Salvatore di Giacomo nato a Napoli il 12 Marzo 1860 è stato un grande poeta, e sublime drammaturgo e saggista italiano.
Fu autore di molte notissime poesie in lingua napoletana (molte delle quali poi musicate) che costituiscono una parte importante della cultura popolare partenopea.
Figlio di un medico e di una musicista, il nostro futuro gran poeta napoletano, ffin dalla giovinezza mostrò grande passione allo scrivere , ed una naturale vocazione poetica.
Figlio primogenito di Francesco Saverio Di Giacomo, medico abruzzese, e Patrizia Buongiorno, (il cui padre insegnava al Conservatorio di San Pietro a Maiella,) dopo aver conseguito la licenza liceale presso il Vittorio Emanuele, frequentò per volere di suo padre la Facoltà di Medicina, ma dopo aver conseguito solo alcuni esami , egli nel 1880 abbandonò la stessa per seguire la sua naturale inclinazione alla letteratura.
Ben presto comincia a collaborare con riviste e giornali, pubblicando articoli e novelle sul Corriere del Mattino, Il Corriere, Pro Patria, la Gazzetta Letteraria, Il Pungolo.
Nel 1884 pubblicò per l’editore Tocco la già copiosa produzione poetica in lingua napoletana, che apparve con il titolo Sonetti. Seguirono, nel giro di pochi anni, le raccolte poetiche ‘O Funneco verde (1886), Zi’ munacella (1888) e Canzoni napoletane (1891)..
Fu cronista dei maggiori giornali cittadini collaborando alle pagine letterarie dei quotidiani e delle riviste più in voga. Divento’ infatti redattore della pagina letteraria del Corriere del Mattino. In seguito lasciò il Corriere e passò al Pro Patria prima e alla Gazzetta poi. Fu tra i fondatori, nel 1892, assieme a Benedetto Croce, Vittorio Spinazzola e altri intellettuali, della nota rivista di topografia e arte napoletana “Napoli nobilissima-
Dal 1893 ricoprì l’incarico di bibliotecario presso varie biblioteche ed istituzioni culturali cittadine, quali la Biblioteca del Conservatorio di San Pietro a Maiella, la Biblioteca Universitaria e la Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III.
Nel 1902 divenne direttore della Sezione autonoma Lucchesi-Palli della Biblioteca nazionale e dal 1925 al 1932 fu bibliotecario capo.
Da questo momento in poi la sua vita di poeta, di scrittore, di novelliere, di bibliotecario, non ha mai soste, finendo risultate essere nel tempo uno storico di utilissime e dense monografie sul teatro, sui musicisti, sui pittori, sulla poesia e cento altre curiosità napoletane a tal punto che nel 1929 fu nominato Accademico d’Italia.
Autore di novelle, poesie, testi di canzone, di tanti bei lavori teatrali, trasformati anche in libretti per opere liriche, Di Giacomo rappresenta una delle piu’ intense voci poetiche di Napoli e dell’Italia di fine Ottocento e incarna senza dubbio una delle piu’ alte espressioni raggiunte dalla lingua napoletana.
Egli oltre ad essere stato un grande drammaturgo e saggista italiano, è stato autore di notissime poesie in lingua napoletana che costituiscono una parte importante della poesia e del patrimonio musicale partenopeo,
Alcune delle sue poesie, musicate da compositori dell’epoca, sono oggi capolavori indiscussi della canzone napoletana come Marechiaro, Era de maggio, Luna nova, Palomma ‘e notte, Carulì, ‘E spingule francese.
Il suo poemetto ” Lassammo fa’ Dio “è a mio parere un vero capolavoro di arte letteraria .Egli con questa epica scrittura non solo ha lasciato scritto nel tempo quella tipica espressione proverbiale di un tempo della lingua partenopea che oggi tende a sparire ma ci trasmette il senso di un generico provvidenzialismo, della fatalistica rassegnazione di chi, non riuscendo a risolvere un problema, si mette nelle mani di un’entità superiore.
Salvatore Di Giacomo, insieme ad Ernesto Murolo, Libero Bovio ed E. A. Mario, è stato uno dei principali della cosiddetta “epoca d’oro” della canzone napoletana.
Muore a Napoli, il 5 Aprile 1934.
Di seguito alcuni dei piu’ bei versi scritti da Salvatore Di Giacomo :
Marzo: nu poco chiove
e n’ato ppoco stracqua
torna a chiòvere, schiove;
ride ‘o sole cu ll’acqua.
Mo nu cielo celeste,
mo n’aria cupa e nera,
mo d’ ‘o vierno ‘e ‘tempeste,
mo n’aria ‘e Primmavera.
N’auciello freddigliuso
aspetta ch’esce o sole,
ncopp’ ‘o tterreno nfuso
suspirano ‘e viole…
Catarì, che vuò cchiù?
Ntienneme, core mio,
Marzo, tu ‘o ssaje, si’ tu,
e st’auciello song’ io.