveva infatti ben capito in maniera lungimirante fin dalla visita alla villa del principe d’Elboeuf che tutti i ritrovamenti archeologici della zona , passati sotto la sua proprietà e protezione avrebbero solo portato ricchezza e lustro al suo regno.
Incominciò quindi nel 1738 , alle pendici del Vesuvio la costruzione della sua residenza estiva un bosco superiore, originariamente dedicato alla caccia, ed uno a valle, di tipo più ornamentale, esteso fino al mare. Per la costruzione di questa reggia lavorarono alla sua realizzazione ingegneri, architetti e decoratori famosi come Giovanni Antonio Medrano , Antonio Canevari, Luigi Vanvitelli a Ferdinando Fuga; per la decorazione degli interni operarono artisti come Giuseppe Canart, Giuseppe Bonito e Vincenzo Re, mentre per il parco e i giardini Francesco Geri Per accedere alla Reggia dal mare, nel 1773 fu costruito il porto del Granatello.
La realizzazione del nuovo palazzo reale, di dimensioni non vastissime, non poteva ospitare pienamente la numerosa corte reale e pertanto molte famiglie gentilizie, per essere vicine ai sovrani, costruirono anch’esse lussuose ville che finirono per costituire il cosiddetto “miglio d’oro“.
Il re per valorizzare la sua residenza estiva e accrescere tutta la zona sancì il privilegio dell’esenzione fiscale; vantaggio che allettò la nobiltà e il clero partenopeo a stabilirsi nella campagna vesuviana o lungo la zona costiera ai piedi del Vesuvio.
Il prestigio della presenza della dimora reale, il fascino delle vestigia dell’antichità, e la bellezza del luogo che tanto piaceva ai sovrani, fecero sì che l’intera corte napoletana e molti altri nobili decisero, per essere vicine ai sovrani, di trasferirsi nel luogo vesuviano, facendosi costruire lussuose ville cortigiane e giardini rococò e neoclassici da architetti del calibro di Luigi Vanvitelli, Ferdinando Fuga, Ferdinando Sanfelice, Domenico Antonio Vaccaro, Mario Gioffredo.
Tutto questo portò alla realizzazione di nuovi scavi e al conseguente ritrovamento di sempre più numerosi reperti archeologici
Il successo dei scavi portò alla luce un numero enorme di reperti archeologici da oltrepassare di gran lunga le aspettative dei sovrani a tal punto che nello spazio di sei o sette anni fornirono al re delle Due Sicilie un museo Ercolanense da far invidia a qualunque potentissimo monarca. Venne in seguito a questi scavi alla luce una intera città piena di abbellimenti, teatri, templi, pitture o statue, marmi e bronzi, nascosti nel seno della terra da oltre milleseicento anni. Spinto dal successo, dopo qualche anno il re Carlo decise di dare nuova linfa agli scavi di Pompei, altra grandiosa città sepolta da pomici eruttive e lapilli.In pochi anni le raccolte archeologiche si ampliarono: pitture parietali, mosaici , e statue furono tutti temporaneamente sistemate in un deposito . Ben presto i reperti provenienti dagli scavi archeologici di Ercolano formarono una delle raccolte più famose al mondo e diedero vita all’Herculanense Museum, che divenne meta privilegiata del Grand Tour da parte dei giovani rampolli dell’aristocrazia europeaIl e simbolo della monarchia borbonica che con questa collezione museale celebrando i fasti della sua dinastia , si gloriava di aver portato al “desiderato scovrimento” i tesori artistici delle città sepolte.
Il museo fu inaugurato nel 1758 per volere di Carlo di Borbone ed era non solo unico in tutta Europa per la quantità e la qualità dei reperti riuniti provenienti dagli scavi di tutta l’area vesuviana ed in particolare da Ercolano e Pompei ma anche unico per i laboratori sperimentali e l’insieme delle attività di studio e di restauro che vi si svolgevano, tra le quali spiccavano gli ingegnosi metodi via via tentati per srotolare i papiri carbonizzati e recuperati a Ercolano. Esso era ubicato in un’ala del Palazzo inferiore della Reggia .
La struttura espositiva consisteva in una serie di spazi aperti e coperti nei quali prendevano posto man mano, ora confusamente ammassati, ora ordinati, gli innumerevoli ritrovamenti provenienti dagli scavi.
Il museo fu trasformato e ampliato di continuo per dare decorosa sistemazione alla mole di oggetti acquisiti: dalle pitture parietali, ai mosaici, alle statue in marmo e in bronzo. Nel cortile di accesso comunque troneggiava imperterrito un cavallo in bronzo ricomposto con i resti di una quadriga da Ercolano . Al piano terra erano presenti 16 stanze delle pitture e al primo piano 18 stanze dove le opere erano esposte a seconda del genere..Le statue in bronzo più ammirate furono dislocate con funzione ornamentale al centro di alcune sale .Il famoso e magnifico Satiro ebbro si trovava nella stanza delle opere più rare e preziose , contenenti gioielli , monete d’oro , commestibili ,colori, cosmetici, resti di calzature e stoffe .
Gli oggetti ” osceni ” , come falli e figure grottesche raffiguranti Priapo , in un primo momento furono esposti e poi relegati in un’apposita sezione la cui visita richiedeva un permesso speciale . In questo posto fu anche portato l’opera marmorea del Dio Pan che si accoppia con una capra ritenuta allora ” lascivissima ma bella ” e fino ad allora vista solo da pochi .
Il Museo divenne ben presto meta obbligata di studiosi, intellettuali e amanti dell’arte. Nel suo “Viaggio in Italia”, del 1787, Goethe lo definì “l’alfa e l’omega di tutte le raccolte di antichità”.
Dopo la pubblicazione di alcune immagini dei reperti archeologi esposti al museo Ercolanense su alcune famose riviste francesi , la corte napoletana gelosa della diffusione di notizie ed immagini dei propri beni archeologici ,discipllnò un rigido regolamento di accesso agli scavi e allo stesso Museo.
Con la unificazione del Regno d’Italia, il Palazzo di Portici e il Parco reale furono assegnati alla Provincia di Napoli per la Reale Scuola Superiore di Agricoltura e fu aggiunto al complesso anche un orto botanico composto da due ampi giardini che coprivano una superficie di circa 9mila metri quadri con serre, vivai e laboratori per lo studio e la coltivazione sia di specie botaniche rare che di piante curative.
La Scuola, nel 1935, divenne poi , Facoltà di Agraria della Università di Napoli Federico II.
Nelle varie sale sono ovunque esposte molte stampe e disegni del settecento .
Da quel momento si cimentarono nello svolgimento dei papiri vari e noti personaggi tra cui anche il famoso Principe di Sansevero , Raimondo di Sangro ( quello della cappella Sansevero e del Cristo Velato ) che penso’ ( male ) di trattare con il mercurio tre o quattro rotoli di papiro, nella persuasione che la capacità di penetrazione del metallo potesse favorire il distacco dei fogli; ne determinò invece la perdita completa ed il suo metodo si rivelò quindi del tutto inefficace.